Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 19208 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 19208 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31718/2018 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, domiciliato ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliato ex lege in Roma, INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, controricorrente-
avverso il decreto del Tribunale di Mantova n. 1706/2018 depositato il 28/09/2018, udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/04/2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Mantova, con l’impugnato provvedimento, rigettava l’opposizione proposta da COGNOME COGNOME al decreto di esecutività dello stato passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, che aveva respinto la domanda di ammissione, in
prededuzione, del credito insinuato dall’odierno ricorrente di € 127.100 per l’attività professionale relativa alle prestazioni per la redazione della relazione di attestazione ex art. 161 l.fall. e per l’asseverazione e il deposito della relazione giurata ex art. 160, comma 2, l.fall.
Le argomentazioni poste a sostegno della decisione del Tribunale erano le seguenti: i) in materia di responsabilità contrattuale del professionista vale la regola probatoria secondo la quale, quando il convenuto eccepisce ed allega l’inadempimento dell’attore , spetta a quest’ultimo la prova di aver esattamente adempiuto; ii) il Tribunale nella sentenza di fallimento aveva evidenziato l’assenza di una adeguata attestazione della fattibilità del piano, ritenuta la principale ragione del provvedimento di inammissibilità della domanda di concordato preventivo; iii) si condividevano le valutazioni del giudice delegato sulla mancata verifica da parte dell’attestatore della solvibilità del terzo che erogava finanza esterna, difettando un impegno vincolante ed essendo l’art. 2645 ter c.c. norma ‘sugli effetti’ e non ‘sugli atti’; iv) il piano, attestato dal Ponso, non assicurava, come prescritto dall’art 160 l.fall ., a pena di inammissibilità della domanda, il pagamento dei creditori chirografari nella misura del 20%; v) l’inammissibilità della proposta concordataria per gravi deficienze della relazione di attestazione ex art 161 l.fall., rendeva inutiliter data anche la relazione giurata prevista dall’art. 160 , comma 2, l.fall.
Avverso il decreto ha proposto ricorso per Cassazione Ponso Cornelio sulla base di sette motivi.
Il Fallimento ha svolto difese con controricorso illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1 , n. 3, c.p.c., per avere il Tribunale errato nel qualificare di risultato e non di
mezzi l’obbligazione sorta in capo al professionista: sostiene il ricorrente di aver regolarmente adempiuto alle proprie obbligazioni con il deposito delle due relazioni in osservanza dei mandati ricevuti, a nulla rilevando le diverse conclusioni assunte dal Tribunale nella sentenza di fallimento in merito alla ritenuta non fattibilità del piano.
1.2. Il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2645 ter c.c., in relazione all’art. 360, comma 1 , n. 3, c.p.c.: sostiene il professionista che, contrariamente alle conclusioni cui sono pervenuti i giudici di merito nel non avere il terzo finanziatore fornito adeguata garanzia del l’ impegno di erogazione di nuova finanza, l’atto di destinazione del bene posto in essere da NOME COGNOME era in realtà da considerare idoneo a costituire una valida e rassicurante garanzia di adempimento delle obbligazioni assunte.
1.3. Il terzo motivo oppone violazione dell’art. 161, comma 3, l.fall. , in relazione all’art. 360, comma 1 , n. 3, c.p.c., per avere il Tribunale ritenuto che le tempistiche di realizzazione delle vendite degli immobili del terzo NOME COGNOME comportassero una prognosi negativa sulla realizzabilità del piano, laddove il ricorrente aveva solo affermato che non potesse essere assicurato il tempo per giungere alla realizzazione dei beni.
1.4. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 160, comma 2, l.fall., in relazione all’art. 360, comma 1 , n. 3, c.p.c., per avere il Tribunale malamente ravvisato un collegamento funzionale tra la relazione giurata ex art. 160, comma 2, l.fall. e la relazione dell’attestatore di cui all’art . 161 l.fall., quando invece tra le due relazioni non poteva ravvisarsi alcuna ragione di connessione avendo le stesse natura e funzione differenti tra loro.
1.5. Il quinto motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 111, comma 2 , l.fall. , in relazione all’art. 360, comma 1 , n.
3, c.p.c.: lamenta il professionista che, essendo le due relazioni (attestazione ex art. 161 l.fall. e relazione giurata ex art. 160, comma 2, l.fall.) sorte in funzione della procedura di concordato preventivo, la curatela avrebbe dovuto ammettere il credito in prededuzione a prescindere dal risultato legato alle relazioni stesse e alla concreta utilità per la massa.
1.6. Il sesto motivo deduce violazione dell’art. 360, comma 1 , n. 5, c.p.c. per omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti relativo ad un provvedimento del Tribunale di Brescia, che in un caso analogo aveva omologato il concordato preventivo, e all’atto di vincolo prodotto in atti.
1.7. Il settimo motivo denuncia violazione dell’art. 360, comma 1 , n. 5, c.p.c. per omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti costituito dagli atti della ricorrente e dai verbali di causa in relazione alla domanda subordinata.
2.1 Il primo, il secondo, il terzo e il quinto motivo, da esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili.
2.2. Va in primo luogo rilevato che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, il Tribunale ha accolto l’eccezione d’inadempimento sollevata dalla curatela fallimentare non già perché la prestazione professionale dallo stesso eseguita non avesse procurato, con l’omologazione della proposta di concordato preventivo, il risultato evidentemente voluto dalla società committente, poi fallita, ma perché ha ritenuto che la prestazione professionale eseguita dall’opponente non fosse stata svolta con la diligenza richiesta dall’art. 1176, comma 2, c.c.
2.3. Lo sforzo di diligenza richiesto al professionista attestatore dall’art 161 l.fall. non si limita al mero deposito dell’elaborato, come erroneamente assume il ricorrente con il primo ed il quinto motivo, ma esige che il professionista attesti «la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo» secondo parametri,
protocolli e regole tecniche funzionali ad una accurata e completa relazione asseverativa (cfr. Cass 10752/2018).
2.4. E, ben vero, l’ impugnato provvedimento, in piena consonanza con le valutazioni compiute dal giudice delegato in sede di accertamento dello stato passivo, ha verificato il grave inadempimento del professionista, nell’esecuzione dell’incarico conferitogli, agli obblighi connaturati al grado di professionalità dell’attestatore , ritenuto dal Tribunale di fondamentale rilevanza per la reiezione della domanda di ammissione al concordato preventivo.
2.5. Secondo il Tribunale, che ha recepito le argomentazioni svolte dal Giudice Delegato in sede di verifica, il Ponso, venendo meno agli specifici doveri di diligenza professionale richiesti dall’incarico ricevuti, aveva attestato la fattibilità del concordato in presenza « di una incertezza assoluta sullo sviluppo della liquidazione » e, nell’ambito di un piano la cui riuscita dipendeva dall’apporto di finanza esterna, aveva compiuto tale attività di asseverazione in assenza di verifiche sulla « correttezza e serietà delle valutazioni effettuate dal proponente circa la solvibilità del terzo medesimo » , non rappresentando ai creditori che « mancando un impegno vincolante da parte del terzo, il liquidatore non avrebbe potuto agire per ottenere l’adempimento ».
In tale cornice, l’affermazione del Tribunale per cui l’opponente, a fronte dell’eccezione di inadempimento sollevata dalla curatela, non ha fornito la prova di avere esattamente adempiuto alla propria obbligazione, fornendo una prestazione conforme ai requisiti di legge, con la diligenza dovuta ex art. 1176, comma 2, c.c., appare ineccepibile, ponendosi nel solco del consolidato insegnamento nomofilattico in base al quale il debitore convenuto per l’adempimento che si avvalga, come nel caso in esame, dell’eccezione di inadempimento o di inesatto adempimento, ex art. 1460 c.c., si può limitare ad allegare l’inadempimento o inesatto
adempimento, mentre è il creditore attore a dover dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento (Cass. Sez. U. n. 13533/2001).
2.6. Ciò premesso, non colgono nel segno i rilievi, contenuti nel primo motivo, per non avere il Tribunale individuato profili di colpa grave ascrivibili al professionista.
2.7. L’eccezione d’inadempimento non è subordinata alla presenza degli stessi presupposti richiesti per la risoluzione del contratto, in quanto la gravità (e, a fortiori , la dannosità) dell’inadempimento è un requisito specificamente previsto dalla legge per la risoluzione dello stesso (e per l’azione di risarcimento dei danni conseguentemente arrecati) e trova ragione nella radicale definitività di tale rimedio, e cioè lo scioglimento del rapporto contrattuale, mentre l’eccezione d’inadempimento, che può essere dedotta anche in caso di adempimento solo inesatto, si limita a consentire alla parte che la solleva il legittimo rifiuto di adempiere in favore dell’altro contraente che già non ha adempiuto (o ha adempiuto inesattamente) la propria obbligazione (cfr. Cass. n. 12719/2021).
2.8. Per il resto le censure, dedotte sotto il vizio di violazione di legge, lungi dal prospettare un error in iudicando , si risolvono, nella sostanza, in una critica dell’accertamento e dell’apprezzamento del giudice del merito in ordine alla quaestio facti delle condotte antidoverose serbate dal professionista (cfr. Cass.6035/ 2018).
3.1. Il quarto motivo è inammissibile.
3.2. L a questione del collegamento che l’opposto provvedimento avrebbe ravvisato tra l’attestazione ex art. 161 l.fall. e la relazione giurata di cui all’art 160 l.fall. è mal posta e non è calibrata con la ratio decidendi .
Il Tribunale si è, infatti, limitato a prendere atto che l’errore addebitabile al professionista nella redazione dell’attestazione del piano, avendo precluso al cliente la possibilità di accedere alla procedura concordataria, aveva reso del tutto inutile la relazione
giurata finalizzata al pagamento in percentuale dei creditori privilegiati, essendo tale prestazione totalmente improduttiva di effetti in favore del cliente-committente.
4.1. Il sesto e settimo motivo, da scrutinarsi congiuntamente stante la loro intima connessione, sono, all’evidenza, inammissibili.
4.2. Questa Corte ha ripetutamente affermato il principio secondo il quale l’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. (come riformulato dall’art. 54 del dec. leg. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012) introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (cfr. Cass. 14802/2017; Cass. 26305/2018).
4.3. Le censure, ancora una volta, lungi dal dedurre fatti storici il cui esame è stato omesso dal Tribunale, si traducono in una non consentita richiesta di rivalutazione delle conclusioni cui il giudice è pervenuto nel determinare la natura e l’efficacia dell’atto ex art. 2645 ter c.c.
In conclusione, il ricorso è inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte così provvede:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese presente giudizio che liquida in € 6.500, per compensi, oltre € 200 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.