Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27478 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27478 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 29876/2021 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia in Milano, alla INDIRIZZO, presso lo studio d ell’AVV_NOTAIO.
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA; COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME; COGNOME NOMENOME COGNOME NOME; COGNOME NOME; RAGIONE_SOCIALE; COGNOME NOME; COGNOME NOME; COGNOME NOME; COGNOME NOMENOME COGNOME NOME; COGNOME NOMENOME COGNOME NOME.
-intimati – avverso la sentenza, n. cron. 2458/2021, della CORTE DI APPELLO DI MILANO depositata il 28/07/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 30/09/2025 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto ritualmente notificato, la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione coatta amministrativa, dichiarata insolvente dal Tribunale di Milano con sentenza del 27 gennaio 2009 e posta in liquidazione coatta amministrativa con decreto MISE del 10 febbraio 200 9, esercitò l’azione di responsabilità, ex artt. 206 l.fall., 2393, 2394, 2394bis e 2407 cod. civ., innanzi al medesimo tribunale, nei confronti di amministratori e sindaci che avevano ricoperto le cariche sociali dalla data di approvazione del bilancio di esercizio al 31 dicembre 2001 a quella di dichiarazione dello stato di insolvenza. Ritenne i convenuti, dieci amministratori – alcuni (COGNOME e COGNOME) già attinti da procedimenti penali per i reati di associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale, truffa aggravata ai danni dello Stato, false fatturazioni e corruzione – e cinque sindaci, tutti responsabili della erosione della garanzia generica di soddisfacimento dei creditori sociali, ex art. 2740 cod. civ., con nocumento per la società e la massa dei creditori, quale conseguenza di un’attività complessiva tenuta dalla società e finalizzata, attraverso una serie di operazioni di dividend washing e straordinarie (aventi per lo più oggetto la cessione di partecipazioni) intercorse tra società del gruppo e/o società clienti, alla creazione di crediti fittizi di imposta eD all’evasione fiscale.
La RAGIONE_SOCIALE era la holding operativa di un consistente numero di imprese tra loro controllate e collegate asservite una all’altra da reciproci scambi economici e finanziari. La società, e tutte quelle del cd. RAGIONE_SOCIALE, costituita nel 1995 dai soci fondatori COGNOME e COGNOME si presentava come impresa di imprese ed aveva ad oggetto attività di consulenza professionale in ambito finanziario, societario e tributario indirizzata alle imprese ed ai professionisti. Accanto a questa attività pr ofessionale di consulenza, NOME aveva sviluppato negli anni un’attività parallela, illecita, di ingegneria finanziaria volta alla evasione fiscale, emersa a decorrere dall’anno 2008 quando, all’esito di una lunga ed impegnativa
attività di indagine della Guardia di Finanza e della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, vennero eseguite le prime misure cautelari.
Secondo la prospettazione dell’attrice: i ) furono undici, e temporalmente collocate tra il 28 marzo 2002 ed il 2005, le operazioni che costituirono un vero e proprio sistema appositamente predisposto e diretto a realizzare strumenti di evasione fiscale; ii ) alcune di esse, segnatamente quelle relative alle società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, si riferirono a ‘ società oggetto di fusione per incorporazione in data 12 aprile 2010 ‘; iii ) la frode fiscale realizzata con queste undici operazioni originò, una volta disvelata, un rilevantissimo danno alla società che, improvvisamente, vide paralizzata la sua attività e divenne insolvente; iv ) gli amministratori, non indicando nei bilanci sociali gli ingenti debiti fiscali, occultati dalla frode, non evidenziarono la perdita del capitale sociale e del presupposto della continuità aziendale fin dall’esercizio 2002; v ) l’ammontare del danno ascrivibile ad amministratori e sindaci doveva determinarsi, in via alternativa, o nel totale del passivo della procedura (€ 329.482.116,59) o nell’ammontare dei crediti tributari ammessi al passivo (€ 146.015.470,39).
2. Instauratosi il contraddittorio, si costituirono gli amministratori NOME COGNOME (in carica dal 23 febbraio 2003 al 14 novembre 2005), NOME COGNOME (in carica dal 30 novembre 2001 al 21 febbraio 2002), NOME COGNOME (in carica dal 24 febbraio 2003 al 14 novembre 2005), NOME COGNOME (in carica dal 5 dicembre 2003 al marzo 2008), NOME COGNOME (in carica dal 5 dicembre 2006 al 30 novembre 2009), NOME COGNOME (in carica dal 5 dicembre 2006 al mese di marzo 2008) e NOME COGNOME (in carica da dicembre 2007 a marzo 2008), sollevando eccezioni preliminari processuali e di merito e contestando la responsabilità risarcitoria nei loro confronti invocata dalla controparte.
Rimasero contumaci, invece, NOME COGNOME (componente dell’organo amministrativo dal 12 dicembre 2000 al 30 novembre 2001 e dal 29 marzo 2002 alla data di determina della presentazione della domanda di concordato preventivo del 10 luglio 2008), NOME COGNOME (componente dell’organo amministrativo dal 5 dicembre 2003 al 14 novembre 2005), NOME
COGNOME (componente dell’organo amministrativo dal 14 novembre 2005 al mese di luglio 2008).
Ritenute irrilevanti le prove orali richieste dalla difesa di COGNOME e COGNOME, e non avendo l’attrice dedotto prove costituende, l’adito tribunale, con sentenza del 23 maggio/13 settembre 2019, n. 8152, così dispose: « Dichiara inammissibile l’azione di responsabilità promossa dall’attrice RAGIONE_SOCIALE in l.c.a. contro NOME COGNOME, quale componente dell’organo di controllo, per carenza di autorizzazione ex art. 206 l.f. Dichiara i convenuti NOME COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili dei danni arrecati alla società RAGIONE_SOCIALE e ai creditori con la condotta illecita descritta in motivazione e liquida complessivamente il danno in € 242.113.609,01, oltre interessi al tasso legale dalla data di pubblicazione della sentenza fino al saldo effettivo. Condanna i convenuti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in solido tra loro, al pagamento di € 242.113.609,01 in favore di RAGIONE_SOCIALE, oltre interessi al tasso legale dalla data di pubblicazione della sentenza fino al saldo effettivo. Dichiara inammissibile l’azione ex art. 2055, comma 2, c.c. promossa da COGNOME. Rigetta ogni domanda dell’attrice contro NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, ivi assorbite in tale pronuncia le domande dei convenuti COGNOME e COGNOME contro la terza RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Rigetta le domande ex art. 96 c.p.c. Condanna, in solido, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME a rimborsare a RAGIONE_SOCIALE l.c.a. le spese di lite, liquidate in € 50.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese non imponibili per € 3.372,00, al rimborso delle spese generali, c.p.a. e iva di legge. ».
Il gravame promosso da NOME COGNOME avverso questa decisione fu parzialmente accolto dalla Corte di appello di Milano, con sentenza del 28 luglio 2021, n. 2458, pronunciata nel contraddittorio con NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME,
NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, nonché nella contumacia di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Per quanto qui ancora di interesse, quella corte, rigettate le eccezioni di nullità della citazione di primo grado e di prescrizione, ivi ribadite dall’appellante, ritenne, quanto alla responsabilità di quest’ultimo, che: i ) « la mancata costituzione in appello di NOME implica la mancanza dei documenti che la stessa aveva depositato in primo grado ed in particolare, per quanto interessa ai fini dell’accertamento di responsabilità, della sentenza del Tribunale penale di Milano che ha attribuito il reato associativo a COGNOME e che è richiamata nella sentenza qui appellata quale prova della partecipazione di COGNOME alla costituzione del ramo illecito di RAGIONE_SOCIALE. COGNOME ha prodotto solo stralci di tale sentenza e di quelle di appello e cas sazione, contenenti l’intestazione, il dispositivo e qualche pagina di motivazione, da cui non è possibile ricavare compiutamente la descrizione dei fatti attribuiti a COGNOME che hanno portato alla sua condanna. Risulta agli atti una copia integrale della sola sentenza di cassazione, inserita nel fascicolo di uno degli appellati (COGNOME), ma si tratta di copia prodotta con i nomi oscurati, sicché non risulta del tutto comprensibile. COGNOME richiama nel proprio atto di appello tali sentenze penali, dalle quali innanzitutto risulterebbe che è andato assolto, perché il fatto non COGNOME o per non aver commesso il fatto, da tutti i reati fine, tranne uno. Rileva la Corte sul punto che, nei limiti in cui è possibile, in base agli stralci prodotti, il confronto tra la sentenza di primo grado e quelle d’appello e di cassazione, emerge in parte l’assoluzione definitiva da taluni reati fine ab initio contestati, ma per una parte di essi emerge invece la declaratoria di estinzione per prescrizione, che non può certamente assumere valore ai fini di un esonero da responsabilità civile »; ii ) « In ogni caso, va rilevato che la sentenza qui appellata ha ritenuto COGNOME responsabile ai fini civili sulla base dell’accertamento della responsabilità penale per il reato associativo, indipendentemente dai reati fine. Sulla condanna penale per il reato associativo , COGNOME contesta,
invece, che gli sia stata attribuita la costituzione del ramo illecito, come è stato scritto nella sentenza qui appellata, poiché egli sarebbe stato mero partecipe e non promotore, capo o organizzatore. Rileva la Corte che su tale doglianza è sufficiente richiamare quanto si è detto sulla mancata produzione da parte dell’odierno appellante dei documenti depositati in primo grado dalla parte vittoriosa e utilizzati dal primo giudice. Il Tribunale che ha pronunciato la sentenza qui appellata, avendo letto la sentenza del giudice penale che ha condannato COGNOME per il reato associativo, ha ritenuto che tale pronuncia, passata in giudicato, costituisse prova idonea della partecipazione attiva di COGNOME alla costituzione del ramo illecito di RAGIONE_SOCIALE. Non è possibile, per la Corte, sindacare tale affermazione, posto che la sentenza del Tribunale penale non risulta prodotta nel presente grado, sicché non può trovare accoglimento la doglianza di COGNOME in ordine alla pretesa erronea valutazione del suo contributo al sodalizio criminoso »; iii ) « Dall’accertata responsabilità quale organizzatore deriva, secondo le regole proprie della causalità giuridica, anche la responsabilità per le conseguenze che scaturiscono dalla commissione dei fatti per i quali l’organizzazione è stata predisposta, indipen dentemente dalla partecipazione dell’organizzatore ai singoli reati fine, e quindi, in concreto per COGNOME la responsabilità anche per i fatti precedenti alla nomina o successivi alla cessazione della carica di amministratore, ove costituiscano, come nella specie, attuazione del fine per il quale l’associazione era stata costituita »; iv ) « Risulta, invece, fondato il motivo di impugnazione attinente alla liquidazione del risarcimento, con particolare riferimento al vizio di ultrapetizione. COGNOME, oltre a contestare la liquidazione equitativa ancorata all’intero passivo della procedura, fa rilevare, infatti, che nel prospetto riassuntivo contenuto in citazione il danno a lui imputato era stato indicato in euro 95.538.280,01 e non nella maggior somma al pagamento della quale il Tribunale ha condannato in solido tutti i soggetti ritenuti responsabili . Ritiene la Corte che risulti giustificato, alla luce della giurisprudenza del S.C. il ricorso alla liquidazione equitativa, avendo il Tribunale indicato le ragioni che non consentivano, nella particolarità della fattispecie, la determinazione esatta
dell’ammontare. Purtuttavia , la decisione risulta affetta dal vizio di ultrapetizione, avendo condannato COGNOME al pagamento, in solido con COGNOME, COGNOME e COGNOME, di euro 242.113.609,01, senza limitare la responsabilità solidale di COGNOME all’importo di euro 95.538.280,01, che era stato indicato dalla Procedura attrice quale ammontare del danno cagionato da COGNOME. La sentenza, pertanto, deve essere parzialmente riformata, disponendo che la condanna solidale di NOME COGNOME deve intendersi sino alla concorrenza del suddetto importo di euro 95.538.280,01 »; v ) « La riforma parziale della sentenza appellata nel capo che contiene condanna al risarcimento impone anche la parziale riforma del capo che statuisce sulle spese di lite tra COGNOME e NOME, che devono essere ridotte nella parte relativa ai compensi, da euro 50.000,00 liquidati dal Tribunale in favore di NOME e a carico di COGNOME, ad euro 30.000,00 »; vi ) « Le conclusioni formulate nell’atto di appello, , non sono chia rissime, ma proprio per tale ragione non consentono di escludere che COGNOME intendesse richiedere alla Corte un accertamento di responsabilità di tutti i sindaci e amministratori ai fini del riparto interno. . A fronte di tali conclusioni, seppure, come si è detto, nel corpo dell’atto di appello non vi sia un motivo di impugnazione specifico del capo di sentenza che ha respinto la domanda della Procedura nei confronti degli odierni appellati costituiti, non può considerarsi superflua la costituzione nel presente grado, per resistere a tale domanda subordinata, ove fosse interpretata come volta a modificare la statuizione di rigetto contenuta nella sentenza impugnata. COGNOME, pertanto, avendo formulato conclusioni idonee ad instaurare un contraddittorio con gli odierni appellati costituiti ed essendo soccombente su tali conclusioni, deve essere condannato al pagamento delle spese di lite in favore dei suddetti appellati, ».
Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso NOME COGNOME, affidandosi a sei motivi. Nessuno dei destinatari della notifica di detto ricorso ha svolto difese in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso, rubricato « Art. 360, comma 1, n. 3 e n. 4, c.p.c. -Violazione e falsa applicazione dell’art. 164 c.p.c. e conseguente nullità del procedimento », contesta alla corte distrettuale di avere ritenuto che l’integrazione della citazione introduttiva disposta dal tribunale contenesse elementi sufficienti alla descrizione degli addebiti mossi al COGNOME.
1.1. Questa doglianza si rivela inammissibile per evidente carenza di autosufficienza, non riportando minimamente il contenuto della integrazione della citazione introduttiva in questione, così impedendone a questa Corte qualsivoglia controllo.
Resta solo da ricordare che, secondo consolidato indirizzo di legittimità, qui condiviso, la Corte di cassazione, allorquando sia denunciato (come nella specie) un error in procedendo , è sì anche giudice del fatto processuale ( cfr . Cass. n. 17584 del 2024; Cass. nn. 35844 e 33173 del 2023; Cass. n. 28385 del 2023 Cass., SU, n. 20181 del 2019; Cass. n. 1738 del 1988; Cass., SU, n. 3195 del 1969) e ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa al fine di valutare la fondatezza del vizio denunciato, purché, tuttavia, lo stesso sia stato ritualmente indicato ed allegato nel rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ.; è necessario, perciò, non essendo tale vizio rilevabile ex officio , che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni ed i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale ( cfr., ex multis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 17584 del 2024; Cass. n. 35844 del 2023; Cass. n. 4391 del 2022; Cass. n. 28072 del 2021; Cass. n. 15807 del 2021; Cass. n. 25432 del 2020, in motivazione; Cass, SU, n. 20181 del 2019; Cass. n. 7499 del 2019; Cass. n. 2771 del 2017; Cass. n. 19410 del 2015). Infatti, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte allegarli ed
indicarli ( cfr . Cass. n. 17584 del 2024; Cass. nn. 35844 e 33173 del 2023; Cass. n. 28385 del 2023; Cass. n. 978 del 2007).
Il secondo motivo di ricorso, rubricato « Art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5 c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 277 c.p.c. Omessa pronuncia sulla eccezione di prescrizione dell’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. in combinato disposto con l’art. 2949 c.c. », ascrive alla corte territoriale, da un lato, di avere omesso di pronunciarsi sulla eccepita prescrizione dell’azione ex art. 2393 cod. civ.; dall’altro, di avere palesemente errato nel reputare la doglianza relativa alla ecc epita prescrizione dell’azione sociale di responsabilità assorbita dalla valutazione sulla prescrizione dettata per l’art. 2394 c.c.
2.1. Anche questa censura si rivela complessivamente inammissibile.
Invero, rileva il Collegio che la corte territoriale, sul motivo di appello del COGNOME attinente al rigetto dell’eccezione di prescrizione dell’azione esperita dalla RAGIONE_SOCIALE l.c.aRAGIONE_SOCIALE: i ) ha osservato « che il Tribunale ha, preliminarmente, ritenuto che l’azione proposta dalla Procedura cumuli, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità e come enunciato in citazione, l’azione sociale di responsabilità di cui agli artt. 2392 -2393 cc. e l’azione dei creditori sociali di cui all’ar t. 2394 c.c. e che, pur essendo identico il termine quinquennale di prescrizione, si debba collocare in date diverse il dies a quo delle due diverse azioni »; ii ) ha ritenuto il motivo infondato « con riferimento all’esercizio dell’azione da parte dei creditori e che tale infondatezza sia assorbente, non producendo alcun risultato utile per l’appellante l’eventuale accoglimento del motivo con riferimento alla prescrizione dell’azione sociale. La dec isione del Tribunale di rigetto dell’eccezione di prescrizione con riferimento all’azione dei creditori risulta corretta poiché l’individuazione del dies a quo, in adesione alla giurisprudenza della S.C. alla quale anche questa Corte aderisce, nel momento in cui il danno è divenuto percepibile da parte dei creditori, non si pone in contraddizione con la collocazione dei fatti che hanno provocato il dissesto nell’a nno 2002, se tali fatti, come nel caso di specie, sono stati scoperti successivamente ».
Si è al cospetto, dunque, di una ipotesi di assorbimento cd. improprio, che ricorre nel caso di rigetto di una domanda o di una eccezione in base alla soluzione di una questione di carattere esaustivo -e cioè, per l’appunto, assorbente -che rende vano esaminare le altre.
L’odierno ricorrente, muovendo dal rilievo che « è di tutta evidenza -e ne dà atto la stessa Corte d’Appello in sentenza che l’azione ex art. 2393 c.c. sia di tipo contrattuale; mentre l’azione proposta ex art. 2394 c.c. sia di tipo extracontrattuale. Dunque, sono conseguentemente differenti anche le regole sull’onere della prova che regolano i due differenti tipi di azione », lamenta, in questa sede , l’erroneità della pronuncia di assorbimento dichiarato dalla medesima corte, con riguardo alla eccepita pr escrizione dell’azione ex art. 2393 cod. civ., per effetto della valutazione di infondatezza dell’eccezione di prescrizione formulata con riferimento all’azione ex art. 2394 cod. civ. A suo dire, in particolare, « l’esclusione di una responsabilità di tipo contrattuale riverbera i suoi effetti in ordine all’onere della prova, dovendo in questo caso l’attore provare il danno illecito, l’autore dello stesso ed il nesso di causalità ».
Una tale censura, tuttavia, si rivela assolutamente priva di decisività, posto che l’odierna controversia, lungi dall’essere stata risolta sulla base della regola residuale dell’onere probatorio, è stata decisa previo il positivo accertamento dei fatti cos titutivi della domanda dell’originaria attrice.
Orbene, la parte che si sia visto rigettare un’eccezione sulla base di una certa soluzione data ad una questione assorbente non è assoggettata all’onere di formulare sulla questione assorbita alcun motivo di impugnazione, essendo invece sufficiente, per evitare il giudicato interno, che censuri o la sola decisione sulla questione giudicata di carattere assorbente o la stessa statuizione di assorbimento, contestando i presupposti applicativi e la ricaduta sulla effettiva decisione della causa ( cfr. sostanzialmente in tal senso, Cass. n. 17219 del 2012; Cass. n. 14190 del 2016; Cass. n. 48 del 2022).
Ne consegue, allora, che, nella specie, mantenendo piena efficacia la pronuncia di assorbimento perché contestata del tutto inadeguatamente, diviene inammissibile la censura di omessa pronuncia (da inquadrarsi,
peraltro, correttamente, nel n. 4, e non nel n. 5, dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ.), rispetto all’eccepita prescrizione dell’azione sociale (contrattuale) di responsabilità.
3. Il terzo motivo di ricorso, rubricato « Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -Violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 416 c.p. », contesta la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato che « Dall’accertata responsabilità quale organizzatore deriva, secondo le regole proprie della causalità giuridica, anche la responsabilità per le conseguenze che scaturiscono dalla commissione di fatti per i quali l’organizzazione è stata predisposta, indipend entemente dalla partecipazione dell’organizzazione ai singoli reati fine, e quindi, in concreto, per COGNOME COGNOME la responsabilità anche per i fatti precedenti alla nomina o successivi alla cessazione della carica di amministratore, ove costituiscano, come nella specie, attuazione del fine per il quale l’associazione era stata costituita ». Si sostiene trattarsi di una statuizione che ipotizza una sorta di responsabilità oggettiva per tutti i reati fine connessi al reato associativo che non ha fondamento giuridico e si pone in contrasto con consolidati indirizzi giurisprudenziali. Si aggiunge che è manifestamente illogico anche solo pensare che il COGNOME possa rispondere di danni conseguenti a fatti di reato concretizzatisi in epoca diversa da quella nella quale egli ha ricoperto la carica di amministratore.
3.1. Questa doglianza risulta complessivamente inammissibile.
Per un verso, infatti, essa non si confronta minimamente con l’affermazione della corte distrettuale che, nel disattendere l’assunto del COGNOME secondo cui, dalle sentenze penali da lui indicate nel proprio atto di appello, risultava che lo stesso « è andato assolto, perché il fatto non COGNOME o per non aver commesso il fatto, da tutti i reati fine, tranne uno », ha rimarcato che, « nei limiti in cui è possibile, in base agli stralci prodotti, il confronto tra la sentenza di primo grado e quelle d’appello e di cassazione, emerge in parte l’assoluzione definitiva da taluni reati fine ab initio contestati, ma per una parte di essi emerge invece la declaratoria di estinzione per prescrizione, che non può certamente assumere valore ai fini di un esonero
da responsabilità civile ». La censura, pertanto, nemmeno appare rispettosa di quanto chiarito, del tutto condivisibilmente, da Cass. n. 21563 del 2022 ( cfr . pag. 8 e ss. della motivazione), da Cass. n. 35782 del 2023 ( cfr . pag. 41 e ss. della motivazione), da Cass. n. 25495 del 2024 ( cfr . pag. 7-8 della motivazione), da Cass. n. 26871 del 2024 ( cfr. pag. 11-12 della motivazione) e da Cass. n. 19277 del 2025 ( cfr. pag. 16 e ss. della motivazione), a tenore delle quali « l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, non solo “di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione” , ma anche “di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01), confrontandosi sempre con l’effettivo “decisum” che sorregge la sentenza impugnata. Difatti, il motivo di impugnazione “è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo”, sicché, in riferimento al ricorso per Cassazione, “tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ‘non motivo’, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4), cod. proc. civ.” (così Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, Rv. 579564- 01; in senso
analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01, nonché, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01) ».
Per altro verso, poi, la stessa involge valutazioni in fatto, inammissibili in questa sede, posto che, come puntualizzato, in motivazione, da Cass. n. 7612 del 2022, Cass. n. 8671 del 2025, Cass. n. 20895 del 2025 e Cass. n. 25907 del 2025, « Il compito di questa Corte, , non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma degli artt. 132, n. 4, e 360 comma 1, n. 4, c.p.c., se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.) ».
Il quarto motivo di ricorso, rubricato « Art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. -Violazione e falsa applicazione degli artt. 2392 – 2393 – 2394 c.c. », perché il COGNOME non può essere chiamato a rispondere di danni riferibili all’attività di società nelle quali mai ha rivestito la carica di amministratore.
4.1. Anche questa censura è inammissibile per evidente carenza di specificità, non rinvenendosi nella motivazione della sentenza impugnata alcun riferimento a fatti relativi alle società oggi menzionate.
È sufficiente ricordare, allora, che, come ripetutamente chiarito da questa Corte ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 25909 del 2021, Cass. nn. 5131 e 9434 del 2023; Cass. nn. 2607, 5038 e 6127 del
2024; Cass. n. 19277 del 2025), qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio ( cfr . Cass. n. 32804 del 2019; Cass. n. 2038 del 2019; Cass. nn. 20694 e 15430 del 2018; Cass. n. 23675 del 2013). In quest’ottica, la parte ricorrente ha l’onere – nella specie rimasto assolutamente inadempiuto -di riportare, a pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado ( cfr . Cass. n. 9765 del 2005; Cass. n. 12025 del 2000). Nel giudizio di cassazione, infatti, è preclusa alle parti la prospettazione di nuovi questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito ( cfr . Cass. n. 19164 del 2007; Cass. n. 17041 del 2013; Cass. n. 25319 del 2017; Cass. n. 20712 del 2018);
Il quinto motivo di ricorso, rubricato « Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -Violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. », per avere la corte d’appello condannato il COGNOME alla rifusione delle spese nei confronti dei litisconsorti ivi costituitisi, malgrado nessuna domanda l’appellante avesse spiegato nei confronti di soggetti diversi dagli originari convenuti COGNOME, COGNOME e COGNOME.
5.1. Questa doglianza è inammissibile.
Invero, la corte d’appello, al fine di decidere sulla domanda di rimborso delle spese degli appellati: i ) ha ritenuto necessario « considerare, innanzitutto, che l’atto di citazione in appello contiene una vocatio in ius degli appellati e non contiene alcuna precisazione in ordine ad una mera litis denuntiatio»; ii ) ha rimarcato, poi, che « Le conclusioni formulate nell’atto di
appello, come si è accennato, non sono chiarissime, ma proprio per tale ragione non consentono di escludere che COGNOME intendesse richiedere alla Corte un accertamento di responsabilità di tutti i sindaci e amministratori ai fini del riparto interno. Ne lle conclusioni in via subordinata dell’atto di appello (che è stato ricevuto dalle parti qui appellate) COGNOME ha, infatti, testualmente richiesto ‘nel denegato caso in cui vengano accolte, in tutto o in parte, le domande risarcitorie avanzate dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione coatta amministrativa nei confronti del NOME NOME COGNOME in solido con altri convenuti, accertare e dichiarare la sua eventuale percentuale di responsabilità e l’altrui in ordine al verificarsi dei presunti fatti dannosi, in maniera da determinare le singole responsabilità interne di tutti i convenuti del presente giudizio, accertando la quota di eventuale danno da porre a carico interamente al NOME NOME COGNOME e a ciascun soggetto solidalmente condannato’. Le suddette conclusioni, nelle quali sono espressamente richiamate le ‘singole responsabilità interne di tutti i convenuti del presente giudizio’ sono state ribadite in sede di precisazione delle conclusioni (v. verbale udienza 21.4.2021 nella quale il procuratore si è riportato alle conclusioni in atti, da intendersi quelle da ultimo depositate con foglio a parte in data 18.4.2021) »; iii ) ha opinato, quindi, che, « A fronte di tali conclusioni, seppure, come si è detto, nel corpo dell’atto di appello non v i sia un motivo di impugnazione specifico del capo di sentenza che ha respinto la domanda della Procedura nei confronti degli odierni appellati costituiti, non può considerarsi superflua la costituzione nel presente grado, per resistere a tale domanda subordinata, ove fosse interpretata come volta a modificare la statuizione di rigetto contenuta nella sentenza impugnata. COGNOME, pertanto, avendo formulato conclusioni idonee ad instaurare un contraddittorio con gli odierni appellati costituiti ed essendo soccombente su tali conclusioni, deve essere condannato al pagamento delle spese di lite in favore dei suddetti appellati, nella misura liquidata in dispositivo, tenuto conto di tale unica questione trattata, che giustifica la liquidazione secondo i valori minimi dello scaglione delle cause di valore indeterminabile di bassa complessità ».
L’odierno motivo del ricorrente, per come concretamente formulato, non censura specificamente la ratio decidendi secondo cui dovevano essere rimborsate le spese sul presupposto della soccombenza in appello nei confronti di tutte le parti evocate nel giudizio di secondo grado. Esso, pertanto, non può sfuggire ad una declaratoria di inammissibilità.
6. Il sesto motivo di ricorso, infine, rubricato « Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 -1226 -1223 c.c. », contesta la entità del risarcimento danni posto a carico del COGNOME. Si assume che « i meri asseriti inadempimenti dell’amministratore (giova al riguardo ricordare che la gran parte degli episodi contestati riguarda società delle quali COGNOME non era amministratore) non giustificano di per sé il ricorso al criterio equitativo di quantificazione del danno come differenza fra l’attivo ed il passivo della procedura ».
6.1. Anche questa censura si rivela inammissibile.
La corte territoriale, invero, dopo aver richiamato l’insegnamento di Cass. n. 2500 del 2018 (« Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore a norma dell’art. 146, comma 2, l.fall., il giudice può ricorrere alla liquidazione equitativa del danno, nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, qualora il ricorso a tale parametro si palesi, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile, in quanto l’attore abbia allegato inadempimenti dell’amministratore -nella specie consistiti nella cessione a sé stesso, a prezzo vile, di rami d’azienda e nella pluriennale mancata tenuta delle scritture contabili -astrattamente idonei a porsi quali cause del danno lamentato, indicando le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore medesimo »), ha ritenuto giustificato, nella specie, il ricorso alla liquidazione equitativa, « avendo il tri bunale indicato le ragioni che non consentivano, nella particolarità della fattispecie, la determinazione esatta dell’ammontare ».
L’odierna doglianza del COGNOME, invece, per come concretamente formulata, non censura specificamente il presupposto -chiaramente ritenuto
esistente da entrambi i giudici di merito -legittimante il ricorso alla liquidazione equitativa ex 1226 cod. civ. Anch’essa, quindi, non può sfuggire ad una declaratoria di inammissibilità.
In conclusione, l’odierno ricorso promosso da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo rimasti solo intimati tutti i destinatari della notificazione di detto ricorso, altresì dandosi atto, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della COGNOMEnza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, p ari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 10 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME