Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22005 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22005 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14368/2019 R.G. proposto da : FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al ricorso – ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al controricorso
– controricorrente –
nonché contro
NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME
– intimati
–
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 4714/2018 depositata il 30/10/2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/6/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il fallimento di RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio gli ex amministratori NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendo che venisse accertata la loro responsabilità, ex artt. 2394, 2476 e 2043 cod. civ., per il mancato pagamento di oneri tributari maturati in capo alla società poi fallita relativamente al periodo 2004 -2009 e che gli stessi fossero condannati al risarcimento dei danni subiti dalla compagine e dai creditori, di entità corrispondente all’ammontare degli interessi richiesti e delle sanzioni irrogate dall’amministrazione finanziaria in conseguenza dell’omesso versamento dei tributi dovuti.
Il Tribunale di Milano, con sentenza non definitiva n. 14191/2015, dichiarava la propria incompetenza a conoscere della domanda risarcitoria presentata ex art. 2476 cod. civ. nei confronti dei convenuti NOME COGNOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e, disposta la separazione, proseguiva il giudizio nei confronti di tutti i convenuti rispetto all’azione di responsabilità dei creditori e nei confronti di COGNOME e COGNOME con riguardo all’azione sociale di responsabilità.
Il medesimo tribunale, con sentenza definitiva n. 7879/2017, rigettava le domande per le quali aveva ravvisato la propria competenza.
La Corte d’appello di Milano rigettava l’impugnazione presentata dal fallimento, con sentenza pubblicata in data 30 ottobre 2018.
Riteneva, in particolare, che il comportamento degli amministratori, trovatisi di fronte all’alternativa fra ritardare il versamento dei tributi, sopportando le sanzioni e gli interessi conseguenti, oppure differire il pagamento di dipendenti, fornitori ed enti, con conseguenti maggiori danni per la società, non potesse essere considerato negligente, in quanto gli stessi, optando per la prima soluzione, avevano tenuto una condotta consentita dall’ordinamento
tributario (ossia quella di ritardare il pagamento dei tributi per far fronte a una momentanea situazione di illiquidità, accettando di subire l’applicazione di sanzioni amministrative).
Evidenziava che gli amministratori avevano tempestivamente chiesto ed ottenuto dall’amministrazione finanziaria la rateizzazione degli interessi e delle sanzioni irrogate ed avevano puntualmente adempiuto ai conseguenti obblighi di pagamento fino alla cessazione dalla carica.
Giudicava che mancasse un nesso eziologico diretto, giacché il danno lamentato dalla procedura, relativo al mancato soddisfacimento dei creditori sociali, rappresentava la conseguenza non del ritardato pagamento dei tributi, ma dell’interruzione dei pagame nti rateali, avvenuta successivamente all’abbandono del consiglio di amministrazione da parte degli appellati.
Sosteneva che ai fini della responsabilità degli amministratori ex art. 2394 cod. civ. non bastava che vi fosse un’insufficienza patrimoniale, ma occorreva che la stessa fosse loro imputabile, ossia risultasse riconducibile al loro operato.
Sottolineava che nel caso di specie la procedura non aveva provato quali comportamenti negligenti degli ex amministratori avevano comportato la diminuzione del patrimonio sociale rendendolo inidoneo al soddisfacimento dei creditori, assumendo che la diminuzione della garanzia patrimoniale era la conseguenza di fattori causali indipendenti dalla condotta degli appellati, dato che il patrimonio era divenuto insufficiente per scelte compiute dagli amministratori subentrati.
Escludeva che il comportamento di COGNOME e COGNOME fosse stato negligente e avesse provocato una loro responsabilità ai sensi dell’art. 2476 cod. civ., poiché la procedura non aveva dimostrato il ricorrere di una colpa nell’ amministrazione, provando che il differimento del pagamento dei tributi era legato a una mala gestio precedente.
Reputava infine, con riferimento al secondo motivo di appello (con cui si era lamentato che il primo giudice avesse omesso di pronunciarsi sulla domanda di risarcimento danni per sanzioni e interessi applicati per il mancato versamento di ulteriori tributi), che la procedura appellante avesse omesso di fornire la prova del fatto che dal mancato versamento dei tributi fosse derivato in modo diretto un risultato negativo per la società.
Aggiungeva che il tenore della decisione del tribunale (laddove sosteneva che l’aggravio di sanzioni e interessi appariva conseguenza diretta, per la parte assolutamente prevalente, non dell’omissione dei pagamenti dovuti alla scadenza, ma dell’interruzion e dei pagamenti rateali) lasciava intendere che il primo giudice fosse consapevole che una delle domande riguardava sanzioni e interessi diversi da quelli oggetto di rateizzazione e avesse ritenuto che gli appellati, avendo già richiesto la rateizzazione della cartella esattoriale più rilevante, avrebbero presumibilmente tenuto una condotta analoga se solo fosse stata loro notificata anche la cartella relativa alle altre omissioni.
Il fallimento di RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza, prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso NOME COGNOME
Gli intimati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME (intervenuto nel giudizio di primo grado) non hanno svolto difese.
Il Procuratore Generale, nella persona del sost. proc. dott. NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte, ex art. 380 bis .1 cod. proc. civ. , sollecitando l’accoglimento del ricorso.
Entrambe le parti costituite hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., nonché, ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso fra le parti, nonché, a mente dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione delle norme dell’ordinamento tributario previste dal d. lgs. 471/1997 e dal d. lgs. 472/1997, in combinato disposto con l’art. 2394 cod. civ., nonché ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 111, comma 6, Cost. e 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ.: la Corte d ‘ appello ha rigettato il primo motivo di impugnazione escludendo, quanto all’azione di responsabilità di cui all’art. 2394 cod. civ., il carattere negligente della condotta omissiva degli amministratori sul presupposto che tale condotta – concretatasi nella scelta volontaria e consapevole di omettere il pagamento dei tributi maturati a carico della fallita tra il 2004 e il 2009 – avrebbe costituito una scelta in alternativa alla quale gli amministratori avrebbero potuto differire il pagamento di dipendenti, fornitori ed enti, con conseguenti maggiori danni per la società, consentita dall’ordinamento tributario e assunta per far fronte a una momentanea situazione di illiquidità in un contesto patrimoniale connotato dalla disponibilità di immobili di rilevante valore economico, in considerazione del quale gli amministratori avevano tempestivamente chiesto e ottenuto la rateizzazione degli interessi e delle sanzioni erogate e avevano adempiuto ai loro obblighi di pagamento fino alla cessazione della carica.
In questo modo la Corte territoriale, oltre a incorrere in un errore di percezione in ordine al fatto che la situazione di illiquidità fosse temporanea e a omettere di considerare le altre iniziative che gli amministratori avrebbero potuto assumere per sopperire a questa situazione, ha erroneamente ritenuto -sostiene la procedura ricorrente – che la decisione degli amministratori di omettere il pagamento dei tributi alle rispettive scadenze rappresentasse una
decisione consentita dall’ordinamento, incorrendo, per di più, in un vizio di contraddittorietà della motivazione, laddove da una parte aveva ritenuto che un amministratore scrupoloso doveva riuscire a prevenire situazioni di scarsa liquidità che non consentissero di pagare le imposte dovute, dall’altra aveva escluso la negligenza degli amministratori, malgrado l’omissione del pagamento dei tributi fosse stato frutto di una scelta consapevole e volontaria.
5. Il motivo è fondato.
5.1 Merita, innanzitutto, ricordare che il principio dell’insindacabilità del merito delle scelte di gestione (cd. business judgement rule ) certamente non copre gli illeciti, tributari o meno, trattandosi di regola non invocabile in presenza di una valutazione di irragionevolezza, imprudenza o arbitrarietà palese dell’iniziativa economica e, dunque, tanto meno in presenza di inequivoche violazioni di legge, come, in particolare, nel caso di violazione di norme tributarie (cfr. Cass. 8069/2024).
5.2 La giurisprudenza delle sezioni penali di questa Corte ha chiarito che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali non può essere scriminato, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., dalla scelta del datore di lavoro, in presenza di una situazione di difficoltà economica, di destinare le somme disponibili al pagamento delle retribuzioni, perché, nel conflitto tra il diritto del lavoratore a ricevere i versamenti previdenziali e quello alla retribuzione, va privilegiato il primo in quanto è il solo a ricevere, secondo una scelta del legislatore non irragionevole, tutela penalistica per mezzo della previsione di una fattispecie incriminatrice (Cass. 36421/2019; nello stesso senso Cass. 23939/2020).
Analoghe affermazioni sono state compiute in relazione al reato di cui agli artt. 81, cpv., cod. pen. e 10ter d.P.R. 74/2000, in quanto, ‘ in ipotesi di conflitto tra l’obbligo fiscale e il diritto dei lavoratori a percepire la retribuzione agli stessi spettante ‘, si deve ‘ accordare
prevalenza a quello che, solo, riceve, secondo la non irragionevole scelta del legislatore, una tutela penalistica attraverso la previsione della fattispecie incriminatrice qui in rilievo. Pertanto, l’imputato avrebbe dovuto, dinnanzi al contestuale sorgere delle due obbligazioni, accantonare le somme corrispondenti al debito fiscale, onde provvedere al dovuto versamento ‘ (Cass. 43546/2018).
A ciò va aggiunto, da un lato, che il mancato accantonamento di una somma sufficiente al pagamento dell’imposta determina una situazione di difficoltà in cui il contribuente si è volontariamente calato, perché l’I.V.A. incassata deve essere versata e non può essere utilizzata per fronteggiare altre esigenze aziendali (Cass. 3639/2014), dall’altro che l’inadempimento dell’obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (Cass. 8352/2014). 5.3 Identiche considerazioni possono essere svolte per l’I.R.A.P., perché, seppur la violazione delle relative disposizioni non sia presidiata da sanzioni penali (v. Cass. civ. 25631/2021), l’art. 34 d. lgs. 446/1997 applica, al suo primo comma, una sanzione amministrativa (pari al trenta per cento di quanto non versato) in caso di ritardato, omesso o insufficiente versamento dell’imposta, in acconto o a saldo, e prevede, al successivo capoverso, che sugli importi non versati o versati in ritardo sono dovuti interessi a un saggio particolare, a norma dell’art. 9 d.P.R. 602/1973.
Anche in questo caso la presenza di una norma tributaria che prevede l’applicazione di sanzioni amministrative e interessi di mora attesta che nel conflitto fra fisco ed altri creditori il legislatore ha voluto attribuire al primo una priorità, attraverso la previsione di una tutela sanzionatoria e secondo una scelta non irragionevole.
5.4 La Corte di merito ha perciò erroneamente ritenuto che il mancato pagamento delle imposte in questione non potesse essere
considerato ‘tout court negligente’ sol perché accompagnato dalla richiesta di rateizzazione di interessi e sanzioni, puntualmente corrisposti fino alla cessazione dalla carica.
Al contrario un simile modello di gestione protratto per un quinquennio realizzava, all’esito di un giudizio ex ante , tanto una violazione di legge presidiata anche dal diritto penale, quanto una modalità di autofinanziamento in costante evasione di una specifica categoria di debito, oltre che l’inadempimento a un più generale compito di ricercare altrove e in maniera legittima i mezzi per ricapitalizzare la società, in alternativa alla sua messa in liquidazione; una simile iniziativa economica, protratta nel tempo, non poteva certo essere ricondotta al principio dell’insindacabilità del merito delle scelte di gestione, vuoi perché costituiva una violazione di norme tributarie e, più in generale, degli obblighi per la società di cercare fonti di finanziamento in maniera lecita, vuoi perché costituiva un’opzione comunque imprudente, dato che era caratterizzata dalla mancata adozione di misure di cautela atte a prevenire il danno.
6. Il secondo motivo di ricorso denuncia, a mente dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2934 cod. civ. nonché, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 112 e 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e 111, comma 6 Cost., nella parte in cui la Corte territoriale, ai fini del rigetto del primo motivo di appello e con riferimento all’azione di responsabilità ex art. 2394 cod. civ., ha escluso la sussistenza di un nesso causale tra la condotta degli amministratori e il danno lamentato dal fallimento, muovendo dal presupposto che ai fini dell’accertamento di questa responsabilità sia necessaria non solo l’esistenza di un’insufficienza patrimoniale, ma anche che tale insufficienza risulti essere stata cagionata in via immediata e diretta dalla condotta degli amministratori.
Al contrario, il presupposto dell’insufficienza patrimoniale cui fa riferimento l’art. 2394, comma 2, cod. civ. rappresenta in tesi di parte ricorrente -esclusivamente una condizione per la proponibilità dell’azione, sulla base del quale il legislatore valuta l’attualità dell’interesse ad agire in giudizio, ma non coincide affatto con il danno alle ragioni dei creditori della società.
7. Il motivo è fondato.
7.1 L’azione di responsabilità regolata dall’art. 2394 cod. civ. ha natura extracontrattuale, è priva di carattere surrogatorio ed è dotata di un autonomo regime giuridico dell’onere della prova e della prescrizione (v. Cass. 13765/2007; nello stesso senso Cass. 24715/2015).
Si tratta, perciò, di un’ipotesi prevista dal legislatore di responsabilità aquiliana prospettabile per la lesione esterna dell’aspettativa di prestazione (come osservato in dottrina) , giacché l’amministratore della società debitrice, quale terzo rispetto al rapporto obbligatorio intercorrente fra il creditore e la società stessa, ha pregiudicato l’aspettativa della prestazione in quanto, violando le norme poste a tutela dell’integrità del patrimonio sociale e determinando l’insufficienza delle necessarie r isorse patrimoniali, ha impedito l’adempimento volontario da parte della compagine debitrice e la realizzazione della pretesa in via esecutiva.
Questa lesione esterna dell’aspettativa di prestazione viene ad esistenza solo quando il patrimonio sociale sia insufficiente al soddisfacimento dei creditori, perché, diversamente, la condotta dell’amministratore, comunque connotata, non avrebbe alcuna influenza lesiva nei confronti dei soggetti estranei alla compagine (e segnatamente dei suoi creditori).
In questa prospettiva la giurisprudenza della Corte, in passato (cfr. Cass. 441/1966), ha avuto occasione di spiegare che il diritto che la legge riconosce ai creditori sociali di ottenere, a titolo di risarcimento di danni, dagli amministratori la prestazione che la società non può
più adempiere trova titolo nella responsabilità degli amministratori per inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale ed è condizionata all’insufficienza del patrimonio sociale a soddisfare i creditori; più di recente (Cass. 15487/2000) si è chiarito che: i) ad accreditare l’azione risarcitoria di cui si tratta è necessario e sufficiente che sussista un rapporto di causalità tra pregiudizio – che è pari alle risorse sottratte alla società – e condotta degli amministratori, purché sia illegittima, una volta che, con la dichiarazione di fallimento sopravvenuta qualche anno dopo, il danno certo dei creditori abbia trovato radici in quella condotta, sia pure per la misura ad essa corrispondente; ii) presupposto de ll’azione è, a norma dell’art. 2934 cod. civ., che il patrimonio sociale sia insufficiente a soddisfare i creditori, mentre il danno si commisura alla corrispondente riduzione della massa attiva disponibile in loro favore; iii) il curatore del fallimento, quando agisce per la reintegrazione del patrimonio della società fallita nei confronti degli amministratori, propone contemporaneamente sia l’azione sociale ex art. 2393 cod. civ., sia quella che spetta ai creditori ex art. 2394 cod. civ., le quali confluiscono in un’unica azione, che, cumulando i presupposti e gli scopi di entrambe, risulta finalizzata al risultato di acquisire all’attivo fallimentare ciò che è stato sottratto per fatti imputabili agli amministratori; iv) l’azione di responsabilità, in quanto diretta alla reintegrazione del patrimonio sociale, in relazione alla violazione dell’obbligo di conservarlo posto a carico degli amministratori dall’art. 2394, comma 1, cod. civ., richiede semplicemente che, nel momento in cui sia esercitata, quel patrimonio risulti insufficiente a soddisfare i creditori della società; tant’è che, potendo tale insufficienza manifestarsi ancor prima della dichiarazione di insolvenza, l’azione che, a fallimento intervenuto, si trasmette al curatore può essere prima esercitata dai creditori e il termine di prescrizione decorre dal momento in cui l’insufficienza si verifica (e sia oggettivamente percepibile, così risultando); è dunque
erroneo ricavare dalla mancanza di perdite durante la gestione immediatamente anteriore al fallimento l’assenza del titolo di risarcimento ai sensi dell’art. 2934 cod. civ., posto che la cattiva gestione comunque produsse effetti negativi, allorché si manifestò l’insolvenza.
Pertanto, la fattispecie di responsabilità in discorso da un lato presuppone l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti, dall’altro richiede un danno causalmente connesso all’inosservanza da parte degli amministratori degli obblighi inerenti alla conservazione del patrimonio sociale, danno che si commisura alla corrispondente riduzione della massa attiva disponibile in favore dei creditori.
L’insufficienza patrimoniale entra così nella fattispecie costitutiva della norma in discorso quale presupposto dell’azione, perché solo nel momento in cui essa si verifica sorge l’interesse dei creditori ad agire nei confronti degli amministratori per il danno subito.
Il corrispondente problema applicativo consiste poi nel verificare se la condotta illegittima degli amministratori abbia causalmente provocato un qualsivoglia pregiudizio patrimoniale ai creditori, comprensivo di tutto ciò che vi deriva da un punto di vista causale e che, di fatto, si converte in passivo subito dai medesimi, mentre non è necessario che l’insufficienza patrimoniale sia stata immediatamente conseguente all’inosservanza da parte degli a mministratori agli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, dato che la norma non stabilisce affatto che gli stessi rispondano del pregiudizio da loro provocato a condizione che siano ancora in carica o siano appena cessati dalla stessa.
In altri termini, una volta accertato il comportamento contra jus dell’amministratore, per violazione dei doveri statutari e/o legali, e la violazione degli obblighi dettati per la conservazione del patrimonio sociale, l’insufficienza patrimoniale costituisce il necessario presupposto dell’azione che è alla base dell’in teresse
istituzionale dei creditori sociali, mentre il nesso di causalità deve sussistere tra la condotta ( contra jus ) e il pregiudizio di cui si chiede il ristoro finale.
L’azione di cui all’art. 2394 cod. civ., dunque, non può essere esperita, pur in presenza di violazioni da parte degli amministratori di norme poste a presidio dell’integrità, finché non si arrivi all’alterazione dell’equilibrio fra attivo e passivo; una volta che la stessa divenga esperibile, i danni risarcibili sono quelli che costituiscono una conseguenza, diretta o presunta, della condotta degli amministratori.
7.2 L’affermazione contenuta all’interno della decisione impugnata secondo cui, ai fini di ravvisare la responsabilità ai sensi dell’art. 2934 cod. civ., occorre che l’insufficienza patrimoniale piuttosto che il danno – sia imputabile agli amministratori contrasta con i principi appena illustrati ed impone l’accoglimento della censura in esame.
Per di più, la Corte distrettuale, in un’errata prospettiva e con evidente vizio di extrapetizione, ha individuato il danno lamentato dal fallimento appellante ‘ nel mancato soddisfacimento dei creditori ‘ (pag. 9 della sentenza impugnata), malgrado l’azione fosse stata promossa, per sua stessa ammissione, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti dalla società e dai creditori e ‘ quantificati in misura corrispondente all’ammontare degli interessi richiesti e delle sanzioni irrogate dall’amministraz ione finanziaria a causa del mancato pagamento dei tributi ‘ (pagg. 4 e 5).
Il terzo motivo di ricorso denuncia, a mente dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 2476 e 2697 cod. civ., nonché, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 111, comma 6, Cost. e 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ.: la Corte d’appello ha escluso la colpa di NOME COGNOME e NOME COGNOME nello scrutinare l’azione di responsabilità sociale ex art. 2476 cod. civ., sul
presupposto che fosse onere del fallimento fornire la prova di tale colpa, dimostrando, in particolare, che il mancato versamento dei tributi dipendesse da una precedente mala gestio di questi soggetti. Al contrario, la procedura aveva l’onere di allegare e provare, come aveva puntualmente fatto, che gli amministratori convenuti avessero violato un obbligo imposto loro dalla legge o dall’atto costitutivo e che il danno al patrimonio sociale forse causalmente riconducibile a una simile violazione.
La colpa degli amministratori doveva essere presunta, ai sensi dell’art. 1218 cod. civ., e rimaneva loro onere fornire la prova che la condotta omissiva in contestazione fosse esente da colpa e che il danno arrecato al patrimonio della società non fosse loro imputabile.
9. Il motivo è fondato.
L’azione di responsabilità, esercitata dal curatore ai sensi dell’art. 146, comma 2, l.fall., cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2392-2393 cod. civ. e dall’art. 2394 cod. civ. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, tant’è che il curatore può, anche separatamente, formulare domande risarcitorie tanto con riferimento ai presupposti dell’azione sociale, che ha natura contrattuale, quanto con riguardo a quelli della responsabilità verso i creditori, che ha natura extracontrattuale; tali azioni, peraltro, non perdono la loro originaria identità giuridica, rimanendo tra loro distinte sia nei presupposti di fatto, che nella disciplina applicabile, differenti essendo la distribuzione dell’onere della prova, i criteri di determinazione dei danni risarcibili ed il regime di decorrenza del termine di prescrizione (cfr. Cass. 24715/2015; nello stesso senso Cass. 23452/2019).
Rispetto all’azione sociale occorreva, pertanto, tener conto che la natura contrattuale della responsabilità degli amministratori e dei sindaci verso la società comporta che questa ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori
e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti (Cass. 22911/2010; nello stesso senso Cass. 2975/2020, Cass. 17441/2016).
Non era perciò il fallimento a dover provare la sussistenza di una colpa di amministrazione degli appellati nel differimento dei tributi, come erroneamente ha ritenuto la Corte distrettuale (a pag. 10 della decisione impugnata), ma erano questi ultimi a dover dimostrare che nel loro agire avevano osservato i propri doveri e correttamente adempiuto gli obblighi loro imposti dalla carica che rivestivano.
10. Il quarto motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 111, comma 6, Cost. e 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. nonché, ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2476 e 2934 cod. civ.: la Corte d’appello ha rigettato anche il secondo motivo di impugnazione, evocando circostanze che non erano rinvenibili nella sentenza di primo grado, dove non si faceva alcun cenno né alla necessità di dimostrare che dal mancato versamento dei tributi fosse derivato, in modo diretto, un risultato negativo per la società, né ad alcun ragionamento di tipo presuntivo, con la conseguenza che sul punto la motivazione rivestirebbe carattere apparente.
Il riferimento alla rateizzazione richiesta rispetto ad una cartella esattoriale risultava, poi, irrilevante ai fini del decidere.
11. Il motivo è fondato.
11.1 La motivazione assume carattere solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi
lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U., 22232/2016).
Il secondo motivo di appello riguardava l’omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento danni per sanzioni e interessi applicati per il mancato versamento di tributi differenti rispetto a quelli presi in esame in precedenza.
Nessuno dei due argomenti offerti nella decisione qui impugnata permette di comprendere il motivo per il quale la Corte territoriale abbia ritenuto che la domanda fosse stata presa in esame.
Il riferimento al generale rilievo per cui il fallimento aveva omesso di fornire la prova che dal mancato versamento dei contributi fosse derivato in modo diretto un risultato negativo per la società non si rinviene nella motivazione del giudice di primo grado, di modo che non costituisce un richiamo utile a dare una motivazione pertinente, né, in ogni caso, offre una risposta comprensibile in ordine al fatto che dal mancato versamento dei tributi in questione fossero derivati, a carico della società, le sanzioni e gli interessi di cui si chiedeva il ristoro.
L’interpretazione della sentenza di primo grado in termini di presumibile intenzione degli amministratori di domandare la rateizzazione anche dei differenti tributi ove fosse stata notificata la relativa cartella soffre di un analogo vizio, perché non spiega se e come questa presumibile richiesta di rateizzazione avrebbe in qualche modo inciso su sanzioni e interessi, cosicché non è dato comprendere come, attraverso una simile congettura, il tribunale avrebbe provveduto sulla domanda di risarcimento danni a tale titolo.
11.2 D’altra parte, entrambi i rilievi compiuti dai giudici distrettuali sono erronei, il primo perché -come detto in precedenza – la violazione degli obblighi che competono agli amministratori rileva se provoca un danno alla società, a prescindere dal fatto che determini un risultato negativo in termini di insufficienza patrimoniale, il
secondo perché invocare una rateizzazione ipotizzando che la stessa potesse essere richiesta non esimeva dal considerare che ciò che contava era che il debito per sanzioni e interessi non doveva essere fatto sorgere e che lo stesso, una volta venuto ad esistenza, coincideva con il danno risarcibile fatto valere dal fallimento.
Per tutto quanto sopra esposto la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte distrettuale di Milano, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma in data 26 giugno 2025.