Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 21422 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 21422 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27827 R.G. anno 2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE, nella qualità di procuratrice di RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
contro
ricorrente
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME ;
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 1751/2020 della Corte di appello di Napoli, pubblicata il 18 maggio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 31 maggio 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
─ Il Tribunale di Napoli ha respinto la domanda risarcitoria proposta da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE. Con tale domanda era stato dedotto che la banca aveva dapprima, per il tramite di un proprio funzionario, sollecitato il rappresentante legale della società attrice a presentare denuncia di smarrimento di alcuni titoli all’autorità penale, al solo fine di evitarne il protesto, e, in seguito, inopinatamente chiesto il rientro dall’affidamento in precedenza concesso sino alla concorrenza del complessivo importo di euro 100.000,00. Aveva dedotto la società attrice che a seguito della segnalazione dell’esposizione debitoria presso la Centrale rischi della Banca d’Italia erano da essa stati risentiti danni quantificati in complessivi euro 3.941.970,66.
─ La sentenza è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE.
Il giudizio di appello, cui hanno partecipato sia RAGIONE_SOCIALE, sia RAGIONE_SOCIALE, nella qualità di procuratrice di RAGIONE_SOCIALE, si è concluso con una sentenza di rigetto del gravame.
– R icorre per cassazione, con sei motivi, RAGIONE_SOCIALE. Hanno notificato controricorso sia RAGIONE_SOCIALE, nell’indicata qualità, sia RAGIONE_SOCIALE. Sono state depositate memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Occorre premettere che la sentenza impugnata è stata resa nel contraddittorio di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE, qualificata, nella sentenza impugnata, come «cessionaria anche del credito rinveniente dal rapporto dedotto in giudizio, per effetto di operazione di cartolarizzazione del 14 luglio 2017». RAGIONE_SOCIALE non è stata estromessa dal giudizio dalla Corte di appello (non constando la pronuncia di un provvedimento dell’indicato tenore) , sicché le due
società devono ritenersi litisconsorti necessari nella presente sede di legittimità (Cass. 15 giugno 2018, n. 15905; Cass. 24 febbraio 2010, n. 4486). Nel proprio controricorso, per la verità, RAGIONE_SOCIALE, a mezzo della procuratrice RAGIONE_SOCIALE, ha contestato di essere subentrata nella posizione debitoria fatta valere da RAGIONE_SOCIALE: la successione nel diritto controverso non determina, però, una questione di legittimazione attiva o di legitimatio ad processum , ma una questione di merito, attinente alla titolarità del diritto, da esaminare con la decisione sulla fondatezza della domanda (Cass. 28 luglio 2017, n. 18775; Cass. 16 marzo 2012, n. 4208). La questione non riveste dunque portata assorbente rispetto ai temi introdotti col ricorso per cassazione, che quindi possono essere esaminati senza necessità di accordare precedenza di trattazione al problema dell’effettivo subentro nella posizione debitoria da parte di RAGIONE_SOCIALE.
-Il primo motivo prospetta la nullità della sentenza per vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c.. Si deduce che le sentenze emanate da collegi composti da giudici ausiliari sarebbero inficiate da nullità o inesistenza per l’ illegittima composizione dell’organo giudicante.
Il motivo è infondato.
La questione posta dalla società istante è stata già affrontata dalla Corte costituzionale, la quale ha dichiarato costituzionalmente illegittimi, per violazione dell’art. 106, primo e secondo comma, Cost., gli artt. 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 71 e 72 del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni., in l. n. 98 del 2013, nella parte in cui non prevedono che essi si applichino fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’art. 32 del d.lgs. n. 116 del 2017. Le disposizioni censurate, secondo il giudice delle leggi, violano il parametro evocato, il quale delinea un sistema generale di reclutamento mediante pubblico concorso, come strumentale
all’indipendenza della magistratura, non diversamente dalla garanzia dell’inamovibilità (art. 107, primo comma, Cost.), evitando ogni discriminazione, anche di genere, e assicurando la qualificazione tecnico-professionale. Nella prospettiva di una salvaguardia dell’esigenza di tener conto dell’innegabile impatto complessivo che la decisione è destinata ad avere sull’ordinamento giurisdizionale e sul funzionamento della giustizia nelle corti d’appello, visto l’apporto dei giudici ausiliari allo smaltimento o al contenimento dell’arretrato del contenzioso civile, la Corte ha tuttavia ritenuto che la reductio ad legitimitatem possa attuarsi «con la sperimentata tecnica della pronuncia additiva, inserendo nella normativa censurata un termine finale entro (e non oltre) il quale il legislatore è chiamato a intervenire», avendo riguardo ai tempi di riforma della magistratura onoraria, la cui completa entrata in vigore è già differita per vari aspetti al 31 ottobre 2025, «così riconoscendo alla disciplina censurata – per l’incidenza dei concorrenti valori di rango costituzionale – una temporanea tollerabilità costituzionale» (Corte cost., sent. n. 41 del 2021).
La ravvisata incostituzionalità delle richiamate norme non spiega conseguentemente incidenza nel presente giudizio.
3 . -Col secondo motivo e denunciata la violazione dell’art. 115 c.p.c.. Si assume che la Corte di appello «non avrebbe fatto menzione delle prove testimoniali assunte in sede istruttoria e delle relative circostanze emerse attestanti la natura perentoria e soprattutto autoritaria del suggerimento prestato, in virtù della posizione professionale ricoperta dal funzionario dott. COGNOME, nonché della sua innegabile esperienza maturata nel settore imprese».
Il motivo investe un particolare aspetto della controversia: il funzionario della banca COGNOME ebbe a consigliare al rappresentante legale di RAGIONE_SOCIALE di denunciare lo smarrimento di alcuni titoli da detta società asseritamente emessi, in garanzia, a favore di un soggetto terzo, il quale avrebbe dovuto fornire alla stessa società
ricorrente la manodopera per la realizzazione di alcuni lavori edili.
Il motivo è inammissibile per più profili.
Anzitutto esso è carente di autosufficienza, in quanto la ricorrente si limita a riportare lo stralcio di due deposizioni, senza chiarire alcunché quanto alla localizzazione delle relative verbalizzazioni: in particolare, non risulta precisato a quale udienza le testimonianze vennero raccolte. Sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente pur riproducendone il contenuto, manchi di fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, n. 34469; Cass. 1 luglio 2021, n. 18695).
In secondo luogo, per dedurre in sede di legittimità la violazione dell’art. 115 c.p.c. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio (Cass. Sez. U. 30 settembre 2020, n. 20867; Cass. 9 giugno 2021, n. 16016). Nel caso in esame la ricorrente si duole, come si è visto, della sola mancata menzione delle prove sopra richiamate: profilo, questo, estraneo alla violazione di legge contestata.
4 . – I l terzo motivo oppone la violazione dell’art. 2049 c.c. e la falsa applicazione dell’art. 1227 c.c.. La sentenza impugnata viene censurata nella parte in cui è ivi affermato che il danno lamentato dall’attrice era ascrivibile a fatto e a colpa esclusivi della società appella, la quale doveva risentire le conseguenze negative della propria
condotta in forza del principio di autoresponsabilità. Viene rilevato che l’iniziativa consistente nella denuncia di smarrimento dei titoli era stata indotta dal funzionario della banca, che aveva prestato un suggerimento in tal senso, e che il comportamento di tale soggetto, dipendente dell’istituto di credito, avrebbe dovuto essere imputato a quest’ultimo. Si rileva che ove pure nella condotta posta in essere da COGNOME non fossero da ravvisare gli estremi del dolo, l’azio ne dello stesso avrebbe dovuto quantomeno qualificarsi colpevole, con conseguente responsabilità della banca per il danno occorso, a norma dell’art. 2049 c.c..
Il motivo è inammissibile.
Si legge nella sentenza impugnata (pagg. 8 s.) che i primi quattro motivi di appello non attingevano la motivazione della sentenza di primo grado, la quale aveva di fatto escluso il nesso di occasionalità necessaria tra l’attività lavorativa del funzionario e il danno occorso .
Parte ricorrente avrebbe dovuto quindi proporre una censura per error in procedendo (avendo riguardo alla reputata inammissibilità dei richiamati mezzi di gravame): il che imponeva precisi oneri sul piano dell’autosufficienza del ricorso . Infatti, chi censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di indicare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. 6 settembre 2021, n. 24048; Cass. 29 settembre 2017, n. 22880; cfr. pure Cass. 4 febbraio 2022, n. 3612, secondo cui la deduzione della questione dell’inammissibilità dell’appello, presupponendo pur sempre l’ammissibilità del motivo di censura, ne impone dunque -anche alla luce delle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021, causa COGNOME ed altri contro Italia -, una modulazione secondo criteri di
sinteticità e chiarezza, « realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza »).
Né rileva che la Corte di merito abbia formulato ulteriori considerazioni sul merito della vicenda. Sono, queste, argomentazioni chiaramente svolte ad abundantiam ed è sintomatico, in proposito, che esse siano precedute da una locuzione («Del resto»: pag. 9 della pronuncia) che dà puntuale evidenza del carattere meramente incidentale della notazione. Peraltro, ove il giudice, dopo avere dichiarato inammissibile una domanda, un capo di essa o un motivo d’impugnazione, in tal modo spogliandosi della potestas iudicandi , abbia ugualmente proceduto al loro esame nel merito, le relative argomentazioni devono ritenersi ininfluenti ai fini della decisione e, quindi, prive di effetti giuridici, di modo che la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle, essendo tenuta a censurare soltanto la dichiarazione d’inammissibilità, la quale costituisce la vera ragione della decisione (Cass. 19 settembre 2022, n. 27388; Cass. 16 giugno 2020, n. 11675).
5 . -Col quarto mezzo si denuncia «messa motivazione in ordine alla violazione dell’art. 1845 c.c.» . Viene censurata l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata per cui risultavano infondati i motivi di gravame che investivano l’asserita violazione dell’art. 1845 c.c.: si deduce che la motivazione della pronuncia risulterebbe assente, apparente, manifestamente ed irriducibilmente contraddittoria, perplessa o incomprensibile. E’ osservato che la clausola contrattuale che prevedeva il recesso ad nutum doveva considerarsi vessatoria «per la sproporzionata ed ultronea tutela della
banca ai danni del cliente debole».
Anche tale motivo è inammissibile.
Con riguardo alla revoca dell’apertura di credito, disposta a seguito della denuncia di smarrimento dei titoli, la Corte di appello ha osservato che l’evocazione dei precetti relativi alla correttezza e alla buona fede non era pertinente, dal momento che la revoca degli affidamenti era stata preceduta dalla richiesta di rientro dell’esposizione debitoria e solo a seguito dell’inadempimento della società la banca aveva legittimamente esercitato il diritto di recesso concessole sia dalla legge che dal contratto.
La denuncia del difetto motivazionale non si misura affatto con tale percorso argomentativo e anzi pare travisarlo allorquando si sofferma sulla previsione contrattuale del recesso ad nutum . Ciò detto, in tema di ricorso per cassazione, è necessario che venga contestata specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata (Cass. 10 agosto 2017, n. 19989).
Quanto dedotto in ordine alle vessatorietà della clausola relativa al recesso integra, del resto, una questione di cui la Corte di appello non tratta e che la ricorrente non spiega come sia stata introdotta nel giudizio di merito. Sicché va fatta applicazione del principio per cui ove, con il ricorso per cassazione, siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430).
Con riguardo al tema che qui interessa merita inoltre ricordare
che il giudizio sulla necessità che una clausola contrattuale sia specificamente approvata per iscritto non può essere compiuto per la prima volta in sede di legittimità perché la valutazione circa la natura della clausola richiede un giudizio di fatto che si può formulare soltanto attraverso l’interpretazione della clausola stessa nel contesto complessivo del contratto, allo scopo di stabilirne il significato e la portata (Cass. 30 marzo 2022, n. 10258; Cass. 9 giugno 2005, n. 12125; Cass. 13 aprile 2000, n. NUMERO_DOCUMENTO).
6 . -Col quinto motivo si lamentano la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c.. Viene censurata l’affermazione, contenuta nella pronuncia impugnata, per cui non era controverso lo sconfinamento, da parte dell’appellante, degli affidamenti originariamente concessi. Si deduce che il comportamento assunto dall’istituto bancario violava in concreto i principi di buona fede e di correttezza svelando i contorni di una responsabilità contrattuale di RAGIONE_SOCIALE.
Il motivo è inammissibile.
L ‘affermazione circa l’esistenza dello sconfinamento si regge su di un rilievo (l’essere il fatto non controverso) che rinvia, con chiarezza, al principio di non contestazione di cui all’art. 115, comma 1, c .p.c.. La ricorrente confuta genericamente il passaggio della sentenza che qui interessa e omette di considerare che spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. 7 febbraio 2019, n. 3680): in particolare, l’accertamento della sussistenza di una contestazione ovvero d’una non contestazione, rientrando nel quadro dell’interpretazione del contenuto e dell’ampiezza dell’atto della parte, è funzione del giudice di merito, sindacabile in cassazione solo per vizio di motivazione (Cass. 28 ottobre 2019, n. 27490). Ma il vizio di motivazione non è stato qui denunciato.
Per il resto, occorre evidenziare come l’esistenza di un comportamento contrario ai precetti di correttezza e buona fede sia stata dalla Corte di merito esclusa avendo riguardo alla circostanza, sopra indicata, per cui la revoca degli affidamenti fu preceduta dalla richiesta di adempimento. La società fa questione di alcune circostanze fattuali che a suo avviso smentirebbero la conclusione cui è pervenuta la Corte di appello. Tuttavia, la censura è, sul punto, del tutto carente di specificità; le deduzioni svolte sono inoltre inidonee a dar conto delle lamentate violazione e falsa applicazione di legge, dal momento che chi impugna non fa questione di un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, quanto di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa : tema, quest’ultimo, che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155).
7 . -Il sesto mezzo denuncia la violazione dell’art . 1223 c.c. e la falsa applicazione dell’art. 1226 c.c.. Si deduce dipendere da un travisamento e da una «grave trascuratezza della copiosa documentazione contenuta nella produzione di primo grado di parte ricorrente» il rilievo per cui le voci di danno prospettate in giudizio risultavano «per lo più determinate forfettariamente». Viene in più osservato che, avendo riguardo alle prove offerte, avrebbe dovuto ritenersi legittimo il ricorso al criterio equitativo per la determinazione del danno.
Il motivo è inammissibile.
La Corte di appello ha ritenuto infondata la domanda attrice sia in punto di an che in punto di quantum. Pertanto, alla statuizione di rigetto concorrono causalmente due distinte rationes decidendi.
Ciò detto, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, il mancato accoglimento delle
censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. 11 maggio 2018, n. 11493; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108).
– Il ricorso è respinto.
– Le spese del giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per RAGIONE_SOCIALE in euro 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge e per RAGIONE_SOCIALE, quale procuratrice di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione