Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33854 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33854 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso 5720/2022 proposto da
RAGIONE_SOCIALEpRAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente –
-contro-
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappres. e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura in calce al ricorso;
NOME, elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME rappres. e difeso dagli avv.ti NOME ed NOME COGNOME per procura speciale in atti,
-controricorrenti-
-nonché-
NOME NOMECOGNOME quali eredi di NOME
-intimati- avverso la sentenza n. 4692/2021 de lla Corte d’appello di Napoli, pubblicata il 21.12.2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con atto di citazione notificato nel 2002 NOME Francesco premesso di essere titolare del conto corrente n. 932/74, acceso presso la filiale di Vairano Scalo della Banca Popolare di Ancona, esponeva che nel settembre del 1996, su proposta di NOME COGNOME, direttore della filiale di Teano di tale banca, aveva operato due investimenti rinnovati annualmente sino al 1999.
In particolare, l’attore assumeva che: in data 16.09.96, l’istante aveva investito la somma di £. 100.000.000 in un’operazione annuale al tasso di interesse del 10% che alla scadenza del 16.09.97, sempre su proposta del COGNOME, veniva reinvestita alle stesse condizioni con accredito sul c/c n. 932/74 della sola somma di € 10. 000,00 maturata per interessi; alla successiva scadenza del 16.09.98, ancora una volta su proposta del Riccio, l’intera somma di £ 110.000.000 a lui dovuta per sorta capitale e interessi era stata poi reinvestita sempre per la durata di un anno ed al tasso del 10%; l ‘altro investimento, di £. 50.000.000, era stato invece effettuato, alle stesse condizioni, in data 04.09.96 ed alla scadenza del 04.09.97; il COGNOME aveva ancora proposto di reinvestire il capitale per un altro anno accreditando sul c/c n. 932/74 i soli interessi maturati per £. 5.000.000; lo stesso avveniva alla scadenza del 04.09.98 quando il COGNOME proponeva di reinvestire per un anno tanto la somma iniziale quanto gli interessi maturati ed il NOME accettava; nel mese di giugno del 1999, il COGNOME aveva lasciato
il proprio incarico presso la Banca Popolare di Ancona, per assumere il ruolo di consulente globale presso la Banca Mediolanum, dichiarando che avrebbe continuato ad interessarsi degli investimenti del Marcello la cui posizione finanziaria sarebbe transitata alla Mediolanum; nel settembre del 19 99 l’attore aveva poi richiesto il disinvestimento delle somme in questione ma il COGNOME gli aveva chiesto di pazientare a causa di ritardi verificatisi nel transito della propria posizione presso la Banca Mediolanum; successivamente, il COGNOME, compulsato dal NOME, aveva dichiarato di aver dato disposizioni alla Banca Mediolanum perché gli bonificasse le somme di sua spettanza ma tali disposizioni di bonifico, in seguito ad una telefonata fatta alla sede di Milano dell’istituto di credito, erano risultate inesistenti , mentre l’attore aveva appreso anche che nessuna posizione finanziaria era a lui intestata presso tale istituto di credito; il COGNOME, chiamato a dare spiegazioni, aveva affermato allora che il mancato accredito dei bonifici era stato frutto di un disguido dovuto all’assenza presso la Banca Mediolanum di un conto corrente intestato al NOME, facendogli perciò sottoscrivere una richiesta di apertura di conto e assicurandogli l’accensione a breve del rapporto; a seguito di nuove sollecitazioni il COGNOME aveva poi consegnato al NOME due blocchetti di assegni, a riprova della sua posizione di correntista della Mediolanum, ma in seguito a un controllo dei numeri di serie di tali assegni presso la sede centrale della banca, era stato riferito all’attore che nessun conto era stato aperto a suo nome; ancora una volta il COGNOME si era giustificato asserendo di aver inavvertitamente scambiato i libretti con quelli di un altro correntista e assicurava la loro consegna a giorni al Marcello il quale, perdurando il ritardo, otteneva due assegni di £. 78.000.000 tratti dal COGNOME sulla Banca Mediolanum per la restituzione delle somme investite; detti assegni, portati all’incasso presso la filiale di Vairano della Banca
Popolare di Ancona, erano stati tuttavia protestati, perché recanti una firma di traenza sconosciuta, sicché il NOME aveva avuto la certezza di essere stato vittima di una truffa perpetrata ai suoi danni dal COGNOME. Tanto premesso, NOME NOME conveniva innanzi alla Sezione distaccata di Carinola del Tribunale di Santa Maria C. V. il COGNOME, la Banca Popolare di Ancona e la Banca Mediolanum, enti ritenuti corresponsabili ex art. 2049 c.c. della truffa perpetrata ai suoi danni, chiedendo la loro condanna solidale al pagamento in proprio favore della somma di £. 156.000.000, corrispondenti a € 80.567,28, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, nonché a risarcirgli il danno ulteriore rappresentato dall’utile che avrebbe conseguito in caso di effettuazione delle richieste operazioni di investimento, e i danni morali conseguiti all’illecito penale da liquidare in via equitativa.
Con sentenza pubblicata il 30.01.13, rigettata l’eccezione di estinzione del processo- sul rilievo che il procedimento penale a carico del COGNOME si era chiuso nel 2008, senza alcuna pronunzia sull’azione c ivile, con una declaratoria di non luogo a procedere essendosi il reato estinto per prescrizione- il Tribunale accoglieva la domanda risarcitoria proposta nei confronti del COGNOME condannandolo a restituire all’attore la somma di € 80.567,27 oltre interessi legali dalla notifica della citazione al saldo.
La domanda nei confronti della Banca Popolare di Ancona veniva invece rigettata in quanto il giudicante riteneva che il rapporto tra l’attore ed il COGNOME avesse avuto natura esclusivamente privata, con esclusione della possibilità di ravvisare un nesso di occasionalità necessaria tra le mansioni affidate all’ex dipen dente ed il danno, valorizzando a tal fine i seguenti elementi: a) mancanza di un contratto di deposito titoli stipulato con la Banca Popolare di Ancona e di moduli bancari contenenti ordini di acquisto di prodotti finanziari o di effettuazione di
investimenti; b) assenza negli estratti conto depositati di ogni traccia dei movimenti bancari indicati dal Marcello ad eccezione dell’addebito di £. 100.000.000 per un assegno incassato il 17.09.1996 e dell’accredito di £. 5.000.000 in data 04.09.97; c) a ssenza nelle ricevute esibite dal Marcello di caratteristiche idonee ad indentificarle come titoli esigibili nei confronti della Banca Popolare di Ancona, mancando in esse ogni riferimento ad eventuali investimenti ed alle relative condizioni; d) apertura del conto corrente del NOME presso la filiale di Vairano mentre il COGNOME era all’epoca direttore della filiale di Teano; e) dal settembre del 1996 al 1999 la somma investita non era più transitata sul conto del COGNOME; f) nessuno dei testi aveva affermato che il NOME incontrava il COGNOME presso la filiale di Vairano.
Il Tribunale rigettava anche la domanda nei confronti della Banca Mediolanum, osservando come il danno patito dal Marcello fosse il frutto dell’attività illecita del COGNOME quando era ancora dipendente della Banca Popolare di Ancona mentre, durante il periodo in cui aveva operato come procacciatore di affari della Mediolanum, egli aveva tenuto un comportamento che, benché truffaldino, non era stato fonte di ulteriori danni per l’attore , essendo stato esso diretto esclusivamente a procrastinare l’individuazi one della sua responsabilità.
Il Marcello proponeva appello; la BPER Banca s.p.a. spiegava intervento volontario ex art. 111 c.p.c., riportandosi alle difese della propria dante causa, UBI Banca s.p.a., chiedendo l’estromissione dal giudizio; a tale richiesta aderiva Sanpaolo s.p.a.
Con sentenza del 21.12.2021 la Corte d’appello , in parziale riforma della sentenza impugnata, condannava in solido il COGNOME e la BPER Banca al risarcimento del danno subito dall’appellante nella misura di € 119.964,67 oltre interessi legali computati dal settembre d el 1996
alla data della stessa pronunzia sulle somme e con le modalità indicate in motivazione.
Al riguardo, il giudice d’appello osservava che: in via preliminare, la riproposizione da parte della Banca Mediolanum dell’eccezione di estinzione del giudizio, rigettata dal Tribunale, contrariamente a quanto sostenuto dal Marcello, non richiedeva la proposizione di un appello incidentale (cfr. ex multis cass. n. 18169/04); il rigetto dell’eccezione in questione andava confermato, per essersi il giudizio penale concluso con sentenza di non doversi procedere nei confronti dell’imputato, stante la prescrizione dei reati a lui ascritti, senza alcuna pronunzia s ull’azione civile; era noto che la responsabilità indiretta del datore di lavoro prevista dall’art. 2049 c.c. per il fatto illecito del dipendente non richiedesse la sussistenza di una relazione causale tra le mansioni affidate all’autore della violazione e l’eve nto di danno, essendo sufficiente la ricorrenza di un nesso di occasionalità necessaria tra l’illecito ed il rapporto di lavoro che lega i due soggetti nel senso che le funzioni esercitate dal dipendente avessero reso possibile o comunque agevolato la realizzazione del fatto lesivo, risultando irrilevante che il lavoratore avesse operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni e che avesse agito con dolo, per finalità strettamente personali, a totale insaputa del suo datore di lavoro (cfr. ex multis cass. n. 17836/2007, n. 6632/2008, n. 7403/2013, n. 20924/2015 e n. 22058/2017); del pari irrilevante, ai fini dell’esclusione di detto rapporto di occasionalità necessaria, era poi il fatto che le somme illecitamente incamerate dal dipendente non erano mai pervenute nella disponibilità della società datrice di lavoro, dal momento che proprio l’impossessamento del danaro ed il suo mancato impiego secondo l e finalità concordate integravano l’illecito del dipendente (così cass. n. 20924/2015 cit. e n. 7403/13 cit.) ; particolare rigore nell’ applicazione
di tali principi era poi chiesta quando viene in esame la responsabilità di una banca per fatto illecito dei propri dipendenti e ciò in considerazione della peculiare natura dell’attività di raccolta del danaro e di esercizio del credito nonché in ragione dei controlli e dei vincoli pubblicistici a cui tale attività è assoggettata e della conseguente particolare intensità dell’affidamento del pubblico in ordine alla correttezza dei comportamenti dei suoi preposti, ciò anche con riguardo alle attività illecite poste in essere da un promotore finanziario non legato da un rapporto contrattuale con la banca; in applicazione di tali principi, veniva riconosciuta la responsabilità indiretta della Banca Popolare di Ancona per l’illecito commesso dal direttore di filiale, NOME COGNOME ai danni dell’appellante; la circostanza che la proposta degli investimenti per cui era lite e l’adesione agli stessi fosse avvenuta presso la filiale di Teano della Banca Nazionale di Ancona, di cui il COGNOME era direttore, era stata infatti confermata dal teste COGNOME COGNOME era stato altresì provato l’utilizzo per effettuazione di tali operazioni di modulistica della Banca Popolare di Ancona (le due distinte prodotte già in primo grado, ed allegate in originale alle deduzioni di udienza del 04.07.14, che riportano il logo di detto istituto di credito, l’indicazione del c/c n. 932/74, il nominativo dell’appellante ed il suo indirizzo, la dicitura a stampa ‘Le seguenti operazioni sono state registrate sul c/c in data odierna. S i prega di verificare l’esattezza del n. di c/corrente’, l’indicazione degli importi di £. 55.500.000 e di £. 110.000.000 sotto la dicitura ‘a vs. credito’ con le rispettive date di valuta 04.09.1998 e 16.09.1998); sul piano oggettivo ricorrevano dunque condizioni tali da far apparire che l’attività posta in essere dal COGNOME per la consumazione dell’illecito rientrasse nelle sue mansioni lavorative, né poteva in contrario rilevare che il conto corrente del Marcello fosse acceso presso un’altra filiale della stessa banca; il Riccio,
quale direttore di filiale, rivestiva una posizione in grado di ispirare un alto livello di fiducia e di affidamento, non solo in ordine all’osservanza dell’iter funzionale all’effettuazione di operazioni di investimento, e alla possibilità di realizzare le stesse anche presso una diversa dipendenza della stessa banca, ma anche quanto alla sua conoscenza dei mercati finanziari e capacità di individuare occasioni di investimento particolarmente remunerative; non vi era inoltre alcuna evidenza processuale, né di una pregressa esperienza acquisita dal NOME nell’investimento in prodotti finanziari, non desumibile sic et simpliciter dalla sua professione di farmacista, né dell’esistenza di un rapporto di frequentazione e di amicizia con il COGNOME che possa averlo indotto a rivolgersi allo stesso a titolo strettamente personale così da escludere il rapporto di occasionalità tra l’illecito del preposto e le mansioni affidategli; pertanto, in riforma della sentenza impugnata, era da affermare la responsabilità ex art. 2049 c.c. della Banca Popolare di Ancona, e per essa della BPER Banca, non sussistendo elementi per ritenere che il comportamento del danneggiato presentasse connotati di anomalia tali da evidenziare una sua collusione con il COGNOME o quanto meno la consapevole acquiescenza alla condotta inosservante delle regole del direttore di banca; circa il mancato riconoscimento di una responsabilità ex art. 2049 c.c. del la Banca Mediolanum, l’appello era infondato, in quanto non solo le appropriazioni di danaro di cui l’appellante si duoleva, ma anche tutte le fittizie operazioni di reinvestimento delle somme in questione erano infatti avvenute in epoca anteriore al conferimento al COGNOME dell’incarico di procacciatore di affari da parte della Banca Mediolanum, risalente al mese luglio del 1999, con la conseguenza che il danno procurato al Marcello dalla condotta illecita dello stesso COGNOME si era già verificato a tale data senza che gli eventi successivi avessero potuto mutare in alcun modo tale
stato di fatto; le due false operazioni di investimento risalivano infatti al settembre del 1996, ed erano state fittiziamente rinnovate nel settembre del 1997 e nel settembre del 1998 con scadenza nel mese di settembre del 1999, quando il Marcello aveva vanamente reclamato la restituzione del capitale investito con i relativi accessori; in nessun modo il rapporto istaurato dal COGNOME con la Banca Mediolanum aveva dunque concorso a cagionare il danno ed a perpetrare il disegno criminoso ordito prima ed indi pendentemente dall’istaurazione di detto rapporto, quando il COGNOME ancora operava per la Banca Popolare di Ancona; correttamente dunque il Tribunale aveva affermato l’estraneità ai fatti della Banca Mediolanum, escludendo che il comportamento del COGNOME in questa seconda fase fosse stato idoneo a produrre un danno diverso ed ulteriore rispetto a quello già subito, evidenziando come tale condotta, benché senz’altro truffaldina, non avesse autonoma valenza causale risolvendosi esclusivamente in escamotages d iretti a prendere tempo e ad a ritardare l’individuazione delle sue precedenti responsabilità; era da rigettare la pretesa del Marcello volta ad ottenere il riconoscimento di un utile pari a quello che avrebbe ricavato dal puntuale adempimento delle operazioni di investimento richieste al COGNOME, poiché a tal fine l’appellante avrebbe infatti dovuto dimostrare l’effettiva disponibilità, sul mercato finanziario dell’epoca, di prodotti in grado di garantire una redditività annua certa del 10% e che a tali esistenti forme di investimento, pur propostegli dal COGNOME, non fu dato corso determinando in tal modo un danno pari all’utile ricavabile attraverso l’effettivo impiego del capitale consegnato in detti strumenti finanziari; di tutto ciò non vi era invece alcuna evidenza apparendo quanto orchestrato dal COGNOME una semplice truffa imbastita millantando fittizie possibilità di investimento; circa il danno morale, venendo in esame un fatto illecito costituente reato, lo
stesso era stato di fatto riconosciuto da parte del Tribunale, attraverso la liquidazione della somma di £. 21.000.000 in più rispetto al dovuto, pari € 10.845,59, che non era consentito ridurre, stante il divieto di reformatio in peius, che valeva a compensare il danno non patrimoniale sofferto dal Marcello; era infine fondata la doglianza relativa al mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria, risultando perciò dovuti gli interessi legali da calcolare inizialmente sulla somma di € 80.567,27 e quindi, anno per anno sulla somme di volta in volta rivalutate sino alla sentenza d’appello , che convertendo l’originario debito di valore in un debito di valuta, legittimava, sino al soddisfo, gli interessi legali sull’importo finale liquidato.
La BPER Banca s.p.a ricorre in cassazione avverso la suddetta sentenza con due motivi, illustrati da memoria. NOME COGNOME e Banca Mediolanum resistono con distinti atti di controricorso, illustrati da memoria. Non svolgono difese gli intimati, quali eredi di NOME COGNOME
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia, ex art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di fatto decisivo, per non aver la Corte d’appel lo valutato quattro indicatori di anomalia del comportamento tenuto dal danneggiato, oggetto di discussione, ma mai contestati da controparte, tali da evidenziare una assoluta consapevolezza del danneggiato di operare con il dipendente della banca su base personalistica, al di fuori dei canali bancari, e di concorrere volontariamente alla violazione delle normative interne della Banca.
In particolare, la ricorrente assume che i fatti pacifici, ricostruiti nella sentenza di primo grado, confermati nella ricostruzione del fatto dalla stessa Corte di Appello, e mai contestati dall’attore, sono i seguenti:
il NOME (danneggiato) non aveva mai versato e/o ragionevolmente ritenuto di versare le somme nelle casse della banca
per effettuare i propri investimenti, avendo invece consapevolmente e personalmente consegnato le somme a favore del COGNOME, in forma volontariamente non tracciabile; tale fatto pacifico è stato riconosciuto dallo stesso attore-appellante che, per ricostruire il danno patito e quindi dare prova dell ‘esborso, aveva ribadito anche in appello di aver prodotto in primo grado, come in effetti ha fatto con la memoria istruttoria del 13.2.2003, vari documenti ( ‘ Matrice dell’assegno n. 038.788.092, di L 100.000.000, tratto il 16.9.1996 sulla Banca Popolare di Ancona di Vairano Patenora-Vairano Scalo, dal dr. NOME COGNOME all’ordine di se medesimo sul proprio c/c n. 932/74, e consegnato a NOME NOME per l’investimento a termine di un anno con interessi al 10%’ -v. atto di appello de ll’attore, pg. 7, cap 5 par 6 ; ‘ Matrice dell’assegno n. 036.139.034 di L. 200.000. 000 tratto il 26/2/1996 sulla Banca Popolare di Ancona, Agenzia di Vairano Patenora -Vairano Scalo, dal Dr NOME COGNOME all’ordine di se medesimo sul proprio c/c n. 932/74, e consegnato al COGNOME NOME ‘ -atto di appello dell’attore, pg. 6, cap 5 par 1 -); il giudice di primo grado aveva confermato la circostanza e la stessa non è stata contestata dalla Corte di Appello che, sul punto ha fatto un generico richiamo all” impiego di ricevute ‘ (pg.8), che sono le ricevute prodotte e citate dal medesimo appellante, ovvero le ricevute (falsificate) con cui, ad anni di distanza, il COGNOME avrebbe tranquillizzato il NOME circa l’ efficacia dei suoi investimenti; al riguardo, lo stesso appellante aveva dedotto e riconosciuto che erano datate ad anni di distanza dai versamenti (la prima è del 16.9.1997, quindi ad un anno del primo investimento, citata a pg. 6 par. 2 dell’atto di appello); pertanto, era pacifico che, per effettuare il proprio investimento, l’attore, invece di effettuare una qualsiasi forma di versamento tracciabile nelle casse della Banca di una così ingente somma, tramite bonifico o assegno
intestato alla Banca, avesse volontariamente deciso di cambiare un assegno tratto all’ordine ‘ di se medesimo ‘ , e quindi consegnarne al COGNOME le relative somme personalmente, in forma non tracciabile; 2) allorquando il NOME, dopo quattro anni, aveva richiesto il disinvestimento, il COGNOME gli aveva erogato i rimborsi -poi rivelatisi insoluti -con assegni anch’essi personali , tratti sul proprio conto, che l’attore/appellante aveva portato all’incasso per cercare di rientrare i n possesso delle somme erogate, circostanza confermata dallo stesso appellante; d i tali assegni l’appellante stesso deduce va che, dopo aver chiesto il disinvestimento, il COGNOME gli ‘ aveva finanche rilasciato due assegni di L 78.000.000 ciascuno, tratti presso la Banca Mediolanum, ma gli stessi erano stati protestati ‘ (pg. 4 atto di appello); il Marcello, che secondo la sentenza della Corte di Appello, avrebbe avuto l’apparenza d i star operando con la Banca, aveva posto all’incasso, all’esito della propria richiesta di disinvestimento, assegni tratti dalla persona fisica del COGNOME; 3) negli estratti conto inviati dalla Banca all’attore, dal 1996 , non risultava alcuna movimentazione circa le somme versate o gli investimenti fatti dallo stesso NOME, ovvero gli asseriti crediti , per cui il giudice di primo grado ne aveva dedotto o che il NOME non ha più ricevuto alcuna somma di danaro sin dal 1996 ovvero le ha ricevute al di fuori del canale bancario ‘ (pg 10 e ss. della sentenza di primo grado), circostanze ribadite dalla Corte di Appello; pertanto , era pacifico che l’attore avesse sempre ricevuto gli estratti conto senza opporre, per anni, alcuna contestazione in ordine all’insussistenza dei rendimenti che riteneva erogati in suo favore; 4) l’attore non aveva mai firmato, né dedotto di averlo fatto, nessun contratto o modulo di investimento, e non aveva mai ricevuto, o dedotto di aver ricevuto, nessun estratto conto dei titoli, come
evidenziato dal Tribunale (pg. 10 della sentenza), circostanza non contestata dall’appellante.
Pertanto, la ricorrente lamenta che la Corte di Appello aveva ignorato, nella motivazione di diritto, tutti e quattro tali elementi, limitandosi ad affermare la responsabilità della banca sulla base di generiche asserzioni palesemente errate, soggiungendo che l’unico concreto elemento favorevole alla tesi avversa, ovvero l’utilizzo di ricev ute bancarie falsificate della banca per dimostrare i rendimenti di tali fantomatici investimenti (ma non certo i depositi), appariva elemento del tutto incerto ed irrilevante, sia perché non vi era prova che fossero state effettivamente consegnate al NOME, sia perché le stesse non prova vano assolutamente che quest’ultimo ritenesse di star investendo tramite il canale della Banca, ben potendo egli ritenere di aver affidato i propri risparmi personalmente al COGNOME che li investiva nell’ambito di una propria attività parallela di intermediazione finanziaria, al di fuori del canale bancario di investimento, seppure servendosi della Banca quale solo strumento per acquistare/vendere i titoli.
La ricorrente assumeva, infine, che il rapporto assolutamente personale tra i due soggetti, come chiaramente individuato dal giudice di prime cure, aveva impedito al Marcello di denunciare alla Banca le anomalie delle quali era perfettamente consapevole ma che, sino a quando avevano comportato un arricchimento in suo favore, si era ben guardato dal segnalare, con conseguente inapplicabilità della disposizione in materia di responsabilità di cui all’ art. 2049 c.c., ma anche di ogni altra disposizione in materia di responsabilità contrattuale.
Il secondo motivo denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 2049 e 1227 c.c., p er aver la Corte d’appello erroneamente ritenuto configurabile il nesso di occasionalità necessaria tra il fatto avvenuto
e la mansione lavorativa, in presenza dei suddetti quattro indicatori di anomalia nel comportamento volontario del creditore/danneggiato, tali da evidenziare una assoluta consapevolezza del danneggiato di operare con il dipendente su base personalistica, al di fuori dei canali bancari, e di concorrere volontariamente alla violazione delle normative interne della Banca.
Al riguardo, il ricorrente lamenta in particolare che: la Corte territoriale abbia ritenuto irrilevante che le somme versate dal danneggiato non fossero mai pervenute sul conto della Banca appellata, affermando che si configurasse la responsabilità in ragione di ‘apparenza di professionalità corroborata dal suo incarico apicale di direttore della filiale di Teano’ (pg. 8 sentenza impugnata) e ‘spendita del nome della banca e impiego di ricevute, distinte e altre distinte contabili redatte su modulistica del l’istituto’ (pg 8 sentenza impugnata ); tali fatti, oggetto di giudizio e non contestati, non potevano indurre la Corte a sussumere la responsabilità della banca ricorrente ex art. 2049 c.c. .
I due motivi, esaminabili congiuntamente poichè tra loro connessi, sono fondati.
Sussiste la responsabilità indiretta della banca, ex art. 2049 cod. civ., nei confronti dei terzi in relazione all’attività illecita posta in essere da un promotore finanziario, allorché, indipendentemente dall’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e dal carattere di continuità dell’incarico affidato all’agente, detta attività sia stata agevolata o resa possibile dal suo inserimento nell’attività d’impresa, (nella specie emersa dalla sua presenza nei locali della banca, dall’utilizzo della modulistica di pertinenza e dalla spendita del nome), e sia stata realizzata nell’ambito e coerentemente alle finalità in vista delle quali l’incarico è stato conferito, in maniera tale da far apparire al terzo in buona fede che l’attività posta in essere per la consumazione
dell’illecito rientrasse nell’incarico affidato dalla banca mandante (Cass. n. 17393/2009; Cass. n. 6829/2011).
Invero, i motivi tendono in sostanza a suscitare un diverso apprezzamento dei fatti di causa in ordine ai presupposti della responsabilità della banca ex art. 2049 c.c.
Al riguardo, va altresì osservato che, in tema di intermediazione finanziaria, la banca risponde dei danni arrecati a terzi dai propri incaricati nello svolgimento delle incombenze loro affidate, quando il fatto illecito commesso sia connesso per occasionalità necessaria all’esercizio delle mansioni; la responsabilità dell’intermediario per i danni arrecati dai propri promotori finanziari è, tuttavia, esclusa ove il danneggiato ponga in essere una condotta agevolatrice che presenti connotati di anomalia, vale a dire, se non di collusione, quantomeno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore, tra cui quella che vieta la corresponsione quest’ultimo di denaro in contanti da parte dell’investitore (Cass., n. 31453/22: nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, a fronte del versamento al promotore finanziario di somme in contanti, non tracciabili, si era limitata a rimarcare la non eccessività degli importi). sintomatici di condotte anomale dell’investitore non violazione delle regole gravanti sul promotore oggetto di
In tema di intermediazione finanziaria, se la presenza di elementi esclude automaticamente la responsabilità solidale dell’intermediario, ai sensi dell’art. 31 del d.lgs. n. 58 del 1998, costituendo l’apprezzamento della loro idoneità a rivelare collusione o consapevole acquiescenza alla un accertamento di fatto da compiersi caso per caso, riservato al giudice di merito ed incensurabile in sede di legittimità, quando tale condotta si traduca nella violazione di norme giuridiche, contenenti specifici obblighi (quali il divieto di consegnare al consulente finanziario denaro
contante), il giudice è tenuto ad un apprezzamento specifico che dia conto delle ragioni per cui tale anomalia non sia idonea ad elidere il nesso di occasionalità necessaria tra il danno subito dall’investitore e le incombenze affidate al promotore (Cass., n. 31894/2023).
Nel solco di tale orientamento, occorre specificare che gli istituti di credito rispondono dei danni arrecati a terzi dai propri incaricati nello svolgimento delle incombenze loro affidate, quando il fatto illecito commesso sia connesso per occasionalità necessaria all’esercizio delle mansioni, ma la responsabilità dell’intermediario per i danni arrecati dai propri promotori finanziari è esclusa ove il danneggiato ponga in essere una condotta agevolatrice che presenti connotati di anomalia, non di collusione, quantomeno di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul promotore.
vale a dire, se (Cass., n. 28634/20: nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto l’estraneità della banca rispetto alla condotta illecita posta in essere dal proprio promotore finanziario ai danni del cliente, che aveva sottoscritto in bianco le distinte per le richieste di assegni circolari, poi consegnate al dipendente, consentendogli di apporre sottoscrizioni apocrife sui moduli predisposti per le operazioni di versamento di contanti e di assegni).
Nella specie, i due motivi sono imperniati su quattro indici d’anomalie che, secondo il ricorrente, escluderebbero il nesso d’occasionalità necessaria tra l’illecito ed il rapporto di lavoro che lega i due soggetti nel senso che le funzioni esercitate dal dipendente della banca abbiano reso possibile o comunque agevolato la realizzazione del fatto lesivo.
La banca ricorrente censura il fulcro della decisione impugnata, cioè che la Corte territoriale abbia ritenuto irrilevante che le somme versate dal danneggiato non fossero mai pervenute sul conto della Banca appellata, assumendo che la responsabilità vi fosse in ragione di
‘apparenza di professionalità corroborata dal suo incarico apicale di direttore della filiale di Teano’ (pg. 8 sentenza impugnata) e ‘spendita del nome della banca e impiego di ricevute, distinte e altre distinte contabili redatte su modulistica dell’istituto’ , in applicazione dei suddetti principi affermati da questa Corte.
Orbene, premesso che il giudice è senz’altro tenuto ad un apprezzamento specifico dell’insieme delle circostanze caratterizzanti l’investimento, ivi comprese le eventuali anomalie riscontrate, al fine di verificare se possa essere effettivamente predicata, nonostante queste ultime, la sussistenza del nesso di occasionalità necessaria tra il danno subito dall’investitore e le incombenze affidate al promotore, ritiene il collegio che la corte territoriale, nel caso di specie, abbia effettivamente omesso di considerare i vari fatti segnalati dal ricorrente, tali da rappresentare significative anomalie, dotate nel loro complesso del carattere della decisività, e cioè astrattamente idonee a sovvertire la decisione impugnata, i.e. a dimostrare che la responsabilità dell’intermediario per i danni arrecati dal proprio dipendente era da escludere in quanto il danneggiato aveva posto in essere una condotta quantomeno agevolatrice, connotata da un elevato grado di consapevole acquiescenza alla violazione delle regole gravanti sul direttore della banca: come detto, il versamento del denaro con modalità vietate dalla legge; la mancata effettuazione dei prospettati investimenti con modalità non formali e, comunque, rimaste non chiare; la consegna, da parte del convenuto, all’investitore, di assegni tratti sul proprio conto per l’asserita restituzione delle somme versate.
L a Corte d’appello , nel verificare la sussistenza del nesso di occasionalità necessaria, si è al contrario limitata a valorizzare l’ utilizzo di documenti riconducibili apparentemente alla banca, ma ha
immotivatamente ignorato le condotte predette, delle quali, al contrario , occorreva tener conto nell’ambito di una valutazione complessiva e sistematica degli elementi di prova acquisiti, tanto più che alle citate condotte dell’investitore aveva fatto seguito un suo comportamento di singolare disinteresse riguardo agli investimenti, operati, investimenti che, del resto, non sono stati neppure chiaramente descritti, così da dar conto di un utilizzo del denaro versato certo difforme dal canale degli investimenti formali, non senza considerare, ancora, che, allorquando il NOME, dopo quattro anni, aveva richiesto il disinvestimento, il COGNOME aveva inteso rimborsarlo con assegni -poi rivelatisi insoluti -anch’essi personali, tratti sul suo conto, che l’appellante ha vanamente portato all’incasso . Aspetti, questi ultimi, che andavano rapportati alle precedenti condotte evidenziate da ll’appellante, sì da stabilire se confermassero l’oggettiv a anomalia della vicenda.
In definitiva, in continuità con l’orientamento di questa Corte, può essere enunciato il seguente principio di diritto: «In tema di intermediazione finanziaria, la banca risponde dei danni arrecati a terzi dai propri incaricati nello svolgimento delle incombenze loro affidate, quando il fatto illecito commesso sia connesso per occasionalità necessaria all’esercizio delle mansioni. La responsabilità dell’intermediario per i danni arrecati dai propri promotori finanziari è, tuttavia, esclusa ove il danneggiato ponga in essere una condotta con connotati di anomalia, sintomatici, se non di collusione, quantomeno di consapevole agevolazione alla violazione delle regole gravanti sul promotore. Nella valutazione della condotta agevolatrice o collusiva dell’investitore, il giudice deve tener conto del suo complessivo comportamento, sia nella fase iniziale del rapporto con l’incaricato della banca, che nelle fasi successive, considerando l ‘insiem e delle
circostanze del caso, quali la tipologia e le modalità d’investimento del denaro impiegato, il rapporto tenuto con lo stesso intermediario e le modalità di eventuale rimborso delle somme versate».
Per quanto esposto, in accoglimento dei motivi di ricorso, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte d’appello, anche in or dine alle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio in data 13 novembre 2024.