Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 52 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 52 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 02/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 4838-2021 r.g. proposto da:
Dott. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO. NOME COGNOME del foro di Verona, dall’AVV_NOTAIO. NOME COGNOME e dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (c.f. CODICE_FISCALE) con sede in INDIRIZZO INDIRIZZO, in persona dei Curatori AVV_NOTAIO NOME COGNOME e AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso dal l’AVV_NOTAIO del Foro di Verona -controricorrente – avverso il decreto del Tribunale di Verona, n. 101/2021 del 7 gennaio 2021, reso nel giudizio con RG n. 4624/2019, comunicato il 7 gennaio 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/11/2023 dal AVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE
1.NOME COGNOME chiedeva di essere ammesso al passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione per l’importo di euro 60.000, in privilegio, ex art. 2751bis n. 2 c.c., a titolo di corrispettivo per l’attività di attestatore nella procedura di concordato presentata dalla società, attività svolta a seguito di conferimento dell’incarico in data 19.9.2016, con pattuizione di un corrispettivo di euro 75.000,00, di cui euro 15.000,00 già versati.
Con provvedimento datato 3.4.2017 il g.d. aveva rilevato alcune criticità connesse alla qualificazione del concordato (liquidatorio ovvero in continuità), evidenziando più in particolare che il piano sarebbe stato meglio qualificabile come liquidatorio e che, in tal caso, non sembrava poter essere assicurata ai creditori la percentuale minima di soddisfazione del 20%, in ragione della genericità della perizia di valutazione degli immobili.
A seguito dei predetti rilievi, anche avanzati dal commissario, la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, con memoria datata 19.4.2017, aveva sostenuto che il piano dovesse invece essere considerato come in continuità e, sulla scorta di una nuova valorizzazione del compendio immobiliare, operata dagli arch. COGNOME e COGNOME, apprezzava il predetto valore in euro 3.908.275, tale, cioè, da rendere la provvista proveniente dalla dismissione dei beni non strumentali di importo inferiore a quella che sarebbe derivata dalla prosecuzione indiretta dell’attività di impresa. Tale nuovo valore del compendio immobiliare era stato, poi, ritenuto corretto ed attestato dal COGNOME, con l ‘attestazione ‘integrativa’ del 18.4.2017 .
Con provvedimento datato 5 maggio 2017 il Tribunale rilevava l’inattendibilità prima facie della perizia di stima degli immobili e dell’attestazione del AVV_NOTAIO COGNOME, in ragione -per un verso -della ingentissima variazione del valore di mercato attribuito dai periti al compendio immobiliare, senza dar conto delle ragioni dell’erroneità della precedente maggior valutazione e -per altro verso -de ll’apodittica condivisione anche di tale nuovo valore da parte del COGNOME, senza in alcun
modo prendere posizione ed argomentare in ordine alle ragioni della palese diversità delle stime, a distanza di pochi mesi l’una dall’altra.
Il Tribunale fissava dunque udienza ex art. 162 l. fall, prodromica alla possibile declaratoria di inammissibilità del concordato, e in data 19.7.2017 la società debitrice, prima della celebrazione della già menzionata udienza, rinunciava alla domanda di concordato ed il Tribunale, con provvedimento del 20.7.2017, dichiarava l ‘ estinzione del procedimento. Successivamente il fallimento della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione veniva dichiarato dal Tribunale in data 23.5.2018, su istanza di alcuni lavoratori.
6. Il g.d., decidendo dunque sulla domanda di ammissione al passivo avanzata dal COGNOME per il reclamato credito professionale, respingeva integralmente la predetta domanda, sul presupposto che, come eccepito dalla curatela, il professionista si fosse reso inadempiente rispetto al corretto svolgimento dell’incarico professionale conferito, per le ragioni di cui alla già intervenuta contestazione stragiudiziale inviata al COGNOME in data 12.12.2018, con la quale era stato contestato a quest’ultimo di: (i) aver apoditticamente attestato la fattibilità del piano concordatario -che il Tribunale di Verona aveva al contrario giudicato prima facie inattendibile e inidoneo a giustificare l’ammissione della società al concordato limitandosi a recepire le perizie di stima relative ai beni da liquidare, predisposte dagli stimatori; (ii) per il caso di qualificazione del piano come in continuità, di non aver dato adeguatamente conto del piano dei costi e dei ricavi nel periodo di concessione dell’azienda in affitto, prima della sua cessione al terzo, soggetto che ne aveva proposto l’acquisto.
Proposta opposizione da parte di NOME COGNOME allo stato passivo ex art. 98 l. fall., il Tribunale di Verona, con il provvedimento qui avversato con ricorso per cassazione, ha rigettato, nella resistenza della curatela fallimentare, la proposta opposizione, confermando integralmente il provvedimento impugnato.
7.1 Il Tribunale ha rilevato che: (a) il COGNOME, contravvenendo al proprio dovere di svolgere una verifica oggettiva, imparziale e adeguatamente argomentata, aveva reso un ‘ attestazione del tutto inattendibile, non essendo possibile condividere una duplice valutazione degli immobili così divergente a
distanza di poco tempo, al solo ed evidente scopo di attestare come veritieri dati coerenti con la qualificazione del concordato come in continuità, a seguito dei rilievi del Tribunale; (b ) i dati economici dell’impresa che intenda accedere ad una soluzione concordata della propria crisi, quali verificati in un determinato momento storico, non possono variare a seconda della tipologia di concordato che l’imprenditore intende proporre; ( c) al fine della più corretta valutazione dei dati economici aziendali, compresi quelli relativi all’apprezzamento della consistenza patrimoniale dell’impresa, l’attestatore, nel caso in cui sia privo delle competenze per poter operare in proprio la valutazione dei cespiti, ben potrà senz’altro ricorrere alla stima di terzi soggetti dotati delle necessarie competenze, ma la valutazione operata da quest’ultimi dovrà essere comunque oggetto di autonoma verifica da parte dello stesso attestatore, il quale dovrà sottoporre ad analisi critica i criteri di stima seguiti dallo stimatore, operando anche in via autonoma delle verifiche di riscontro circa l’attendibilità del criterio di stima prescelto e, dunque, dei risultati a cui sia giunto lo stimatore; (d) nel caso di specie, l ‘ inadeguatezza dell’attività dell’attestatore era assolutamente macroscopica, posto che il professionista, sia nella prima che nella seconda relazione, dopo aver dato atto di non essere dotato delle competenze per operare in via autonoma la stima del valore degli immobili, si era limitato a far propria in modo del tutto apodittico quella operata dai periti incaricati dal debitore, senza neppure illustrare i criteri di stima seguiti da questi ultimi e senza effettuare in proprio alcuna verifica di riscontro circa la correttezza di quelle valutazioni; (e) a fronte della divergenza di apprezzamenti del valore degli immobili operati, da un lato, dai periti del debitore e, dall’altro, degli organi della procedura, l’attestatore, per poter correttamente assolvere al proprio compito, avrebbe dovuto provvedere, a maggior ragione, a verifiche autonome, sino al punto di dover pretendere -stante l’importanza del valore economico in esame l ‘esecuzione di una nuova perizia con un perito di propri a fiducia, essendo divenuta a quel punto del tutto palese la inadeguatezza e inattendibilità dell’attività peritale svolta dai periti incaricati dal debitore , senza dunque addivenire all’abbattimento del valore immobiliare, utilizzato invece strumentalmente per far qualificare il concordato come in continuità
aziendale, con conseguenziale superamento del requisito del 20% di soddisfazione dei chirografari altrimenti richiesto per il concordato liquidatorio; (f) a seguito della seconda perizia di stima, era addirittura emerso che, nella prima perizia, gli arch. COGNOME e COGNOME avevano computato tra i beni di proprietà della RAGIONE_SOCIALE anche un immobile oggetto, invece, di un contratto di leasing e che neppure tale errore era stato rilevato dal COGNOME, con la conseguenza che risultava effettivamente fondata la eccezione di inadempimento del contratto di mandato professionale.
Il decreto, pubblicato il 7.1.2021, è stato impugnato da NOME COGNOME con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui il RAGIONE_SOCIALE liquidazione ha resistito con controricorso. Il RAGIONE_SOCIALE controricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo il ricorrente lamenta il vizio di ‘omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione (la relazione dell’attestatore, doc. 3, oggetto di censura nel decreto impugnato) nella parte in cui il decreto impugnato esclude che l’attestatore abbia verificato l’effettiva proprietà in ca po al debitore concordatario dei beni immobili oggetto del piano (art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., in relazione all’attestazione giudicata inattendibile)’.
1.1 Il motivo così articolato è inammissibile.
1.1.1 Il ricorrente deduce che il Tribunale avrebbe omesso l’esame di un fatto storico incontroverso e discusso tra le parti: il fatto storico sarebbe costituito dal fatto che, diversamente da quanto affermato nel decreto impugnato, si sarebbe ben avveduto della circostanza che un immobile della RAGIONE_SOCIALE non era di proprietà della società ma era stato condotto in leasing.
La obiezione così sollevata risulta tuttavia inammissibile, in ragione della sua genericità di formulazione e per difetto del necessario requisito di autosufficienza.
Osserva il Collegio che -affinché il motivo fondato sull’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. possa ritenersi correttamente dedotto innanzi al giudice di legittimità, occorre che, in virtù del principio di autosufficienza, il ricorrente
indichi puntualmente ove sarebbe stato allegato e dedotto, nell ‘incarto processuale, il fatto storico omesso (Cass. Sez. Un. n. 8053/2014).
Orbene, nel caso in esame, la denunciata omissione da parte del Tribunale sarebbe consistita nell’aver affermato che l’attestatore non si era accorto che un bene immobile indicato nel piano non era di proprietà della società debitrice, mentre al contrario -per quanto asserito dal ricorrente -nel documento di attestazione tale dato era stato correttamente indicato.
Ne consegue che per rendere ammissibile ed eventualmente anche fondato tale motivo di doglianza, il ricorrente avrebbe dovuto riportare fedelmente il contenuto del predetto documento (attestazione del professionista), in modo da consentire, con immediatezza, a questa Corte di legittimità di rilevare la denunciata omissione da parte del Tribunale.
Tale omissione, denunciabile ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. , sarebbe estraibile -secondo il ragionamento del ricorrente -seguendo un ragionamento induttivo, laddove il ricorrente postula che il minor valore al bene immobile indicato nella relazione di attestazione rispetto al maggior valore indicato nella perizia tecnica di stima si giustificherebbe solo con il fatto che l’a ttestatore aveva percepito e dunque anche rilevato che una parte della consistenza immobiliare della società proponente il concordato non era di proprietà di quest’ultima.
Così ‘ricostruito’ il motivo di doglianza in esame non rientra, con tutta evidenza, nel paradigma applicativo del vizio declinato normativamente dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., che, per come perimetrato dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. un. n. 8053/2014, cit. supra ), richiede che il giudicante abbia omesso l’esame di un ‘fatto storico’, oggetto di discussione tra le parti e decisivo per la definizione della controversia, senza che vengano in rilievo in tal senso le omissioni riguard anti l’omesso esame di singoli elementi probatori sui quali invece i giudici del merito esercitano il loro insindacabile scrutinio di selezione e di apprezzamento della prova, se congruamente motivato.
Nel caso di specie, il ricorrente pretenderebbe proprio una diversa lettura del contenuto del documento (attestazione del professionista della veridicità dei dati aziendali e di fattibilità del piano), il cui contenuto dovrebbe essere
scrutinato tramite un diverso ragionamento induttivo da parte di questa Corte di legittimità per inferirne l’assenza del contestato inadempimento al contratto di mandato professionale da parte del commercialista attestatore. Si tratta, con tutta evidenza, di un una rivalutazione della quaestio facti , peraltro articolata in modo generico e, per quanto detto sopra, non autosufficiente.
Il secondo mezzo denuncia inoltre il vizio di motivazione assente ovvero meramente apparente, che emergerebbe ‘laddove nel decreto impugnato si indicano carenze nelle perizie di stima (doc. 13 e doc. 16) e nelle attestazioni (doc. 3 e doc. 7), considerando ciascuno dei due documenti (ciascuna perizia e ciascuna attestazione) in modo atomistico senza dar conto, invece, che nel procedimento concordatario è stata effettuata una perizia e una sua successiva integrazione e l’attestazione e la sua successiva integrazione, di modo che le eventuali carenze della prima (perizia e/o attestazione) (sarebbero) state sanate dalla rispettiva integrazione (di perizia e di attestazione)’.
Il ricorrente lamenta, cioè, che il Tribunale avrebbe omesso la motivazione in ordine al fatto che le due perizie e le due attestazioni dovessero essere esaminate ed apprezzate unitariamente e non già atomisticamente.
La doglianza, così articolata, è inammissibile perché, da un lato, non corrisponde affatto a verità che il decreto impugnato non sia corredato di una adeguata e comprensibile motivazione e perché, dall’altro, la censura è ancora una volta diretta a far ripetere in questo giudizio di legittimità un nuovo apprezzamento in fatto, in ordine al profilo della correttezza adempitiva del professionista alle obbligazioni discendenti dall’incarico professionale sopra descritto.
Sul punto giova ricordare che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture
(Cass. Sez. U., Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; N. 8053 del 2014; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019).
Orbene, il Tribunale ha affermato, nel decreto qui impugnato, che vi era stata una macroscopica negligenza nell’adempimento del professionista attestatore perché (i) lo stesso aveva redatto le sue relazioni senza andare a sindacare le relazioni dei periti sui valori immobiliari; (ii) aveva cambiato i valori dei beni immobili per rendere ammissibile la proposta concordataria in continuità aziendale; (iii) aveva errato nella prima attestazione a non rilevare che una parte del compendio immobiliare non apparteneva alla società proponente, ma ad altra società concedente sullo stesso bene un leasing immobiliare, la RAGIONE_SOCIALE.
Come è dato riscontrare, la motivazione -sulla quale si fonda il decreto impugnata -è ampia, articolata e visibilmente argomentata. Il ricorrente pretenderebbe ora di far affermare a questa Corte che la motivazione sarebbe ‘sbagliata’ perché avrebbe dovuto apprezzare le sopra richiamate relazioni unitariamente.
Ma così formulato il motivo risulta palesemente inammissibile perché, a dispetto della rubrica sotto la cui egida applicativa sono state formulate le relative doglianze, non si lamenta in realtà un ‘ omessa motivazione, ma una motivazione sbagliata ovverosia errata in fatto, motivo non censurabile ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c. né tanto meno in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., per come da ultimo novellato (cfr. ex plurimis , Cass. n. 16692/2019; Cass. 30578/2019)
A ciò va anche aggiunto che, diversamente da quanto opinato dal ricorrente nel motivo, il Tribunale ha comunque esaminato entrambe le perizie di stima degli immobili e le attestazioni (cfr. pag. 9-10 del decreto impugnato) laddove ha consapevolmente esaminato i due elaborati tecnici e l’integrazione dell’attestazione originaria, facendo discendere dall’esame ‘integrato’ di tali documenti proprio un’ulteriore ragione fondante l’accertato inadempimento dell’attestatore al corretto adempimento dei suoi obbligh i contrattuali.
3. Il terzo mezzo è così rubricato ed esposto: ‘Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c.) laddove, nel decreto impugnato, pur dandosi atto che vi sono valori economici non oggettivi del
patrimonio da verificare (che abbisognano quindi di stima), giunge alla errata conclusione che due (o più) stime diverse degli stessi beni, pur in breve arco temporale, implichino che solo una sia vera e le altre false e quindi tutte inattendibili, non facendo corretto uso della massima di esperienza che richiede che il corretto confronto tra stime impone anche l’esame delle assunzioni di partenza che descrivono il criterio e la valorizzazione del bene e, sotto altro profilo, in ogni caso motivazione assente o meramente apparente (art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c.) perché, in presenza di stime diverse degli stessi immobili, ha ritenuto senz’altra motivazione ed approfondimento inattendibili quelle fatte propr ie dall’attestatore’.
3.1 Anche il terzo motivo -che si compone di due distinte doglianze -è in realtà inammissibile.
3.1.1 La prima parte che richiama sotto l’egida applicativa del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – la violazione o falsa applicazione di norme di diritto è inammissibile perché addirittura mancante della indicazione delle norme ovvero dei precetti normativi di cui si assume la violazione ovvero l ‘ errata applicazione nel decreto impugnato.
Sul punto, giova ricordare che quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (cfr. anche: Sez. L, Ordinanza n. 17570 del 21/08/2020 ; Sez. U., Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Ma anche se si volesse ritenere che la violazione denunciata dal ricorrente si concretizzava nella mancata applicazione del principio (ovvero della ‘massima di esperienza’, secondo il sintagma più volte utilizzato dal ricorrente), secondo il quale le stime devono essere considerate, al fondo, solo valutazioni, che le valutazioni erano state comunque argomentate e che
la diversità dei valori aveva una spiegazione -il diverso contesto di liquidazione -diversa da quella apprezzata dal Tribunale, comunque le doglianze dovrebbero ritenersi inammissibili perché decentrate rispetto alla reale ratio decidendi del provvedimento impugnato; esso, sul punto qui in discussione, si fondava sull’accertata negligenza del ricorrente determinata dall’assoluta inattendibilità di entramb e le attestazioni formulate dal professionista incaricato, il quale – secondo il pensiero del Tribunale – aveva ‘ piegato ‘ le sue valutazioni e dunque anche le sue necessarie attestazioni accertative alle necessità della società debitrice, una volta, per accreditare un valore del compendio immobiliare che, in una ottica liquidatoria, fosse idonea a superare la soglia di ammissibilità del concordato del 20% di soddisfazione dei chirografari e, la seconda volta, per svalutare tale compendio al fine di rendere qualificabile la proposta concordataria come in continuità aziendale (per la valutazione di una soddisfazione maggioritaria degli interessi creditori tramite i flussi determinati dalla continuità indiretta), proprio al fine di superare il sopra riferito requisito di ammissibilità del concordato liquidatorio. Ma ciò che il Tribunale di Verona, nel decreto qui impugnato, ha voluto affermare -peraltro, correttamente -è che l’attestazione di veridicità dei dati aziendali, sottesi alla verifica di fattibilità del piano -non può arbitrariamente mutare, a seconda della tipologia di concordato presentato e comunque a seconda della fase della procedura concordataria in cui la stessa viene eseguita, e cioè, se effettuata al momento della presentazione del piano o della proposta ovvero, in seguito, dopo le osservazioni critiche mosse dal Tribunale a i sensi dell’art. 162 l. fall.
Del resto non va neanche dimenticato che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte di legittimità, in tema di concordato preventivo, anche nella vigenza della nuova disciplina di cui al d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, tra le condizioni richieste per l’ammissibilità del concordato rientra, ai sensi dell’art. 162, comma 2, l.fall., anche la veridicità dei dati aziendali esposti nei documenti prodotti unitamente al ricorso, sicché, quando nel corso della procedura emerge che siffatta condizione mancava al momento del deposito della proposta, il tribunale può revocare ex art. 173, comma 3, l.fall. l’ammissione al
concordato, restando irrilevante la nuova attestazione di veridicità dei suddetti dati resa dal professionista designato dal proponente (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7975 del 28/03/2017).
Ma se questa da ultimo ricordata era la ratio decidendi del provvedimento impugnato, allora le censure proposte dal ricorrente (e sopra ricordate) risultano formulate in modo irrimediabilmente inammissibile perché non centrate sulla reale ragione decisoria del provvedimento impugnato.
3.1.2 Anche la seconda parte del motivo -per la verità, di difficile comprensione -è inammissibile.
Si denuncia infatti da parte del ricorrente che il Tribunale avrebbe omesso qualsiasi motivazione per comprendere il percorso logico che lo aveva determinato a ritenere inattendibili le stime dimesse nel procedimento concordatario, redatte dagli arch. COGNOME e COGNOME.
Le censure, infatti, da un lato, non comprendono l ‘ effettiva ratio decidendi del provvedimento impugnato che si fonda, per quanto qui in rilievo, sulla negligenza del COGNOME in relazione all ‘ intervenuta attestazione di veridicità dei dati aziendali diversi tra loro, senza un plausibile corredo argomentativo,
e dall’altro, si scontrano, per quanto concerne il denunciato vizio di motivazione apparente, con quanto già sopra rilevato in ordine alla descrizione delle argomentazioni poste a sostegno del decreto.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 21 novembre 2023