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Responsabilità amministratori: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un ex amministratore, confermando la sua condanna al risarcimento danni per il suo ruolo in una complessa frode fiscale che ha portato all’insolvenza della società. La decisione si fonda principalmente sulla violazione del principio di autosufficienza del ricorso, poiché l’appellante non ha fornito alla Corte gli elementi necessari per valutare le sue censure. La sentenza ribadisce la severità dei requisiti procedurali per l’accesso al giudizio di legittimità e la vasta portata della responsabilità degli amministratori che partecipano a schemi illeciti.

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Responsabilità amministratori: la Cassazione e il principio di autosufficienza

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta un complesso caso di responsabilità degli amministratori di una società holding, finita in liquidazione coatta amministrativa a causa di un vasto schema di frode fiscale. La pronuncia è di particolare interesse non tanto per il merito della vicenda, quanto per aver ribadito con fermezza i rigorosi requisiti di ammissibilità del ricorso in Cassazione, in particolare il principio di autosufficienza. Questo caso dimostra come anche le argomentazioni più solide possano infrangersi contro i paletti procedurali se non correttamente presentate.

I Fatti di Causa: una complessa frode fiscale di gruppo

La vicenda trae origine dall’azione di responsabilità promossa dalla procedura di liquidazione coatta di una società holding contro i suoi ex amministratori e sindaci. L’accusa era di aver causato un danno enorme alla società e ai suoi creditori attraverso un’attività illecita e parallela di “ingegneria finanziaria” volta all’evasione fiscale. Tale attività, basata su operazioni di dividend washing e altre operazioni straordinarie tra società del gruppo, aveva generato crediti d’imposta fittizi e ingenti debiti fiscali occultati, portando la società al dissesto.
Il Tribunale di primo grado aveva condannato in solido alcuni amministratori, tra cui il futuro ricorrente, al pagamento di una somma ingente. La Corte d’Appello, pur confermando l’impianto accusatorio e la responsabilità dell’amministratore per la sua partecipazione al “ramo illecito” della società, aveva parzialmente riformato la sentenza, riducendo l’importo a suo carico per un vizio di ultrapetizione del primo giudice.

Il Ricorso in Cassazione e la sua Inammissibilità

L’amministratore ha impugnato la decisione d’appello dinanzi alla Corte di Cassazione, formulando sei motivi di ricorso. Tuttavia, la Suprema Corte li ha dichiarati tutti inammissibili.

## La Responsabilità Amministratori e il Principio di Autosufficienza

Il fulcro della decisione della Cassazione risiede nella costante violazione del principio di autosufficienza del ricorso. Questo principio impone al ricorrente di fornire alla Corte tutti gli elementi necessari per decidere, riportando nel ricorso stesso i contenuti degli atti processuali rilevanti. In questo caso, l’amministratore:
1. Ha contestato la regolarità della citazione introduttiva senza riportarne il contenuto.
2. Si è doluto di un’omessa pronuncia sulla prescrizione dell’azione sociale, ma in modo generico e senza confrontarsi con la motivazione della corte d’appello che aveva ritenuto la questione assorbita dal rigetto dell’eccezione sull’azione dei creditori.
3. Ha criticato la sua condanna per fatti precedenti o successivi al suo mandato, senza però contestare specificamente l’affermazione dei giudici secondo cui la sua responsabilità derivava dal ruolo di organizzatore dello schema illecito, e quindi si estendeva a tutte le sue conseguenze.
4. Ha sollevato questioni nuove, non trattate nei precedenti gradi di giudizio.
In sostanza, il ricorrente ha fallito nel fornire alla Corte gli strumenti per valutare la fondatezza delle sue critiche, rendendo il ricorso inammissibile.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha colto l’occasione per ribadire alcuni principi fondamentali. In primo luogo, quando si denuncia un error in procedendo, il ricorrente ha l’onere non solo di indicare l’errore, ma anche di allegare e trascrivere gli atti pertinenti per consentire alla Corte di effettuare il proprio controllo. Il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti non esonera la parte da questo onere di allegazione.
In secondo luogo, la Corte ha implicitamente confermato che la responsabilità di chi partecipa come organizzatore a un’associazione a delinquere finalizzata a danneggiare la società si estende a tutti i danni che ne sono conseguenza, indipendentemente dal momento specifico in cui gli atti dannosi sono stati compiuti. La partecipazione allo schema illecito costituisce il fondamento di una responsabilità causale per l’intero danno prodotto.
Infine, per quanto riguarda la liquidazione del danno, la Corte ha ritenuto inammissibile la censura perché non contestava specificamente il presupposto logico usato dai giudici di merito per ricorrere al criterio equitativo, ovvero l’impossibilità di determinare l’esatto ammontare del danno a causa della complessità e opacità delle operazioni illecite.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per chiunque intenda adire la Corte di Cassazione. La responsabilità degli amministratori può essere ampia e severa, ma per far valere le proprie ragioni in sede di legittimità è indispensabile un rigore formale assoluto. Il principio di autosufficienza non è una mera formalità, ma un requisito sostanziale che garantisce la funzionalità del giudizio di Cassazione. Omettere di trascrivere atti, formulare critiche generiche o non confrontarsi puntualmente con la ratio decidendi della sentenza impugnata conduce inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità, vanificando ogni sforzo difensivo.

Perché il ricorso dell’amministratore è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente per la violazione del principio di autosufficienza. Il ricorrente non ha riportato nel suo atto i contenuti essenziali dei documenti e degli atti processuali su cui si basavano le sue censure, impedendo così alla Corte di Cassazione di valutarne la fondatezza senza dover consultare il fascicolo d’ufficio.

Può un amministratore essere ritenuto responsabile per atti dannosi compiuti prima della sua nomina o dopo la sua cessazione dalla carica?
Sì. Secondo la Corte, la responsabilità quale organizzatore di uno schema illecito (in questo caso, un’associazione a delinquere) si estende a tutte le conseguenze dannose che scaturiscono da tale schema, anche se gli specifici atti materiali sono stati compiuti in un periodo in cui non ricopriva formalmente la carica.

Quando è legittimo quantificare il danno in via equitativa, ad esempio come differenza tra passivo e attivo della procedura concorsuale?
È legittimo quando l’attore, in questo caso la procedura concorsuale, ha allegato inadempimenti specifici dell’amministratore e ha dimostrato che, a causa della natura e della complessità di tali condotte illecite, è impossibile determinare con esattezza l’ammontare del danno. In tali circostanze, se gli inadempimenti sono astrattamente idonei a causare il dissesto, il giudice può ricorrere a un criterio equitativo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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