Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3523 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3523 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
R.G.N. 18968/2019
C.C. 29/01/2025
APPALTO
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 18968/2019) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO;
–
ricorrente –
contro
COGNOME, COGNOME COGNOME e COGNOME rappresentati e difesi, in virtù di procura rilasciata su separato foglio materialmente allegato al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME e con indicazione di domicilio digitale all’indirizzo pec: EMAIL;
– controricorrenti –
e
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso (contenente ricorso incidentale), dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Roma, alla INDIRIZZO;
-controricorrente-
ricorrente incidentale –
nonché
COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso (contenente ricorso incidentale), dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente-
ricorrente incidentale – avverso la sentenza della Corte di appello di Perugia n. 2560/2019 (pubblicata il 4 maggio 2019);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29 gennaio 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
lette le memorie depositate da tutte le parti.
RITENUTO IN FATTO
Con contratto del 13.12.2003 venivano appaltati, dai committenti COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME Valentino (i quali avevano nominato come direttore delle opere l’arch. COGNOME COGNOME), all’impresa RAGIONE_SOCIALE i lavori di ricostruzione e ripristino di un immobile sito in Trevi, frazINDIRIZZO, danneggiato dagli eventi sismici del 1997.
Assumendo la sussistenza dell’inadempimento dei citati committenti nel pagamento del corrispettivo convenuto (come ad essa riconosciuto con scrittura privata del 2.12.2004), la suddetta impresa appaltatrice li conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Perugia per ottenere l’esecuzione della loro obbligazione e, quindi, la condanna degli stessi al pagamento del prezzo relativo alla realizzazione delle opere oggetto del suddetto contratto.
I citati convenuti si costituivano in giudizio, eccependo la responsabilità della suddetta impresa appaltatrice per vizi delle opere verificatisi dopo la loro esecuzione e, per l’effetto, proponevano domanda riconvenzionale ai fini dell’ottenimento del risarcimento dei danni nei confronti della società attrice, oltre che del citato direttore dei lavori arch. COGNOME COGNOME del quale chiedevano la chiamata in causa, ritualmente autorizzata.
Il COGNOME si costituiva in giudizio, resistendo alla domanda avanzata nei suoi confronti dai convenuti e chiedeva, a titolo di manleva (per l’eventualità di sua condanna), la chiamata in giudizio della Generali Italia s.p.a., la quale, a sua volta, invocava il rigetto della pretesa esercitata nei suoi riguardi, chiedendo, in ogni caso, che la sua possibile condanna venisse contenuta nei limiti del concordato massimale.
L’impresa appaltatrice formulava eccezioni di decadenza e prescrizione dell’azione e, all’esito dell’istruzione probatoria (nel corso della quale veniva esperita anche c.t.u.), il Tribunale adito, con sentenza n. 238/2017, previa riconduzione della responsabilità della ditta appaltatrice all’ambito di applicabilità dell’art. 1669 c.c. e ravvisata la tempestività della denuncia dei vizi, rigettava la domanda attorea, accoglieva quella proposta in via riconvenzionale dai committenti e, per l’effetto, condannava, in solido fra loro, la società RAGIONE_SOCIALE e l’arch. COGNOME COGNOME al risarcimento dei danni, in loro favore, nella misura di euro 180.885,55, iva inclusa, da ripartire tra le famiglie COGNOME/COGNOME e COGNOME/COGNOME in base ai criteri individuati dal c.t.u.; accoglieva, altresì, la richiesta di condanna a titolo di manleva della citata Compagnia assicuratrice a tenere indenne il COGNOME di quanto era tenuto a pagare in virtù della suddetta condanna; regolava le complessive spese giudiziali, ivi comprese quelle occorse per la c.t.u.
Decidendo sull’appello formulato dalla citata società appaltatrice e nella costituzione di tutte le parti appellate (tra le quali il COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE proponevano anche appello incidentale), la Corte di appello di Perugia, con sentenza n. 256/2019, respingeva sia il gravame principale che quelli incidentali, condannando l’appellante principale alla rifusione delle spese del grado in favore dei citati committenti e compensando, invece, quelle inerenti il rapporto processuale instauratosi tra l’appellante principale ed entrambi gli appellanti incidentali.
A fondamento della decisione adottata, la Corte umbra rilevava, innanzitutto, l’infondatezza dell’eccezione di inapplicabilità della
disciplina di cui all’art. 1669 c.c., siccome la stessa può riguardare anche le opere viziate che riguardano la ristrutturazione di edifici preesistenti e non soltanto le nuove costruzioni.
Evidenziava, poi, la Corte di appello che -in virtù delle risultanze emergenti dalla c.t.u. oltre che dalla c.t.p. dei committenti, come già ritenuto dal giudice di primo grado -le opere viziate erano riconducibili esclusivamente alla società appellante (e non anche a quella che aveva poi proceduto successivamente al completamento dei lavori) e che il vizio essenziale riscontrato era da ricollegarsi al fatto che il legno, previsto nel progetto strutturale per la realizzazione dei solai e delle coperture, posto in essere dalla società appaltante evocata in causa, era risultato difforme da quello effettivamente installato già in origine dalla stessa società RAGIONE_SOCIALE
Quanto all’eccezione di tardività della denuncia dei vizi il giudice di appello confermava la statuizione già adottata da quello di prime cure, in base alla quale, in relazione alla responsabilità prevista dall’art. 1669 c.c., rileva quale ‘dies a quo’ per la proposizione di detta denuncia soltanto il momento in cui il danneggiato acquisisce un’apprezzabile conoscenza dei vizi medesimi e delle loro cause, ai fini della proposizione della conseguente azione risarcitoria. Nel caso di specie, questo momento coincideva con la consegna dell’elaborato del consulente di parte, che aveva indicato per primo i vizi dei materiali impiegati dall’appaltatrice e le loro difformità rispetto al progetto approvato.
La Corte perugina ravvisava, altresì, l’infondatezza delle critiche mosse dall’appellante principale alla c.t.u. (che aveva risposto adeguatamente alle stesse), nonché dell’eccezione secondo cui la società appaltatrice aveva operato nell’esecuzione dei lavori quale ‘nudus minister’ dei committenti, risultando la stessa del tutto sfornita di prova, non emergendo dalle espletate prove orali la negazione dell’autonomia della ditta appaltatrice nell’esecuzione delle opere affidatele.
La Corte di appello confermava, inoltre, la sussistenza della responsabilità concorrente ai sensi dell’art. 2055 c.c. dell’impresa appaltatrice e del direttore dei lavori COGNOME (in tal senso rigettando l’appello incidentale di quest’ultimo), ritenendo che i difetti di vigilanza di quest’ultimo era stati bene evidenziati da parte del giudice di primo grado, in rapporto di compiti attribuitigli dalla legge e svolti in modo inadeguato, perché, ove fossero stati espletati secondo la necessaria diligenza, avrebbero potuto consentire la verifica della rispondenza delle previsioni progettuali ai lavori eseguiti e la conseguente insussistenza dei vizi rilevati dal c.t.u. o, quanto meno, una loro diminuzione anche in termini quantitativi.
Il giudice di secondo grado respingeva, altresì, il gravame incidentale della Compagnia assicuratrice Generali Italia s.p.a. in ordine alla sua condanna a titolo di manleva adottata con la decisione di primo grado, confermando l’operatività della polizza assicurativa fino al massimale assicurato e alla sola quota di danno direttamente imputabile all’assicurato.
Avverso la citata sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione -affidato a sei motivi l’RAGIONE_SOCIALE
Hanno resistito con unico controricorso gli intimati COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME Valentino e COGNOME NOME.
Ha depositato controricorso anche l’intimato COGNOME contenente ricorso incidentale basato su due motivi.
Ha, altresì, depositato controricorso anche l’altra intimata RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE contenente pure ricorso incidentale, riferito ad un solo motivo.
La ricorrente principale ha depositato controricorso avverso i due ricorsi incidentali e la ricorrente incidentale RAGIONE_SOCIALE ha depositato controricorso avverso il ricorso incidentale formulato da COGNOME
Tutte le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
RICORSO PRINCIPALE di RAGIONE_SOCIALE
Con il primo motivo detta ricorrente ha denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -la violazione degli artt. 1669 e 2697 c.c. sostenendo l’illegittimità, l’incongruità e l’illogicità dell’assunto emergente dalla sentenza impugnata secondo cui l’accertamento della scoperta dei vizi comportanti il pericolo di rovina dell’immobile in ristrutturazione -con correlata applicabilità dell’art. 1669 c.c. – si sarebbe dovuto far risalire al momento della redazione della consulenza dell’ing. COGNOME del 14 maggio 2010, avvenuta il giorno prima del deposito della comparsa di risposta contenente domanda riconvenzionale dei committenti, nel mentre la manifestazione di tali vizi si era venuta già a verificare ‘molto tempo prima’, come risultato dalla prova orale.
Con il secondo motivo la ricorrente principale ha dedotto -ancora in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione dell’art. 1227, commi 1 e 2, e 2055 c.c., riguardo alla parte della sentenza di appello in cui era stato ritenuto che a nulla rilevava l’apporto causale della diversa impresa che aveva operato sull’immobile dei convenuti per la realizzazione delle opere di finitura e di un impianto di riscaldamento a pavimento (previa realizzazione di soletta in cemento armato), non previsto nel progetto strutturale ed esecutivo, gravando comunque ed unicamente la responsabilità sulla stessa impresa COGNOME, nel mentre essa -ad avviso di quest’ultima si sarebbe dovuta considerare sussistente a carico dei medesimi committenti che, appaltando gli ultimi lavori indicati successivamente alla scrittura redatta tra le parti il 2 dicembre 2004, avevano determinato un sovraccarico pari al doppio di quello previsto dal progettista strutturale tale da rendere inadeguato il materiale ligneo fornito dalla stessa impresa COGNOME RAGIONE_SOCIALE.
Con il terzo motivo la ricorrente impresa COGNOME ha lamentato -con riguardo all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. la violazione dell’art.
132, comma 2, n. 4), c.p.c. o, in via alternativa e/o subordinata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, prospettando l’apparenza della motivazione della sentenza di appello perché avulsa da quanto emergente sia dalla c.t.u. che, già prima, della relazione del citato ing. COGNOME del 14 maggio 2010, oltre che dalla prova orale.
Con il quarto motivo la ricorrente principale ha denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3,4 e 5, c.p.c. la violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. per omessa pronuncia su un motivo specifico di appello, nonché la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in uno all’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra la parti e alla mancata soluzione del contrasto tra c.t.u. e c.t.p., deducibile come vizio di motivazione, non essendo stata rilevata dalla Corte di appello la carenza della c.t.u. (di cui era stata chiesta anche la rinnovazione), la quale non aveva verificato -senza, perciò, adottare apposita pronuncia – a chi dovessero, in particolare, essere riferibili i vizi denunciati, se al direttore dei lavori, se al progettista, se alla stessa impresa appaltatrice ovvero ai committenti, senza nemmeno rispondere alle contestazioni sulla quantificazione dei pretesi danni liquidati in euro 180.000,00, ovvero in una somma pressoché equivalente al corrispettivo previsto per l’esecuzione dell’appalto.
Con il quinto motivo l’Impresa COGNOME ha dedotto con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. per mera apparenza della motivazione sul ravvisato difetto di prova in ordine all’eccezione secondo la quale l’impresa appaltatrice aveva operato nell’esecuzione dell’appalto come ‘nudus minister’ dei committenti, nel mentre ciò era in contrasto sia con il concluso tipo di contratto di appalto c.d. ‘a regia’, sia con le risultanze della prova orale.
Con il sesto motivo la ricorrente principale ha prospettato -in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. la violazione dell’art. 112 c.p.c. e/o, in subordine, dell’art. 342 c.p.c., per omessa pronuncia sulla
riproposta domanda e, comunque, per mancata pronuncia, in subordine, sul motivo di gravame (o di rigetto implicito) della richiesta di condanna dei committenti al pagamento del corrispettivo residuo dovuto in suo favore (come dagli stessi riconosciuto con la missiva del 2 dicembre 2004), essendosi la sentenza impugnata (come già quella di prime cure) concentrata solo sulla domanda riconvenzionale proposta dai committenti convenuti, senza, però, che ciò potesse costituire motivo per non pronunciarsi sulla suddetta domanda attorea (poi riproposta con l’appello principale).
RICORSO INCIDENTALE di COGNOME
Con il primo motivo del suo ricorso il COGNOME ha denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione o falsa applicazione degli artt. 2222 ss. c.c., artt. 2229 ss. c.c., 1218 ss. c.c., 1658 c.c. e 1655 ss. c.c., deducendo la sussistenza, nella controversia in oggetto, della responsabilità esclusiva dell’impresa appaltatrice, con esonero dello stesso da ogni responsabilità quale direttore dei lavori, difettando il necessario nesso di causalità tra la sua condotta e i danni pretesi dai ricorrenti e la stessa possibilità di rilevare i denunciati vizi dei materiali utilizzati da detta impresa.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale -da intendersi proposto condizionatamente alla eventuale ammissibilità e/o fondatezza del motivo di ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE o al mancato accoglimento del suddetto primo motivo – il COGNOME ha prospettato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. la violazione o falsa applicazione, con nullità della sentenza o del procedimento, degli artt. 345 e 112 c.p.c., nonché degli artt. 2055 e 1917 c.c., con riferimento alla mancata proposizione, da parte della citata società assicuratrice, della domanda di accertamento delle quote di responsabilità (che, invece, era stata esaminata dalla Corte di appello), la quale si poneva come antecedente necessario e logico rispetto a quella di pretesa limitazione della garanzia alla quota di responsabilità di esso ricorrente, quale assicurato.
RICORSO INCIDENTALE della RAGIONE_SOCIALE
Con l’unico motivo di ricorso incidentale proposto la RAGIONE_SOCIALE ha lamentato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 2055, 1372, 1882, 1905 e 1917 c.c., nonché dei principi relativi all’operatività del contratto di assicurazione.
In particolare, detta ricorrente incidentale ha sostenuto che la Corte di appello è incorsa nell’errore di diritto di: -non scindere la responsabilità dell’appaltatrice e del direttore dei lavori; – non eseguire una graduazione delle rispettive colpe; – condannare in solido, per l’effetto, senza indicazione dei limiti e delle pattuizione contrattuali, essa società assicuratrice (tenuta alla manleva in favore dell’assicurato direttore dei lavori) e la ditta appaltatrice e ciò nonostante la polizza invocata fin dal primo grado di giudizio prevedesse espressamente una clausola di esclusione del vincolo di solidarietà. Peraltro, avendo la Corte di appello ritenuto che non fosse stato possibile eseguire una specifica graduazione delle rispettive colpe della impresa appaltatrice e del direttore dei lavori, avrebbe dovuto applicare -nell’ipotesi di ravvisata operatività della garanzia assicurativa -il principio della parità delle suddette colpe, ragion per cui avrebbe dovuto limitare la manleva della compagnia assicuratrice alla quota paritaria, in virtù della presunzione di uguaglianza delle singole colpe prevista dall’ultimo comma dell’art. 2055 c.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare vanno respinte le tre eccezioni pregiudiziali sollevate dal controricorrente-ricorrente incidentale NOME COGNOME La prima -sulla prospettata inammissibilità del ricorso principale e del ricorso incidentale della Generali Italia s.p.a. per difetto di autosufficienza -è infondata perché entrambi i ricorsi appena indicati risultano rispettosi delle specifiche prescrizioni indicate nell’art. 366 c.p.c.
La seconda è altrettanto priva di fondamento poiché non sussistono i presupposti per l’applicabilità del disposto di cui all’art. 360 -bis n. 1 c.p.c. con riferimento alle numerose questioni di diritto involte dai ricorsi (anche con riguardo a quelle proposte dallo stesso COGNOME).
La terza è anch’essa infondata, dal momento che i suddetti avversi ricorsi sono provvisti delle indicazioni degli atti processuali e dei documenti come previsto dall’art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c.
ESAME DEI MOTIVI DEL RICORSO PRINCIPALE della RAGIONE_SOCIALE De RAGIONE_SOCIALE
Il primo motivo di detto ricorso deve essere disatteso.
Ammessa (anche perché affermata – e, quindi, da considerarsi ormai questione pacifica -dalle SU con la sentenza n. 7756/2017) l’operatività della responsabilità ex art. 1169 c.c. pure con riferimento alle opere riguardanti (come nella specie) i lavori di ristrutturazione di immobili (e non alla sola realizzazione di edifici nuovi), la censura si appunta sulla assunta erroneità della non dichiarata decadenza dei committenti dall’esercizio dell’azione per non aver rilevato che i vizi dedotti si erano manifestati ‘molto tempo prima’ rispetto al deposito della relazione del loro tecnico di parte, così ritenendosi illegittimamente che gli stessi committenti avessero assolto idoneamente il loro onere probatorio facendo riferimento al momento del suddetto deposito.
La doglianza è priva di fondamento perché, al di là del profilo che il relativo accertamento costituisce oggetto di un mero apprezzamento di merito (cfr. Cass. n. 777/2020 e Cass. n. 19343/2022), la Corte di appello -come del resto aveva ritenuto già il giudice di primo grado -ha rilevato che, in concreto, non si era venuta a verificare l’eccepita decadenza, dal momento che un’effettiva ed univoca manifestazione e della conseguente obiettiva percezione in termini di certezza della natura e dell’entità dei vizi dei materiali lignei impiegati dall’appaltatrice e la loro difformità rispetto al progetto approvato erano state acquisite solo all’atto del deposito della menzionata
consulenza di parte dell’ing. COGNOME (e non, quindi, con la necessaria inequivocità, molto tempo addietro) avvenuto in data 14 maggio 2010.
Costituisce, infatti, principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti della costruzione di un immobile, previsto dall’art. 1669 c.c. a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti (cfr., ad es., Cass. n. 777/2020, cit., nella cui fattispecie si è ritenuto legittimo che tale termine dovesse decorrere dalla data del deposito della relazione del consulente, nominato in sede di accertamento tecnico preventivo; v. anche Cass. n. 567/2005 e Cass. n. 27693/2019).
2. Il secondo motivo si profila inammissibile e, in ogni caso, infondato. Con la relativa doglianza la ricorrente, in effetti, censura – al fine di far emergere una corresponsabilità, in termini di concorso colposo, dell’impresa intervenuta successivamente per la realizzazione di altri lavori sui due immobili (e, quindi, di ridimensionamento dell’importo preteso, nei suoi soli confronti, a titolo di risarcimento dei danni) – la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso, ai fini della determinazione dei danni reclamati dai committenti, l’apporto causale della diversa impresa, intervenuta in un secondo tempo, che aveva provveduto a realizzare sui citati immobili delle opere di finitura e un impianto di riscaldamento a pavimento, non previsti nell’originario progetto strutturale delle sole opere invece appaltate all’impresa ricorrente.
Anche a questo riguardo, la Corte di appello umbra (in conformità al Tribunale) – con adeguato apprezzamento di merito, confortato anche
dalle risultanze della c.t.u. – ha accertato che erano stati i vari vizi costruttivi riconducibili in via esclusiva alla impresa appaltatrice oggi ricorrente a determinare, in modo decisivo, i danni subiti dai committenti, escludendo che la successiva realizzazione dell’impianto di riscaldamento avesse costituito una concausa al riguardo, essendo, in via principale ed essenziale, i vizi costruttivi riconducibili alla realizzazione delle strutture dei solai e delle coperture poste in essere mediante l’impiego di materiale ligneo difforme (in quanto più scadente e inidoneo allo scopo) da quello previsto nel progetto strutturale approvato.
Inoltre, la ricorrente introduce, con la doglianza di cui trattasi, degli elementi di merito riguardanti profili tecnici relativi ai carichi dipendenti dall’esecuzione dei lavori imputabili alle due ditte, che non possono essere oggetto di disamina nella presente sede di legittimità (investendo dei profili di puro apprezzamento di merito) e che, perciò, sono inammissibili.
Il terzo motivo è, in parte, infondato e, in parte, inammissibile.
E’ infondato con riferimento all’addotta violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., perché, con esso, si insiste ancora sull’asserito concorso di responsabilità dell’impresa intervenuta per la realizzazione dei suddetti lavori successivi, rispetto alla cui questione la motivazione della sentenza impugnata è del tutto adeguata.
E’, invece, inammissibile con riguardo al prospettato vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. per la preclusione da doppia conforme ai sensi dell’art. 348 -ter, ultimo comma, c.p.c., ‘ratione temporis’ ancora applicabile (non essendo stata evidenziata dalla ricorrente alcuna diversità di motivazione tra le due sentenze di merito: cfr. Cass. n. 26774/2016 e Cass. n. 5947/2023).
Il quarto motivo è inammissibile con riferimento ad entrambi i vizi prospettati.
Lo è in relazione a quello ricondotto al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. per la preclusione da ‘doppia conforme’ ai sensi del già richiamato art. 348 -ter, ultimo comma, del codice di rito (applicabile temporalmente nella causa in questione).
Lo è in ordine alla supposta violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. poiché, con essa, la ricorrente tende, surrettiziamente, a sollecitare una nuova valutazione di merito sulle risultanze istruttorie riconducibili alla c.t.u. in relazione alle consulenze di parte, sulle quali la Corte di appello ha comunque risposto, ravvisando la piena attendibilità della c.t.u. in relazione all’esclusione del concorso di condotta colposa della seconda impresa realizzatrice degli interventi successivi, non essendo, in ogni caso, più deducibile la censura di motivazione insufficiente ed avendo il giudice di secondo grado, con il percorso logico -argomentativo espresso, implicitamente ravvisato la non indispensabilità di riconvocare il c.t.u. o di disporre la rinnovazione della c.t.u. stessa.
Del resto, è ormai consolidato il principio secondo cui, i n tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (v., tra le tante, Cass. n. 27000/2016 e Cass. n. 6774/2022).
5. Il quinto motivo è privo di fondamento.
Invero, la Corte di appello, ancorché con motivazione sintetica, ma sufficiente e non apparente, ha escluso che la ricorrente, quale
impresa appaltatrice, avesse operato nell’esecuzione dei lavori come soggetto ricoprente la qualità di ‘nudus minister’ dei committenti, essendo rimasta la relativa circostanza del tutto sprovvista di prova, non essendo emersa dalle espletate prove orali (perciò valutate) la insussistenza dell’autonomia della stessa ditta appaltatrice nella realizzazione dei lavori che le erano stati contrattualmente commissionati.
Quindi, non sussiste la denunciata violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c.
Peraltro, in punto di diritto, la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 6202/2009 e Cass. n. 23594/2017) è consolidata nell’affermare che l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale “nudus minister”, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo; pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori.
Anche il sesto ed ultimo motivo del ricorso in esame non coglie nel segno e deve essere respinto.
Invero, pur essendo stato (ri)proposto il motivo in appello circa la mancata pronuncia da parte del giudice di primo grado sulla richiesta di condanna dei committenti alla somma complessiva di euro 32.000,00 (a fronte, peraltro, dell’avvenuto pagamento, da parte degli
appaltatori, del prezzo quasi integrale nella misura di euro 182.975,30), con la motivazione adottata nella sentenza impugnata ed in virtù del suo svolgimento logico -giuridico, la Corte di appello ha inteso implicitamente rigettare (quindi comunque provvedendo in proposito: cfr. Cass. n. 20311/2011 e Cass. n. 24155/2017) tale pretesa dell’impresa RAGIONE_SOCIALE, posto che -avendo la stessa Corte territoriale confermato la responsabilità esclusiva della stessa ditta appaltatrice in applicazione dell’art. 1669 c.c. – si sarebbe dovuto considerare venuto meno, per effetto del suo grave inadempimento, il relativo diritto all’ottenimento del residuo saldo.
ESAME DEI MOTIVI DEL RICORSO INCIDENTALE di COGNOME
Il primo motivo di questo ricorso è da considerarsi inammissibile e, in ogni caso, risulta privo di fondamento giuridico.
In effetti, con esso il COGNOME tende a sollecitare una rivalutazione delle risultanze di merito sull’apprezzamento – adeguatamente svolto dalla Corte di appello – del rilevato suo concorso di responsabilità quale direttore dei lavori oggetto di appalto, sulla scorta di una rivisitazione degli accertamenti e delle conclusioni del c.t.u., in base ai quali, invece, il giudice di secondo grado – confermando, peraltro, la pronuncia di prime cure -ha ravvisato l’affermata sua corresponsabilità.
Infatti, nell’analisi delle emergenze istruttorie acquisite, la Corte umbra -nel rispondere specificamente alle censure mosse avverso la sentenza di primo grado dal COGNOME – ha correttamente rilevato che, ancorché alcuni vizi riguardassero la natura e l’inadeguatezza dei materiali, nell’alveo dei compiti incombenti sul direttore dei lavori si ricomprendono non solo gli obblighi di controllare adeguatamente e diligentemente l’esecuzione dei lavori oggetto di appalto, ma, ancor prima, proprio quelli relativi alla verifica dei materiali impiegati per la ristrutturazione degli immobili.
Pertanto, non si sarebbe potuto ritenere – sull’accertato presupposto, peraltro, che la delega per il controllo dei lavori conferita al COGNOME era onnicomprensiva, per quanto risultante dal complesso delle prove orali assunte – che il controllo della composizione e della consistenza del legno, utilizzato per la realizzazione dei lavori in discorso, fosse da considerarsi estraneo ai compiti a lui affidati, che rivestiva, per legge, il ruolo di rappresentante dei committenti nei riguardi della ditta appaltatrice.
A tal proposito, si osserva che la concorde giurisprudenza di questa Corte (v., ex multis , Cass. n. 23174/2018; Cass. n. 2913/2020 e, da ultimo, Cass. n. 27045/2024) ha precisato che, in tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell’opera appaltata, il direttore dei lavori, pur prestando un’opera professionale in esecuzione di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, è chiamato a svolgere la propria attività in situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche e deve utilizzare le proprie risorse intellettive e operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente-preponente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della “diligentia quam in concreto”. Rientrano, pertanto, nelle obbligazioni del direttore dei lavori, l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa rispetto al contratto concluso e/o alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi; sicché non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore (anche con riferimento alla verifica di conformità del materiale impiegato rispetto a quello concordato) e, in difetto, di riferirne al committente.
Il secondo motivo formulato dal COGNOME, siccome proposto condizionatamente alla ritenuta ammissibilità e/o fondatezza del ricorso incidentale della controricorrente Generali Italia s.p.a., va preso in considerazione all’esito dell’esame del motivo proposto dalla citata società assicuratrice dello stesso COGNOME
ESAME DEL MOTIVO DEL RICORSO INCIDENTALE della RAGIONE_SOCIALE.a.
Con le complessive violazioni dedotte mediante l’unica censura avanzata la ricorrente RAGIONE_SOCIALE – che copriva i rischi connessi all’attività del direttore dei lavori (la cui affermazione di responsabilità contenuta nella sentenza di appello è stata confermata in questa sede per effetto del rigetto del primo motivo di ricorso proposto dal COGNOME) sostiene che la Corte di appello, nell’accogliere la domanda di garanzia formulata dal direttore dei lavori (a titolo di manleva), non abbia specificato i limiti pattuiti dal contratto assicurativo e dalle relative condizioni, ancorché espressamente invocati dalla stessa società assicuratrice e sebbene risultanti dalla polizza depositata in atti già nel primo grado di giudizio.
In termini più precisi, la ricorrente incidentale ha inteso contestare la pronuncia di condanna (in accoglimento della domanda di garanzia avanzata dal COGNOME) nella parte in cui la Corte di appello ha affermato l’impossibilità di procedere ad una graduazione delle colpe, precisandosi come non fosse ‘possibile scindere in alcun modo la responsabilità del professionista da quella della società appaltatrice’, così disapplicando le clausole del contratto di assicurazione e non rilevando l’operatività delle stesse ‘entro i limiti dallo stesso previsti’.
Inoltre, la ricorrente incidentale sostiene che, quand’anche la responsabilità in ordine ai danni in questione (nel rapporto tra ditta appaltatrice e direttore dei lavori) si dovesse intendere ricondotta
all’art. 2055 c.p.c. (con applicazione, quindi, dei principi del vincolo di solidarietà e della presunzione di pari colpa, in difetto di prova contraria), la Corte di appello avrebbe dovuto ritenere paritaria la responsabilità della ditta appaltatrice e del direttore dei lavori e, perciò, limitare la manleva della stessa compagnia assicuratrice alla quota paritaria.
Il motivo non può essere accolto per quanto segue.
Con la sentenza impugnata la Corte di appello, nell’esaminare la questione sull’operatività della polizza assicurativa, ha osservato che la prevista esclusione della solidarietà prevista all’art. 8 delle condizioni generali di polizza, non era idonea, nella fattispecie, ad escludere o a limitare il contenuto della garanzia assicurativa. Ha aggiunto, poi, la Corte di merito che la clausola in questione limitava l’operatività della polizza per responsabilità civile dell’assicurato Santini al massimale assicurato e alla sola quota di danno direttamente imputabile all’assicurato.
Sulla base di questa impostazione, la Corte perugina ha, tuttavia, rilevato che -avuto riguardo al rapporto intercorrente tra i soggetti ritenuti responsabili per i danni arrecati ai committenti, ovvero tra la ditta appaltatrice e lo stesso direttore dei lavori -non era possibile procedere ad una scissione delle distinte responsabilità e, di conseguenza, ad una graduazione di colpe in merito ai vizi rilevati nell’esecuzione dell’appalto.
Appare, quindi, chiaro che -in virtù dell’esplicazione di detto ragionamento sul piano logico-giuridico -la Corte di appello ha ritenuto sussistente, in base all’applicazione dell’art. 2055 c.c., il vincolo solidale di responsabilità tra la ditta appaltatrice e il direttore dei lavori, in tal senso confermando la decisione di primo grado con cui (v. pag. 8 della sentenza qui impugnata) era stata ravvisata la
sussistenza di tale vincolo poiché gli adempimenti dei due soggetti appena indicati avevano concorso ‘in modo paritario’ alla determinazione dei danni, con derivante applicabilità, per l’appunto, proprio del citato art. 2055 c.c.
Pertanto, l’aver rilevato l’imputabilità della responsabilità per i danni ‘in modo paritario’, non essendo stato possibile operare una differenziazione e graduazione di colpe tra la ditta appaltatrice e il direttore dei lavori, lascia univocamente intendere (come, del resto, inteso anche dalla stessa Compagnia assicuratrice a pag. 21 del controricorso contenente il relativo ricorso incidentale) che la Corte di appello ha ritenuto che la manleva doveva ritenersi circoscritta alla quota paritaria (di spettanza del direttore dei lavori) rispetto al ‘quantum’ del risarcimento dei danni riconosciuto in favore dei committenti, purché rientrante nel limite del massimale pattuito con il contratto di assicurazione (rimanendo obbligato, per l’eventuale eccedenza, direttamente l’assicurato).
Pertanto, ferma la statuizione sull’affermato concorso delle responsabilità ‘in modo paritario’ tra la ditta appaltatrice e il direttore dei lavori e sul correlato corrispondente obbligo al pagamento della somma riconosciuta a titolo risarcitorio in favore dei committenti secondo ‘quote paritarie’, l’operatività della garanzia assicurativa invocata a titolo di manleva dal COGNOME non può che ritenersi essere stata contenuta dalla Corte di appello entro il relativo limite della quota paritaria addebitata all’assicurato (e, comunque, non oltre il limite del massimale concordato tra le parti del relativo contratto di assicurazione) e non per l’intero importo del riconosciuto risarcimento dei danni.
Alla ravvisata infondatezza del ricorso incidentale della Generali Italia s.p.a., consegue il rigetto del secondo motivo -come formulato nei termini su indicati -del ricorso incidentale del COGNOME
CONCLUSIONI
In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni svolte, vanno rigettati sia il ricorso principale dell’RAGIONE_SOCIALE, sia i due ricorsi incidentali di COGNOME Norberto e Generali Italia s.p.a.
In virtù del principio della soccombenza la suddetta ricorrente principale deve essere condannata al pagamento delle spese processuali del presente giudizio in favore dei controricorrenti COGNOME liquidate (tenuto conto delle complessive attività difensive svolte e del valore della causa) come in dispositivo.
In relazione, invece, agli interdipendenti rapporti processuali instauratisi tra la ricorrente principale ed il ricorrente incidentale COGNOME NOME, da un lato, e tra l’appena indicato ricorrente incidentale e l’altra ricorrente incidentale RAGIONE_SOCIALE s.p.a. (con riferimento al rapporto di garanzia dedotto in giudizio), dall’altro, le spese processuali vanno interamente compensate per reciproca soccombenza.
Infine, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, distintamente da parte di ognuna delle ricorrenti (la principale e le due in via incidentale), di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il rispettivo ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta sia il ricorso principale che entrambi i ricorsi incidentali.
Condanna la ricorrente principale RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del presente giudizio, in favore dei controricorrenti COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME Valentino e
NOME NOME, che si liquidano in complessi euro 8.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cpa nella misura e sulle voci come per legge.
Compensa integralmente le spese di questo giudizio con riferimento a tutti i restanti rapporti processuali.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di ciascuna parte ricorrente (la principale e le due incidentali), di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile della