Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30392 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30392 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 938/2024 R.G. proposto da:
NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), con domiciliazione digitale ex lege ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE e
Responsabilità professionale dell’avvocato
RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore speciale, NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMAINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende, con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrente – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, SEZ.DIST. DI SASSARI, n. 198/2023, depositata il 09/06/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME espone in fatto che:
–NOME COGNOME, cessionario di un credito vantato da NOME COGNOME nei confronti del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, aveva promosso un giudizio davanti al Tribunale di Lanusei contro il RAGIONE_SOCIALE, al fine di ottenerne la condanna al risarcimento del danno per indebita occupazione e trasformazione irreversibile di un fondo;
-nel giudizio si erano costituite NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (figlie di NOME COGNOME), le quali sostenevano di essere le uniche titolari del diritto al risarcimento del danno, quali eredi del proprietario;
-il Tribunale di Lanusei, con la sentenza n. 170/2007, accoglieva la domanda del COGNOME e rigettava le domande delle sorelle COGNOME;
–NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano impugnazione e ottenevano, con le sentenze nn. 51/2012 e 338/2014, il diritto ad ottenere ciascuna un sesto delle somme dovute come conguaglio, rispetto a quanto già corrisposto con il contratto di cessione volontaria (cioè euro 199.991,73), e come indennità di occupazione (euro 27.004,20), oltre alla rifusione delle
spese del giudizio in ragione della metà da NOME COGNOME e per l’intero dal RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE;
-seguendo il consiglio di NOME COGNOME, all’epoca dei fatti suo legale, a differenza delle sorelle, aveva deciso di non impugnare la sentenza del giudice di primo grado, però contrariamente a quanto rappresentatole dalla COGNOME, non aveva beneficiato degli effetti favorevoli del gravame proposto dalle sorelle, per il formarsi del giudicato della sentenza di primo grado sfavorevole, in mancanza di appello da parte sua;
-aveva poi agito nei confronti di NOME COGNOME, ottenendone dal Tribunale di Nuoro la condanna al pagamento della somma di complessivi euro 133.107,00, oltre agli accessori e alle spese di lite, che il COGNOME, essendosi reso incapiente, non le aveva mai corrisposto;
-ritenendosi pregiudicata dal consiglio di non impugnare la sentenza del Tribunale di Lanusei ricevuto dalla COGNOME che l’aveva indotta a credere che, essendo litisconsorte necessario, gli eventuali effetti favorevoli dell’impugnazione intentata dalle sorelle NOME COGNOME e NOME si sarebbero prodotti anche nei suoi confronti, senza necessità di ulteriore attività processuale in appello, aveva convenuto in giudizio la COGNOME per ottenerne, previo accertamento della sua responsabilità professionale, la condanna al risarcimento del danno subito;
-la COGNOME, costituitasi in giudizio, aveva eccepito la prescrizione del diritto di credito e nel merito si era difesa non solo negando ogni addebito, ma anche eccependo in compensazione un suo controcredito per prestazioni professionali; inoltre, aveva chiamato in manleva la società RAGIONE_SOCIALE;
-con la sentenza n. 183/2021, il Tribunale di Nuoro, pur riconoscendo la responsabilità professionale della COGNOME, aveva ritenuto insussistente e/o non dimostrato il nesso di causalità fra il danno allegato e l’inadempimento della convenuta; per l’effetto
aveva rigettato la domanda e disposto la compensazione delle spese nei confronti della COGNOME e la condanna alla rifusione di quelle sostenute dalla terza chiamata;
-la Corte d’appello di Cagliari, sez. distaccata di Sassari, con la sentenza n. 189/2023, pubblicata il 9/6/2023, ha rigettato sia il suo appello principale sia quelli incidentali della RAGIONE_SOCIALE e della sua compagnia RAGIONE_SOCIALE.
NOME COGNOME, formulando un unico articolato motivo, ricorre per la cassazione di detta sentenza.
NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, resistono con separati controricorsi.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
Tutte le parti, in vista dell’odierna Camera di consiglio, depositano memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il motivo è indicato come unico ed è così rubricato:
«Violazione o falsa applicazione dell’art. 101, comma 2 c.p.c. e degli artt. 111 e 24 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 c.p.c.
Violazione o falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
Violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (travisamento della prova)».
Sebbene si tratti di censure diverse, essendo state introdotte attraverso un unico motivo, saranno oggetto di uno scrutinio congiunto.
La ricorrente, dopo avere osservato che, sebbene sia il giudice di primo grado sia quello d’appello abbiano concordato circa la sussistenza dell’inadempimento professionale della COGNOME ed entrambi abbiano rigettato la sua richiesta risarcitoria, le ragioni
delle statuizioni reiettive sono state diverse -il primo giudice aveva escluso la ricorrenza del nesso causale tra il consiglio di non impugnare la sentenza di primo grado e il danno, il secondo ha ritenuto che l’inadempimento della COGNOME avesse precluso la possibilità di impugnare con esito favorevole la sentenza del Tribunale di Lanusei n. 170/07, ma non quella di impugnare per difetto di integrità del contraddittorio le sentenze della Corte d’appello che erano state favorevoli per le altre due sorelle COGNOME si propone di dimostrare la ricorrenza di una serie di errori in cui sarebbe incorso il giudice a quo, per avere individuato la causa del danno risentito nella mancata impugnazione dinanzi a questa Corte delle sentenze favorevoli alle sorelle COGNOME per difetto di integrità del contraddittorio e per avere, di conseguenza, escluso la responsabilità della COGNOME, ritenendo che, dal momento che aveva cessato di rappresentarla, non potevano esserle imputate le conseguenze pregiudizievoli della mancata impugnazione.
All’origine della erronea conclusione della Corte territoriale vi sarebbe il travisamento delle sentenze nn. 51/2012 e 338/2014, non avendo considerato che in entrambe le pronunce risultava dichiarata contumace; il che dimostrava che non aveva partecipato al processo d’appello e non aveva proposto appello incidentale non perché non era stata evocata in giudizio, ma perché aveva seguito il consiglio professionale della RAGIONE_SOCIALE.
Neppure -diversamente da quanto sostenuto dal giudice a quo -«avrebbe potuto intervenire in ogni momento» nel giudizio d’appello, avendo appreso del danno derivante dalla mancata partecipazione al giudizio e, più precisamente, delle conseguenze della mancata proposizione di appello principale o incidentale, solo con la pubblicazione delle sentenze emesse dal giudice d’appello.
Per di più la Corte territoriale avrebbe violato: a) l’art. 101 c.p.c. (e gli artt. 24 e 111 Cost, dei quali il primo costituisce attuazione), ponendo a base della decisione di respingere la domanda di
risarcimento del danno una questione rilevata d’ufficio (consistente nella possibilità di ricorrere in cassazione contro le sentenze nn. 51/2012 e 338/2014 per censurare il difetto di integrità del contraddittorio) e non sottoposta al contraddittorio delle parti; b) gli artt. 1218, 1223 c.c. nonché 2697 c.c. e 115 -116 c.p.c., in quanto dopo avere indicato le conseguenze dannose risentite, e cioè il mancato ottenimento dei medesimi vantaggi economici avuti dalle due sorelle con l’impugnazione della sentenza del Tribunale di Lanusei n. 170/2007, avrebbe arbitrariamente ritenuto che tale pregiudizio potesse essere evitato con l’impugnazione delle sentenze d’appello nn. 51/2012 e 338/2014.
Le restanti argomentazioni su cui si incentra il ricorso si indirizzano verso la quantificazione del danno che, ad avviso della ricorrente, dovrebbe tener conto di quanto ottenuto dalle sue sorelle, visto che la condanna risarcitoria pronunciata in suo favore a carico di NOME COGNOME non solo era stata di minore importo, ma era destinata a restare sulla carta, dato che il COGNOME si era reso impossidente e che agire esecutivamente nei suoi confronti sarebbe stato infruttuoso.
1.1.) Il ricorso è fondato per quanto di ragione.
La Corte territoriale non ha considerato che la contumacia dell’odierna ricorrente nel giudizio d’appello avverso la sentenza sfavorevole del Tribunale di Lanusei non era stata determinata da una mancata o irregolare vocatio in ius – peraltro, mai contestata -ma dalla precisa e consapevole scelta processuale di non costituirsi in appello, sicché ha erroneamente ipotizzato, nei suoi confronti, una mancata integrazione del contraddittorio non rilevata dalla Corte d’appello e non denunciata, impugnando le sentenze nn. 51/2012 e 338/2014; la lesione del principio del contraddittorio, infatti, «postula la carenza di una regolare “vocatio in ius” e non riguarda, pertanto, soggetti ritualmente citati nei modi ammessi dalla legge, e ciononostante non costituiti» (Cass. 24/08/1998, n.
8356). Quando uno dei litisconsorti processuali necessari non si costituisce in appello deve essere considerato contumace senza che, pertanto, possa ipotizzarsi nei suoi confronti l’integrazione del contraddittorio. Questa, infatti, postulando la carenza della “vocatio in ius”, non riguarda soggetti che siano stati regolarmente citati nei modi ammessi dalla legge ed abbiano, pertanto, acquistato la qualità di parti del giudizio (Cass. 14/01/1982, n. 238; Cass 18/09/2007, n. 19347).
La ricorrente, soddisfacendo gli oneri di cui all’art. 366, 1° comma, n. 6 c.p.c., ha fornito a questa Corte gli strumenti necessari per verificare che tanto la sentenza della Corte d’appello di Cagliari n. 51/2012 quanto la sentenza n. 338/2014 (la prima non definitiva e la seconda definitiva), allegate al ricorso sub docc. 3 e 4, la indicavano come contumace: il che significa che era stata, secondo il giudice d’appello, ritenuta ritualmente citata in giudizio e che quindi il contraddittorio era integro.
Va ribadito che il giudizio avente ad oggetto l’accertamento del nesso causale tra l’inadempimento professionale e il danno è di norma insindacabile in sede di legittimità. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la valutazione sull’esistenza di una colpa professionale deve essere compiuta, con un giudizio ex ante , sulla base di una valutazione prognostica della utilità dell’iniziativa intrapresa o più frequentemente omessa, non potendo comunque l’avvocato garantirne l’esito favorevole (Cass. 24/10/2017, n. 25112, Cass. 19/01/2024, n. 2109; Cass. 6/09/2024, n. 24007); valutazione condotta seguendo le regole causali in materia di responsabilità civile, e cioè il principio del più probabile che non, in base al quale può ritenersi, in assenza di fattori alternativi, che l’omissione da parte del difensore abbia avuto efficacia causale diretta nella determinazione del danno.
Se il comportamento omissivo non ha evitato l’evento dannoso, deve intendersi che l’evento lesivo si è verificato proprio quale
conseguenza diretta e immediata dell’omissione professionale, se il comportamento omissivo ha impedito di conseguire un risultato favorevole -come si ipotizza nel caso qui scrutinato – «il danno che ne è derivato deve costituire oggetto di un accertamento prognostico, dato che il vantaggio patrimoniale che il danneggiato avrebbe tratto dalla condotta altrui, che invece è stata omessa, non si è realmente verificato e non può essere empiricamente accertato» (Cass. n. 25112/ 2017, cit.; Cass. 30/04/2018, n. 10320).
Sebbene a questa Corte sia stato imputato di non aver assunto un orientamento sempre univoco circa se l’accertamento prognostico condotto dal giudice di merito in ordine al probabile esito dell’azione giudiziale costituisca un accertamento di fatto o di diritto (per dimostrare l’esistenza di un possibile contrasto si cita Cass. 13/02/2014, n 55 secondo cui «nelle cause di responsabilità professionale nei confronti degli avvocati, la motivazione del giudice di merito in ordine alla valutazione prognostica circa il probabile esito dell’azione giudiziale che è stata malamente intrapresa o proseguita è una valutazione in diritto, fondata su di una previsione probabilistica di contenuto tecnico giuridico. Ma nel giudizio di cassazione tale valutazione, ancorché in diritto, assume i connotati di un giudizio di merito, il che esclude che questa Corte possa essere chiamata a controllarne l’esattezza in termini giuridici» e la si contrappone a Cass. n. 10320/2018 citata che ha affermato che la valutazione compiuta dal giudice di merito in ordine al possibile effetto favorevole, per l’assistito, dell’attività omessa dall’avvocato, possa essere sindacata qualora in essa si ravvisi un errore di sussunzione), proprio di recente con la sentenza n. Cass. 11/11/2024, n. 28903 è stato dimostrato che nessun contrasto può dirsi sussistente tra le linee argomentative di Cass. n. 3355/2014 e Cass. n. 10320/2018, ribadendo che la valutazione prognostica compiuta dal giudice di merito è una
valutazione che attiene al merito di quel giudizio e, come tale, non è sindacabile in sede di legittimità, essenzialmente perché è un giudizio che ha ad oggetto il nesso di causalità tra l’attività omessa e il possibile esito favorevole che sarebbe potuto derivare al cliente (Cass. n. 3355/2014, cit., Cass. 14/11/2022, n. 33466; Cass. 25/07/2023; Cass. 27/07/2024 n. 21045), salvo che la valutazione giuridica compiuta dal giudice di merito nello svolgimento del giudizio c.d. controfattuale si fondi su un presupposto manifestamente e totalmente errato, perché simile errore non può essere ignorato e dovrà essere considerato anche nel giudizio di cassazione, pur rimanendo la valutazione giuridica del giudice di merito tendenzialmente estranea al perimetro del giudizio di legittimità (Cass. n. 10320/2018, cit.).
Ebbene, nel caso di specie, si è concretizzata proprio tale ultima evenienza: il giudizio controfattuale si è basato su un presupposto errato e tale errore non può essere ignorato da questa Corte.
Né può dubitarsi che si tratti di un errore decisivo e assorbente, atteso che il giudice a quo ha ritenuto, diversamente dal Tribunale, che il danno prospettato dalla COGNOME non derivava esclusivamente dall’ « infruttuosità dell’azione esecutiva da esperire nei confronti di NOME COGNOME, il quale si sarebbe nel frattempo reso incapiente», ma altresì dalla «perdita subita a causa della mancata impugnazione e consistita nel fatto che la COGNOME avrebbe potuto ottenere una sentenza di condanna direttamente nei confronti del RAGIONE_SOCIALE e non solo, dopo un ulteriore processo, nei confronti esclusivamente del COGNOME, il quale si era nel frattempo spogliato del suo unico bene immobile».
Di conseguenza, la Corte d’appello ha ritenuto di dover accertare se « a causa del comportamento inadeguato del legale (…), la COGNOME aveva definitivamente perduto non solo il diritto di impugnare la sentenza n. 170/07 (quale evento pregiudizievole) ma, altresì, la possibilità di ottenerne la riforma nei medesimi termini positivi
conseguiti dalle sorelle e, quindi, il vantaggio economico avuto dalle sorelle con le pronunce della corte di appello (quale conseguenza dannosa risarcibile)».
La conclusione negativa è stata così giustificata: «a causa dell’inadempimento dell’AVV_NOTAIO, la COGNOME aveva sì perduto definitivamente la possibilità di appellare la sentenza del Tribunale di Lanusei n. 170/07 (evento pregiudizievole) ma non quella di impugnare le sentenze della corte di appello per difetto di integrità del contraddittorio e, quindi, di ottenere i medesimi vantaggi economici avuti dalle sorelle (conseguenze dannose risarcibili). Conseguenze dannose risarcibili, pertanto, correlate in via immediata e diretta non all’omessa impugnazione della sentenza del Tribunale di Lanusei ma all’omesso rilievo dell’integrità del contraddittorio in grado di appello, nel quale peraltro la COGNOME avrebbe potuto intervenire in ogni momento, e alla mancata impugnazione delle sentenze emesse dalla corte di merito. Omessa impugnazione non addebitabile all’AVV_NOTAIO, posto che quest’ultima a tale epoca non era più pacificamente il legale della COGNOME, la quale aveva preferito adire, ex novo , il Tribunale di Nuoro per ottenere una nuova condanna nei confronti del solo COGNOME per la restituzione di quanto dovuto in forza dell’originario contratto di cessione e mandato stipulato con il COGNOME nel 1986».
È evidente, dunque, che la Corte d’appello ha ritenuto, basandosi su un presupposto errato, come sopra precisato, che il pregiudizio subito dalla ricorrente -la mancata impugnazione della sentenza del Tribunale di Lanusei addebitata alla COGNOME – non sia stata la causa del danno da lei risentito, essendo quest’ultimo derivato dal non aver impugnato le sentenze emesse dalla Corte d’appello che erano state pronunciate a contraddittorio non integro, questione peraltro rilevata d’ufficio senza sollecitare il contraddittorio delle parti sul punto, il che non risulta contestato dalle controparti.
Per le ragioni esposte, il ricorso va accolto per quanto di ragione e nei termini precisati in motivazione, assorbite le ulteriori censure proposte, con rinvio alla Corte d’appello di Cagliari, sez. distaccata di Sassari, in diversa composizione, che dovrà provvedere ad un nuovo giudizio controfattuale e liquidare le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione e nei termini precisati in motivazione, assorbite le ulteriori censure proposte, cassa l’impugnata sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Cagliari, sez. distaccata di Sassari, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 17 settembre 2025 dalla Terza sezione civile della Corte di Cassazione.
Il Presidente NOME COGNOME