Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30311 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30311 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24932/2022 R.G. proposto da: COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE; PEC: EMAIL), che li rappresenta e difende
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME (CF: CODICE_FISCALE; PEC: EMAIL),
-controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di FIRENZE n. 1742/2022 depositata il 12/08/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In data 17/05/2010, NOME COGNOME sottoscrisse un formale impegno unilaterale all ‘ acquisto dell ‘ unità immobiliare sita in INDIRIZZO, di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, per un prezzo di euro 450.000,00. In data 21/05/2010, presso lo studio del AVV_NOTAIO di Grosseto, gli attuali ricorrenti (NOME COGNOME e NOME
COGNOME) conclusero specifico contratto preliminare di compravendita con RAGIONE_SOCIALE, pagarono la somma di euro 310.000,00, a titolo di caparra, e vennero immessi nel possesso dell ‘ immobile il giorno stesso della stipula del preliminare. Il preliminare di vendita venne trascritto in data 16/6/2010, oltre 25 giorni dopo la sottoscrizione del contratto. Nelle more della trascrizione, la RAGIONE_SOCIALE, in data 1°/06/2010, concluse con la RAGIONE_SOCIALE un secondo preliminare di compravendita dell ‘ immobile già promesso in vendita agli odierni appellanti, trascritto in data 7/06/2010.
Nel 2011 NOME e NOME COGNOME conferirono mandato all ‘ AVV_NOTAIO al fine di esperire un ‘ azione giudiziaria tesa a chiedere al Tribunale di Grosseto di accertare e dichiarare l ‘ inadempimento contrattuale della RAGIONE_SOCIALE e del AVV_NOTAIO e la condanna dei medesimi al risarcimento di tutti i danni subiti.
Con sentenza n. 71/2015 il Tribunale di Grosseto dichiarò l ‘ inammissibilità di tutte le domande risarcitorie così come spiegate da parte attrice e dichiarò l’inammissibilità per tardività della domanda di risoluzione del contratto in quanto tardivamente proposta solo in sede di prima memoria ex art. 183 c.p.c.. I sigg. COGNOME e COGNOME, sempre difesi dall ‘ AVV_NOTAIO, promossero una nuova azione giudiziaria nei confronti soltanto del AVV_NOTAIO. Il giudizio si concluse con ordinanza ex art. 702bis c.p.c. del 18/01/2016 di rigetto della domanda. Anche avverso tale decisione i COGNOME e COGNOME decisero di non interporre appello.
Con ricorso ex art. 702bis c.p.c. NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero dinnanzi al Tribunale di Siena l ‘ AVV_NOTAIO al fine di ottenere, previo accertamento della responsabilità professionale della convenuta nell ‘ espletamento dell ‘ incarico ricevuto come sopra esposto, la condanna della stessa al pagamento in favore dei ricorrenti in tesi della somma di euro 627.929,60, in ipotesi della somma di euro 389.045,57, in ipotesi subordinata della somma ritenuta di giustizia (p. 10 del ricorso).
Costituendosi in giudizio, NOME COGNOME contestò in fatto e in diritto ogni pretesa avanzata nei suoi confronti, chiedendone quindi il rigetto integrale.
Con sentenza n. 1282/2018, il Tribunale di Siena rigettò le domande degli attori, compensando interamente tra le parti le spese di lite. In proposito il Tribunale di Siena ritenne che il Tribunale di Grosseto avrebbe ben potuto riqualificare la domanda in termini di recesso dal contratto e restituzione del doppio della caparra, ricavandone i presupposti da una lettura complessiva di motivazione e conclusione della citazione. Evidenziò in tal senso l ‘ assoluta irrilevanza della tardiva proposizione della domanda di risoluzione per inadempimento, atteso che la stessa non sarebbe comunque stata cumulabile con la domanda di recesso. A tale proposito il Tribunale dedusse che la condotta del difensore non poteva essere analizzata sotto il profilo del mancato appello della suddetta sentenza, considerato che tale aspetto mai era stato sollevato e allegato da parte attrice.
Con riferimento alla seconda causa di risarcimento danni proposta dagli odierni ricorrenti nei confronti del notaio, il Tribunale ritenne fondata la censura di non corretto adempimento del mandato professionale, avendo l ‘ avvocato chiaramente proposto domanda già oggetto del precedente giudizio definito con sentenza passata in giudicato, con conseguente certezza del rigetto per ‘ ne bis in idem ‘ . In proposito il Tribunale di Siena sottolineò che era risultato provato che la AVV_NOTAIO aveva rappresentato ai clienti la possibilità di impugnare la precedente sentenza, per cui la proposizione di una ulteriore, diversa causa di cui era certo il rigetto, non doveva ritenersi avesse inciso in termini di danno nella sfera giuridica degli assistiti. Gli attori vennero quindi condannati a rifondere le spese di lite al difensore.
Avverso tale pronuncia COGNOME e COGNOME interposero gravame dinnanzi alla Corte d ‘ appello Firenze, chiedendo, in riforma dell ‘ anzidetta pronuncia, previo accertamento della responsabilità professionale
della convenuta AVV_NOTAIO determinata dall ‘ inadempimento alle sue obbligazioni derivanti dai mandati conferiti per l ‘ espletamento degli incarichi ricevuti e svolti senza la diligenza prevista dall ‘ art. 1176 c.c., di condannare la stessa al risarcimento dei danni patiti dagli appellanti mediante condanna al pagamento, in tesi, della somma di euro 627.929,60, in ipotesi, della somma di euro 389.045,57, in ipotesi subordinata, della somma di euro 7.929,60.
Costituendosi in giudizio, la COGNOME chiese la conferma dell ‘ impugnata sentenza.
Con sentenza n. 1742/2022, depositata in data 12/08/2022, oggetto di ricorso, la Corte di Appello di Firenze, in parziale accoglimento dell ‘ appello, ha condannato NOME COGNOME a rifondere agli appellanti il danno pari ad euro 7.929,00, oltre interessi come precisato in quella sentenza; ha dichiarato le spese di lite di entrambi i gradi di giudizio compensate in ragione della metà.
Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui NOME COGNOME resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell ‘ art. 380bis 1 c.p.c.
Sia parte ricorrente che parte resistente hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 4, c.p.c., ‘ Violazione o falsa applicazione di norme di diritto art.360 comma 1 n°3 c.p.c. in relazione agli artt. 1218, 1223 e 2056 c.c. ‘ . A detta dei ricorrenti, la Corte territoriale ha fatto erroneo governo delle norme in tema di risarcimento del danno. Sostengono i ricorrenti che in giudizio è stata acclarata la sussistenza dell ‘ erronea (quindi fonte di responsabilità professionale) impostazione della prima causa dinanzi al Tribunale di Grosseto, sfociata nella sentenza n. 71/2015, da parte dell ‘ AVV_NOTAIO.
La stessa resistente sottolinea la sussistenza del diritto dei propri assistiti ‘ di esercitare ai sensi e per gli effetti dell ‘ art. 1385 co 2 c.c. il diritto di recesso dal contratto preliminare …’ pagina 8 righe 8 e 9 dell ‘ atto di citazione allegato 8 del fascicolo di primo grado dei ricorrenti), mentre a pagina 9 dello stesso atto (righe da 3 a 6) si legge l ‘ affermazione, sempre della resistente, che sussisteva il conseguente ‘ obbligo della medesima (ndr: parte promittente venditrice) alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria pari a complessivi euro 620.000 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali ‘ .
Come riconosciuto in sentenza, la mancata espressione, nell ‘ atto di citazione, della volontà di recedere dei propri assistiti era ed è insita nell ‘ erroneità nello svolgimento dell ‘ incarico da parte dell ‘ AVV_NOTAIO, la quale, nel confermare a più riprese il diritto dei propri clienti ad ottenere il doppio della caparra versata ai sensi dell ‘ art.1385 c.c., manifesta espressamente la sua consapevolezza circa la volontà dei propri clienti di recedere dal contratto al fine di ottenere il ristoro del doppio della caparra versata, e perciò determina la conseguenza immediata e diretta del danno lamentato nei suoi confronti dai signori COGNOME e COGNOME che hanno così perduto la possibilità più che verosimile di ottenere la somma di euro 620.000 quale conseguenza dell ‘ azione giudiziale che intendevano perseguire.
A niente rilevando -o almeno non nel senso di interrompere il nesso di causalità -che la vertenza oggetto di incarico professionale abbia avuto esito negativo sotto il profilo processuale proprio per l ‘ assenza di detta manifestazione ed indipendentemente dal comportamento tenuto dai ricorrenti in questa sede nel corso dell ‘ esecuzione immobiliare, fonte eventualmente di una diversa ed autonoma responsabilità (per l ‘ occupazione, se sussistente) verso gli aventi diritto, ma non certo presupposto ex post per eventi e/o esternazioni che ‘ come esplicazione della volontà della parte che l ‘ avvocato rappresentava di avvalersi del relativo diritto potestativo ‘
(v. pag.10 della sentenza) il legale avrebbe dovuto diligentemente fare in occasione dell ‘ introduzione del primo giudizio.
Il primo motivo è inammissibile. La Corte d ‘ Appello, nel decidere in punto risarcimento del danno, ha fatto applicazione dei principi della giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità professionale, in particolare applicando il principio per cui il danno non è in re ipsa , e quindi non automaticamente sussistente nel caso di errore e/o negligenza del professionista, ma al contrario deve essere specificamente provato. E’ consolidato il principio per cui « In tema di responsabilità contrattuale del professionista, il nesso causale tra inadempimento (o inesatto adempimento) e danno dev’essere provato dall’attore, in applicazione della regola generale di cui all’art. 2697 c.c., trattandosi di elemento della fattispecie egualmente “distante” da entrambe le parti, rispetto al quale, dunque, non è ipotizzabile la prova liberatoria in capo al convenuto, secondo il principio di cd. vicinanza della prova » (così, di recente, Cass, sez. III, ord. 17/07/2023, n. 20707. Conformi Cass, sez. III, ord. 6/07/2020, n. 13873; Cass, sez. III, ord. 6/07/2020, n. 13873 Cass., sez. III, sent. 5/02/2013, n. 2638; Cass., sez. III, sent. 24/10/2017, n. 25112): « In tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del ‘più probabile che non’, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa ».
2.1.La Corte territoriale ha specificamente valutato tutti questi aspetti, esaminando le risultanze acquisite nel corso del processo e
svolgendo sul punto una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità.
2.2.In particolare la Corte, ha ritenuto, proprio sulla base di un accertamento in fatto,che la parte ricorrente non ha provato il nesso causale tra la condotta della legale e il danno del quale chiede il risarcimento, con riferimento alla causa conclusa con la sentenza n. 71/2015.
Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all ‘ art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., ‘ Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 comma 1 n°5 c.p.c. in relazione alle conseguenze dannose dell ‘ errore professionale accertato (artt. 1218 e 1223 c.c.) ‘ , sostenendo che la sentenza gravata è affetta da un ‘ contrasto irriducibile tra affermazioni tra loro inconciliabili ‘ , nel momento in cui la Corte territoriale -dopo aver fermamente affermato la responsabilità professionale del legale per aver erroneamente introdotto un giudizio espressamente rivolto ad ottenere l ‘ esercizio del diritto dei propri clienti ad ottenere il doppio della caparra versata ai sensi dell ‘ art.1385 c.c. senza aver (tra le altre cause) manifestato il diritto di recedere di cui era consapevole -, ritiene di non poter addivenire alla quantificazione di un danno perché…non è stata manifestata in giudizio la volontà di recedere dal contratto. A detta dei ricorrenti, le due affermazioni risultano chiaramente in contraddizione, dato che se il ‘ fatto ‘ fosse stato esaminato compiutamente e correttamente -e non solo sotto il profilo oggetto del primo motivo di impugnazione -, la motivazione addotta non avrebbe potuto essere quella inserita in sentenza, bensì avrebbe comportato la sussistenza dell ‘ evidente danno.
Il motivo all’esame è infondato. Per quanto concerne il lamentato ‘ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ‘ , va rilevato che, come è noto, ‘ In seguito alla riformulazione dell ‘ articolo 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall ‘ articolo 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all ‘ obbligo di motivazione previsto in via generale dall ‘ articolo 111, comma 6, della Costituzione e, nel processo civile, dall ‘ articolo 132, comma 2, n. 4, c.p.c. Tale obbligo è violato soltanto nel caso in cui la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell ‘ articolo 360, comma 1, n. 4, c.p.c. ‘ (così, di recente, Cass., Sez. III, 17/5/2021, n. 13170. In precedenza, Cass., Sez. Un., 7/04/2014, nn. 8053 e 8054, e la conseguente consolidata giurisprudenza della Corte).
4.1.Ne consegue che « è denunciabile in Cassazione solo l ‘ anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all ‘ esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘ mancanza assoluta di motivi sotto l ‘ aspetto materiale e grafico ‘ , nella ‘ motivazione apparente ‘ , nel ‘ contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ‘ e nella ‘ motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile ‘ , esclusa qualunque rilevanza de semplice difetto di ‘ sufficienza ‘ della motivazione » (così, ex multis , Cass., Sez. I, 24/4/2018, n. 10112; Cass., Sez. I, 8/9/2016, n. 17761; Cass., Sez. III, 21/9/2015, n. 18449).
4.2.Alla luce dei principi sopra richiamati il motivo in esame è, come già anticipato, infondato in quanto non sussiste la denunciata contraddittorietà della motivazione – che va letta nel suo complesso e non per segmenti estrapolati dal contesto -, risultando detta
motivazione non afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili ed essendo perfettamente comprensibile.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo in favore della controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 10.000,00, oltre agli esborsi, liquidati in euro 200,00, oltre al rimborso spese generali 15% e accessori di legge, in favore della controricorrente, NOME COGNOME.
Ai sensi dell ‘ art. 13, 1° comma, quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 13/09/2024.