Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8558 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8558 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25119/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
FALLIMENTO N. 421 DEL 2011 DELLA RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio
dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 7857/2019 depositata il 17/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto notificato il 14-2-2013 il Fallimento della RAGIONE_SOCIALE convenne dinanzi al tribunale di Roma i fratelli NOME, NOME e NOME COGNOME, presidente (il primo) e componenti (gli altri) del consiglio di amministrazione, proponendo l’azione di responsabilità per danni da mala gestio e da distrazione di beni.
I convenuti, dopo aver disertato l’interrogatorio loro deferito e dopo l’infruttuos ità di un ordine di esibizione loro impartito ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ. in merito ad alcuni dei libri sociali (registro dei cespiti ammortizzabili e libro matricola dei dipendenti), si costituirono durante lo svolgimento dell’istruttoria .
La causa fu istruita per documenti e c.t.u., e a ll’esito i l tribunale accolse la domanda per quanto di ragione.
La sentenza, gravata dai COGNOME, è stata integralmente confermata dalla corte d’appello di Roma.
I soccombenti NOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione in tre motivi.
La curatela ha replicato con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I. Il primo motivo assume ‘ 360 comma 1 n. 5 c.p.c. -violazione articolo 116 c.p.c. -motivazione illogica e solo apparente -errore di fatto ‘.
La sentenza viene criticata per mancata indicazione di una prova o almeno di un nesso causale tra il danno che si sostiene cagionato e le condotte illecite addebitate agli amministratori, in concreto non descritte.
Vi sarebbe, secondo i ricorrenti, un ‘salto logico’ tra il mancato rinvenimento di beni in bilancio e l’asserito occultamento , in quanto -dicono ‘non esis t e alcuna prova concreta che tali beni siano mai esistiti’ .
Eguale vizio sostengono che sarebbe sussistente quanto alla distrazione di somme.
In definitiva la sentenza sarebbe illogica perché ha statuito la responsabilità ‘senza addurre alcuna prova od alcun argomento logico -deduttivo che possa giustificare una simile pronuncia’.
II. Il secondo motivo assume ‘ 360 comma 1 n.3 c.p.c. -violazione art. 2697 c.c. errore e falsa applicazione di norme di diritto -illegittima inversione dell’onere della prova’.
Secondo i ricorrenti la corte d’appello avrebbe confermato la decisione di primo grado pur basata su ll’illegittima inversione dell’onere della prova, essendo stato richiesto agli amministratori di fornire giustificazioni circa le voci di bilancio ritenute anomale, nonostante la mancanza di prove di condotte distrattive.
III. Il terzo motivo assume ‘ 360 n. 3 c.p.c. -violazione art. 146 L.F. -violazione e falsa applicazione degli artt. 2393 e 2394 c.c. -errata e falsa applicazione di norme di diritto ‘ , per avere la sentenza imposto ai ricorrenti il pagamento di un ammontare totalmente ingiustificato, di gran lunga superiore alla totalità dei debiti della fallita.
IV. – Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente per connessione, è inammissibile.
Innanzitutto, è da dire che la sentenza non è impugnabile per omesso esame di fatti decisivi (fermo che neppure risultano specificati, nel ricorso, quali sarebbero poi codesti ‘fatti’), per l’elementare ragione che , nell’ accertamento storico, essa risulta esattamente conforme a quella di primo grado.
Ratione temporis , la fattispecie è invero soggetta all’art. 348 -ter cod. proc. civ., nel testo conseguente al d.l. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni, in l. n. 134 del 2012.
Ne segue che i fatti restano fissati in base a quanto stabilito, in doppia conforme, dal giudice del merito.
– Ciò stante, i fatti sono i seguenti:
-nel bilancio dell’anno 2010 erano state azzerate , senza giustificazioni, immobilizzazioni materiali e immateriali emergenti dall’esercizio precedente;
dal medesimo bilancio erano emersi costi per il personale parimenti ingiustificati, così da sostenere l’ ipotesi di occultamento di un’attività distrattiva di denaro;
la stessa cosa era accaduta quanto alla egualmente ingiustificata voce per ‘partite straordinarie ‘;
nonostante la perdita integrale del capitale gli amministratori avevano proseguito l’attività con movimentazioni in conto anche dopo l’a pertura della procedura concorsuale;
i documenti contabili non erano stati mai consegnati agli organi fallimentari;
era stata infine disposta una c.t.u., dalla quale era stato calcolato il quantum risarcibile con specifico riferimento ai profili sopra indicati.
– I ricorrenti assumono che non vi sarebbe stata prova della condotta distrattiva, e da questo punto di vista la loro censura è genericamente protesa a contestare la ricostruzione storica dei fatti; cosa notoriamente inammissibile in cassazione , in ispecie quando l’impugnazione è soggetta all’art. 348 -ter cod. proc. civ.
VII. – Assumono poi che sarebbe stato violato il criterio di riparto dell’onere della prova, e in tal senso la censura è inconferente rispetto a quanto indicato in sentenza, atteso che la causa è stata decisa non in applicazione del criterio (residuale) di cui all’art. 2697 cod. civ., ma previo diretto apprezzamento delle prove documentali, della c.t.u. e dei dati indiziari emergenti dalle poste di bilancio, azzerate senza giustificazione o non riscontrate in termini di cassa.
VIII. – Assumono infine che il danno sarebbe stato stimato in eccedenza rispetto ai debiti, e questa cosa non emerge affatto, neppure in termini di autosufficienza quanto al contenuto della c.t.u.
IX. -In conclusione, il ricorso è inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alle spese processuali, che liquida in 13.200,00 EUR, di cui 200,00 EUR per esborsi, oltre accessori e rimborso forfetario di spese generali nella massima percentuale di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile, addì