Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16554 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16554 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 13/06/2024
Oggetto
Responsabilità civile generale -Danni derivanti da lavori in appalto -Responsabilità dell’appaltatore
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31681/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL) e dall’AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME, in proprio e quale erede di COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo
studio dell’AVV_NOTAIO ;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona, n. 1062/2021 depositata in data 23 settembre 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 giugno 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Ancona ha confermato la decisione di primo grado che -in accoglimento della domanda risarcitoria proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, per i danni subìti da terreno di loro proprietà in Amandola, a causa del movimento franoso innescato dai lavori di rifacimento della rete fognaria comunale effettuati dalla società convenuta -aveva condannato quest’ultima all’immediato ripristino dello stato dei luoghi ed alla loro messa in sicurezza come indicato nella consulenza tecnica d’ufficio espletata nell’ambito del pregresso procedimento di a.t.p., oltre che alla refusione in favore delle attrici delle spese di lite.
Sulla scorta degli accertamenti operati in sede di a.t.p., della c.t.u. integrativa svolta nel primo grado di giudizio e dei chiarimenti successivamente offerti dall’ausiliario, ha osservato la Corte che doveva ritenersi accertato che:
« … nell’area in questione prima dell’intervento della RAGIONE_SOCIALE non si erano mai verificati eventi franosi … »;
« i lavori eseguiti sul luogo dalla RAGIONE_SOCIALE costituiscono l’innesco dell’evento franoso, tenuto conto dei rimaneggiamenti di parte della scarpata, del ciglio stradale, del cordolo di delimitazione presente sul tratto iniziale a seguito dei lavori di sistemazione e rifacimento dei pozzetti e della condotta fognaria », cui andava a sommarsi, quale causa principale del verificatosi smottamento, « … la mancata regimentazione delle acque meteoriche della strada sovrastante, che
hanno prodotto infiltrazioni, anche profonde, sul terreno della ricorrente, modificando l’equilibrio idrico e statico della scarpata in questione. Tutto ciò a seguito di lavori di rifacimento delle reti fognarie, (quelle eseguite in loco dalla RAGIONE_SOCIALE n.d.r.) precedute dalla demolizione della pavimentazione stradale esistente sulla strada a monte, adiacente il frustolo di terreno della ricorrente »;
« … non è possibile attribuire la colpa del dissesto alla mancanza di un preesistente convogliamento delle acque, poiché lo stato dei luoghi è stato tale fin dall’epoca remota di costruzione della strada stessa e fino alle modifiche apportate dalla parte convenuta »;
« l’evento franoso, verificatosi a causa dei lavori eseguiti dalla RAGIONE_SOCIALE, si propagava a causa della mancata attuazione delle opportune cautele nonché delle opere di consolidamento e ripristino che erano state indicate dal c.t.u. AVV_NOTAIO nella relazione tecnica depositata il 30/09/2013 in sede di A.t.p. ».
Avverso tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione articolando tre motivi, cui resiste NOME COGNOME, in proprio e quale erede di NOME COGNOME, deceduta nelle more del giudizio di appello, depositando controricorso.
È stata fissata per la trattazione l’odierna adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ., con decreto del quale è stata data rituale comunicazione alle parti.
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia « nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 4), con riferimento all’art. 132 co. 2 n. 4 ».
Lamenta che la Corte d’appello, « senza doverosamente approfondire » ed omettendo di considerare quanto emerso dagli accertamenti condotti anche nel pregresso procedimento cautelare,
abbia fondato il proprio convincimento su una isolata considerazione, estrapolandola dall’articolato contesto, ovvero « sul semplice assunto che i lavori effettuati … avrebbero causato l’innesco dello smottamento solo perché ‘nei tempi passati’ non si era mai verificato un dissesto simile ».
Afferma trattarsi di motivazione carente, illogica, contraddittoria e del tutto sprovvista di quei necessari ed imprescindibili riferimenti a riscontri oggettivi e/o elementi probatori sufficienti e/o necessari.
Con il secondo motivo ─ rubricato « nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) e n. 5) » ─ la ricorrente lamenta che la Corte d’appello non abbia tenuto in debito conto le risultanze istruttorie dalle quali era emerso un coinvolgimento minimo di responsabilità della RAGIONE_SOCIALE, omettendo di pronunciarsi sulle richieste svolte in via subordinata di accertamento in tal senso, così come sulla richiesta di una nuova c.t.u..
Osserva al riguardo che:
─ all’esito dell’a.t.p., il c.t.u. nominato, AVV_NOTAIO. COGNOME, aveva concluso che la causa scatenante il fenomeno franoso era « in minor parte » ascrivibile alla RAGIONE_SOCIALE ed « in massima parte » riconducibile all’errata sistemazione del ciglio stradale e alla mancata regimentazione delle acque meteoriche della strada sovrastante;
─ nel giudizio di merito, lo stesso AVV_NOTAIO COGNOME, incaricato di una nuova c.t.u., aveva ribadito, sulla linea di quanto accertato nella fase sommaria, che alla data del sopralluogo non si notavano segni evidenti di perdite ancora persistenti nella rete fognaria, ma il terreno risultava saturo per le abbondanti precipitazioni del periodo precedente;
─ l a causa principale dell’evento franoso, quindi, non poteva essere addebitata alla RAGIONE_SOCIALE ma doveva essere attribuita al copioso sversamento delle acque meteoriche provenienti dalla INDIRIZZO a monte e dai piazzali superiori in tutta la scarpata per la mancanza di
qualsiasi opera di raccolta, di arginamento e di convogliamento;
─ a pag. 11 della propria relazione il c.t.u. non aveva affatto escluso una corresponsabilità di un terzo soggetto, nello specifico del Comune di Amandola, limitandosi ad evidenziare di non essere in grado di poter rispondere sul punto stante anche l’assenza di apposito quesito;
─ il Giudice avrebbe quindi dovuto porre a carico della RAGIONE_SOCIALE l’esecuzione di opere per una quota minima e minoritaria, determinata e quantificata solo ed esclusivamente sino al 2013, data di svolgimento dell’ATP.
Con il terzo motivo ─ rubricato « nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 e n. 4) con riferimento all’art. 132 co. 2 n. 4 » ─ la ricorrente rileva che i lavori indicati dal c.t.u. come necessari per l’eliminazione delle cause che hanno determinato gli smottamenti (ossia la costruzione di un adeguato sistema di raccolta delle acque di pioggia, la posa in opera di un argine stradale di ampie caditoie collegate a tubazioni di smaltimento, la realizzazione di opere di contenimento) sono stati « erroneamente attribuiti nell’ambito della sfera di competenza della RAGIONE_SOCIALE », come dimostrerebbe anche il fatto che i suddetti lavori sarebbero stati in tutto o in parte oramai effettuati dal Comune di Amandola.
Il primo motivo è inammissibile.
Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, « la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé,
purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione » (Cass., Sez. U, Sentenza nn. 8053 e 8054 del 07/04/2014, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).
Nel caso di specie non è ravvisabile alcuna delle gravi anomalie argomentative individuate in detti arresti; piuttosto, è la censura a porsi chiaramente al di fuori del paradigma tracciato dalle Sezioni Unite nella misura in cui pretende di ricavare un siffatto radicale vizio della sentenza da elementi estranei alla motivazione stessa (sostanzialmente mirandosi, inammissibilmente, ad una rilettura del materiale istruttorio e segnatamente delle relazioni di c.t.u. peraltro evocate con palese inosservanza degli oneri imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ.).
Devesi invero ribadire che, intanto un vizio di motivazione omessa o apparente è configurabile, in quanto, per ragioni redazionali o sintattiche o lessicali (e cioè per ragioni grafiche o legate alla obiettiva incomprensibilità o irriducibile reciproca contraddittorietà delle affermazioni delle quali la motivazione si componga), risulti di fatto mancante e non possa dirsi assolto il dovere del giudice di palesare le ragioni della propria decisione.
Non può invece un siffatto vizio predicarsi quando, a fronte di una motivazione in sé perfettamente comprensibile, se ne intenda diversamente evidenziare un mero disallineamento dalle acquisizioni processuali (di tipo quantitativo o logico: vale a dire l’insufficienza o contraddittorietà della motivazione).
In questo secondo caso, infatti, il sindacato che si richiede alla
Cassazione non riguarda la verifica della motivazione in sé, quale fatto processuale riguardato nella sua valenza estrinseca di espressione linguistica (significante) idonea a veicolare un contenuto (significato) e frutto dell’adempimento del dovere di motivare (sindacato certamente consentito alla Corte di Cassazione quale giudice anche della legittimità dello svolgimento del processo: cfr. Cass. Sez. U. 22/05/2012, n. 8077), ma investe proprio il suo contenuto (che si presuppone, dunque, ben compreso) in relazione alla correttezza o adeguatezza della ricognizione della quaestio facti .
Una motivazione in ipotesi erronea sotto tale profilo non esclude, infatti, che il dovere di motivare sia stato adempiuto, ma rende semmai sindacabile il risultato di quell’adempimento nei ristretti limiti in cui un sindacato sulla correttezza della motivazione è consentito, ossia, secondo la vigente disciplina processuale, per il diverso vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ.), salva l’ipotesi dell’errore revocatorio .
5. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
5.1. Lo è anzitutto, nella parte in cui contesta, in relazione al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. evocato in rubrica, la ricognizione della fattispecie concreta quale operata in sentenza sulla base delle risultanze istruttorie, per la preclusione che deriva -ai sensi dell’art. 348ter , ultimo comma, cod. proc. civ. -dall’avere la Corte d’appello deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado (c.d. doppia conforme), non avendo la ricorrente assolto l’onere in tal caso su di essa gravante di indicare le ragioni di fatto della decisione di primo grado ed in cosa queste si differenziavano da quelle poste a fondamento della decisione di appello (v. Cass. 22/12/2016, n. 26774; 06/08/2019, n. 20994; 15/03/2022, n. 8320).
Può comunque aggiungersi che il ripetuto richiamo alla relazione di c.t.u. si appalesa anche in tal caso inosservante degli oneri di specificità e autosufficienza dettati dalle norme già sopra richiamate.
5.2. Nella parte, poi, in cui sembra argomentare un error in iudicando , rappresentato in thesi dalla mancata calibrazione della responsabilità risarcitoria in rapporto all’esistenza di concause di rilievo preponderante, la censura va detta inammissibile e comunque manifestamente infondata.
5.2.1. È inammissibile perché muove da una premessa fattuale (quella relativa all’esistenza di concausa di rilievo preponderante) che non trova alcun riscontro nella sentenza impugnata, la quale ha al contrario chiaramente e motivatamente evidenziato che lo stato dei luoghi e la mancanza di un preesistente sistema di regimentazione delle acque meteoriche della strada sovrastante, tali sin da epoca remota, non avrebbero di per sé potuto determinare lo smottamento se non fossero stati eseguiti, da parte della RAGIONE_SOCIALE, i lavori di rifacimento delle reti fognarie attraverso la previa demolizione della pavimentazione stradale esistente sulla strada a monte, adiacente il frustolo di terreno della ricorrente.
In tal modo la Corte ha evidentemente attribuito ai detti lavori ed alle modalità della loro esecuzione l’« innesco » ─ e dunque la causa prima e determinante ─ dell ‘ intera serie causale.
Nel postulare una relazione inversa tra i diversi anelli della catena causale la ricorrente evidentemente non prospetta un error iuris ma propone piuttosto una diversa ricognizione del fatto, peraltro in termini meramente oppositivi, inosservanti degli oneri di specificità e autosufficienza e senza alcuno specifico confronto con la pur ampia e circostanziata motivazione della sentenza.
Non è però consentito censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto
giuridicamente rilevante, sul quale la sentenza doveva pronunciarsi;
Non è, infatti, il punto d’arrivo della decisione di fatto che determina l’esistenza del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, ma l’impostazione giuridica che, espressamente o implicitamente, abbia seguito il giudice di merito nel selezionare le norme applicabili alla fattispecie e nell’interpretarle (v. ex plurimis Cass. nn. 10385 del 2005; 16132 del 2005; 26048 del 2005; 20145 del 2005; 1108 del 2006; 10043 del 2006; 20100 del 2006; 21245 del 2006; 14752 del 2007; n. 9185 del 2011; 3010 del 2012; 16038 del 2013; n. 24155 del 2017; 6035 del 2018; 15865 del 2019; 14943 del 2023).
5.2.2. La tesi censoria è, comunque, anche manifestamente infondata atteso che , quand’anche la serie causale e la rilevanza delle concause fossero da ricostruire nei termini indicati dalla ricorrente, ciò non avrebbe potuto condurre alla chiesta proporzionale riduzione dell’obbligo risarcitorio .
Ciò per il principio di equivalenza causale (o della condicio sine qua non ) desunto dagli artt. 40 e 41 cod. pen., il quale, come noto, presiede all’accertamento del nesso di causalità materiale (o di fatto) anche in ambito di responsabilità civile.
Vale in proposito rammentare il principio costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, « in materia di rapporto di causalità nella responsabilità civile, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., qualora le condizioni ambientali od i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica su cui incide il comportamento imputabile dell’uomo siano sufficienti a determinare l’evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l’autore dell’azione o della omissione resta sollevato, per intero, da ogni responsabilità dell’evento, non avendo posto in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale; qualora, invece, quelle condizioni non possano dar luogo, senza l’apporto umano, all’evento di danno, l’autore del comportamento imputabile è
responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità, non potendo, in tal caso, operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile. Ne consegue che, a fronte di una sia pur minima incertezza sulla rilevanza di un eventuale contributo “con-causale” di un fattore naturale (quale che esso sia), non è ammesso, sul piano giuridico, affidarsi ad un ragionamento probatorio “semplificato”, tale da condurre ipso facto ad un frazionamento delle responsabilità in via equitativa, con relativo ridimensionamento del quantum risarcitorio » (Cass. 21/07/2011, n. 15991; v. anche, nello stesso senso, ex plurimis , Cass. 22/11/2019, n. 30521; 06/05/2015, n. 8995; 16/02/2001, n. 2335; 27/05/1995, n. 5924).
6. Il terzo motivo è inammissibile.
Esclusa, come già detto, la configurabilità di un vizio di motivazione apparente o incomprensibile, nuovamente dedotto con il motivo in esame in termini del tutto generici, la censura non individua quale norma o principio di diritto risulterebbe violato, né l’affermazione che tale violazione varrebbe a integrar e: assai vago e inidoneo a prospettare un vizio cassatorio appare, invero, il riferimento ad una « sfera di competenza della RAGIONE_SOCIALE » che la confermata condanna ad un facere (quale forma di risarcimento in forma specifica) non avrebbe rispettato.
Si tratta, peraltro, di questione nuova che non risulta prospettata nel giudizio di appello.
La memoria che, come detto, è stata depositata dalla ricorrente non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi.
Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile.
Alla soccombenza segue la condanna della ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza