Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32717 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 32717 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
SENTENZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 1948/2019) proposto da:
RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE(C.F.: P_IVA, in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende, unitamente all’Avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME
R.G.N. 1948/19 U.P. 12/11/2024
Appalto di servizi -Inadempimento -Risarcimento danni
COGNOME che la rappresenta e difende, unitamente all’Avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
e
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende, unitamente agli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 1563/2017, pubblicata il 7 dicembre 2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12 novembre 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
viste le conclusioni rassegnate nella memoria depositata dal P.M. ex art. 378, primo comma, c.p.c., in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; conclusioni ribadite nel corso dell’udienza pubblica;
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle controricorrenti, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.;
sentiti , in sede di discussione orale all’udienza pubblica, l’Avv. NOME COGNOME per la controricorrente RAGIONE_SOCIALE e l’Avv. NOME COGNOME per la controricorrente Gruppo Formula RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 25 giugno 2003, RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE -Azienda speciale del Comune di Sanremo, conveniva, davanti al Tribunale di Sanremo, RAGIONE_SOCIALE quale capogruppo e mandataria dell’RAGIONE_SOCIALE costituita con RAGIONE_SOCIALE chiedendo la condanna, in solido, della convenuta e della mandante RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni subiti, nella misura da determinarsi, ovvero -in via subordinata -la riduzione del corrispettivo pattuito, in ragione dei gravi inadempimenti e ritardi nell’esecuzione del contratto di appalto stipulato con l’A.T.I. il 13 settembre 1999, avente ad oggetto la fornitura di un nuovo sistema informatico aziendale per la bollettazione delle forniture di acqua ed energia elettrica.
Si costituiva in giudizio RAGIONE_SOCIALE, in proprio e quale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, la quale concludeva, in via principale, per il rigetto delle domande di parte attrice e, in via riconvenzionale, per la condanna di quest’ultima al pagamento: a ) dell’importo di euro 305.484,26, oltre accessori, quale residuo corrispettivo dovuto per la fornitura del sistema informatico di cui allo stipulato contratto di appalto; b ) dell’importo di euro 1.239,50, oltre accessori, quale compenso pattuito per la fornitura e l’installazione del protocollo ODBC per Access; c ) nonché delle ulteriori somme dovute per il maggiore impegno prestato a causa della mancata cooperazione del personale di Amaie nella realizzazione del progetto e per altre forniture e attività non oggetto del contratto, nella misura da quantificarsi.
In via subordinata, chiedeva che fosse accertato che il sistema informatico era fornito di tutte le funzionalità principali, che il suo funzionamento era garantito quanto all’operatività di base, che l’eventuale ritardo o l’omessa consegna di funzionalità previste dal contratto era dovuta all’esclusiva o, in subordine, concorrente responsabilità di NOME e, di conseguenza, che fosse respinta la domanda risarcitoria avversaria o, quantomeno, che fossero ridotte, ai sensi dell’art. 1227 c.c., le somme eventualmente dovute dalla convenuta a titolo di risarcimento, in proporzione alla gravità della colpa di NOME e all’entità delle conseguenze che ne erano derivate.
In via ulteriormente subordinata, per il caso di accoglimento della domanda avversaria di riduzione del corrispettivo pattuito per il contratto di appalto, chiedeva che fosse accertato che NOME aveva concorso, in via esclusiva o prevalente, nella determinazione delle difformità e vizi dell’opera e nei ritardi di consegna e, conseguentemente, che si tenesse conto di tale concorso nel determinare il minor valore dell’opera, accollando alla convenuta la sola quota di minor valore ad essa imputabile e condannando NOME al pagamento del residuo corrispettivo dell’appalto dovuto all’A.T.I.
Interveniva volontariamente in giudizio RAGIONE_SOCIALE, la quale chiedeva, in via principale, che le domande avanzate da NOME fossero respinte e, in via subordinata, che le somme eventualmente riconosciute all’attrice fossero ridotte, in considerazione del suo concorso colposo, nonché che fosse tenuta indenne e manlevata da Akros per quanto in ipotesi dovuto ad NOME, accertando, in ogni caso, il suo diritto al pagamento della
somma di euro 191.295,60, quale saldo del corrispettivo dell’appalto, oltre accessori, con condanna dell’attrice o, in via alternativa, di Akros -al pagamento di detta somma.
Nel corso del giudizio era assunta la prova testimoniale ammessa ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio, cui seguiva la convocazione dell’ausiliario del giudice, affinché rendesse i chiarimenti richiesti.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 45/2013, depositata il 4 febbraio 2013, rigettava la domanda risarcitoria principale, accoglieva per quanto di ragione la domanda riconvenzionale proposta da RAGIONE_SOCIALE, cui era subentrata RAGIONE_SOCIALE.p.A., e -per l’effetto condannava Amaie al pagamento della somma di euro 1.239,50, oltre accessori, e dichiarava l’inammissibilità dell’intervento volontario spiegato da Gruppo Formula S.p.A.
2. -Con atto di citazione notificato il 19 marzo 2014, proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado RAGIONE_SOCIALE, la quale insisteva per la condanna, in solido, di RAGIONE_SOCIALE -subentrata a RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALEe di Gruppo Formula S.p.A. al risarcimento dei danni subiti per effetto dei dedotti inadempimenti del contratto di appalto e in particolare: a . per essere stata privata, nel corso dell’anno 2000 e nel primo semestre dell’anno 2001, dei normali flussi di cassa, con necessità di ricorrere al credito bancario per euro 203.105,41; b . per i maggiori costi sopportati per aver dovuto ricorrere, negli anni 2000 e 2001, al lavoro straordinario dei propri dipendenti ed al lavoro interinale per euro 241.755,31; c . per gli interessi corrisposti alla Cassa conguaglio per il settore elettrico per
ritardati versamenti nella misura di euro 140.007,36; d . per il danno all’immagine, nella misura da quantificarsi in via equitativa.
Segnatamente l’appellante lamentava: 1) l’erronea reiezione della domanda risarcitoria per il danno conseguente alla necessità di ricorrere all’indebitamento bancario derivato dall’impossibilità di fatturare ai clienti in base al consumo, sulla scorta dell’asserita mancanza di prova del nesso causale tra l’addebito degli interessi bancari e delle commissioni e l’inadempienza dell’appaltatrice, all’esito della valutazione della contabilizzazione in bilancio, sotto la voce ‘crediti verso clienti’, di un importo di quasi 19 miliardi di vecchie lire, di cui solo una parte, pari a vecchie lire 4.563.522.836, corrispondente alle ‘fatture da emettere’, ritenendosi così, in modo non condivisibile, che il ricorso al credito bancario fosse dipeso, in gran parte, da fattori essenzialmente diversi da quelli denunciati da parte attrice; 2) l’erroneo rigetto della domanda risarcitoria relativamente al danno correlato ai costi sopportati per le ore di lavoro straordinario prestato dai propri dipendenti e per il lavoro interinale, cui aveva fatto ricorso negli anni 2000 e 2001, per un importo complessivo di euro 241.755,32; 3) il mancato accoglimento della domanda risarcitoria con riferimento al danno correlato agli interessi per ritardati versamenti alla Cassa conguagli per il settore elettrico, sulla scorta dell’asserito difetto di prova dell’imputabilità del versamento degli interessi ai ritardi dipendenti da inadempimento dell’appaltatrice, atteso che gli interessi indicati nel prospetto della Cassa si riferivano anche al periodo successivo al giugno 2001, quando era già subentrata nella gestione informatica RAGIONE_SOCIALE Brescia (poiché, per contro, RAGIONE_SOCIALE
Brescia era subentrata nel novembre 2001, a fronte dei versamenti provati dalla documentazione prodotta e segnatamente dalla lettera del 13 marzo 2002 della Cassa conguagli e dalle deposizioni dei testi COGNOME e COGNOME); 4) l’erroneo rigetto della domanda risarcitoria diretta ad ottenere il ristoro del danno all’immagine conseguente agli inadempimenti dell’A.T.I., alla stregua dell’asserita imputabilità dell’inadempimento a soggetti estranei ad Amaie, il che non avrebbe compromesso la sua reputazione aziendale e la sua immagine, mentre, per converso, l’imputabilità ad Akros delle disfunzioni lamentate non poteva essere nota ai clienti, i quali non avrebbero potuto non attribuire ad Amaie la responsabilità dei disservizi.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione RAGIONE_SOCIALE, la quale, in via principale, chiedeva che l’appello di NOME fosse respinto, con la conferma del rigetto della domanda risarcitoria e della declaratoria di inammissibilità dell’intervento volontario spiegato, ove avesse proposto impugnazione RAGIONE_SOCIALE
In via subordinata, chiedeva che fosse accertato e dichiarato che NOME aveva concorso nella determinazione delle difformità e vizi dell’opera e nei ritardi di consegna, ai fini della quantificazione dei danni ex adverso pretesi, o comunque che l’importo delle somme dovute fosse limitato, in applicazione delle disposizioni sul deposito cauzionale ex artt. 8 e 4 del contratto nonché, in via gradata, della disposizione sulla penale di cui all’art. 4 e, in via ulteriormente gradata, della disposizione di richiamo della normativa sugli appalti pubblici all’epoca vigente di cui all’art. 6.
In via incidentale, chiedeva che fossero accolte le domande riconvenzionali proposte in primo grado.
In specie, sosteneva: A) che non poteva ritenersi che l’incompletezza del sistema informatico fosse stata riscontrata proprio rispetto alle specifiche fornite e non rispettate, poiché -come emergeva dalla relazione peritale -l’imprecisione e la lacunosità delle specifiche tecniche fornite dalla committente avrebbe costretto RAGIONE_SOCIALE a percorrere soluzioni esecutive da rivedere, con influenza negativa sul rispetto dei tempi contrattuali e sul raggiungimento degli obiettivi; B) che tali specifiche erano rilevanti, poiché la loro predisposizione ad opera della committenza e il loro contenuto erano all’epoca stabiliti dal d.lgs. n. 158/1995 mentre la loro importanza nel caso specifico derivava dalla previsione, nel contratto di appalto, della definizione, in corso d’opera, delle modalità di realizzazione del progetto e delle attività richieste all’A.T.I.; C) che erroneamente non era stata accolta l’eccezione di nullità della seconda consulenza tecnica d’ufficio per violazione del contraddittorio, mentre, nel merito, indebitamente l’ausiliario del giudice aveva attribuito alla mancanza delle funzioni ‘workflow’ e ‘calendario’ un’incidenza sul sottosistema di Gruppo Formula e, quindi, sul valore dell’intera fornitura, di cui era contestata la quantificazione; D) che erroneamente era stata disattesa la domanda riconvenzionale di condanna della committente al pagamento del saldo del corrispettivo.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione anche RAGIONE_SOCIALE la quale, in via di appello incidentale, contestava la declaratoria di inammissibilità del suo intervento e chiedeva che
RAGIONE_SOCIALE fosse condannata al pagamento del saldo dell’appalto per l’importo di euro 185.098,15, oltre accessori, e comunque a manlevarla per le somme eventualmente dovute ad Amaie.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Genova, con la sentenza di cui in epigrafe, in accoglimento per quanto di ragione dell’appello principale, in parziale riforma della pronuncia impugnata, condannava RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE e Gruppo Formula S.p.A., in solido, al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE a titolo di risarcimento dei danni, della somma complessiva di euro 894.030,00, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo; respingeva l’appello incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE; condannava RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore di Gruppo Formula S.p.A., della somma di euro 185.098,15, oltre IVA e interessi legali, nonché al rimborso delle somme che Gruppo Formula S.p.A. avesse corrisposto ad Amaie, in forza della pronuncia, per capitale, interessi e spese.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che il sistema informatico che l’A.RAGIONE_SOCIALE si era obbligata a realizzare era composto da una parte relativa alla gestione dell’utenza, di competenza di Akros, e da una parte relativa alla gestione amministrativa e contabile, di competenza di Gruppo Formula; b ) che, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, la parte di competenza di Gruppo Formula era stata completata e fornita e non aveva dato luogo ad alcun problema di funzionamento, salvo un problema di dati di ingresso non corretti, anch’essi di competenza di Akros; c ) che, ove si fosse aderito alla prospettazione
dell’appellante incidentale, si sarebbe dovuto concludere nel senso che le inefficienze e le lacune attribuite dall’appellante incidentale alla committente avessero condizionato solo l’esecuzione delle opere ad essa affidate, ipotesi evidentemente inverosimile, trattandosi di un unico progetto e di un unico rapporto; d ) che, in realtà, le incertezze o lentezze nella comunicazione delle specifiche avrebbero dovuto condizionare essenzialmente i tempi di realizzazione del software mentre i problemi evidenziati dal consulente d’ufficio erano evidentemente ascrivibili ad errori e inefficienze nella programmazione o all’inosservanza degli obblighi assunti da Akros, poiché erano stati riscontrati errori e malfunzionamenti che, nel loro complesso, rendevano spesso farraginoso l’utilizzo del sistema e neppure troppo raramente avevano portato a risultati sbagliati, sicché il sistema non era dotato della gestione procedurale dell’attività (metodologia a workflow) e della gestione legata ai tempi (metodologia basata sull ‘agenda calendari), che pur non essendo bloccante -ne avrebbe falsato totalmente l’utilizzo, rendendo impossibile l’implementazione controllata; e ciò benché entrambe le gestioni fossero state esplicitamente richieste nelle specifiche, con la conclusione che non esisteva una sola voce o punto, tra quelli di competenza di Akros, perfettamente completata e soddisfacente, mediamente trovandosi sempre qualcosa che non andava o che, se fosse andata, lo era parzialmente, con complicanze e rallentamenti praticamente non accettabili, anche in considerazione del tempo impiegato, largamente superiore a quello convenuto, ritenuto espressamente congruo anche dall’A.T.I.; e ) che il consulente d’ufficio aveva espresso anche
l’opinione che non potesse costituire idonea giustificazione delle carenze riscontrate la scarsa chiarezza della committente, alla quale avrebbe comunque dovuto porre rimedio la stessa appaltatrice, individuando le esigenze che la propria opera era destinata a soddisfare; f ) che l’appaltatore era tenuto a realizzare l’opera a regola d’arte, osservando, nell’esecuzione della prestazione, la diligenza qualificata ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c., quale modello astratto di condotta -che si estrins ecava nell’adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente e obiettivamente necessari o utili, in relazione alla natura dell’attività esercitata -, volto all’adempimento della prestazione dovuta e al soddisfacimento dell’interesse del creditore, essendo, quindi, obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto e delle istruzioni impartite dal committente; g ) che, nel caso di specie, l’AT.I., nella relazione tecnica redatta a seguito dell’analisi preliminare, non aveva sollevato alcuna obiezione sulle specifiche contenute nel capitolato, né aveva mosso alcuna riserva in fase di gara, ma aveva accettato la tempistica proposta, assicurando di avere le necessarie risorse per l’esecuzione del progetto ed obbligandosi a portarlo a termine, fiducia nella propria capacità di raggiungere il risultato finale che era stata ostentata fino alle ultime lettere presenti nella documentazione agli atti; h ) che, per l’effetto, le inadempienze rilevate a carico di Akros non dipendevano da carenze nella redazione del capitolato, che non avevano impedito a Gruppo Formula di portare a termine la parte di sua competenza in modo pienamente soddisfacente e che non erano state comunque denunciate, nella fase di instaurazione del
rapporto, dall’A.T.I., che avendo la competenza professionale per verificare l’idoneità delle specifiche tecniche si era mostrata certa della fattibilità del progetto nei termini proposti; i ) che nella seconda relazione, finalizzata a rispondere alle osservazioni delle parti, il consulente tecnico d’ufficio aveva nuovamente sottolineato che i malfunzionamenti riguardavano il solo sottosistema realizzato da Akros, ma compromettevano anche i risultati prodotti dal sottosistema realizzato da Gruppo Formula, come dimostrato dal fatto che la sostituzione del sottosistema RAGIONE_SOCIALE con quello prodotto da RAGIONE_SOCIALE aveva consentito anche al sottosistema Gruppo Formula di fornire dati congruenti; l ) che lo stesso consulente d’ufficio, approfondendo l’aspetto relativo alle conseguenze della mancanza del sistema di gestione a workflow e del calendario sul valore complessivo della fornitura, aveva concluso nel senso che il sistema messo a disposizione di RAGIONE_SOCIALE dall’A.RAGIONE_SOCIALE era in grado di soddisfare complessivamente ne ppure il 32% di tutte le funzionalità richieste dalle specifiche di progetto; m ) che il contraddittorio su tutte le questioni oggetto di indagine tecnica era stato ampio e il supplemento era stato disposto per rispondere alle osservazioni già formulate dalle parti, le quali avevano avuto la possibilità di ulteriormente interloquire in occasione dell’incontro tenutosi il 3 marzo 2008, prima della stesura della relazione, e poi di svolgere le proprie difese nelle memorie conclusionali; n ) che erano documentati e provati dalle testimonianze assunte i ritardi nella fatturazione, a decorrere dal gennaio 2000, ai quali era corrisposto sia un notevole incremento dei crediti verso i clienti -che poi si erano nuovamente ridotti alla fine dell’anno successivo sia il ricorso all’indebitamento bancario
di breve periodo, in precedenza assente; o ) che, inoltre, l’indebitamento corrispondeva approssimativamente all’importo delle ‘fatture da emettere’, sicché, per dimostrare il danno conseguente alla necessità di sopperire, mediante ricorso al credito bancario, ad una mancanza di liquidità conseguente al mancato incasso dei crediti, era sufficiente provare la concomitanza tra la carenza di liquidità e un indebitamento bancario di maggiore importo, a prescindere dal valore complessivo dei crediti insoluti, erroneamente preso in considerazione dal Tribunale, non essendo, infatti, revocabile in dubbio che l’incasso tempestivo dei crediti relativi alle ‘fatture da emettere’ avrebbe consentito ad Amaie di ridurre di un corrispondente importo l’indebitamento bancario, indipendentemente dall’esistenza di altri crediti da incassare o di altre ragioni di ricorso al credito; p ) che la condotta del creditore, il quale avesse fissato una nuova scadenza per l’esecuzione della prestazione cui il debitore si era obbligato, dopo aver constatato la sua incapacità di rispettare il termine originariamente stabilito, precludeva la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto per inosservanza di detto termine, ma non poteva essere interpretata anche come rinuncia del creditore a chiedere il risarcimento del danno conseguente al ritardo, salvo che tale rinuncia fosse inequivocabilmente desumibile dal suo comportamento, ipotesi nella fattispecie non ricorrente; q ) che l’entità dei costi sopportati risultava, non già da documenti di provenienza unilaterale, bensì dalla documentazione bancaria prodotta; r ) che, una volta riconosciuto il nesso causale tra l’inadempimento dell’appaltatrice e i maggiori costi sopportati, la valutazione della possibilità per
Amaie di adottare una diversa scelta organizzativa avrebbe potuto in astratto essere apprezzata esclusivamente alla luce del disposto dell’art. 1227, secondo comma, c.c., ipotesi che integrava un’eccezione in senso proprio, in relazione alla quale si configurava un onere di allegazione e di prova della parte interessata, per cui Asperience avrebbe dovuto sollevare l’eccezione e dimostrare che una diversa condotta avrebbe comportato un danno inferiore; s ) che dalla prova testimoniale assunta era emerso che i lavoratori interinali erano stati impiegati per l’inserimento manuale dei dati reso necessario dalle carenze del software mentre gli straordinari eseguiti dagli impiegati erano finalizzati prevalentemente ad attività di apprendimento e messa a punto del sistema, come previste dal contratto, sicché il costo dei lavoratori interinali pari ad euro 175.286,56 doveva essere riconosciuto interamente, mentre non poteva essere rimborsato il costo delle ore di lavoro straordinario, in mancanza di qualsiasi elemento utile a valutare in che misura tale lavoro potesse essere imputato alle carenze del sistema informativo; t ) che il teste COGNOME aveva confermato il pagamento delle somme di cui al prospetto inviato dalla Cassa conguagli ed era documentato che Asm Brescia era subentrata nel novembre 2001, per cui spettava all’appellante il rimborso degli interessi versati fino al 30 novembre 2001, per un totale di euro 125.828,55; u ) che era fondata la pretesa risarcitoria per il danno reclamato all’immagine, essendo ininfluente, nella percezione del disservizio da parte del pubblico, la sua imputabilità al soggetto incaricato da NOME di realizzare il nuovo sistema informatico, potendo, a tal fine, essere utilizzate le deposizioni testimoniali, dalle quali risultavano le
proteste e i disagi degli utenti, nonché le copie prodotte delle pagine del quotidiano ‘Il Secolo XIX’, dalle quali risultavano le polemiche suscitate dalle emissioni di bollette a saldo per importi rilevanti, elementi di prova, questi, da cui emergeva la diffusione a livello locale di un’immagine di disservizio, che sicuramente aveva inciso sulla reputazione dell’appellante, procurandole un pregiudizio risarcibile, che poteva essere liquidato, ad oggi, tenuto conto della natura delle circostanze rese pubbl iche, dell’ambito della diffusione e della durata dei disservizi, nella somma complessiva di euro 30.000,00; v ) che, ai fini dell’ammissibilità dell’intervento di un terzo in un giudizio pendente tra altre parti, era sufficiente che la domanda dell’interventore presentasse una connessione o un collegamento implicante l’opportunità di un simultaneus processus , come nel caso di specie, in cui le domande proposte da Gruppo Formula -già parte sostanziale del giudizio, quale mandante di Akros -erano dirette ad evitare le conseguenze pregiudizievoli dell’accoglimento delle domande proposte dall’attrice nei confronti dell’A.T.I., sicché dovevano essere esaminate nel merito le domande dell’intervenuta volte ad ottenere la condanna di RAGIONE_SOCIALE a versare una somma equivalente al residuo corrispettivo spettante dell’appalto e a manlevarla, in relazione alla pretesa risarcitoria di Amaie; w ) che tali domande erano fondate, stante l’attribuibilità ad Akros dell’esclusiva responsabilità degli inadempimenti lamentati da lla committente, sulla base di quanto accertato dal consulente d’ufficio, secondo cui i problemi insorti erano ascrivibili ad errori e inefficienze nella programmazione di Akros o all’inosservanza degli obblighi dalla stessa assunti, mentre la parte di programma di
competenza di RAGIONE_SOCIALE era stata completata e fornita e non aveva dato luogo ad alcun problema di funzionamento; z ) che, poiché nei rapporti interni ciascuna delle imprese associate era responsabile esclusiva per la parte ad essa affidata, sia sulla base dei principi generali, sia in forza delle previsioni del contratto costitutivo dell’A.T.I., gli effetti negativi dell’accoglimento delle domande di Amaie non potevano che ricadere su Asperience, sicché doveva essere accolta sia la domanda risarcitoria del danno subito da Gruppo Formula, in conseguenza della riduzione del corrispettivo -da quantificarsi nella misura di euro 185.098,15, oltre IVA e interessi legali sugli importi delle fatture rimaste insolute dalla data di ciascuna fattura al saldo -, sia la domanda di manleva, in relazione alla condanna dell’A.T.I. al risarcimento del danno in favore dell’appellante principale.
3. -Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a dieci motivi, RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE
Hanno resistito, con separati controricorsi, le intimate RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
Il Pubblico Ministero ha depositato memoria ex art. 378, primo comma, c.p.c., in cui ha rassegnato le conclusioni trascritte in epigrafe.
All’esito, le controricorrenti hanno depositato memorie illustrative, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa
applicazione del d.lgs. n. 158/1995 e dell’art. 1227, primo comma, c.c., con l’omessa applicazione di norme di legge regolanti la responsabilità dell’appaltante nel caso di specie, per avere la Corte di merito attribuito erroneamente la responsabilità all’appaltatore, pur in presenza di un’accertata genericità del progetto.
Per converso, si sarebbe dovuto rilevare che, in ragione della natura di impresa pubblica di Amaie e dei settori cui l’appalto era destinato (acqua ed energia elettrica), trovava applicazione il d.lgs. n. 158/1995, relativamente alle procedure di appalto nei settori esclusi, il cui art. 19, applicabile ratione temporis , stabiliva che i soggetti aggiudicatori inserissero ‘specifiche tecniche’ nei documenti generali e nel capitolato d’oneri di ciascun appalto, normativa speciale evocata dalla pronuncia impugnata, senza che ne fossero indicate le ragioni di inapplicabilità.
Osserva l’istante che, in ragione dell’eccepita mancata cristallizzazione e predefinizione -in tutti i suoi dettagli e componenti -del progetto fornito da NOME, tanto che era stato previsto espressamente che l’appaltante impartisse indicazioni nel corso dell’esecuzione dell’opera e che potesse chiedere modificazioni alle caratteristiche tecniche dell’opera stessa, le doglianze di NOME non avrebbero potuto trovare seguito, in quanto -pur a voler riconoscere qualche difetto al sistema informatico -di ciò avrebbe dovuto essere responsabilizzata unicamente la committente, che avrebbe fornito un progetto non specifico e comunque non avrebbe reso adeguate istruzioni ed informazioni, come era stato confermato dal consulente tecnico
d’ufficio, che si sarebbe riferito alla lacunosità e all’imprecisione delle specifiche.
La ricorrente nega, poi, che -a fronte di tale genericità e lacunosità -fosse obbligo dell’appaltatore provvedere a rimediarvi, sostituendosi al committente nell’individuare, in luogo della stessa, le caratteristiche specifiche e personali che l’opera doveva possedere, diversamente dall’ipotesi in cui la verifica avesse fatto riferimento all’inesattezza del progetto e delle istruzioni fornite.
2. -Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione ovvero falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per avere la Corte territoriale affermato l’adeguatezza delle ‘specifiche tecniche’ fornite da RAGIONE_SOCIALE all’A.RAGIONE_SOCIALE., pur in assenza di prova alcuna sul punto, alla stregua dell’esattezza dell’opera realizzata da Gruppo Formula.
Conclusione, questa, che sarebbe stata una mera illazione, in quanto non avrebbe trovato conforto ovvero riscontro alcuno nelle prove assunte e, in particolare, nei rilievi del consulente tecnico d’ufficio, che in assenza di uno apposito quesito -non aveva indagato sull’incidenza causale della descritta carenza sull’esito dell’opera e non aveva verificato se detta carenza fosse stata generalizzata oppure si fosse atteggiata diversamente nei confronti di Gruppo Formula, rispetto ad Akros, anche in ragione della diversità dei compiti che le due imprese dell’A.RAGIONE_SOCIALE. si erano assegnati, con il conseguente errore di percezione commesso.
2.1. -I due motivi -che possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto connessi sul piano logico e giuridico -sono infondati.
2.1.1. -In via preliminare, si rileva che le censure introducono questioni nuove, sollevate per la prima volta solo nelle note di replica depositate nel giudizio di primo grado, e poi riproposte nel secondo grado di giudizio.
2.1.2. -Inoltre, la normativa invocata dalla ricorrente non è applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio, che riguarda il mancato adempimento delle obbligazioni assunte dall’A.T.I. attraverso il contratto di appalto del 16 settembre 1999 e i conseguenti danni che ne sono scaturiti, mentre il d.lgs. n. 158/1995, vigente ratione temporis , regolava il procedimento che ha portato la committente all’individuazione del contraente.
Tale normativa disciplinava, infatti, la procedura di individuazione del contraente e l’aggiudicazione dell’appalto per le aziende operanti nei settori esclusi, ossia la fase anteriore alla conclusione del contratto, e non i rapporti nascenti dalla sua conclusione, sicché non avrebbe potuto ascriversi all’art. 19 di tale testo normativo l’obbligo di inserire nel contratto di appalto le ‘specifiche tecniche’.
2.1.3. -Ad ogni modo, la sentenza impugnata ha escluso in radice che le inadempienze rilevate a carico di RAGIONE_SOCIALE fossero dipese da carenze nella redazione del capitolato, sostenendo che esse erano state piuttosto causate da semplici errori e mancanze rispetto al servizio richiesto e valorizzando altresì la circostanza che l’ARAGIONE_SOCIALE non aveva mai denunciato tale supposte carenze nella fase di instaurazione del rapporto, né durante la sua esecuzione.
Precisamente la sentenza impugnata ha, nell’ordine, rilevato: che il sistema informatico che l’A.RAGIONE_SOCIALE si era obbligata a realizzare era composto da una parte relativa alla gestione
dell’utenza, di competenza di RAGIONE_SOCIALE, e da una parte relativa alla gestione amministrativa e contabile, di competenza di Gruppo Formula; che, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, la parte di competenza di Gruppo Formula era stata completata e fornita e non aveva dato luogo ad alcun problema di funzionamento, salvo un problema di dati di ingresso non corretti, anch’essi di competenza di Akros; – che, ove si fosse aderito alla prospettazione dell’appellante incidentale, si sarebbe dovuto concludere nel senso che le inefficienze e le lacune attribuite dall’appellante incidentale alla committente avessero condizionato solo l’esecuzione delle opere ad essa affidate, ipotesi evidentemente inverosimile, trattandosi di un unico progetto e di un unico rapporto; – che, in realtà, le incertezze o lentezze nella comunicazione delle specifiche avrebbero dovuto condizionare essenzialmente i tempi di realizzazione del software mentre i problemi evidenziati dal consulente d’ufficio erano evidentemente ascrivibili ad errori e inefficienze nella programmazione o all’inosservanza degli obblighi assunti da Akros, poiché erano stati riscontrati errori e malfunzionamenti che, nel loro complesso, rendevano spesso farraginoso l’utilizzo del sistema e neppure troppo raramente avevano portato a risultati sbagliati; – che il sistema non era dotato della gestione procedurale dell’attività (metodologia a workflow) e della gestione legata ai tempi (metodologia basata sull’agenda calendari), che pur non essendo bloccante -ne avrebbe falsato totalmente l’utilizzo, rendendo impossibile l’implementazione controllata; -che entrambe le gestioni (workflow e calendario) erano state esplicitamente richieste nelle specifiche; – che non esisteva una
sola voce o punto, tra quelli di competenza di Akros, perfettamente completata e soddisfacente, mediamente trovandosi sempre qualcosa che non andava o che, se fosse andata, lo era parzialmente, con complicanze e rallentamenti praticamente non accettabili, anche in considerazione del tempo impiegato, largamente superiore a quello convenuto, ritenuto espressamente congruo anche dall’A.T.I.
Pertanto, è stato escluso, con accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, che gli errori e inefficienze nella programmazione e l’inosservanza degli obblighi assunti da Akros fossero eziologicamente riconducibili alle carenze delle specifiche tecniche. Infatti, è stato evidenziato: -che gli errori e malfunzionamenti riscontrati erano ascrivibili al fatto che il sistema non era dotato della gestione procedurale dell’attività (metodologia a workflow) e della gestione legata ai tempi (metodologia ba sata sull’agenda calendari), gestioni espressamente richieste nelle specifiche; – che, nel caso di specie, l’AT.I., nella relazione tecnica redatta a seguito dell’analisi preliminare, non aveva sollevato alcuna obiezione sulle specifiche contenute nel capitolato, né aveva mosso alcuna riserva in fase di gara, ma aveva accettato la tempistica proposta, assicurando di avere le necessarie risorse per l’esecuzione del progetto ed obbligandosi a portarlo a termine, fiducia nella propria capacità di raggiungere il risultato finale che era stata ostentata fino alle ultime lettere presenti nella documentazione agli atti; – che, per l’effetto, le inadempienze rilevate a carico di Akros non dipendevano da carenze nella redazione del capitolato, che non avevano impedito a Gruppo Formula di portare a termine la parte
di sua competenza in modo pienamente soddisfacente e che non erano state comunque denunciate, nella fase di instaurazione del rapporto, dall’A.T.I.; -che quest’ultima avendo la competenza professionale per verificare l’idoneità delle specifiche tecniche si era mostrata certa della fattibilità del progetto nei termini proposti; – che nella seconda relazione, finalizzata a rispondere alle osservazioni delle parti, il consulente tecnico d’ufficio aveva nuovamente sottolineato che i malfunzionamenti riguardavano il solo sottosistema realizzato da RAGIONE_SOCIALE, ma compromettevano anche i risultati prodotti dal sottosistema realizzato da Gruppo Formula, come dimostrato dal fatto che la sostituzione del sottosistema RAGIONE_SOCIALE con quello prodotto da Asm Brescia aveva consentito anche al sottosistema Gruppo Formula di fornire dati congruenti; che lo stesso consulente d’ufficio, approfondendo l’aspetto relativo alle conseguenze della mancanza del sistema di gestione a workflow e del calendario sul valore complessivo della fornitura, aveva concluso nel senso che il sistema messo a disposizione di Amaie dall’A.RAGIONE_SOCIALE era in grado di soddisfare complessivamente neppure il 32% di tutte le funzionalità richieste dalle specifiche di progetto.
Ebbene, rispetto alla ricostruzione in fatto resa dal giudice di merito, è preclusa in sede di legittimità una nuova ponderazione dei fatti storici in quella sede operata (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. 65, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
2.1.4. -Né si rinviene alcun errore di percezione. La sentenza impugnata si è sul punto attenuta alle risultanze peritali, da cui è emerso che non poteva costituire idonea giustificazione delle carenze riscontrate la scarsa chiarezza della committente.
Al contempo, non può essere sindacato, in quanto logico e coerente, il ragionamento -avallato dalle risultanze peritali -, a mente del quale, a fronte dell’unicità del progetto, il regolare espletamento del servizio quanto alla gestione amministrativa e contabile rimessa a Gruppo Formula, avrebbe escluso che le deficienze del sistema quanto alla gestione dell’utenza, rimessa ad Akros, fossero ascrivibili ad una carenza delle specifiche tecniche che Amaie avrebbe dovuto rendere disponibili.
Da cui è stato tratto, senza alcun travisamento, che le deficienze qualitative fossero imputabili all’appaltatrice, così determinando il mancato raggiungimento del risultato programmato con l’appalto.
2.1.5. -A fronte dell’esclusione del nesso causale tra l’ipotizzata radicale mancanza ( an ) delle specifiche e gli inadempimenti addebitati all’A.T.I., la Corte d’appello ha correttamente ritenuto che alle mere lacune ( quomodo ) di tali specifiche (dilazionate nel tempo) avrebbe comunque dovuto porre rimedio la stessa appaltatrice, individuando le esigenze che la propria opera era destinata a soddisfare.
E ciò in osservanza del principio nomofilattico a mente del quale l’appaltatore è tenuto a realizzare l’opera a regola d’arte, osservando, nell’esecuzione della prestazione, la diligenza qualificata ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c., quale modello astratto di condotta, che si estrinseca nell’adeguato
sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente e obiettivamente necessari o utili, in relazione alla natura dell’attività esercitata, volto all’adempimento della prestazione dovuta e al soddisfacimento dell’interesse del creditore, essendo, quindi, obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto e delle istruzioni impartite dal committente (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15732 del 15/06/2018; Sez. 2, Sentenza n. 1981 del 02/02/2016; Sez. 1, Sentenza n. 22036 del 17/10/2014; Sez. 3, Sentenza n. 12995 del 31/05/2006).
3. -Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per invalidità dell’elaborato peritale del 10 marzo 2008, con violazione del principio del contraddittorio e degli artt. 194 e 195 c.p.c., per avere la Corte distrettuale escluso la nullità della seconda perizia redatta (a fronte della tardività dell’eccezione prospettata dal Tribunale, in quanto spiegata solo in sede di comparsa conclusionale, anziché nella prima istanza o difesa successiva al deposito della relazione), benché il giudice di prime cure non avesse concesso ai consulenti di parte alcuna facoltà di svolgere osservazioni ovvero rilievi sull’attività svolta e sulla bozza dell’elaborato redatto dal consulente tecnico d’ufficio.
Obietta l’istante che, nell’incontro organizzato dal consulente tecnico d’ufficio con i consulenti di parte in data 3 marzo 2008, sarebbe emerso che l’eventuale mancanza o incompletezza delle funzioni di gestione, quali il ‘workflow’ e il ‘calendario’, non aveva alcuna incidenza sul sottosistema Formula, con l’effetto che la supposta mancanza di tali funzioni
non avrebbe potuto avere alcun peso, neppure sul valore complessivo della fornitura (contrariamente a quanto ritenuto dall’ausiliario nel supplemento finale depositato).
Né, d’altronde, i rilievi esposti nelle memorie conclusionali avrebbero potuto ritenersi sostitutivi delle osservazioni dei periti, anche per il divieto delle parti di formulare osservazioni critiche alla consulenza tecnica d’ufficio per la prima volta in sede di comparsa conclusionale.
3.1. -Il motivo è infondato.
In proposito, la sentenza impugnata ha precisato che il contraddittorio su tutte le questioni oggetto di indagine tecnica era stato ampio e il supplemento era stato disposto per rispondere alle osservazioni già formulate dalle parti, le quali avevano avuto la possibilità di ulteriormente interloquire in occasione dell’incontro tenutosi il 3 marzo 2008, prima della stesura della relazione, e poi di svolgere le proprie difese nelle memorie conclusionali.
Premesso che nella fattispecie vigeva la versione dell’art. 195 c.p.c. antecedente alla novella di cui alla legge n. 69/2009, poiché la causa è stata instaurata in prime cure prima del 4 luglio 2009, ad ogni modo, la pronuncia contestata ha rilevato, per un verso, che il supplemento di consulenza tecnica d’ufficio è stato depositato all’esito dell’incontro tenuto con i consulenti di parte e, per altro verso, che a tali chiarimenti le parti avevano replicato nell’appendice pre -decisoria.
Inoltre, in ordine ai chiarimenti scritti comunicati dal consulente, su richiesta del giudice, in risposta alle osservazioni dei consulenti tecnici di parte, è esclusa la necessità della
comunicazione degli esiti provvisori, trattandosi d’attività svolta sulla base degli accertamenti già compiuti nel contraddittorio delle parti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15926 del 17/07/2007; Sez. 3, Sentenza n. 5762 del 17/03/2005; Sez. L, Sentenza n. 2583 del 19/04/1984).
Né, in ultimo, è stata dedotta alcuna violazione del diritto di difesa, avendo le parti ampiamente replicato avverso gli esiti del supplemento di perizia, senza che i relativi rilievi siano stati dichiarati inutilizzabili.
Sul punto si evidenzia che le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d’ufficio, ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, come tali disciplinate dagli artt. 156 e 157 c.p.c., costituiscono argomentazioni difensive, sebbene di carattere non tecnicogiuridico, che possono essere formulate per la prima volta nella comparsa conclusionale e anche in appello, purché non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove ma si riferiscano all’attendibilità e alla valutazione delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e siano volte a sollecitare il potere valutativo del giudice in relazione a tale mezzo istruttorio (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 25823 del 01/09/2022; Sez. U, Sentenza n. 5624 del 21/02/2022; Sez. 3, Sentenza n. 20829 del 21/08/2018).
4. -Con il quarto motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello omesso di pronunciare sulle domande formulate da Asperience nel punto F) delle conclusioni in appello, che invocavano l’applicazione delle disposizioni del
contratto di appalto di cui agli artt. 4 e 8 e della disposizione di cui all’art. 340 della legge n. 2248/1865, All. E, sulla limitazione dell’importo delle somme che fossero risultate dovute ad Amaie, in ragione delle disposizioni sul deposito cauzionale nonché, in via gradata, sulla penale e, in via ulteriormente gradata, in ragione del richiamo alla normativa sugli appalti pubblici all’epoca vigente.
Espone l’istante che dalla lettura della sentenza impugnata si sarebbe ricavato che il motivo di appello non era stato scrutinato in alcun modo e nemmeno implicitamente rigettato, sicché, ove tale doglianza fosse stata esaminata, la responsabilità della ricorrente sarebbe stata limitata ad euro 43.640,00 o ad euro 87.281,00 o addirittura esclusa, in base alla normativa sugli appalti pubblici all’epoca vigente.
4.1. -Il motivo è inammissibile.
E tanto perché tali domande sono state espressamente formulate solo nel giudizio di gravame (e dunque erano nuove ex art. 345, primo comma, c.p.c.), in collegamento con argomentazioni sviluppate per la prima volta solo nella memoria di replica depositata nel giudizio di prime cure ai sensi dell’art. 190 c.p.c.
Ora, l’omessa pronuncia, qualora abbia ad oggetto una domanda inammissibile, non costituisce vizio della sentenza e non rileva nemmeno come motivo di ricorso per cassazione, in quanto alla proposizione di una tale domanda non consegue l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 20363 del 16/07/2021; Sez. 1, Ordinanza n. 22784 del 25/09/2018; Sez. 6-1, Ordinanza n. 24445 del 02/12/2010; Sez. 1, Sentenza n. 12412 del 25/05/2006).
5. -Con il quinto motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 340 della legge n. 2248/1865, All. F, e degli artt. 27 e 34 del r.d. n. 350/1895 all’epoca vigenti, in combinato disposto con gli artt. 1453, 1223, 1225 e 1227 c.c., per avere la Corte del gravame liquidato danni in favore di NOME per l’esecuzione del contratto di appalto, che comunque non sarebbero spettati, con il conseguente arricchimento ingiusto della committente, poiché l’Amministrazione sarebbe stata in diritto di rescindere il contratto solo quando l’appaltatore fosse stato colpevole di frode o di grave negligenza e, in tal caso, l’appaltatore avrebbe avuto ragione soltanto del pagamento dei lavori eseguiti regolarmente, essendo passibile di rispondere del danno subito dall’Amministrazione con riferimento alla sola stipulazione di un nuovo contratto o all’esecuzione d’ufficio.
Sostiene, pertanto, l’istante che la responsabilità dell’appaltatore avrebbe richiesto che questi si fosse reso colpevole di frode o grave negligenza e comunque la sua responsabilità sarebbe stata limitata ai soli danni derivanti dalla stipulazione di un nuovo contratto o all’esecuzione d’ufficio del contratto da parte del soggetto aggiudicatore, sicché, avendo Amaie pacificamente ammesso di aver saldato il 30% dei lavori in appalto (con utilizzazione del sistema fornito dall’A.T.I.), a fronte di un totale stabilito di vecchie lire 845.000.000, e di aver dovuto impiegare proprie risorse per mettere in piena funzione il sistema informatico per il servizio commerciale e amministrativo, fino a che, nel novembre 2001, lo aveva affidato in service alla Asm Brescia, con un contratto dell’importo di euro 218.612,08, oltre
IVA, comprendente funzionalità ulteriori, ne sarebbe derivato che il danno emergente patito da NOME per il funzionamento del sistema, cui non aveva rinunciato, messo in esecuzione attraverso proprie risorse e imprese terze, avrebbe dovuto essere emarginato solo all’eccedenza rispetto all’importo pattuito di vecchie lire 845.000.000.
Inoltre, il danno avrebbe potuto essere riconosciuto solo limitatamente ai danni che fossero stati conseguenza diretta dell’inadempimento, con l’effetto che non avrebbe potuto essere liquidata la somma di euro 175.286,56 per il costo dei lavoratori interinali adibiti all’inserimento manuale dei dati, asseritamente reso necessario per le carenze del software, poiché il pagamento di quel software non era stato saldato e, quindi, il costo sopportato per il preteso inadempimento dell’appaltatore non avrebbe rappresentato un danno diretto, in quanto compensato dal mancato versamento del prezzo.
6. -Con il sesto motivo la ricorrente rileva, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 2697 c.c., in combinato disposto con l’art. 340 della legge n. 2248/1865, All. F, e con gli artt. 27 e 34 del r.d. n. 350/1895 all’epoca vigenti nonché con gli artt. 1453, 1223, 1225 e 1227 c.c., per avere la Corte di merito liquidato le spese per i lavoratori interinali nonché i danni per i ritardati versamenti alla Cassa conguagli e per interessi passivi versati alle banche, nonostante avesse provveduto a sopperire ai pretesi deficit dell’opera eseguendola d’ufficio, a mezzo dei propri dipendenti e lavoratori interinali, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere escluso il nesso causale tra l’inadempimento dell’appaltatore e gli asseriti danni.
Precisa l’istante che, avendo la committente eseguito d’ufficio l’opera, come previsto nel contratto, non avrebbe potuto addebitare all’appaltatore i vizi eventualmente derivanti dall’attività d’ufficio, potendo addebitare soltanto i vizi che fossero stati conseguenza diretta delle carenze del sistema.
E così i danni per le mancate comunicazioni alla Cassa conguagli sarebbero stati conseguenti, non più alle carenze del sistema informatico, ma all’attività svolta dalla committente in sostituzione dell’appaltatore.
Quanto agli interessi bancari versati per i pretesi ritardi nella fatturazione, sarebbe stato del tutto irrilevante l’accertamento circa la concomitanza tra la carenza di liquidità e l’indebitamento bancario a breve, poiché, in primo luogo, avrebbe dovuto essere indagata la causa del ritardo nella fatturazione, poi, l’eventuale carenza di liquidità come conseguenza diretta e, infine, l’eventuale effettivo ricorso al credito bancario. Pertanto, avendo la committente affermato di aver proceduto alla bollettazione e fatturazione sostituendosi all’appaltatore, tale voce di danno avrebbe dovuto essere esclusa.
D’altronde, ai fini del rimborso delle somme versate per interessi alla cassa Conguagli, avrebbe dovuto essere data la prova che tale pagamento fosse effettivamente avvenuto.
E, in ultimo, poiché gli importi a capitale sarebbero stati recuperabili, non si vede perché gli interessi sugli importi non avrebbero dovuto esserlo, con la conseguenza che l’appellante avrebbe dovuto provare quale fosse stato l’importo capitale dovuto effettivamente e ricalcolare su questo gli interessi.
6.1. -I due precedenti motivi -che possono essere scrutinati congiuntamente, in quanto avvinti da evidenti ragioni di connessione logica e giuridica -sono inammissibili.
Anzitutto, le censure prospettano argomenti in fatto e in diritto nuovi (appena accennati nel solo giudizio di gravame).
In secondo luogo, le doglianze sono articolate in violazione del principio di autosufficienza, in quanto non è puntualizzato quali siano gli argomenti aggrediti della sentenza impugnata, né è specificato quale influenza esercitino sull’esito della lite.
Inoltre, i richiami normativi esposti non sono pertinenti, poiché il risarcimento del danno è stato disposto quale conseguenza immediata e diretta degli inadempimenti ascritti all’appaltatore, non facendo riferimento ai costi che l’appaltante avrebbe sopportato per procurarsi altrimenti una prestazione non fornita.
Per l’effetto, la condanna risarcitoria è stata disposta in applicazione dei generali principi sulla responsabilità contrattuale e non in base alla disciplina sui lavori pubblici.
Segnatamente la Corte d’appello ha affermato: – che la condotta del creditore, il quale avesse fissato una nuova scadenza per l’esecuzione della prestazione cui il debitore si era obbligato, dopo aver constatato la sua incapacità di rispettare il termine originariamente stabilito, precludeva la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto per inosservanza di detto termine, ma non poteva essere interpretata anche come rinuncia del creditore a chiedere il risarcimento del danno conseguente al malfunzionamento e al ritardo, salvo che tale rinuncia fosse inequivocabilmente desumibile dal suo comportamento, ipotesi
nella fattispecie non ricorrente; che l’entità degli esborsi ulteriori sopportati (verso le banche, la Cassa conguagli e a titolo di retribuzione del lavoro interinale) risultava, non già da documenti di provenienza unilaterale, bensì dalla documentazione prodotta; che, una volta riconosciuto il nesso causale tra l’inadempimento dell’appaltatrice e i maggiori esborsi sopportati, la valutazione della possibilità per NOME di adottare una diversa scelta organizzativa avrebbe potuto in astratto essere apprezzata esclusivamente alla luce del disposto dell’art. 1227, secondo comma, c.c., ipotesi che integrava un’eccezione in senso proprio, in relazione alla quale si configurava un onere di allegazione e di prova della parte interessata, per cui Asperience avrebbe dovuto sollevare l’eccezione e dimostrare che una diversa condotta avrebbe comportato un danno inferiore.
In specie, quanto al lavoro interinale, è stato evidenziato che dalla prova testimoniale assunta era emerso che i lavoratori interinali erano stati impiegati per l’inserimento manuale dei dati reso necessario dalle carenze del software mentre gli straordinari eseguiti dagli impiegati erano finalizzati prevalentemente ad attività di apprendimento e messa a punto del sistema, come previste dal contratto, sicché il solo costo dei lavoratori interinali pari ad euro 175.286,56 doveva essere riconosciuto interamente, mentre non poteva essere rimborsato il costo delle ore di lavoro straordinario, in mancanza di qualsiasi elemento utile a valutare in che misura tale lavoro potesse essere imputato a carenze del sistema informativo.
D’altronde, la Corte di secondo grado ha dato contezza specifica del collegamento causale diretto tra le inadempienze
accertate e le voci di danno liquidate, senza mai fare riferimento al corrispettivo dell’appalto.
Quanto al pagamento del lavoro interinale, si è fatto riferimento alla diretta incidenza del malfunzionamento del sistema informatico imputabile all’appaltatore sulla necessità di fare ricorso al lavoro interinale per l’inserimento manuale dei dati all’esito della rilevata carenza del software.
In ordine alla corresponsione degli interessi bancari sull’indebitamento avvenuto, è stato descritto il collegamento tra i ritardi nella fatturazione a decorrere dal gennaio 2000 e il ricorso all’indebitamento bancario di breve periodo, in precedenza assente, e nuovamente ridotto all’esito degli incassi postergati, con la precisazione che l’indebitamento corrispondeva approssimativamente all’importo delle ‘fatture da emettere’.
In ultimo, con riguardo ai ritardi nelle comunicazioni alla Cassa conguagli, essi sono stati immediatamente imputati alla mancata funzionalità del sistema appaltato.
Tutto ciò nel rispetto del giudizio di regolarità causale o di occasionalità necessaria o di normalità causale delle conseguenze (immediate e dirette) dell’inadempimento di cui all’art. 1223 c.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 31546 del 06/12/2018; Sez. 3, Sentenza n. 15274 del 04/07/2006; Sez. 3, Sentenza n. 16163 del 21/12/2001).
7. -Con il settimo motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. e conseguentemente dell’art. 2697 c.c., in combinato disposto con l’art. 340 della legge n. 2248/1865, All. F, e con gli artt. 27 e 34 del r.d. n. 350/1895 nonché con gli artt.
1453, 1223, 1225 e 1227 c.c., per avere la Corte territoriale adottato un ragionamento induttivo illegittimo, poiché, in linea di principio, quale assioma, l’incasso tempestivo dei crediti relativi a fatture non ancora emesse non avrebbe consentito, come fatto noto, di ridurre di un corrispondente importo l’indebitamento bancario, sussistendo anche gli altri debiti.
Evidenzia l’istante che, ove non si fosse guardato ai debiti complessivi, non avrebbe potuto trarsi alcun principio notorio sulla riduzione dell’indebitamento, poiché, pur potendo essere ben possibile, perciò anche noto, che per qualche contingente o strutturale motivo un’azienda contragga altri debiti, non sarebbe stato certamente noto il fatto che l’incasso di fatture ancora da emettere e non emesse porti a ridurre l’indebitamento. E ciò perché l’indebitamento avrebbe potuto essere causato anche da debiti e non solo da mancati incassi.
Si sarebbe, quindi, trattato di un esempio di praesumptio de praesumpto , pacificamente illegittima, poiché non avrebbe potuto valorizzarsi una presunzione come fatto noto, per derivare da essa un’altra presunzione.
In altri termini, senza la verifica di altri debiti, non sarebbe stato ovviamente possibile collegare un indebitamento ad un mancato incasso, per la semplice ragione che l’indebitamento avrebbe potuto essere anche causato da diversi debiti, e quindi essere del tutto indipendente dal mancato incasso e invece dipendente da altri costi, e potendo comunque l’indebitamento bancario essere, in linea di principio, frutto di una scelta gestionale, di un indebitamento di altra natura, di un mancato incasso di altra natura.
Pertanto, ad avviso della ricorrente, a fronte di un incremento dei debiti per oltre 17 miliardi di vecchie lire nell’anno 2000 e di sei miliardi di vecchie lire nell’anno 2001, l’assioma enunciato dalla Corte d’appello avrebbe dimostrato tutta la sua inconsistenza, essendo impossibile collegare i debiti per prestiti bancari e comunque la carenza di liquidità alla mancata fatturazione di bollette elettriche a consumo, invece che in acconto.
7.1. -Il motivo è infondato.
Sull’argomento la Corte territoriale ha rilevato: – che erano documentati e provati dalle testimonianze assunte i ritardi nella fatturazione, a decorrere dal gennaio 2000, ai quali era corrisposto sia un notevole incremento dei crediti verso i clienti -che poi si erano nuovamente ridotti alla fine dell’anno successivo -sia il ricorso all’indebitamento bancario di breve periodo, in precedenza assente; che, inoltre, l’indebitamento corrispondeva approssimativamente all’importo delle ‘fatture da emettere’, sicché, per dimostrare il danno conseguente alla necessità di sopperire, mediante ricorso al credito bancario, ad una mancanza di liquidità conseguente al mancato incasso dei crediti, era sufficiente provare la concomitanza tra la carenza di liquidità e un indebitamento bancario di maggiore importo, a prescindere dal valore complessivo dei crediti insoluti, erroneamente preso in considerazione dal Tribunale, non essendo, infatti, revocabile in dubbio che l’incasso tempestivo dei crediti relativi alle ‘fatt ure da emettere’ avrebbe consentito ad NOME di ridurre di un corrispondente importo l’indebitamento bancario,
indipendentemente dall’esistenza di altri crediti da incassare o di altre ragioni di ricorso al credito.
Sicché, a fronte della corrispondenza tra l’ammontare del mancato riscosso per le fatture da emettere e l’ammontare dell’indebitamento bancario a breve periodo, indebitamento in precedenza assente e rientrato dopo l’incameramento delle somme dovute per la mancata fatturazione nell’epoca storica interessata dai problemi del sistema informatico, con un ragionamento inferenziale dettagliatamente esplicitato si è ritenuto che l’indebitamento bancario fosse stato causato dal difetto di liquidità conseguente al mancato incasso dei crediti verso gli utenti per l’omessa fatturazione, a prescindere dai debiti da cui era gravata NOMECOGNOME con il conseguente addebito al danneggiante degli interessi bancari corrisposti.
Dinanzi a siffatto quadro descrittivo, nessuna contestazione può essere mossa in questa sede avverso il ragionamento inferenziale articolato in sede di merito.
7.2. -In primis , si rileva che, in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni ‘gravi, precise e concordanti’, laddove il requisito della ‘precisione’ è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della ‘gravità’ al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della ‘concordanza’, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi (sulla mera eventualità, ma non necessità, del concorso di più elementi presuntivi: Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 11162 del 28/04/2021; Sez. 6-2, Ordinanza n. 2482 del 29/01/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 23153 del 26/09/2018;
Sez. 5, Sentenza n. 656 del 15/01/2014; Sez. 5, Sentenza n. 17574 del 29/07/2009; Sez. 1, Sentenza n. 19088 del 11/09/2007), richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi.
Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., può prospettarsi solo quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta e applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 28261 del 09/10/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 27266 del 25/09/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 22903 del 27/07/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 20898 del 18/07/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 8829 del 29/03/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022; Sez.
6-5, Ordinanza n. 34248 del 15/11/2021; Sez. L, Ordinanza n. 22366 del 05/08/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Sez. L, Sentenza n. 18611 del 30/06/2021; Sez. 1, Ordinanza n. 10253 del 19/04/2021; Sez. 6-1, Ordinanza n. 5279 del 26/02/2020; Sez. 6-3, Ordinanza n. 3541 del 13/02/2020; Sez. 5, Sentenza n. 15454 del 07/06/2019; Sez. 6-2, Ordinanza n. 2482 del 29/01/2019; Sez. L, Sentenza n. 29635 del 16/11/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 17720 del 06/07/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 9059 del 12/04/2018; Sez. 3, Sentenza n. 19485 del 04/08/2017; Sez. L, Sentenza n. 27671 del 15/12/2005; Sez. 2, Sentenza n. 3646 del 24/02/2004; Sez. L, Sentenza n. 11906 del 06/08/2003).
Ebbene, la sentenza impugnata ha offerto molteplici elementi indiziari convergenti, ampiamente giustificativi del ragionamento inferenziale svolto.
Sicché, rispetto ai dati indiziari utilizzati, la doglianza prospettata dalla ricorrente mira, in realtà, ad un’alternativa ricostruzione probabilistica della prova critica, che non può essere rimessa alla sede di legittimità, bastando che l’inferenza motivata dalla sentenza impugnata abbia una sua dignità e coerenza logica e non certamente che essa sia l’unica ipotesi possibile (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 19622 del 16/07/2024; Sez. 2, Sentenza n. 19527 del 16/07/2024; Sez. 2, Sentenza n. 18958 del 10/07/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 15356 del 31/05/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 15288 del 31/05/2024).
Per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre, infatti, che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto, secondo
un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, sulla scorta della regola della inferenza necessaria, ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’ id quod plerumque accidit , in virtù della regola dell’inferenza probabilistica (Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 21403 del 26/07/2021; Sez. 6-3, Ordinanza n. 20342 del 28/09/2020; Sez. 3, Sentenza n. 1163 del 21/01/2020; Sez. 2, Sentenza n. 3513 del 06/02/2019; Sez. L, Sentenza n. 2632 del 05/02/2014; Sez. 2, Sentenza n. 22656 del 31/10/2011; Sez. 3, Sentenza n. 24211 del 14/11/2006; Sez. 3, Sentenza n. 26081 del 30/11/2005; Sez. 3, Sentenza n. 23079 del 16/11/2005).
7.3. -Quanto alla lamentata violazione del principio praesumptum de praesumpto non admittitur (o al divieto di doppie presunzioni o di presunzioni di secondo grado o a catena), nel sistema processuale non esiste il divieto delle presunzioni di secondo grado, in quanto lo stesso non è riconducibile né agli artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma, ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea in quanto a sua volta adeguata -a fondare l’accertamento del fatto ignoto.
Ne consegue che, qualora si giunga a stabilire, anche a mezzo di presunzioni semplici, che un fatto secondario è vero, ciò può costituire la premessa di un’ulteriore inferenza presuntiva, volta a confermare l’ipotesi che riguarda un fatto principale o la verità di un altro fatto secondario (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 14788 del 27/05/2024; Sez. 5, Ordinanza n. 27982 del
07/12/2020; Sez. 5, Ordinanza n. 20748 del 01/08/2019; Sez. 5, Sentenza n. 15003 del 16/06/2017).
8. -L’ottavo motivo del ricorso investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione ovvero falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e conseguentemente degli artt. 2726 e 2721 c.c., per avere la Corte distrettuale liquidato il danno correlato agli interessi per ritardato versamento alla Cassa conguagli, nella misura di euro 125.828,55, benché la committente non avesse fornito la prova del pagamento di tali somme.
E tanto perché sarebbe stata allegata in atti esclusivamente una richiesta di interessi connessi a ritardi di pagamento, come proveniente dalla Cassa conguagli, senza alcuna allegazione della prova del relativo esborso, né avrebbero potuto assumere sul punto valenza probatoria le testimonianze escusse in giudizio per il divieto di prova dei pagamenti a mezzo di testimoni.
8.1. -Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha precisato che il teste COGNOME aveva confermato il pagamento delle somme di cui al prospetto inviato dalla Cassa conguagli ed era documentato che RAGIONE_SOCIALE era subentrata nel novembre 2001, per cui spettava all’appellante il rimborso degli interessi versati fino al 30 novembre 2001, per un totale di euro 125.828,55.
In primo luogo, non risulta che l’appaltatrice si sia opposta all’ammissione della prova testimoniale del pagamento degli interessi alla Cassa conguagli, avvenuto a cura di COGNOME.
Ora, i limiti di ammissibilità della prova per testimoni non sono dettati da ragioni di ordine pubblico, ma sono posti
esclusivamente nell’interesse delle parti e possono, quindi, costituire oggetto di rinunzia anche tacita, risultante dal difetto di contestazioni della parte contro la quale la prova stessa sia stata assunta (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4641 del 08/08/1979; Sez. 1, Sentenza n. 1069 del 25/03/1976).
In secondo luogo, il ricorso alla prova testimoniale nella fattispecie è avvenuto non già per dimostrare l’estinzione di un rapporto obbligatorio intrattenuto tra le parti, bensì per comprovare una voce del danno risarcito, corrispondente agli esborsi sostenuti, a causa della condotta inadempiente, a cura del contraente danneggiato, in favore di terzi.
Ebbene, l’art. 2726 c.c., estendendo al ‘pagamento’ i limiti legali della prova testimoniale dei contratti, si riferisce al pagamento del debito contrattuale oggetto di giudizio, sicché detti limiti non operano per la prova dell’ aliunde perceptum , quale fatto storico esterno a quel debito (Cass. Sez. L, Sentenza n. 17368 del 01/09/2015; Sez. 3, Sentenza n. 7090 del 09/04/2015; Sez. 2, Sentenza n. 20257 del 25/09/2014).
Pertanto, il divieto di prova testimoniale del pagamento si riferisce al debito contrattuale oggetto del giudizio, che deve essere provato dalle parti, e non al pagamento quale fatto storico, sicché, quando una delle parti in giudizio intenda dimostrare l’esistenza di un pagamento avvenuto tra terzi o da una parte in favore di terzi estranei alla controversia, il pagamento, in tal caso, costituisce una res inter alios acta , che -sotto il profilo dell’ammissibilità della prova testimoniale non differisce da qualsiasi altro fatto giuridico semplice.
Con la conseguenza che, nel caso di specie, propriamente è stato provato per testi il pagamento degli interessi alla Cassa conguagli da parte di NOME, costituente un semplice fatto storico posto a fondamento dell’invocato risarcimento verso RAGIONE_SOCIALE.
9. -Il nono motivo del ricorso riguarda, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione ovvero falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., per non avere la Corte d’appello argomentato in ordine al procedimento seguito per la liquidazione equitativa del danno all’immagine occorso ad Amaie, poiché in alcun modo sarebbe stata motivata la ragione per la quale, alla stregua delle circostanze addotte, il quantum del risarcimento dovesse ammontare alla somma precisamente liquidata di euro 30.000,00.
9.1. -Il motivo è infondato.
Sul punto, la Corte distrettuale ha argomentato, sostenendo che era fondata la pretesa risarcitoria per il danno reclamato all’immagine, essendo ininfluente, nella percezione all’esterno del disservizio da parte del pubblico, la sua imputabilità interna al soggetto incaricato da NOME di realizzare il nuovo sistema informatico.
Sicché, a tal fine, potevano essere utilizzate le deposizioni testimoniali, dalle quali risultavano le proteste e i disagi degli utenti, nonché le copie prodotte delle pagine del quotidiano ‘Il Secolo XIX’, dalle quali risultavano le polemiche suscitate dalle emissioni di bollette a saldo per importi rilevanti.
Da siffatti elementi di prova emergeva -secondo l’assunto della sentenza impugnata -la diffusione a livello locale di un’immagine di disservizio, che sicuramente aveva inciso sulla
reputazione dell’appellante, procurandole un pregiudizio risarcibile, che poteva essere liquidato, ad oggi, ‘tenuto conto della natura delle circostanze rese pubbliche, dell’ambito della diffusione e della durata dei disservizi’, nella somma complessiva di euro 30.000,00.
Orbene, a fronte della provata esistenza del danno (evento e conseguenza), il giudice ben poteva far ricorso alla valutazione equitativa, non solo quando fosse stato impossibile stimarne con precisione l’entità, ma anche quando, in relazione alla peculiarità del caso concreto, la precisa determinazione di esso fosse stata difficoltosa (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 4005 del 18/02/2020; Sez. 6-3, Ordinanza n. 1579 del 22/01/2019; Sez. 2, Sentenza n. 17483 del 01/08/2006).
E ciò in osservanza del principio secondo cui il danno all’immagine ed alla reputazione, inteso come ‘danno conseguenza’ non sussiste in re ipsa , dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento, e la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice in base, non tanto a valutazioni astratte, bensì al concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e provato (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 19551 del 10/07/2023; Sez. 6-3, Ordinanza n. 8861 del 31/03/2021; Sez. 3, Ordinanza n. 31537 del 06/12/2018; Sez. 6-3, Ordinanza n. 7594 del 28/03/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 25420 del 26/10/2017).
Nella specie, a fronte della reputata integrazione del pregiudizio all’immagine (per il discredito emerso all’esterno in ordine al disservizio locale generalizzato nella bollettazione), la quantificazione del dovuto è correttamente avvenuta tenendo
conto di specifici parametri orientativi della liquidazione equitativa, quali la natura delle circostanze rese pubbliche, l’ambito della diffusione e la durata dei disservizi.
10. -Il decimo motivo del ricorso concerne, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione ovvero falsa applicazione dell’art. 105 c.p.c., per avere la Corte del gravame dichiarato l’ammissibilità dell’intervento principale spiegato da Gruppo Formula, accogliendo sul punto l’appello incidentale proposto, in ordine al risarcimento del danno discendente dall’omesso incasso del compenso dovuto in forza del contratto interno di mandato intercorso con Akros nonché alla manleva da qualsivoglia pretesa di NOME esercitata nei suoi confronti, benché non sussistesse identità di oggetto tra la controversia instaurata da NOME nei confronti di Akros e la pretesa indirizzata da Gruppo Formula nei soli confronti di Akros, ai fini di lamentare il danno derivante dall’omesso incasso del corrispettivo pattuito nel contratto di mandato del 24 marzo 1999.
Specifica l’istante che i titoli posti a base delle due diverse pretese sarebbero stati differenti, né sarebbe sussistita un’ipotesi di connessione oggettiva tale da legittimare l’intervento di Gruppo Formula, poiché la domanda di risarcimento dei danni azionata da Gruppo Formula sarebbe stata del tutto autonoma rispetto alla domanda formulata da COGNOME verso Akros.
Segnatamente l’azionabilità della manleva avrebbe richiesto una valutazione sulla ricorrenza dei presupposti dell’obbligazione di garanzia della società mandante, rispetto alla società mandataria, avente dunque come presupposto il contratto di mandato del 24 marzo 1999, il quale non avrebbe rilevato in
alcun modo rispetto ai fatti di causa, considerato tra l’altro che la facoltà dell’appaltante di agire direttamente in responsabilità verso i mandanti non era stata, nel caso di specie, esercitata.
10.1. -Il motivo è infondato.
La Corte d’appello ha, al riguardo, prospettato che, ai fini dell’ammissibilità dell’intervento di un terzo in un giudizio pendente tra altre parti, sarebbe stato sufficiente che la domanda dell’interventore avesse presentato una connessione o un collegamento implicante l’opportunità di un simultaneus processus , come nel caso di specie, in cui le domande proposte da RAGIONE_SOCIALE -già parte sostanziale del giudizio, quale mandante di RAGIONE_SOCIALE -erano dirette ad evitare le conseguenze pregiudizievoli dell’accoglimento delle domande proposte dall’attrice nei confronti dell’A.T.I.
Da ciò la Corte di merito ha desunto che dovessero essere esaminate nel merito le domande dell’intervenuta, volte ad ottenere la condanna di RAGIONE_SOCIALE a versare una somma equivalente al residuo corrispettivo spettante dell’appalto e a manlevarla, in relazione alla pretesa risarcitoria di NOME.
Ancora, è stato puntualizzato che tali domande erano fondate, stante l’attribuibilità ad Akros dell’esclusiva responsabilità degli inadempimenti lamentati dalla committente, sulla base di quanto accertato dal consulente d’ufficio, secondo cui i problemi insorti erano ascrivibili ad errori e inefficienze nella programmazione di Akros o all’inosservanza degli obblighi dalla stessa assunti, mentre la parte di programma di competenza di Gruppo Formula era stata completata e fornita e non aveva dato luogo ad alcun problema di funzionamento.
Si è, altresì, tenuto conto -atteso che nei rapporti interni ciascuna delle imprese associate è responsabile esclusiva per la parte ad essa affidata, sia sulla base dei principi generali, sia in forza delle previsioni del contratto costitutivo dell’A.T.I. degli effetti negativi dell’accoglimento delle domande di RAGIONE_SOCIALE, i quali non potevano che ricadere su RAGIONE_SOCIALE, sicché è stata accolta sia la domanda risarcitoria del danno subito da Gruppo Formula, in conseguenza della riduzione del corrispettivo -da quantificarsi nella misura di euro 185.098,15, oltre IVA e interessi legali sugli importi delle fatture rimaste insolute dalla data di ciascuna fattura al saldo -, sia la domanda di manleva, in relazione alla condanna dell’A.T.I. al risarcimento del danno in favore dell’appellante principale.
Le predette argomentazioni rispettano il principio in forza del quale il diritto che, ai sensi dell’art. 105, primo comma, c.p.c., il terzo può far valere in un giudizio pendente tra altre parti deve essere relativo all’oggetto sostanziale dell’originaria controversia, da individuare con riferimento al petitum ed alla causa petendi , ovvero dipendente dal titolo dedotto nel processo medesimo a fondamento della domanda giudiziale originaria (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 11085 del 10/06/2020; Sez. 2, Sentenza n. 15208 del 11/07/2011; Sez. 6-2, Ordinanza n. 6703 del 23/03/2011; Sez. U, Sentenza n. 10274 del 05/05/2009).
Senonché la domanda dell’interveniente, nella fattispecie, presentava una connessione o un collegamento con quella di altre parti relativa allo stesso oggetto sostanziale, tale da giustificare il simultaneo processo, poiché, per effetto dell’invocata (e disposta) condanna, in solido, della mandataria dell’RAGIONE_SOCIALE e della mandante
al risarcimento dei danni subiti, oggetto della domanda principale della committente, -per un verso -Gruppo Formula avrebbe perso il diritto alla corresponsione dell’ulteriore corrispettivo spettante per l’opera prestata, pur essendo l’inadempimento imputabile alla sola mandataria, e -per altro verso -sarebbe stata tenuta, in solido, al pagamento della somma oggetto del risarcimento, benché nessun addebito le fosse stato contestato e fosse stato accertato a suo carico.
11. -In conseguenza delle considerazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione, in favore delle controricorrenti, delle spese di lite, che liquida -per ciascuna -in complessivi euro 15.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda