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Responsabilità avvocato: TFR perso per negligenza

Un’analisi della sentenza della Corte d’Appello di Venezia sulla responsabilità professionale dell’avvocato. Il legale è stato condannato per negligenza per non aver informato la cliente del fallimento dell’azienda e non aver agito per recuperare il TFR. La decisione chiarisce l’ampiezza del mandato e l’onere della prova a carico del professionista.

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Responsabilità Professionale Avvocato: Condanna per Mancato Recupero del TFR

La responsabilità professionale dell’avvocato è un tema cruciale che tocca la fiducia tra cliente e legale. Quando un professionista non agisce con la dovuta diligenza, può causare danni significativi. Una recente sentenza della Corte d’Appello di Venezia ha chiarito i contorni di questa responsabilità, condannando un’avvocata per non aver recuperato il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) di una sua cliente a causa di negligenza e inerzia. Questo caso offre spunti fondamentali sull’ampiezza del mandato e sull’onere della prova.

I Fatti del Caso: Un Incarico Finito Male

Una lavoratrice, dopo essere stata licenziata, si rivolgeva a un’avvocata per recuperare il suo TFR, ammontante a oltre 24.000 euro. L’incarico veniva conferito a gennaio 2017. La società datrice di lavoro era già in liquidazione e, pochi mesi dopo, ad aprile 2017, veniva dichiarata fallita.

L’avvocata, invece di verificare la situazione della società, depositava un ricorso monitorio a luglio 2017, quando il fallimento era già stato dichiarato. Il tentativo di notifica del decreto ingiuntivo falliva, ma la legale non approfondiva le ragioni del fallimento né informava la cliente per oltre due anni. Di conseguenza, la lavoratrice perdeva la possibilità sia di insinuarsi nel passivo fallimentare sia di accedere al Fondo di Garanzia dell’INPS, rimanendo priva del suo TFR.

In primo grado, il Tribunale rigettava la richiesta di risarcimento della lavoratrice, ritenendo che il mandato dell’avvocata fosse limitato al solo ricorso monitorio e che la cliente fosse stata irreperibile. La lavoratrice, tuttavia, decideva di appellare la decisione.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello di Venezia ha ribaltato completamente la sentenza di primo grado, accogliendo l’appello della lavoratrice. I giudici hanno dichiarato la responsabilità professionale dell’avvocato per negligenza, condannandola a risarcire alla sua ex cliente l’intero importo del TFR perso, comprensivo di rivalutazione e interessi, per un totale di circa 32.000 euro, oltre alle spese legali di entrambi i gradi di giudizio.

Le Motivazioni: Analisi della Responsabilità Professionale dell’Avvocato

La Corte ha basato la sua decisione su tre pilastri fondamentali che delineano chiaramente gli obblighi del professionista legale.

Ampiezza del Mandato e Dovere di Informazione

Il primo punto cruciale riguarda la natura dell’incarico. La Corte ha stabilito che il mandato non era limitato alla sola azione monitoria, ma aveva come oggetto il “recupero del credito”. Questo implica che l’avvocato ha il dovere di intraprendere tutte le iniziative, giudiziali e stragiudiziali, necessarie per raggiungere lo scopo. Il professionista ha un’ampia discrezionalità nella scelta degli strumenti legali, ma anche un preciso dovere di diligenza, informazione e sollecitazione verso il cliente. Nel caso specifico, l’avvocata avrebbe dovuto investigare sull’esito negativo della notifica, apprendere del fallimento e informare tempestivamente la cliente sulle azioni da intraprendere, come l’insinuazione al passivo.

La Prova del Credito e l’Onere della Prova

In secondo luogo, la Corte ha affrontato la questione della prova del credito. Il Tribunale aveva espresso dubbi sulla genuinità della busta paga prodotta. La Corte d’Appello, al contrario, ha affermato che la busta paga è un documento con piena efficacia probatoria. Inoltre, era stata la stessa avvocata a basarsi su quel documento per avviare l’azione legale, dimostrando di ritenerlo valido. L’onere di provare che il TFR fosse già stato pagato (fatto estintivo) spettava alla convenuta, che però non ha fornito alcuna prova in tal senso. Spetta al professionista, in un giudizio di responsabilità, dimostrare di aver adempiuto correttamente ai propri obblighi.

L’Irreperibilità del Cliente: Un’Accusa Non Dimostrata

Infine, è stata smontata la difesa basata sulla presunta irreperibilità della cliente. La Corte ha sottolineato che l’onere di provare i tentativi di contatto ricadeva sull’avvocata. Quest’ultima, però, non ha fornito prove concrete (come email, raccomandate o messaggi) di aver cercato la cliente. Anzi, è stata la cliente a farsi viva con una email dopo tre anni di silenzio, a dimostrazione del suo interesse per la pratica. La Corte ha ritenuto che l’avvocata fosse venuta meno al suo dovere di informazione e sollecitazione.

Le Conclusioni: Cosa Insegna Questa Sentenza

Questa pronuncia riafferma principi fondamentali sulla responsabilità professionale dell’avvocato. Insegna che il mandato per il recupero di un credito non si esaurisce in una singola azione, ma impone un obbligo di diligenza proattiva per tutta la durata dell’incarico. L’avvocato deve informare il cliente su ogni sviluppo, positivo o negativo, e consigliarlo sulle migliori strategie da adottare. Soprattutto, in caso di contenzioso, è il professionista a dover dimostrare di aver agito con la massima diligenza e di aver adempiuto a tutti i suoi doveri informativi. In assenza di tale prova, il legale è tenuto a risarcire il danno causato dalla sua negligenza.

Qual è l’estensione del mandato conferito a un avvocato per il recupero di un credito?
Secondo la sentenza, il mandato per il recupero di un credito non si limita a una singola azione (come un ricorso monitorio), ma comprende tutte le iniziative, stragiudiziali o giudiziali, necessarie e utili a ottenere il pagamento, nel rispetto dei doveri di diligenza, informazione e sollecitazione verso il cliente.

Su chi ricade l’onere di provare di aver adempiuto correttamente all’incarico in un caso di responsabilità professionale dell’avvocato?
L’onere della prova ricade sull’avvocato. È il professionista a dover dimostrare di aver agito con la diligenza richiesta, di aver informato il cliente sugli sviluppi della pratica e di averlo consigliato sulle azioni successive, soprattutto di fronte a ostacoli come il fallimento del debitore.

Una busta paga è considerata prova sufficiente per dimostrare l’esistenza di un credito di lavoro in giudizio?
Sì, la Corte ha ribadito che le copie delle buste paga rilasciate dal datore di lavoro, se munite dei requisiti di legge (come firma, sigla o timbro), hanno piena efficacia probatoria del credito che il dipendente intende far valere, anche in una procedura fallimentare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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