Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5934 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5934 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
R.G.N. 3541/18
C.C. 22/2/2024
Appalto -Responsabilità appaltatore -Risarcimento danni
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 3541NUMERO_DOCUMENTO) proposto da: COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), quale titolare dell’omonima impresa edile, rappresentato e difeso, giusta procura a margine del ricorso, dall’AVV_NOTAIO, nel cui studio in Roma, INDIRIZZO, ha eletto domicilio;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa, giusta procura a margine dell’atto di appello, dall’AVV_NOTAIO, nel cui studio in Torino, INDIRIZZO, ha eletto domicilio;
-controricorrente –
e
SETTINERI NOME NOMEC.F.: CODICE_FISCALE);
-intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina n. 19/2017, pubblicata il 18 gennaio 2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22 febbraio 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse del ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 13 aprile 1994, COGNOME NOME conveniva, davanti al Tribunale di Messina, COGNOME NOME, quale titolare dell’omonima impresa edile, e COGNOME NOME, al fine di accertare le loro responsabilità, rispettivamente in qualità di appaltatore e di progettista e direttore dei lavori, e al fine di ottenerne la conseguente condanna al risarcimento dei danni per la somma di vecchie lire 150.000.000, oltre a vecchie lire 60.000.000, o di quelle maggiori o minori ritenute di giustizia, per gli errori progettuali commessi e per la conseguente esecuzione dei lavori di cui al contratto d’appalto stipulato il 24 ottobre 1990, aventi ad oggetto la demolizione di un fabbricato di proprietà della committente e la successiva costruzione sull’area di risulta di altro fabbricato per civile abitazione, in esecuzione del progetto redatto dal COGNOME.
In particolare, l’attrice imputava al progettista e direttore dei lavori il mancato studio della parte progettuale relativa alla demolizione, con i conseguenti danni derivati alla proprietà contigua del germano COGNOME NOME, l’errata progettazione della scala del nuovo fabbricato, con la conseguente inidoneità del
sottopassaggio, la mancata redazione della relazione sulle strutture in cemento armato e le omesse verifiche di resistenza del calcestruzzo, la mancata effettuazione dei controlli durante l’esecuzione dei lavori, con specifico riferimento alla posizione dei ferri di armatura delle aste di struttura; mentre all’impresa appaltatrice era imputato di non avere rispettato il contratto di appalto e di non aver rilevato i gravi difetti dell’opera progettata in corso di esecuzione.
Si costituiva in giudizio COGNOME NOME, il quale contestava la fondatezza delle domande spiegate e proponeva domande riconvenzionali, con le quali chiedeva la condanna dell’appaltante al pagamento dei lavori eseguiti, nella misura di vecchie lire 85.000.000, e al risarcimento dei danni ammontanti a vecchie lire 100.000.000.
Si costituiva altresì in giudizio COGNOME NOME, il quale si opponeva all’accoglimento delle domande di parte attrice, eccependo che la mancata demolizione manuale del corpo del fabbricato di proprietà della committente era a conoscenza di quest’ultima, in ragione dell’enorme lievitazione dei prezzi che tale modalità di demolizione avrebbe comportato, e che comunque il danno arrecato al germano COGNOME NOME, quale proprietario del contiguo corpo del fabbricato, ammontava alla esigua misura di vecchie lire 1.100.000.
Nel corso del giudizio erano assunte le prove orali ammesse ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 1095/2006, depositata il 7 giugno 2006, rigettava le domande principali proposte da parte attrice e accoglieva la domanda riconvenzionale
proposta dalla ditta appaltatrice convenuta, condannando l’appaltante al pagamento del compenso residuo dovuto nella misura di euro 33.569,698.
2. -Con atto di citazione notificato il 9 marzo 2007, proponeva appello avverso la sentenza di primo grado COGNOME NOME, la quale lamentava: 1) l’erroneo disconoscimento dei vizi e delle difformità denunciati, anche in ordine alla demolizione effettuata, con la omessa quantificazione dei relativi danni, comprendenti anche il fermo cantiere e le spese da sostenere per l’eliminazione di tali vizi; 2) l’erronea negazione dell’esistenza di errori progettuali, di direzione dei lavori e di esecuzione; 3) la mancata rilevazione della non corretta esecuzione delle opere realizzate dall’impresa appaltatrice, con i conseguenti danni provocati, il cui ammontare avrebbe dovuto costituire oggetto di compensazione con la pretesa dell’appaltatore.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione COGNOME NOME, il quale concludeva per il rigetto del gravame e, in via incidentale, chiedeva che la sentenza appellata fosse riformata nella parte in cui non aveva riconosciuto il risarcimento dei danni in favore dell’appaltatore.
Si costituiva altresì nel giudizio d’appello COGNOME NOME, il quale chiedeva che l’appello spiegato fosse respinto.
Nel corso del giudizio d’appello era espletata una nuova consulenza tecnica d’ufficio.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Messina, con la sentenza di cui in epigrafe: A) accoglieva per quanto di ragione l’appello principale spiegato e, per l’effetto, in parziale riforma della pronuncia impugnata, dichiarava la
responsabilità contrattuale della ditta appaltatrice, accertava che il danno provocato dal suo inadempimento ammontava a complessivi euro 33.288,00 e, all’esito della compensazione con il credito vantato dall’appaltatore a titolo di compenso residuo, dichiarava che tra le parti non sussisteva alcun residuo rapporto di credito e debito reciproco; B) rigettava l’appello incidentale proposto dall’appaltatore; C) dichiarava altresì la responsabilità contrattuale del progettista e direttore dei lavori per vizi progettuali ed omissioni e, per l’effetto, condannava il medesimo a corrispondere, in favore della committente, la somma di euro 8.000,00, oltre interessi legali dalla sentenza al soddisfo.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che, con la domanda introduttiva del giudizio di primo grado, la committente si era limitata a chiedere il risarcimento dei danni causati dall’appaltatore e dal progettista e direttore dei lavori per carenze progettuali e gravi difetti costruttivi che si erano manifestati sin dall’avvio dei lavori di demolizione del vecchio fabbricato, ivi compresi i danni morali da ritardo nel completamento delle opere, oltre che da mancato utilizzo dell’immobile; b ) che, benché fosse stata la stessa committente ad avallare l’impiego dei mezzi meccanici per l’esecuzione delle opere di demolizione, all’esito del rifiuto dell’esborso della somma proposta per la demolizione manuale, ciò non implicava che l’impresa appaltatrice fosse abilitata a demolire in modo indiscriminato la porzione di fabbricato del germano della committente, né che essa potesse ritenersi liberata dall’obbligo di adottare tutte le misure idonee a scongiurare i danni, trattandosi di obbligazione certamente
esigibile a cura dell’appaltatore, che per mestiere e per obbligo contrattuale -era tenuto ad eseguire l’opera a regola d’arte ed esente da difetti e vizi; c ) che il nuovo consulente tecnico d’ufficio nominato aveva accertato che il progetto esecutivo delle opere in cemento armato presentava un difetto relativamente al vano scala, per la ridotta altezza del varco di accesso, difetto indipendente dall’esistenza del massetto di calcestruzzo sotto la trave di fondazione; d ) che, invece, quanto alla dedotta omessa relazione delle opere in cemento armato e all’omessa verifica di dosaggio del calcestruzzo, l’ausiliario del giudice aveva escluso che fosse stata integrata una responsabilità del direttore dei lavori, poiché le strutture non erano state mai completate -mancando due porzioni di pensilina sul prospetto principale e due porzioni di sbalzo verso il limitrofo fabbricato -, né collaudate; e ) che, con riferimento al lamentato erroneo posizionamento dei ferri di armatura, il consulente d’ufficio aveva veri ficato che alcuni elementi strutturali presentavano l’armatura a vista e priva del copriferro ed aveva rilevato, sul punto, che il fenomeno era dovuto all’ossidazione dell’armatura e al conseguente distacco del copriferro, in ragione dell’azione del tempo, mentre per l’intradosso della trave emergente, per circa mq. 30, per l’intradosso delle travi a spessore dei solai, per circa mq. 10, e per l’intradosso della rampa della scala, per circa mq. 4, era stato accertato che la ditta non aveva posizionato il copriferro di calcestruzzo sulla superficie dell’armatura, così integrando un vizio costruttivo; f ) che, in ordine alla lamentata inesistenza del giunto di oscillazione e alla dedotta mancata osservanza delle prescrizioni antisismiche, le indagini peritali avevano acclarato il
rispetto di ogni prescrizione antisismica all’epoca vigente, con tutte le necessarie approvazioni del progetto; g ) che, relativamente alla monetizzazione dei vizi riscontrati, il consulente d’ufficio aveva quantificato in euro 5.720,00 le opere di ripristino per il risanamento strutturale dei ferri di armatura non coperti con il calcestruzzo; h ) che, invece, la somma sborsata dall’appaltante per mettere in sicurezza il fabbricato del fratello ammontava ad euro 568,00 mentre il danno da sospensione delle opere imputabile a colpa dell’impresa, per i 9 mesi di fermo cantiere, doveva essere quantificato, in via equitativa, in euro 7.000,00, avendo riguardo al dato testuale della previsione di una penale giornaliera di vecchie lire 50.000, e -in ultimo -la somma necessaria al completamento dei lavori doveva essere stabilita, sempre in via equitativa, nell’importo di euro 20.000,00; i ) che il danno conseguente al difetto progettuale del vano scala, ascrivibile al direttore dei lavori, doveva essere determinato nella misura di euro 5.000,00, sempre in via equitativa, avuto riguardo alla somma indicata dalla committente per eliminare il dislivello nel varco di accesso, ed infine il nocumento subito dall’appaltante per la condotta irresponsabile del direttore dei lavori doveva essere quantificato in euro 3.000,00; l ) che, pertanto, il danno totale subito per effetto della condotta riconducibile all’impresa assuntrice ammontava ad euro 33.288,00, somma che doveva essere compensata con le spettanze residue dovute per la parte di opera eseguita di euro 33.696,68, sicché i due importi sostanzialmente si elidevano, mentre il danno ascrivibile al progettista e direttore dei lavori era pari ad euro 8.000,00.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, COGNOME NOME.
Ha resistito con controricorso COGNOME NOME.
È rimasto intimato COGNOME NOME.
-Il ricorrente ha presentato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Anzitutto, deve essere dichiarata l’inammissibilità del controricorso per difetto di ius postulandi .
Infatti, l’intimata COGNOME NOME si è costituita nel giudizio di legittimità con il difensore indicato, in forza di procura speciale a margine dell’atto di appello.
Ora, il ricorso per cassazione proposto sulla base della procura rilasciata dal ricorrente al proprio difensore nell’atto d’appello e, allo stesso modo, il controricorso, alla stregua del combinato disposto degli artt. 365 e 370, secondo comma, c.p.c. -è inammissibile, per difetto della prescritta procura speciale, essendo quest’ultima inidonea allo scopo se conferita con atto separato in data anteriore alla pubblicazione della sentenza da impugnare e, pertanto, senza lo specifico riferimento al giudizio di legittimità (Cass. Sez. 6-5, Ordinanza n. 938 del 13/01/2023; Sez. 6-3, Ordinanza n. 13263 del 01/07/2020; Sez. 3, Sentenza n. 23501 del 17/12/2004; Sez. 3, Sentenza n. 7181 del 12/05/2003; Sez. L, Sentenza n. 4710 del 23/07/1986).
-Tanto premesso, con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453, 1665, 1667, 1669 e 2935 c.c. nonché degli artt. 112 e 113 c.p.c., per avere la
Corte di merito pronunciato ultrapetita , non avendo la committente richiesto, con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, la risoluzione del contratto d’appalto del 24 ottobre 1990, né l’eliminazione dei vizi o la diminuzione del prezzo.
Al riguardo, l’istante obietta che l’appalto avrebbe avuto ad oggetto l’opera da realizzarsi al rustico e che, all’esito della realizzazione, l’opera stessa era stata verificata, accettata e consegnata, senza che potesse rimproverarsi il suo mancato completamento quanto alla mancata esecuzione di due porzioni di pensilina sul prospetto principale e di due porzioni di sbalzo verso il fabbricato limitrofo.
Né le modalità di demolizione del vecchio fabbricato e l’errato posizionamento dei ferri di armatura delle aste di struttura avrebbero potuto essere imputati all’appaltatrice, dovendo invece ricondursi alla errata progettazione del progettista e direttore dei lavori.
2.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, dalla comparazione dinamica tra le conclusioni rassegnate dall’attrice con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado e il dispositivo della sentenza d’appello non è dato ravvisare alcuna distonia, sicché non risulta integrato alcun vizio di extra-petizione.
Con la domanda originaria era stato chiesto il risarcimento dei danni subiti dalla committente e provocati dalle condotte rispettivamente ascritte all’appaltatrice e al progettista e direttore dei lavori. Nei limiti di tale pretesa è stata riconosciuta la sola riparazione dei pregiudizi accertati, senza alcuna statuizione ulteriore, petitum debitamente cristallizzato dalla
sentenza impugnata in apertura della disamina dei motivi della decisione.
Il richiamo all’implicita volontà di risolvere il contratto d’appalto per mutuo dissenso costituisce un mero obiter dictum , che non ha assunto alcun rilievo ai fini decisori.
Né occorreva fare riferimento alla specifica disciplina sulla garanzia per i vizi in tema di appalto.
E tanto perché la responsabilità speciale per difformità o vizi, come disciplinata dal legislatore, non è invocabile -ed è invocabile piuttosto la generale responsabilità per inadempimento contrattuale ex art. 1453 c.c. -nel caso di mancata ultimazione dei lavori, anche se l’opera, per la parte eseguita, risulti difforme o viziata, o di rifiuto della consegna o di ritardo nella consegna rispetto al termine pattuito.
In base a tale ricostruzione, nel caso in cui l’appaltatore non abbia portato a termine l’esecuzione dell’opera commissionata, restando inadempiente all’obbligazione assunta con il contratto, la disciplina applicabile nei suoi confronti è quella generale in materia di inadempimento contrattuale, mentre la speciale garanzia prevista dagli artt. 1667 e 1668 c.c. trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l’opera sia stata portata a termine, ma presenti dei difetti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 421 del 08/01/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 7041 del 09/03/2023; Sez. 2, Sentenza n. 35520 del 02/12/2022; Sez. 1, Ordinanza n. 4511 del 14/02/2019; Sez. 3, Ordinanza n. 9198 del 13/04/2018; Sez. 2, Sentenza n. 1186 del 22/01/2015; Sez. 2, Sentenza n. 13983 del 24/06/2011; Sez. 3, Sentenza n. 8103 del 06/04/2006; Sez. 2, Sentenza n. 3302 del 15/02/2006; Sez. 2, Sentenza n. 9849
del 19/06/2003; Sez. 2, Sentenza n. 9863 del 27/07/2000; Sez. 3, Sentenza n. 14239 del 17/12/1999; Sez. 2, Sentenza n. 446 del 19/01/1999; Sez. 2, Sentenza n. 10255 del 16/10/1998; Sez. 2, Sentenza n. 7364 del 09/08/1996; Sez. 2, Sentenza n. 10772 del 16/10/1995; Sez. 2, Sentenza n. 11950 del 15/12/1990; Sez. 2, Sentenza n. 49 del 11/01/1988; Sez. 2, Sentenza n. 2573 del 12/04/1983).
Nella fattispecie è stato appunto accertato il mancato completamento dell’opera allo stato rustico, quanto alla mancata esecuzione di due porzioni di pensilina sul prospetto principale e di due porzioni di sbalzo verso il fabbricato limitrofo.
3. -Con il secondo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1667, 1669 e 2043 c.c. nonché degli artt. 101, 112, 113, 115, 116 e 345 c.p.c., per avere la Corte territoriale accolto la domanda risarcitoria formulata dall’appaltante sulla scorta di fatti nuovi e diversi da quelli introdotti nel giudizio di primo grado.
E ciò con riferimento alle modalità di esecuzione della demolizione del vecchio fabbricato con mezzi meccanici anziché manualmente, all’errato posizionamento dei ferri d’armatura delle aste delle strutture, all’erronea realizzazione del vano scala, all’omessa relazione delle opere in cemento armato e alla mancata verifica del dosaggio di calcestruzzo.
Vizi che peraltro sarebbero stati ascrivibili, a monte, ad una carenza del progetto.
3.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, non si riscontrano difformità neppure sotto il profilo delle causae petendi dedotte.
L’attrice aveva imputato all’impresa appaltatrice di non avere rispettato il contratto di appalto (anche con riferimento al completamento dell’opera) e di non aver rilevato i gravi difetti dell’opera progettata in corso di esecuzione (quanto alla parte progettuale relativa alla demolizione, con i conseguenti danni derivati alla proprietà contigua del germano COGNOME NOME, all’errata progettazione della scala del nuovo fabbricato, con la conseguente inidoneità del sottopassaggio).
Ora, il risarcimento dei danni a carico della ditta appaltatrice è stato riconosciuto dalla Corte d’appello limitatamente alle seguenti voci: euro 5.720,00 per le opere di ripristino volte al risanamento strutturale dei ferri di armatura non coperti con il calcestruzzo; euro 568,00 per la messa in sicurezza del fabbricato contiguo, all’esito dei pregiudizi arrecati in fase di demolizione; euro 7.000,00 per il fermo cantiere per 9 mesi, imputabile a colpa dell’impresa; euro 20.000,00 per il completamento dei lavori del rustico, in ordine alla mancata esecuzione di due porzioni di pensilina sul prospetto principale e di due porzioni di sbalzo verso il fabbricato limitrofo.
Nessuna altra voce di nocumento è stata addebitata all’impresa.
In specie, l’errore di progettazione nella realizzazione del vano scala è stato imputato, in via esclusiva, al progettista e non all’assuntore, mentre, con riferimento all’omessa relazione delle opere in cemento armato nonché alla mancata verifica del
dosaggio di calcestruzzo, è stata negata alcuna responsabilità del progettista.
Inoltre, contrariamente all’assunto del ricorrente, l’appaltatore è tenuto al risarcimento quando, con la diligenza professionale ex art. 1176, secondo comma, c.c., si sarebbe potuto avvedere del vizio progettuale e non l’abbia fatto.
Ed invero, l’appaltatore, anche quando è chiamato a realizzare un progetto altrui, è sempre tenuto a rispettare le regole dell’arte ed è soggetto a responsabilità anche in caso di ingerenza del committente.
Tale responsabilità, con il conseguente obbligo risarcitorio, non viene meno neppure in caso di vizi imputabili ad errori di progettazione o direzione dei lavori se l’appaltatore, accortosi del vizio, non lo abbia denunziato tempestivamente al committente, manifestando formalmente il proprio dissenso, ovvero non abbia rilevato i vizi pur potendo e dovendo riconoscerli in relazione alla perizia ed alla capacità tecniche da lui esigibili nel caso concreto (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12882 del 26/06/2020; Sez. 2, Ordinanza n. 777 del 16/01/2020; Sez. 1, Ordinanza n. 23594 del 09/10/2017; Sez. 2, Sentenza n. 8016 del 21/05/2012; Sez. 3, Sentenza n. 7515 del 12/04/2005; Sez. 2, Sentenza n. 8813 del 30/05/2003; Sez. 2, Sentenza n. 8075 del 26/07/1999; Sez. 2, Sentenza n. 3520 del 23/04/1997; Sez. 2, Sentenza n. 4204 del 06/05/1987; Sez. 2, Sentenza n. 3092 del 31/03/1987).
D’altronde, in questa sede non può procedersi, come del tutto inammissibilmente invocato dal ricorrente, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito quanto all’effettiva integrazione degli inadempimenti cristallizzati, con precipuo
riferimento alla verificata scopertura con il calcestruzzo di alcuni ferri di armatura (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
4. -Con il terzo motivo il ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la violazione degli artt. 1223, 1667, 1668 e 2697 c.c. nonché la falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., in ordine alla quantificazione equitativa dei danni, e la violazione degli artt. 112, 113 e 116 c.p.c., per avere la Corte distrettuale quantificato alcune voci di danno sulla scorta del criterio equitativo.
Senonché, osserva l’istante che non sarebbe stato addebitabile all’impresa alcun deprezzamento del valore dell’opera. Né il danno al corpo del fabbricato contiguo, in sede di demolizione, sarebbe stato riconducibile all’appaltatore.
4.1. -Il motivo è infondato.
Si premette che la liquidazione in via equitativa del danno postula, in primo luogo, il concreto accertamento dell’ontologica esistenza di un pregiudizio risarcibile, il cui onere probatorio ricade sul danneggiato e non può essere assolto dimostrando semplicemente che l’inadempimento o l’illecito ha soppresso una cosa determinata, se non si provi, altresì, che essa fosse suscettibile di sfruttamento economico, e, in secondo luogo, il preventivo accertamento che l’impossibilità o l’estrema difficoltà di una stima esatta del danno stesso dipenda da fattori oggettivi e non dalla negligenza della parte danneggiata nell’allegarne e dimostrarne gli elementi dai quali desumerne l’entità (Cass. Sez.
3, Sentenza n. 9744 del 12/04/2023; Sez. 2, Sentenza n. 4310 del 22/02/2018; Sez. 6-3, Ordinanza n. 4534 del 22/02/2017; Sez. 3, Sentenza n. 127 del 08/01/2016).
Ora, la Corte d’appello ha quantificato in euro 5.720,00 il pregiudizio conseguente alla necessità di risanamento strutturale dei ferri di armatura non coperti con il calcestruzzo, sulla scorta delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e non già in via equitativa. Allo stesso modo, il danno conseguente alla demolizione è stato parametrato alla somma concretamente sborsata dall’appaltante per mettere in sicurezza il fabbricato del fratello, pari ad euro 568,00.
Solo il danno da sospensione delle opere imputabile a colpa dell’impresa, per i 9 mesi di fermo cantiere, è stato determinato in via equitativa in euro 7.000,00, avendo però riguardo al dato testuale della previsione di una penale giornaliera di vecchie lire 50.000. E così la somma necessaria al completamento dei lavori -per la mancata esecuzione di due porzioni di pensilina sul prospetto principale e di due porzioni di sbalzo verso il fabbricato limitrofo -è stata stabilita, sempre in via equitativa, nell’importo di euro 20.000,00, ‘ma tenendo conto del dato risultante dagli atti’.
Pertanto, tali importi sono stati determinati all’esito della verifica dell’ontologica ricorrenza del pregiudizio e argomentando sull’impossibilità di quantificare diversamente il loro ammontare (e attenendosi comunque ai riscontri indicati che hanno governato la liquidazione equitativa).
Nella fattispecie, dunque, la sentenza impugnata si è attenuta ai superiori precetti indicati, dando adeguatamente conto nella
motivazione della decisione dell’uso di tale facoltà e indicando il processo logico e valutativo seguito, sicché l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24070 del 13/10/2017; Sez. 1, Sentenza n. 5090 del 15/03/2016; Sez. 3, Sentenza n. 8213 del 04/04/2013).
In ultimo, quanto al rifiuto della committente della proposta economica sulla possibile demolizione manuale, il giudice d’appello ha chiarito che tale rifiuto e la conseguente esecuzione della demolizione in via meccanica non legittimavano certamente l’appaltatore a danneggiare il contiguo corpo di fabbrica, con la conseguente integrazione della sua responsabilità.
5. -Con il quarto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., della violazione e falsa applicazione degli artt. 1241 e 1460 c.c. nonché della violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., per avere la Corte del gravame proceduto all’estinzione delle reciproche poste di creditodebito della committente e dell’appaltatore, per intervenuta compensazione, senza che l’appaltante avesse mai sollevato un’eccezione di inadempimento.
5.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, il principio secondo il quale l’istituto della compensazione -postulando l’autonomia dei rapporti cui si riferiscono le contrapposte ragioni di credito delle parti -non trova applicazione nel caso in cui non sussista la predetta autonomia di rapporti, per avere origine i rispettivi crediti nell’ambito di un’ unica relazione negoziale (ancorché complessa),
non esclude la possibilità della valutazione, nell’ambito del medesimo giudizio, delle reciproche ragioni di credito e del consequenziale accertamento contabile del saldo finale delle contrapposte partite di dare-avere derivanti da un unico rapporto, valutazione che, per contro, può sempre aver luogo ed alla quale, anzi, il giudice deve procedere anche d’ufficio, trovando il detto principio applicazione, per converso, al solo fine di escludere che, a tale operazione, possano essere opposti i limiti di carattere tanto sostanziale quanto processuale stabiliti dall’ordinamento per l’operatività della compensazione stessa quale regolata, in senso tecnico-giuridico, negli artt. 1241 e ss. c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4825 del 19/02/2019; Sez. 3, Sentenza n. 16994 del 20/08/2015; Sez. 3, Sentenza n. 15796 del 06/07/2009; Sez. 2, Sentenza n. 13557 del 16/09/2003; Sez. 2, Sentenza n. 4174 del 23/04/1998).
In tal caso non è necessaria né l’eccezione di parte, né una apposita domanda riconvenzionale.
Principio, questo, affermato proprio in tema di contratto di appalto con riferimento alle pretese creditorie reciprocamente vantate da appaltante ed appaltatore (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11943 del 08/08/2002).
E ciò con riguardo alla c.d. compensazione impropria o atecnica, a condizione che il controcredito sia certo e liquido secondo la valutazione dei giudici di merito, incensurabile in sede di legittimità, come nel caso di specie.
6. -In conseguenza delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
In ragione della inammissibilità del controricorso, non vi è luogo a provvedere sulle spese e compensi di lite.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda