Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 50 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 50 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 02/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 15572-2020 r.g. proposto da:
AVV. NOME COGNOMEC.F. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (c.f. P_IVA) con sede in Colognola ai Colli (VR) 37030, INDIRIZZO, in persona dei Curatori dott. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME del Foro di Verona.
– controricorrente –
avverso il decreto n. 3109/2020 pronunciato in data 5.5.2020 dal Tribunale di Verona;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/11/2023 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con istanza ex art. 93 l. fall. l’Avv. NOME COGNOME chiedeva di essere ammesso al passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE con privilegio ex art. 2751 n. 2 c.c. e in via prededuttiva per euro 44.408, per l’attività di assistenza nella procedura di concordato preventivo, e per euro 15.659,40, con privilegio ex art. 2741 n. 2 c.c. per l’attività giudiziale prestata in favore della società in bonis .
Con decreto datato 14.4.2019 il Giudice delegato ammetteva, seppur con una lieve decurtazione, il credito per l’attività giudiziale, mentre escludeva del tutto il credito per l’attività di assistenza alla procedura concorsuale, accogliendo l’eccezione di inadempimento già contestata con comunicazione stragiudiziale del 12.12.2018.
Proposta opposizione ex art. 98 l. fall. da parte dell’Avv. COGNOME avverso il provvedimento di esclusione del credito per la parte relativa alla prestazione professionale di assistenza al concordato preventivo e dedotta a tal fine la correttezza dell’a dempimento della sua prestazione, alla quale non potevano essere imputati inadempimenti di altri professionisti della procedura, il Tribunale di Verona, nella resistenza della curatela fallimentare (che eccepiva l’adempimento del pagamento satisfattivo della prestazione tramite gli acconti già versati), rigettava l’opposizione così proposta, confermando pertanto il provvedimento impugnato.
3.1 Il Tribunale ha rilevato che: (i) il thema decidendum del giudizio di opposizione doveva considerarsi circoscritto alla domanda di ammissione al passivo del compenso pattuito per l’attività di assistenza legale nella procedura di concordato nella quale il fallimento aveva sollevato, in prima battuta, eccezione di intervenuto pagamento ed anche quella di inadempimento; (ii) il pagamento da parte della società in bonis del 65% di quanto pattuito doveva ritenersi remunerativo della reale consistenza di una attività di assistenza professionale che si era arrestata ancor prima della ammissione; (iii) in ogni caso, la pretesa creditoria del professionista opponente non poteva essere accolta avuto anche riguardo all ‘ eccezione di
inadempimento, sollevata dal fallimento, eccezione che doveva essere ritenuta fondata; (iv) il fallimento aveva infatti dedotto un circostanziato inesatto adempimento, a fronte del quale l’opponente aveva invece allegato argomentazioni non attinenti alle specifiche contestazioni sollevate; (v) il fallimento aveva infatti sin da subito contestato all’advisor di aver fondato il piano su una attestazione inattendibile -in quanto capace di ‘piegare al bisogno’ il valore degli asset e superare così le criticità sollevate dal Tribunale -e non già il mancato puntuale vaglio dell’operato degli altri professionisti muniti di specifiche competenze tecniche, con la conseguenza che risultava peraltro ininfluente valutare quale fosse la corretta qualificazione del concordato, se, cioè, in continuità ovvero liquidatorio; (vi) la circostanza infatti che, a norma dell’art. 67, 3 comma, lett. d, l. fall., il piano di risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa debba fondarsi su dati aziendali la cui veridicità deve essere certificata dal professionista attestatore -il quale deve rivestire, peraltro, una posizione di indipendenza sia rispetto al debitore che ai creditori interessati al progetto di risanamento -non implicava che altro esperto, specificatamente officiato dall ‘ imprenditore della predisposizione del piano di ristrutturazione aziendale, non potesse rispondere, nei confronti del medesimo, del diligente adempimento dell’incarico conferito in base alle regole che governano il rappor to professionale che si era instaurato con il proprio committente; (vii) l’Avv. COGNOME per conto della RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE, aveva dapprima presentato un piano indicante in euro 7.951.000 il ricavato della dismissione del patrimonio immobiliare e in euro 2.000.000 il ricavato dell’affitto d’azienda e offerto una percentuale di soddisfazione del 32,97% ai creditori chirografari e, successivamente, in risposta alla richiesta di chiarimenti del giudice delegato sulla natura del concordato -se liquidatorio ovvero in continuità -e delle osservazioni del commissario sul valore dei beni, aveva depositato una modifica del piano, precisando che si trattava di un concordato in continuità ed indicando, in relazione ai medesimi asset, una stima significativamente inferiore, e cioè euro 3.908.274,30 per il medesimo compendio immobiliare; (viii) in tal modo le risorse della continuità erano state rese maggiori rispetto a quelle provenienti dalla dismissione del patrimonio ed era stato superato il
tema della percentuale da assicurarsi ai creditori, indicata, in questa ultima modifica, pari al 7%, anziché al 32,9%; (ix) i valori numerici dei beni e del piano non potevano pertanto essere modificati a piacimento ed un bene immobile non poteva cambiare così significativamente il proprio valore senza che si ponesse un evidente problema di attendibilità dei dati attestati, con la conseguenza che l’avvocato incaricato di presentare il piano – cui era richiesta proprio l’opera di coordinazione e di controllo della conformità dell’opera di terzi rispetto al modello legale richiesto – non poteva non rendersi conto di tale inattendibilità, a prescindere dalle specifiche competenze tecniche dello stimatore ovvero dell’attestatore.
2. Il decreto, pubblicato il 6.5.2020, è stato impugnato da ll’Avv. NOME COGNOME con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui il fallimento RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione, quanto all’eccezione di inesatto adempimento, dell’art. 1460 cod. civ., in relazione all’art. 1176, 2 comma, cod. civ.
1. Il ricorrente deduce che il decreto impugnato sarebbe viziato da contraddittorietà e illogicità laddove il Tribunale avrebbe (a) affermato che ciò che gli veniva contestato non sarebbe il puntuale vaglio dell’operato di altri professionisti, bensì il mancato controllo sulla conformità dell’opera di quest’ultimi al modello legale; (b) erroneamente inferito dalla giurisprudenza richiamata nel decreto il principio per cui sul l’avvocato che presta la propria assistenza in una operazione di ristrutturazione g raverebbe anche l’obbligo di controllare e coordinare l’operato tecnico degli altri professionisti coinvolti nella ristrutturazione; secondo il ricorrente invece l’unico dovere incombente sul legale sarebbe tutt’al più verificare che non vi siano, nell’ope ra altrui, errori macroscopici, in quanto l’avvocato avrebbe una professionalità del tutto diversa dal commercialista e dal perito e non potrebbe pertanto esser chiamato a rilevare eventuali errori dell’operato altrui; (c) ritenuto che il
ricorrente avrebbe dovuto rilevare l’inattendibilità dei dati attestati e ‘sindacare le argomentazioni dell’attestatore in punto di valorizzazione degli asset immobiliari e requisiti di veridicità dei dati numerici attestati ‘, ancorché gli stessi fossero adeguatamente giustificati dal professionista munito delle specifiche competenze tecniche.
Con il secondo mezzo si deduce, in subordine, violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., quanto all’eccezione di corrispettività tra attività compiuta e compenso dovuto in relazione all’art. 2233, 2 comma, cod. civ. Secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che la somma già percepita a titolo di acconto potesse ritenersi remunerativa dell’attività svolta nell’ambito del concordato preventivo, in quanto aveva invece dato compiuta esecuzione al mandato professionale ricevuto, dovendosi sul punto ricordare che ‘oggetto del mandato era la tutela della continuità e non segnatamente la procedura di concordato preventivo … l’attività svolta dal legale, e in particolare la trattativa con la società che aveva m anifestato interesse all’acquisto dell’azienda previa sua conduzione in affitto …’, così ponendo le basi ‘e creato le occasioni oggettive perché si potesse addivenire all’affitto d’azienda e … alla sua celere cessione’.
Il ricorso è inammissibile.
3.1 Già il primo motivo è inammissibile.
3.2 Osserva il Collegio che in realtà il ricorrente -nonostante la rubrica reciti ‘violazione e falsa applicazione’ di legge, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. -ha proposto nel corpo del motivo stesso una doglianza di carattere motivazional e, sotto il profilo della ‘contraddittorietà’ ed ‘illogicità’ delle argomentazioni spese dal Tribunale in ordine alla giustificazione della fondatezza dell’eccezione di inadempimento del professionista al suo mandato professionale, per come sollevata dalla curatela fallimentare nei suoi scritti difesivi, doglianza che, così formulata, non è neanche più riconducibile al paradigma applicativo del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., per come ora definitivamente delineato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. Un. 8054/2014). Ed invero, il ricorrente, sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione
di norme di legge (nella specie, artt. 1460 e 1176 cod. civ.) pretenderebbe, ora, un nuovo apprezzamento della quaestio facti , tramite la rilettura degli atti istruttori, per accreditare innanzi alla Corte di legittimità una diversa versione dei fatti che smentisca la tesi del fallimento circa il suo eccepito inadempimento contrattuale agli obblighi discendenti dal mandato professionale, e ciò con particolare riferimento alla redazione di una proposta concordataria che superi il vaglio di ammissibilità anche quanto al profilo di fattibilità giuridica del piano di esdebitazione proposto al ceto creditorio. Scrutinio quest’ultimo c he, richiede, per un verso, la rilettura degli atti istruttori e, per altro verso, un nuovo apprezzamento della fattispecie concreta, secondo un paradigma di giudizio che esula invece dal sindacato del giudice di legittimità.
3.3 Ma le doglianze proposte dal ricorrente si scontrano anche con un ulteriore profilo di inammissibilità . Ed invero il ricorrente si duole dell’erroneità della decisione impugnata per aver quest’ultima giustificato sempre secondo la suggerita ricostruzione del contenuto del decreto qui avversato -il suo inadempimento sulla base della mancata verifica del profilo di attendibilità dei dati aziendali (valore dei cespiti immobiliari) operata dall’attestatore e dagli stimatori, verifica che, invece, esulerebbe, secondo la tesi del ricorrente, dal contenuto del suo mandato professionale, essendo invece addebitabili tali mancanze esclusivamente agli altri tecnici incaricati dalla società poi ammessa al concordato, e cioè proprio all’attestatore e agli stimatori che soli potevano apprezzare il valore dei cespiti immobiliari.
3.4 Ebbene, la doglianza del ricorrente si fonda in realtà su una non pertinente lettura del provvedimento impugnato.
Il Tribunale di Verona ha infatti correttamente individuato l’oggetto dell’incarico conferito all’Avv. COGNOME nella predisposizione di un atto giudiziario, contenente dati aziendali attendibili, che fosse idoneo a rendere ammissibile la proposta ed il piano concordatario. In tal modo, il Tribunale non ha addebitato al legale di non aver adeguatamente controllato l’operato dell’attestatore, quanto piuttosto di aver presentato egli stesso una domanda giudiziaria di ammissione alla procedura fondata su dati inattendibili ed anzi di aver presentato una modifica della domanda stessa e del piano fondata su
una diversa attestazione di veridicità dei dati contabili che, per quanto tra breve si dirà, non è certo ammissibile nel corso della procedura concordataria. Detto altrimenti, il Tribunale ha riferito al legale, a titolo di responsabilità per il suo inadempimento contrattuale, di aver ‘piegato’ – allo scopo di superare eventuali profili di inammissibilità della domanda concordataria liquidatoria (come tale sottoposta al requisito del 20% di soddisfazione dei creditori chirografari) – i dati contabili, facendone un uso strumentale e non veritiero per confezionare una proposta di concordato formalmente ammissibile.
3.5 Ma se questa risulta essere l’effettiva ratio decidendi su cui poggia il provvedimento impugnato, allora risulta evidente che le censure proposte sul profilo del mancato controllo da parte dell’avvocato sull’operato degli altri professionisti incaricati perdono aderenza rispetto alla reale ragione decisoria del decreto impugnato e devono inevitabilmente essere dichiarate inammissibili.
3.6 Del resto non va neanche dimenticato che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte di legittimità, in tema di concordato preventivo, anche nella vigenza della nuova disciplina di cui al d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, tra le condizioni richieste per l’ammissibilità del concordato rientra, ai sensi dell’art. 162, comma 2, l.fall., anche la veridicità dei dati aziendali esposti nei documenti prodotti unitamente al ricorso, sicché, quando nel corso della procedura emerge che siffatta condizione mancava al momento del deposito della proposta, il tribunale può revocare ex art. 173, comma 3, l.fall. l’ammissione al concordato, restando irrilevante la nuova attestazione di veridicità dei suddetti dati resa dal professionista designato dal proponente (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7975 del 28/03/2017).
Ciò significa che la veridicità dei dati aziendali costituisce un presupposto di ammissibilità della domanda concordataria che deve sussistere sin dalla sua iniziale presentazione e che non può intervenire in corso d’opera da parte de i professionisti incaricati, attraverso un diverso apprezzamento valutativo posto alla base della modifica del piano e della proposta. Ed è proprio questo l’ambito di condotta nel quale il Tribunale ha rintracciato l’inadempimento
dell’odierno ricorrente, senza che tuttavia il motivo in esame si sia premurato di censurarne la validità giuridica.
Anche il secondo motivo è inammissibile.
4.1 Il ricorrente sostiene -per contestare l’affermazione del Tribunale sulla intervenuta remunerazione della prestazione svolta in favore della società debitrice -che oggetto dell’incarico fosse quello di assicurare ad RAGIONE_SOCIALE la continuità aziendale (obiettivo che, secondo il suo opinamento, sarebbe stato integralmente raggiunto), mentre il Tribunale aveva ritenuto che oggetto dell’incarico fosse invece quello di ‘prestare l’attività necessaria per la soluzione della crisi mediante il ricorso alla procedura di concordato preventivo ovvero mediante accordo di ristrutturazione’.
4.2 Così proposta la doglianza è all’evidenza inammissibile perché volta ad una nuova interpretazione del contenuto dell’accordo negoziale del mandato professionale, senza peraltro neanche indicare quali siano le norme di interpretazione violate (cfr. Cass. sez. 3, sentenza n. 2465 del 10/02/2015; n. 2074 del 2002; vedi: n. 4178 del 2007, n. 22801 del 2009, n. 25866 del 2010; cfr. anche Sez. 3, Sentenza n. 10891 del 26/05/2016) e perché comunque, anche in questo caso, la stessa è rivolta ad un nuovo apprezzamento della quaestio facti invece inibito al giudice di legittimità (così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017;Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14 /01/2019).
4.3 E tutto ciò senza neanche contare che anche al di là dell’apprezzamento del reale contenuto dell’accordo relativo al mandato professionale -l ‘adempimento della prestazione si verifica (ed anche la conseguente prededuzione opera) – come condizione necessaria, ancorché non sufficiente, allorquando il professionista legale (avvocato della procedura) presta un’attività di organizzazione , consulenziale e giudiziaria, indispensabile, nel coordinamento delle altre competenze ingaggiate dal debitore, ad assicurare almeno la fattibilità giuridica del concordato preventivo o il ricorso potenzialmente utile dell ‘accordo di ristrutturazione, secondo un para digma di valutazione già fissato, in tema di adempimento contrattuale, da Cass. Sez.
U, sent. n. 13533/2001, e ciò proprio come affermato correttamente anche nel decreto qui impugnato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2023