Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26855 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26855 Anno 2024
NOME: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 14390/2019 r.g. proposto da:
CORRENTI COGNOME, quale erede di NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO .
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Roma, alla INDIRIZZO, in persona del suo presidente e legale rappresentante pro tempore AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, con cui elettivamente domicilia nella propria sede, presso l’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO .
-controricorrente –
avverso la sentenza, n. cron. 7007/2018, della CORTE DI APPELLO DI ROMA pubblicata il giorno 06/11/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
10/10/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto notificato il 30 aprile 1999, NOME COGNOME, unitamente ad altri centoventitré risparmiatori, tutti clienti della commissionaria di borsa RAGIONE_SOCIALE, citarono la RAGIONE_SOCIALE innanzi al Tribunale di Roma chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da essi patiti in conseguenza del fallimento della menzionata RAGIONE_SOCIALE, a loro dire autorizzata all’esercizio dell’attività di RAGIONE_SOCIALE imRAGIONE_SOCIALE in assenza dei requisiti di legge.
1.1. Costituendosi in giudizio, la RAGIONE_SOCIALE eccepì la improcedibilità, in rito e nel merito, dell’avversa azione, comunque contestando la pretesa che ne costituiva l’oggetto di cui chiese il rigetto.
1.2. Istruita la causa documentalmente, l’adito tribunale: i ) con sentenza non definitiva n. 20934/2002, dichiarò la nullità della citazione dell’attore NOME COGNOME, respinse tutte le eccezioni pregiudiziali, in rito e nel merito, sollevate dalla RAGIONE_SOCIALE e rimise la causa sul ruolo, con separata ordinanza, per la prosecuzione del giudizio. La convenuta formulò tempestiva riserva di gravame contro questa decisione; ii ) con successiva sentenza definitiva n. 34309/2024, accolse le domande di ciascun attore, sul presupposto della illegittima iscrizione della società RAGIONE_SOCIALE (commissionaria di borsa) all’albo delle SIM, rilasciata dalla RAGIONE_SOCIALE il 28 dicembre 1992, e, per l’effetto, condann ò quest’ultima al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, in favore di ognuno di essi, delle somme ivi liquidate in via equitativa e specificamente indicate in dispositivo, oltre accessori e spese di lite.
Pronunciando sul gravame promosso contro entrambe tali pronunce dalla RAGIONE_SOCIALE con atto notificato alle controparti il 19 aprile 2005, l’adita Corte di appello di Roma, con sentenza del 10 ottobre/6 novembre 2018, n. 7007: i ) rimarcò, in primis , che si erano verificati, « nel corso degli anni, in
sede di precisazione delle conclusioni, una serie di decessi di singoli appellati -con conseguenti dichiarazioni di interruzione del giudizio, tutti riassunti tempestivamente e ritualmente dalla RAGIONE_SOCIALE -fino all’udienza del 12 luglio 2017, in cui il Collegio, ritenuta la scindibilità delle cause, per i fini che qui rilevano, interrompeva il giudizio nei confronti COGNOME NOME (di cui era stato dichiarato il decesso all’udienza del 5.7.2017) e tratteneva la causa in decisione per tutte le altre parti regolarmente costituite »; ii ) precisò, poi, che la RAGIONE_SOCIALE aveva provveduto « a riassumere il giudizio ex art. 303 cod. proc. civ. -collettivamente ed impersonalmente -nei confronti degli eredi del defunto COGNOME NOME » e che si era costituita, quale erede di quest’ultimo, NOME COGNOME, « sollecitando il rigetto del gravame, delle istanze istruttorie e delle richieste restitutorie di controparte »; iii ) infine, confermò la impugnata sentenza non definitiva n. 20934/2002, accolse l’appello contro quella definitiva e, per l’effetto, rigettò le domande proposte da NOME COGNOME, quale erede di NOME COGNOME, e la condannò a restituire alla RAGIONE_SOCIALE quanto percepito dal suo dante causa in esecuzione della sentenza di primo grado, compresa la quota delle spese di lite, oltre agli interessi legali dalla data del pagamento al saldo effettivo.
2.1. In particolare, per quanto qui di residuo interesse, quella corte escluse che potesse attribuirsi all’appellante una qualsivoglia responsabilità per i danni lamentati (anche) dal RAGIONE_SOCIALE, osservando ( cfr ., amplius , pag. 9 e ss. della sentenza n. 7007/2018) che: i ) «, non può imputarsi alla RAGIONE_SOCIALE una diretta e autonoma responsabilità civile, ex art. 2043 codice civile, per i danni cagionati ai risparmiatori e dovuti unicamente alla autonoma mala gestio della RAGIONE_SOCIALE, prima commissariata e poi fallita »; ii ) « Risulta, infatti, per tabulas che la RAGIONE_SOCIALE, nel periodo antecedente l’autorizzazione all’iscrizione della RAGIONE_SOCIALE nell’apposito albo, aveva posto in essere, a norma dell’art. 19 della L. n. 1/1991, una serie di controlli ed accertamenti ispettivi, di fatto, però, fuorviati, obnubilati ed ostacolati dalle false comunicazioni sociali del NOME COGNOME, poi condannato con sentenze del Tribunale penale e della Corte di Appello di Milano. La stessa assoluzione dei funzionari RAGIONE_SOCIALE (COGNOME e COGNOME) -imputati in sede
penale -dal concorso nei reati ascritti all’COGNOME non può che essere letta nel senso di escludere la responsabilità (per fatto dei dipendenti) della RAGIONE_SOCIALE. In altre parole, se è vero che la RAGIONE_SOCIALE aveva un potere di verifica e di controllo sulla sussistenza dei requisiti, patrimoniali e soggettivi, previsti dall’art. 19 della L. n. 19/91 e formalmente posseduti dalla RAGIONE_SOCIALE al momento dell’autorizzazione ad operare come SIM, è altrettanto indubbio che, avendo la RAGIONE_SOCIALE esercitato i poteri istruttori, ispettivi ed inibitori di sua competenza, al momento della iscrizione della RAGIONE_SOCIALE all’albo SIM, non si ravvisa un collegamento diretto tra tale autorizzazione all’iscrizione, in presenza dei requisiti di legge, e le successive perdite finanziarie, lamentate dai risparmiatori ed asseverate nello stato passivo di formazione giudiziale del Fallimento »; iii) « In proposito -come bene eccepito dall’appellante manca, in ogni caso, la prova di quando gli investitori abbiano conferito i propri risparmi a COGNOME, se, cioè, prima o dopo l’intervento della RAGIONE_SOCIALE che aveva autorizzato l’iscrizione della società poi fallita nell’albo speciale delle SIM. In altre parole, non vi è dubbio che, sotto il profilo del nesso di causalità, il danno ai risparmiatori sia stato esclusivamente cagionato dalla condotta fraudolenta e dissimulatrice dell’RAGIONE_SOCIALE, mentre non vi è prova che le perdite finanziarie degli investitori siano dipese da una colpevole omessa vigilanza e verifica dei presupposti e requisiti, patrimoniali e personali, per l’iscrizione della società RAGIONE_SOCIALE nell’albo Sim della RAGIONE_SOCIALE ».
Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso NOME COGNOME, quale erede di NOME COGNOME, affidandosi a due motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis. 1 cod. proc. civ. Ha resistito, con controricorso, la RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di impugnazione prospettano, rispettivamente, in sintesi:
« Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione delle seguenti norme di diritto: violazione della Legge 2 gennaio 1991, n. 1, artt. 3 e 19 (“Disciplina dell’attività di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e disposizioni sull’organizzazione dei mercati mobiliari”, come vigente all’epoca dei fatti causa) e dell’art. 2043
c.c. ». Si ascrive alla corte distrettuale di non aver considerato il dovere di vigilanza e di inibizione che la legge n. 1 del 1991 prescriveva alla RAGIONE_SOCIALE, la quale concesse, il 28 dicembre 1992, alla RAGIONE_SOCIALE, che non aveva i requisiti di legge, di divenire RAGIONE_SOCIALE (la RAGIONE_SOCIALE sarà commissariata nel 1993, per poi fallire nel 1994) quando la prima aveva il potere e dovere di inibirlo, con conseguente danno cagionato ai risparmiatori per culpa in vigilando ;
II) « Art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ». Si assume che RAGIONE_SOCIALE, « prima di autorizzare la RAGIONE_SOCIALE a divenire RAGIONE_SOCIALE SIM, ha disposto tantissime ispezioni senza mai valorizzarne le risultanze; l’esito dell’ultima ispezione pervenne sulla scrivania della RAGIONE_SOCIALE la mattina del giorno stesso nel cui pomeriggio la RAGIONE_SOCIALE autorizzò la trasformazione in SIM: detto esito era allarmante e preclusivo al ‘via libera” e pertanto la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto inibire detta trasformazione. Ebbene, la Corte di Appello, incomprensibilmente, afferma che RAGIONE_SOCIALE ha correttamente esercitato i poteri inibitori mentre l’oggetto del giudizio è, in sostanza, proprio il fatto che RAGIONE_SOCIALE ha omesso di esercitare i poteri inibitori che la Legge n. 1/91 le conferiva. Se avesse esercitato i poteri inibitori, avrebbe inibito alla RAGIONE_SOCIALE di divenire RAGIONE_SOCIALE e i risparmiatori non avrebbero subito i danni che il Tribunale civile di Roma ha loro riconosciuto ».
Il primo di tali motivi si rivela complessivamente inammissibile alla stregua delle considerazioni tutte di cui appresso.
2.1. Giova premettere che il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. (specificamente invocato dalla ricorrente nella doglianza in esame) può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente perché, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro, ovvero deduzione da una norma di conseguenze
giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua, pur corretta, interpretazione. Cfr . Cass. nn. 19423, 16448 e 5436 del 2024; Cass. n. 1015 del 2023; Cass. n. 5490 del 2022; Cass. n. 3246 del 2022; Cass. n. 596 del 2022; Cass. n. 40495 del 2021; Cass. n. 28462 del 2021; Cass. n. 25343 del 2021; Cass. n. 4226 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 27909 del 2020; Cass. n. 4343 del 2020; Cass. n. 27686 del 2018). È opportuno evidenziare, inoltre, che questa Corte, ancora recentemente ( cfr ., pure nelle rispettive motivazioni, oltre alle pronunce appena citate, Cass. n. 35041 del 2022, Cass. n. 33961 del 2022 e Cass. n. 13408 del 2022), ha chiarito, tra l’altro, che: a ) non integra violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; b ) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ( cfr . Cass. n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); c ) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito ( cfr . Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).
2.2. È doveroso rammentare, poi, che, come spiegato da Cass. n. 22164 del 2019, ( cfr . pag. 8-9 della motivazione), « l’attività di natura discrezionale della RAGIONE_SOCIALE deve svolgersi non solo nei limiti e con l’esercizio dei poteri di cui alle leggi speciali che ne regolano il funzionamento, ma anche della norma primaria del neminem laedere, alla luce dei principi costituzionali di legalità, imparzialità e buona amministrazione della P.A. (art. 97 Cost.) e di tutela del risparmio (art. 47 Cost.). Pertanto, la norma dell’art. 2043 c.c. è applicabile anche nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, in quanto si pone come limite esterno alla
sua attività discrezionale, la quale, di per sé, non può mai estendersi alla scelta radicale tra l’attivarsi o meno, specie qualora siano emersi gravi indizi di irregolarità. Dunque, anche in detto ambito l’illecito civile segue le comuni regole codicistiche per quanto riguarda l’imputabilità soggettiva, il nesso di causalità, l’evento di danno e la sua quantificazione, con la precisazione che, ove, come nella specie, l’addebito si configura come omissione di un certo comportamento, tale omissione trova rilievo, quale condizione determinativa del processo causale dell’evento dannoso, allorché si tratti di condotta imposta da una norma giuridica specifica, per cui il giudizio relativo alla sussistenza del nesso causale non può limitarsi alla mera valutazione della materialità fattuale, bensì postula la preventiva individuazione dell’obbligo specifico di tenere la condotta omessa in capo al soggetto ».
2.2.1. A tal riguardo, dunque, vengono in evidenza i poteri-doveri della RAGIONE_SOCIALE, funzionali all’esercizio delle sue attribuzioni di vigilanza e controllo, siccome individuati ed imposti dalla normativa di settore nel tempo succedutasi, riguardanti, per quanto qui di concreto interesse, i compiti specifici di vigilanza nei riguardi delle società RAGIONE_SOCIALE (SRAGIONE_SOCIALE), assumendo già al momento dell’autorizzazione all’attività i poteri di accertamento di taluni requisiti (art. 3), concernenti: i ) la consistenza del capitale sociale della società per azioni (comma 2, lett. a); ii ) l’onorabilità degli amministratori, direttori generali e dirigenti muniti di rappresentanza, anche in relazione al possesso delle condizioni di non esclusione dai locali della borsa di cui all’art. 8 della legge n. 272 del 1913 e con estensione dei menzionati requisiti a coloro, persone fisiche o giuridiche, che esercitino, anche in vi indiretta, il controllo della SRAGIONE_SOCIALE.m. (artt. 3, comma 1 0 2, lettere a, b ed e , della legge 2 gennaio 1991, n. 1, richiamato anche dal successivo art. 18).
2.2.2. Poteri di accertamento corroborati, altresì, dalle indicazioni provenienti dalla stessa RAGIONE_SOCIALE, dettati in forza di proprio regolamento, circa le modalità di presentazione della domanda di iscrizione all’albo delle S.i.m., gli elementi informativi che la domanda deve contenere, i documenti
che devono essere forniti in allegato, nonché le modalità di svolgimento dell’istruttoria (art. 3, comma 3, della citata legge n. 1 del 1991).
2.3. È sicuramente vero, poi, che, come si legge in Cass. n. 1070 del 2019 ( cfr . pag. 12 e ss. della sua motivazione), il sistema dei controlli e relative sanzioni spettanti alla RAGIONE_SOCIALE giusta quanto previsto dalla legge n. 1 del 1991 -pacificamente applicabile ratione temporis alla odierna controversia -« era diretto alla tutela ‘dell’interesse alla correttezza del comportamento degli intermediari finanziari, per i riflessi che ne possono derivare sul buon funzionamento dell’intero mercato” (Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2007, n. 26725), essendo la RAGIONE_SOCIALE non soltanto “organo di vigilanza del mercato dei valori, ma… anche organo di garanzia del risparmio pubblico e privato” (Cass. 23 marzo 2011, n. 6681) ».
2.3.1. Ne deriva, quindi, in linea generale, che la RAGIONE_SOCIALE, nella veste ad essa riconosciuta dal legislatore di ” organo di garanzia del risparmio “, era (ed è) assoggettata ad un vero e proprio obbligo giuridico di impedire o circoscrivere, nei limiti del possibile, possibili danni a carico di risparmiatori mediante l’esercizio dei propri poteri ispettivi e di vigilanza. Una tale conclusione, del resto, trova conferma nel principio, sancito da Cass. n. 6681 del 2011 (e ribadito, poi, come si è già detto, da Cass. n. 22164 del 2019), che il Collegio condivide, secondo cui « L’attività di natura discrezionale della RAGIONE_SOCIALE deve svolgersi non solo nei limiti e con l’esercizio dei poteri di cui alle leggi speciali che ne regolano il funzionamento, ma anche della norma primaria del neminem laedere , alla luce dei principi costituzionali di legalità, imparzialità e buona amministrazione della P.A. (art. 97 Cost.) e di tutela del risparmio (art. 47 Cost.). Pertanto, la norma dell’art. 2043 cod. civ. è applicabile anche nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, in quanto si pone come limite esterno alla sua attività discrezionale, e l’illecito civile segue le comuni regole del codice civile anche per quanto riguarda la cd. imputabilità soggettiva, il nesso di causalità, l’evento di danno e la sua quantificazione ».
2.4. È necessario ricordare, infine, che, allorquando agisca ex art. 2043 cod. civ., spetta alla parte attrice, giusta la regola desumibile dall’art. 2697 cod. civ., dimostrare il fatto, l’evento dannoso ed il nesso di causalità tra il
primo ed il secondo, altresì precisandosi, in relazione a quest’ultimo profilo e tenuto conto della concreta vicenda oggi all’esame di questa Corte, che: i ) la verifica del nesso causale tra condotta omissiva e fatto dannoso si sostanzia nell’accertamento della probabilità, positiva o negativa, del conseguimento del risultato idoneo ad evitare il rischio specifico di danno riconosciuta alla condotta omessa, da compiersi mediante un giudizio controfattuale che pone al posto dell’omissione il comportamento ac certato come dovuto; ii ) costituisce apprezzamento di fatto, non censurabile in sede di legittimità, la verifica della sussistenza, o meno, di una condotta, anche omissiva, dotata di efficienza determinante ed assorbente, tale da escludere ogni responsabilità concorrente; iii ) parimenti costituisce apprezzamento incensurabile quello concernente tanto l’idoneità dell’espletamento dei necessari controlli ad impedire il verificarsi del danno secondo il principio della regolarità causale, quanto la violazione dell’obbligo di diligenza per aver tardato ad attivarsi a seguito delle notizie apprese.
2.5. Fermo tutto quanto precede, rileva il Collegio che, come si è ampiamente riferito al § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘, la corte distrettuale ha escluso che potesse attribuirsi alla odierna controricorrente una qualsivoglia responsabilità per i danni lamentati (anche) dal NOME COGNOME, dante causa della qui ricorrente NOME COGNOME.
2.5.1. A tale conclusione la stessa è giunta, all’esito della valutazione del materiale istruttorio, opinando che quei danni erano stati dovuti unicamente alla autonoma mala gestio della RAGIONE_SOCIALE, prima commissariata e poi fallita.
2.5.2. Invero, risultava «per tabulas che la RAGIONE_SOCIALE, nel periodo antecedente l’autorizzazione all’iscrizione della RAGIONE_SOCIALE nell’apposito albo, aveva posto in essere, a norma dell’art. 19 della L. n. 1/1991, una serie di controlli ed accertamenti ispettivi, di fatto, però, fuorviati, obnubilati ed ostacolati dalle false comunicazioni sociali del NOME COGNOME, poi condannato con sentenze del Tribunale penale e della Corte di Appello di Milano. . In altre parole, se è vero che la RAGIONE_SOCIALE aveva un po tere di verifica e di controllo sulla sussistenza dei requisiti, patrimoniali e soggettivi, previsti dall’art. 19 della L. n. 19/91 e formalmente posseduti dalla RAGIONE_SOCIALE al
momento dell’autorizzazione ad operare come SIM, è altrettanto indubbio che, avendo la RAGIONE_SOCIALE esercitato i poteri istruttori, ispettivi ed inibitori di sua competenza, al momento della iscrizione della COGNOME all’albo SIM, non si ravvisa un collegament o diretto tra tale autorizzazione all’iscrizione, in presenza dei requisiti di legge, e le successive perdite finanziarie, lamentate dai risparmiatori ed asseverate nello stato passivo di formazione giudiziale del Fallimento ».
2.5.3. La stessa corte, poi, ha ulteriormente puntualizzato che « manca, in ogni caso, la prova di quando gli investitori abbiano conferito i propri risparmi a COGNOME, se, cioè, prima o dopo l’intervento della RAGIONE_SOCIALE che aveva autorizzato l’iscrizione della società poi fallita nell’albo speciale delle SIM ». Affermazione, quest’ultima, rimasta priva di adeguata e specifica censura, in questa sede, da parte della ricorrente: tale non può considerarsi, infatti, il solo assunto, assolutamente generico, oltre che implicante accertamenti di natura fattuale preclusi dalla natura del giudizio di legittimità, rinvenibile alla pag. 19 del ricorso, secondo cui « Erra, , la Corte nell’affermare in sentenza che era necessario individuare l’arco temporale nel quale gli investimenti sono stati fatti; se RAGIONE_SOCIALE non avesse concesso l’ imprimatur alla RAGIONE_SOCIALE di divenire SIM, tutti coloro che da detta data di concessione in poi hanno effettuato investimenti non li avrebbero fatti in quanto la SIM non sarebbe esistita; coloro i quali avevano effettuato investimenti prima di quel 28/12/92 potevano chiederne ed ottenerne la restituzione: infatti, il passivo di 44 miliardi di lire si creò proprio nel periodo successivo all’ imprimatur della RAGIONE_SOCIALE. Fra l’altro, la maggior parte degli odierni ricorrenti fecero, mantennero e rinnovarono gli investimenti dopo quella data e proprio perché si sentivano garantiti dall’operato della RAGIONE_SOCIALE e comunque la liquidazione di primo grado è stata fatta in via equitativa con una decurtazione del 55% sulla somma effettivamente perduta ».
2.5.4. In definitiva, la corte capitolina ha ricondotto il danno lamentato dai risparmiatori alla condotta fraudolenta e dissimulatrice del presidente della RAGIONE_SOCIALE, contestualmente escludendo, in assenza di idonea
dimostrazione in tal senso, che le perdite finanziarie degli investitori siano dipese da una colpevole omessa vigilanza e verifica, da parte della RAGIONE_SOCIALE, dei presupposti e requisiti, patrimoniali e personali, per l’iscrizione della società RAGIONE_SOCIALE nell’albo Sim di quest’ultima.
2.6. Posto, allora, che, come si è già riferito, la ricorrente non si confronta adeguatamente con il rilievo della corte territoriale, chiaramente decisivo, concernente la carenza di prova circa il quando (se, cioè, prima o dopo l’intervento della RAGIONE_SOCIALE che aveva autorizzato l’iscrizione della società poi fallita nell’albo speciale delle SIM) gli investitori avevano conferito i propri risparmi alla COGNOME, non resta che prendere atto degli accertamenti fattuali compiti dalla corte di merito, accertamenti, rispetto ai quali le argomentazioni della censura in esame, benché sotto l’egida della violazione di legge, si rivelano sostanzialmente volte ad ottenerne un riesame, così dimenticando che: i ) il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione ( cfr . tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 19423, 16448 e 15033 del 2024; Cass. nn. 13408, 10033 e 9014 del 2023; Cass. n. 31071 del 2022; Cass. nn. 28462 e 25343 del 2021; Cass. n. 16700 del 2020. Si veda pure Cass., SU, n. 23745 del 2020, a tenore della quale, « In tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in
diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa »); ii ) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito ( cfr . l’ampia rassegna giurisprudenziale già indicata alla fine del § 2.1. di questa motivazione); iii ) il giudizio legittimità non può essere trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 19423 e 25495 del 2024).
2.7. Ragioni di completezza, infine, atteso il richiamo ad essa contenuto nella memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. della ricorrente depositata il 27 settembre 2024, impongono di rimarcare che, nella fattispecie esaminata da Cass. n. 22164 del 2019, -diversamente da quella oggi all’attenzione di questo Collegio, nella quale, come si è riferito, la corte distrettuale ha escluso qualsivoglia responsabilità dell’appellante oggi controricorrente erano stati entrambi i giudici di merito ad accertare, in concreto, la responsabilità della RAGIONE_SOCIALE e la Suprema Corte disattese i motivi di ricorso di quest’ultima senza assolutamente rimettere in discussione, ovviamente (né avrebbe potuto farlo, stanti le caratteristiche proprie del giudizio di legittimità) , quell’accertamento fattuale.
3. Il secondo motivo di ricorso è parimenti inammissibile.
3.1. Invero, è opportuno premettere che il vizio di motivazione, ancor più in rapporto all’attuale testo introdotto dall’art. 54, comma 1, lett. b) , del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 134 del 2012 -dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza resa dalla corte di appello il 6 novembre 2018), non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo al giudice predetto individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova; mentre alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti ( cfr . Cass. nn. 6127 e 2607 del 2024; Cass. n. 30878 del 2023).
3.1.1. In altri termini, l’attuale art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass., nn. 6127 e 2607 del 2024; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. n. 9351 del 2022; Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 595 del 2022; Cass. n. 4477 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015). A tanto deve solo aggiungersi che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché
la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 3845 del 2018; Cass. n. 9253 del 2017), così come il mancato esame di elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia costituisce vizio di omesso esame di un fatto decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza, e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi viene a trovarsi priva di fondamento (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 3845 del 2018; Cass. n. 20188 del 2017).
3.2. Alla stregua di tali principi, che il Collegio condivide ed intende ribadire, ne deriva, quindi, in via assolutamente dirimente, che il preteso omesso esame come lamentato nella odierna doglianza della COGNOME si rivela, a tacer d’altro, privo di dec isività, posto che, come si è già precedentemente riferito, la ricorrente non si è confrontata adeguatamente con il rilievo della corte territoriale, questo si chiaramente decisivo, concernente la carenza di prova circa il quando (se, cioè, prima o dopo l’intervento della RAGIONE_SOCIALE che aveva autorizzato l’iscrizione della società poi fallita nell’albo speciale delle SIM) gli investitori avevano conferito i propri risparmi alla RAGIONE_SOCIALE.
4. In definitiva, l’odierno ricorso di NOME COGNOME, quale erede di NOME COGNOME, deve essere dichiarato inammissibile, potendo le spese di questo giudizio di legittimità essere interamente compensate tra le parti, ricorrendone i presupposti di cui all’art. 92, comma 2, cod. proc. civ. , come risultante dalla sentenza della Corte costituzionale n. 77 del 2018, anche tenuto conto dei contrastanti esiti dei giudizi di merito, altresì dandosi atto, stante il tenore della pronuncia adottata, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/02, i presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, nella indicata qualità, di un ulteriore importo a titolo dì contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME, quale erede di NOME COGNOME, e compensa interamente tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, nella indicata qualità, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per i loro corrispondenti ricorsi a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile