Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33909 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33909 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 14636/2020 r.g. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’ Avvocato NOME COGNOME e dall’Avvocato Prof. NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia in Roma, al INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al controricorso, dagli Avvocati Prof. NOME COGNOME e Prof. NOME COGNOME nonché dall’Avvocato NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultima in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale –
e
QUARTIERI NOMECOGNOME quale erede con beneficio di inventario di Aldino COGNOME, rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al
contro
ricorso, dall’Avvocato NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domicilia in Lodi, alla INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale -e
RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE, con sede in Milano, alla INDIRIZZO in persona del procuratore speciale dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’Avvocato P rof. NOME COGNOME e dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO
-controricorrente –
e
COGNOME NOMECOGNOME quale curatrice dell’eredità giacente di NOME COGNOME
– intimati – avverso la sentenza n. 845/2020 della CORTE DI APPELLO DI MILANO, pubblicata il giorno 01/04/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 18/12/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto ritualmente notificato il 27 marzo 2008, la Banca Popolare di Lodi (oggi Banco BPM s.p.a., di seguito anche, breviter , banca, ‘Banco’ o ‘BPL’) citò NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOMEnelle qualità, rispettivamente, i primi quattro, di consiglieri d’amministrazione e gli ultimi due di membr i del collegio sindacale della banca all’epoca dei fatti innanzi al Tribunale di Lodi per sentirne accertare le gravi violazioni commesse nello svolgimento delle loro funzioni ed ottenerne la condanna al risarcimento dei conseguenti danni. Chiese, inoltre, che il Benevento ed il COGNOME fossero
condannati a restituirle, rispettivamente, € 300.000,00 ed € 260.271,76, da loro asseritamente percepite indebitamente.
1.1. Secondo la prospettazione dell’attrice, le responsabilità degli amministratori e dei sindaci derivavano da una pluralità di condotte illecite poste in essere a partire dalla metà del 2005, che avevano dato luogo a: i ) procedimenti penali che avevano coinvolto gli organi di amministrazione e controllo del Banco ed altri soggetti concorrenti nei reati (false comunicazioni sociali, appropriazione indebita, falso in bilancio, manipolazione del mercato, ecc.); ii ) numerosi provvedimenti sanzionatori, inflitti dalle Autorità di Vigilanza (Consob, Banca d’Italia, Ministero dell’Economia e delle Finanze), legati, soprattutto, all’operazione di scalata della Banca Antonveneta. Nello specifico, il risarcimento reclamato dalla banca riguardava danni: a ) derivanti dall’operazione appena indicata; b ) conseguenti a condotte di appropriazione indebita (con esclusione del convenuto Quartieri); c ) per dividendi distribuiti negli esercizi 2002, 2003 e 2004 in ragione di utili falsamente rappresentati nei bilanci d’esercizio (il convenuto Quartieri solo relativamente all’esercizio 2004); d ) da peggioramento del rating ; e ) all’immagine; f ) derivanti dalle sanzioni pecuniarie a carico del Banco ex d.lgs. n. 231/2001 in relazione ai patteggiamenti nei procedimenti penali n. 4890/2007 (Tribunale di Milano) e n. 51/2006 (Tribunale di Lodi).
1.2. Si costituirono tutti i convenuti (escluso NOME COGNOME dichiarato contumace), molti dei quali formularono domande riconvenzionali e chiesero di chiamare in causa terzi, che, a loro volta, proposero ulteriori domande riconvenzionali.
1.3. Con sentenza parziale n. 291/2014, l’adito tribunale rigettò alcune eccezioni pregiudiziali (estinzione del giudizio; difetto di legitimatio ad processum del Banco ex art. 2393 cod. civ.; cessazione della materia del contendere), dichiarò l’estinzione del rapporto processuale tra la banca ed il convenuto COGNOME per rinuncia agli atti, essendo intervenuta fra queste parti una transazione pro quota, e giudicò inammissibili le domande dei convenuti nei confronti dei terzi chiamati.
1.4. Avverso questa sentenza proposero appello principale NOME COGNOME ed appello incidentale NOME COGNOME. Il processo, interrotto per l’intervenuto decesso del primo e ritualmente riassunto, fu poi dichiarato estinto, ex artt. 181 e 309 cod. proc. civ., nessuno essendo comparso alle successive udienze.
1.5. Con sentenza definitiva n. 270/2015, il medesimo Tribunale di Lodi, in parziale accoglimento delle domande dell’attrice: i ) condannò NOME COGNOME ed NOME COGNOME al pagamento, in favore della prima, rispettivamente, di € 300.000,00 e di € 260.271,76, oltre, per entrambi, interessi in misura legale dal 31 dicembre 2004 al saldo; ii ) rigettò le residue domande della banca; iii ) compensò integralmente le spese di lite nei rapporti tra parte attrice ed i convenuti costituiti.
1.6. In sintesi, quel tribunale: a ) con riferimento all’azione di responsabilità esercitata nei confronti del Benevento, richiamata la giurisprudenza di legittimità relativa alla natura contrattuale della responsabilità dell’amministratore ed al connesso onere probatorio, ritenne adeguatamente provata la violazione, da parte dello stesso, di specifiche disposizioni legislative e regolamentari alla stregua: i ) delle risultanze dell’ispezione effettuata dalla Banca d’Italia; ii ) dei rinvii a giudizio disposti nei suoi confronti nei procedimenti penali pendenti dinanzi al Tribunale di Milano ed al Tribunale di Lodi, conclusisi con sentenze di applicazione della pena su richiesta della parte (patteggiamento); iii ) dell’irrogazione di sanzioni da parte di Consob e Banca d’Italia (confermate anche in sede di impugnazione); iv ) della sua partecipazione alle plurime riunioni del comitato esecutivo nelle quali era stata illustrata ed approvata l’operazione Antonveneta, circostanza dalla quale derivava la necessaria consapevolezza (attesa la rivestita carica di presidente del c.d.a.) in ordine ai profili di illiceità dell’operazione medesima . Circa, poi, la domanda di restituzione dell’importo ricevuto, pari ad € 300.000,00, accolse la pretesa avanzata dal Banco, ritenendo provata la natura indebita della dazione e considerando tardiva l’eccezione sollevata dal Benevento relativamente alla na tura remunerativa della somma ricevuta, in quanto proposta solo con la memoria ex art. 7,
comma 2, del d.lgs. 5/2003; b ) quanto ai convenuti NOME COGNOME ed NOME COGNOME (consiglieri di amministrazione ed il primo anche membro del comitato esecutivo), richiamata la pronuncia resa da Cass. 9358/2005, accertò la loro responsabilità sulla base degli stessi indici evidenziati con riferimento al Benevento (ispezione di Banca d’ Italia, rinvii a giudizio nei procedimenti penali e relativi patteggiamenti, delibere sanzionatorie di Consob e Banca d’Italia, presenza di chiari segnali rivelatori dell’operazione RAGIONE_SOCIALE e assenza di misure assunte dal c.d.a. volte ad impedire il compimento di atti illeciti) e, con riferimento all’azione di ripetizione di € 260.271,76, ne ritenne provata la natura indebita della dazione in favore del COGNOME per effetto della documentazione versata in atti e delle mancate contestazioni sul punto; c ) con riferimento a NOME COGNOME ed NOME COGNOME (entrambi membri del collegio sindacale), rilevò, in primo luogo, che la responsabilità loro ascritta trovasse fond amento nell’art. 2407, comma 2, cod. civ. Invocò, in seguito, il dictum di Cass. n. 13517/2014 e, da ultimo, fondò l’accertamento delle responsabilità dei convenuti suddetti sui medesimi elementi posti alla base dell’accertamento delle responsabilità degli amministratori, precisando, tuttavia, che il Quartieri era stato assolto nel giudizio n. 51/2006 instaurato dinanzi al Tribunale di Lodi; d ) con riguardo alla misura del risarcimento connesso alle condotte illecite poste in essere da tutti i convenuti, osservò che la quantificazione del danno dovesse necessariamente tenere conto delle transazioni intervenute nei separati, e diversi, giudizi intrapresi dalla banca (ed allora pendenti) contro NOME COGNOME e NOME COGNOME, nonché della transazione intervenuta nelle more del giudizio con NOME COGNOME. A tale fine, ricordate le affermazioni di Cass., SU, n. 30174/2011 e di Cass. n. 22231/2014, evidenziò che la banca aveva: i ) allegato un valore economico delle transazioni non corrispondente a quello effettivo; ii ) erroneamente detratto l’importo delle transazioni dal totale risarcimento richiesto, senza preventivamente procedere alla determinazione delle quote di responsabilità dei soggetti coinvolti; iii ) illegittimamente richiesto ai convenuti anche il pagamento di importi da intendersi ricompresi nelle transazioni. Concluse, quindi, opinando che sarebbe stato onere della
banca fornire la prova del credito residuo, in applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e del principio di vicinanza della prova; che non vi erano elementi idonei a suffragare la tesi secondo cui il valore delle transazioni corrispondesse ad € 38.300.000,00; che la carenza probatoria relativa alla determinazione del valore delle transazioni intervenute era ostativa al l’espletamento della c.t.u. richiesta dal Banco. Sulla base di queste considerazioni, dunque, pur ritenendo accertate le rispettive responsabilità dei convenuti nei termini sopra esposti, respinse la domanda risarcitoria proposta dall ‘attrice , compensando integralmente tra le parti le spese processuali.
Avverso l’appena descritta sentenza definitiva, propose appello Banco BPM s.p.a., riproponendo, ex art. 346 cod. proc. civ., le domande ed eccezioni formulate in primo grado. Si costituirono NOME COGNOME (quale erede, con beneficio di inventario, di NOME COGNOME), NOME COGNOME e NOME COGNOME, questi ultimi proponendo anche gravami incidentali condizionati. Rimasero contumaci, invece, NOME COGNOME e gli eredi di NOME COGNOME
2.1. L’adita Corte di appello di Milano, ammessa ed espletata una c.t.u. (volta ad accertare ‘ 1. Se ed in quale misura la banca abbia riportato pregiudizi economici a seguito delle azioni ed omissioni compiute dal CdA e dal collegio sindacale nella vicenda oggetto di giudizio e, in caso affermativo, quale sia l’ammontare del danno patito sulla base della documentazione versata in atti; 2. Quale debba stimarsi essere l’ammontare della transazione intercorsa tra la banca e il Dott. COGNOME, invitandosi, altr esì, il nominato consulente ‘a tener conto anche delle altre transazioni nel conteggio finale, ad eccezione delle quote di solidarietà, che saranno oggetto di valutazione giuridica ‘) e decorsi gli assegnati termini per il deposito di comparse conclusionali e relative repliche, con sentenza del 12 febbraio/1 aprile 2020, n. 845, così decise: ‘ 1) Accoglie il primo motivo d’appello di Banco BPM s.p.a., assorbiti il secondo, il terzo, il quarto, il quinto e il sesto; 2) Rigetta gli appelli incidentali proposti da NOME COGNOME e da NOME COGNOME; 3) Condanna, in via fra loro solidale, NOME COGNOME (in persona degli eredi), NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (in persona
dell’erede) -quest’ultimo solo limitatamente alla somma di Euro 71.736.176,24 – al risarcimento del danno liquidato in favore di Banco BPM s.p.a. nella complessiva somma di Euro 120.330.415,55, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla domanda al saldo; 4) Compensa per ½ fra le parti le spese di lite dei giudizi di primo grado e di appello e condanna, in via fra loro solidale, NOME COGNOMEin persona degli eredi), NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME (in persona dell’erede) -quest’ultimo limitatamente ad 1/5 – al pagamento in favore di Banco BPM s.p.a. della restante metà, liquidata tale quota, quanto al primo grado, in complessivi Euro 87.264,50 e, quanto al presente grado, in complessivi Euro 106.496,50, oltre spese generali ed accessori di legge; 5) Pone le spese della CTU, nella misura liquidata in corso di causa, a carico di parte attrice nella misura di ½ e a carico solidale delle parti appellate (ed appellanti incidentali) per la restante metà, ferma restando la solidarietà di tutte le parti, in favore del CTU, per l’intera somma liquidata in corso di causa; 6) Conferma, nel resto, l’impugnata sentenza ; ‘.
2.2. Per quanto qui di interesse, ed in estrema sintesi, la motivazione della richiamata sentenza fu così strutturata: i ) un primo capitolo, in cui si ritenne formato il giudicato interno sul capo della decisione di primo grado che aveva accer tato nell’ an la responsabilità del Quartieri, del Benevento e del COGNOME, per non avere gli stessi proposto appello incidentale sul punto; ii ) un secondo capitolo, dedicato, per la maggior parte, all’accertamento dell’ an della responsabilità dei due convenuti che avevano proposto appello incidentale (il Ferrari e l’Araldi) e, per la parte residua, ad alcune eccezioni personali al Quartieri; iii ) un terzo capitolo, in cui fu esaminato, anzitutto, il primo motivo d’appello del Banco, diretto contro le ragioni portanti della sentenza di primo grado. Quest’ultima, rilevata l’avvenuta e comprovata stipulazione di transazioni tra il Banco ed i principali responsabili degli illeciti di cui è causa (il dr. COGNOME ed il rag, COGNOME, in particolare), e considerato, però, nel contempo, che non risultava prova del valore di tali transazioni, aveva respinto la domanda del Banco sulla scorta dei noti insegnamenti di Cass., SU, n. 30174 del 2011 (secondo cui, se uno o più dei coobbligati solidali
ha transatto sopra la sua quota ideale di responsabilità, occorre stabilire il valore di tale quota ed il valore della transazione, poiché, se chi ha transatto ha pagato più del valore della sua quota, il creditore può esigere dagli altri coobbligati l’eventuale residuo; mentre, se chi ha transatto ha pagato meno del valore della sua quota, il creditore può esigere dagli altri il valore delle quote restanti). Secondo il Tribunale, non essendo stato provato il valore delle transazioni, nemmeno sarebbe stato possibile reputare provata l’esistenza di un credito residuo in capo al Banco: donde il rigetto della domanda. Secondo la Corte, al contrario, le transazioni in questione costituivano fatti estintivi del credito risarcitorio del Banco, rispetto ai quali l’onere della prova doveva interamente gravare sui convenuti, tanto in relazione all’esistenza delle transazioni stesse, quanto in relazione al relativo valore: ciò, essenzialmente, perché « la valorizzazione delle transazioni intervenute è elemento che va a vantaggio dei convenuti »; iv ) un successivo capitolo, in cui, affermata la responsabilità dei convenuti nell’ an debeatur e superata ogni questione relativa alla mancata prova del valore delle transazioni, si esaminò il quantum risarcitorio dovuto, aderendosi, pressoché in toto , alle conclusioni del c.t.u.: si individuarono, dunque, danni conseguenti all’ Operazione Antonveneta (per complessivi € 288.867.262,94), a false rappresentazioni di utili nei bilanci 2002, 2003 e 2004 (per complessivi € 135.573.383,95 ), al pagamento di sanzioni (per complessivi € 1.506.667), al peggioramento del rating del Banco (per complessivi € 62.500.000), ad operazioni di appropriazione indebita (per complessivi € 106.160.247,93, rectius : € 107.247.812,63, secondo quanto poi precisato in sede di correzione di cui dirà oltre) ed all’immagine del Banco (liquidati nella misura dell’1% degli altri danni, e così per complessivi € 5.956.951,26). Sul totale dei danni così calcolato, pari ad € 60 1.652.077,78, la corte d’appello affrontò, p oi, l’ulteriore questione della quantificazione delle quote ideali di responsabilità dei condebitori che ebbero a stipulare le già menzionate transazioni, riconoscendo la maggior responsabilità del dr. COGNOME « ideatore e dominus di tutte le operazioni illecite oggetto di causa », nella misura del 50%; identificando, rispettivamente, nel 17% e nel 13% le quote ideali di responsabilità del rag.
COGNOME e del dr. COGNOME, definiti « (i più) stretti collaboratori » del dr. COGNOME e « concreti attuatori » delle operazioni di cui è causa; attribuendo, di riflesso, ai convenuti, tutti insieme considerati e senza ulteriore distinzione di quote ideali fra loro, responsabilità nella misura del restante 20% del totale. Considerato, allora, che il valore delle transazioni stipulate poteva ritenersi inferiore al valore della quota ideale di responsabilità degli stipulanti, la corte quantificò in € 120.330.415 ,55 l’ammontare della condanna dei convenuti; v ) gli ultimi tre brevissimi capitoli, dedicati, rispettivamente, ai restanti motivi d’appello del Banco, inevitabilmente assorbiti (quarto e quinto capitolo), ed alle spese del giudizio (sesto capitolo).
Con ricorso depositato in data 8 aprile 2020, Banco BPM chiese alla medesima corte la correzione dell’appena descritta come segue: ‘ a pag. 103 della sentenza (XV rigo) la correzione della cifra ‘Euro 106.160.247,93’ con la cifra ‘Euro 107.247.812,63 ‘, e tale richiesta fu integralmente accolta con ordinanza del 6.5.2020, non essendosi, peraltro, opposti gli appellati.
Per la cassazione di questa sentenza, come corretta, NOME COGNOME ha promosso ricorso affidato a dieci motivi, cui sono seguiti i separati controricorsi di Banco BPM s.p.a., NOME COGNOME ed NOME COGNOME. Questi ultimi due hanno proposto anche ricorsi incidentali affidati, rispettivamente, a sei ed undici motivi. Sono rimasti solo intimati NOME COGNOME e la curatrice (Avv. NOME COGNOME) dell’eredità giacente di NOME COGNOME Nell’imminenza della fissata adunanza camerale, sono state depositate memorie ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. dal Ferrari e dal Banco BPM s.p.a.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Per intuitive finalità di maggior chiarezza e specificità di questa esposizione, si ritiene opportuno procedere al separato esame di ciascuno dei ricorsi (principale ed incidentali) predetti.
A) Il ricorso principale di NOME COGNOME.
I formulati motivi del suddetto ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
I) « Violazione dell’art. 345, comma 3, cod. proc. civ. e dell’art. 115, comma 1, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. », per aver la corte d’appello fondato la propria decisione su produzioni documentali della banca palesemente inammissibili. In particolare, la stessa ha erroneamente ritenuto ammissibili documenti che l’odierna controricorrente aveva prodotto solo in sede di gravame, senza considerare che, nel giudizio di primo grado, quest’ultima non solo avrebbe potuto produrre tali documenti perché erano già nella sua disponibilità prima che maturassero le preclusioni istruttorie, ma addirittura avrebbe dovuto produrli, in ossequio ad un preciso ordine di esibizione ex art. 210 cod. proc. civ. rivoltole dal Tribunale di Lodi. Invero, proprio l’omessa produzione dei menzionati documenti era stata una delle cause del rigetto delle domande avanzate dalla banca nel giudizio di primo grado;
II) « Violazione dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 329 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. », per avere la corte distrettuale ritenuto coperto da giudicato interno l’accertamento compiuto dal Tribunale di Lodi circa la sussistenza di ‘ chiari segnali rilevatori ‘ che avrebbero imposto al COGNOME, pur nella qualità di amministratore non esecutivo, di attivarsi. L’erroneità di una tale conclusione sarebbe palese, perché l’odierno ricorrente aveva impugnato in via incident ale la sentenza di primo grado non solo riguardo al punto in cui riconosceva la sua responsabilità (di cui l’esistenza dei ‘ chiari segnali rilevatori ‘ costituiva, senza dubbio, il presupposto), ma anche in relazione al capo in cui l’esistenza di tali ‘ chiari segnali rilevatori ‘ veniva espressamente affermata;
III) « Violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. ». Tale doglianza, strettamente connessa alla precedente e dichiaratamente suscettibile di essere assorbita in caso di suo accoglimento, contesta alla corte territoriale di avere ritenuto, in assenza di qualsivoglia motivazione, che la formazione di un giu dicato interno in merito alla sussistenza di ‘ chiari segnali rilevatori ‘
relativi all’ Operazione Antonveneta avrebbe imposto al Ferrari un dovere di attivarsi anche in relazione alle altre operazioni contestate dalla banca;
IV) « Violazione degli artt. 157, commi 1 e 2, cod. proc. civ. e 194 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. », per avere la corte milanese ritenuto tardiva l’eccezione di nullità della consulenza tecnica d’ufficio sollevata dal Ferrari ‘ solo in sede di (seconda) comparsa conclusionale ‘. Il giudice a quo , in particolare, non ha considerato che, nella seconda comparsa conclusionale, l’odierno ricorrente aveva sollevato due eccezioni di nullità della consulenza d’ufficio che, per ragioni diverse, non soggiacevano alle preclusioni dell’art. 157, commi 1 e 2, cod. proc. civ. Invero: la prima eccezione di nullità, relativa ai ‘ macroscopici errori ‘ di merito commessi dal consulente tecnico d’ufficio, atteneva ad argomentazioni difensive e, perciò, poteva essere sollevata per la prima volta anche in comparsa conclusionale; l’altra, invece, concernente l’utilizzo, ai fini della redazione della consulenza, di documentazione inammissibilmente prodotta dalla Banca solo in sede di gravame, era addirittura rilevabile d’ ufficio in ogni stato e grado del procedimento;
V) « Violazione dell’art. 2392 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. », per avere la corte d’appello accertato la sussistenza, in capo al Ferrari, di una responsabilità ‘ da posizione ‘ con riferimento agli addebiti mossi dalla banca in relazione all’ Operazione Antonveneta , alle false rappresentazioni di utili nei bilanci degli esercizi 2002, 2003 e 2004, alle operazioni di appropriazione indebita ed alla violazione degli obblighi di comunicazione alla Banca d’Italia ed all’Autorit à di Vigilanza. Il tutto, senza considerare l’inesistenza di circostanze di fatto che avrebbero imposto all’odierno ricorrente, quale amministratore privo di deleghe, il dovere di attivarsi per impedire le condotte contestate dalla banca;
VI) « Violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. », per avere la corte distrettuale arbitrariamente ritenuto sussistente un nesso eziologico tra le condotte ascritte Ferrari e i danni lamentati dalla banca. In particolare, quel
giudice, senza considerare le puntuali contestazioni svolte dalla difesa dell’odierno ricorrente, si è astenuta dall’esplicitare il percorso logico sotteso alla propria determinazione, sottraendosi così al dovere di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali;
VII) « Violazione degli artt. 2392, 2697, 1223 cod. civ. e 115, comma 1, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. », per avere la corte territoriale ritenuto accertata la sussistenza di un nesso di causalità, materiale e giuridica, tra le condotte contestate al Ferrari e i danni lamentati dalla Banca, in assenza di idoneo supporto probatorio;
VIII) « Violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. », per avere la corte milanese fornito una motivazione apparente con riferimento alle voci di danno liquidate. In particolare, la stessa si è limitata a riprodurre acriticamente gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio, senza prendere in esame i precisi e argomentati rilievi mossi rispetto alla relazione tecnica dai consulenti delle parti e, soprattutto, dal prof. NOME COGNOME consulente tecnico del Ferrari. Tali rilievi, non adeguatamente smentiti dal consulente d’ufficio, erano stati esposti nuovamente da quest’ultimo nella seconda comparsa conclusionale;
IX) « Violazione dell’art. 1226 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. », per avere la corte distrettuale ritenuto di liquidare in favore della banca un danno all’immagine ‘ nella misura dell’1% del danno patrimoniale complessivamente accertato ‘. Tale determinazione è da ritenersi censurabile sotto un duplice profilo: anzitutto, perché, in assenza di prova del danno da parte della banca, ha fatto impropriamente ricorso alla facoltà di liquidazione equitativa; in secondo luogo, perché si è astenuta dall’esplicitare il criterio utilizzato nell’esercizio della medesima facoltà;
X) « Violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. », per avere la corte territoriale quantificato la responsabilità del dott. NOME COGNOME soltanto
nella misura del 50%. Tale determinazione è palesemente erronea se si considera che la medesima corte, nella motivazione della sentenza impugnata, ha aderito alla ricostruzione della stessa banca, secondo cui il dott. NOME COGNOME era stato l’artefice e l’ideatore esclusivo di tutte le operazioni asseritamente dannose.
Il primo di tali motivi è fondato.
2.1. Invero, giova premettere che, nella specie, il giudizio di appello ha investito una decisione di prime cure pubblicata in data 18 marzo 2015 (sentenza definitiva n. 270/2015) e che, pertanto, trova applicazione l’attuale versione dell’art. 345 cod. proc. civ., come modificata dall’art. 54, del d.l. n. 83 del 2012 -convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 -avendo questa Corte già stabilito che la modifica, in senso restrittivo rispetto alla produzione documentale in appello, di cui a ll’art. 345, comma 3, cod. proc. civ., operata dal citato d.l. trova applicazione -mancando una disciplina transitoria e dovendosi ricorrere al principio tempus regit actum -solo se la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge n. 134/2012, di conversione del d.l. n. 83/2012, e cioè dal giorno 11 settembre 2012 ( cfr . Cass. n. 6590 del 2017 e Cass. n. 21606 del 2021, entrambe ribadite, in motivazione, dalle più recenti Cass. n. 29506 del 2023 e Cass. n. 16289 del 2024). Questa Corte ha chiarito, altresì, che la formulazione dell’art. 345, comma 3, cod. proc. civ. applicabile a l caso in esame -a mente della quale ‘ Non sono ammessi i nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile ‘ -pone un divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, senza che assuma rilevanza la ” indispensabilità ” degli stessi, e ferma restando per la parte la possibilità di dimostrare di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile ( cfr . Cass. n. 26522 del 2017, anch’essa ribadita, in motivazione, dalle menzionate, più recenti, Cass. n. 29506 del 2023 e Cass. n. 16289 del 2024).
2.2. Nell’odierna vicenda, quindi, l’avvenuta produzione, ad opera della banca appellante principale, solo nel giudizio di gravame, della documentazione poi valorizzata dalla ivi disposta consulenza tecnica di ufficio e, successivamente, dalla stessa corte distrettuale che ne ha recepito le conclusioni sul punto ( cfr . pag. 107 e ss. della sentenza oggi impugnata), per giungere, -accogliendo il primo motivo dell’appello principale di Banco BPM s.p.a., previa determinazione del valore delle transazioni già concluse da altri soggetti (NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME), ritenuto inferiore rispetto a quello delle quote ideali dei transigenti, non tale, quindi, da ridurre il debito gravante sugli altri debitori in solido in misura corrispondente all’ammontare di quanto pagato da i primi -alla quantifi cazione del residuo danno di € 120.333.415,55, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali dalla domanda al saldo, da risarcirsi, in solido tra loro, « da NOME COGNOME (in persona degli eredi), NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME (in persona dell’erede), quest’ultimo solo limitatamente alla somma di € 71736.176, 24 » ( cfr . pag. 110 della medesima sentenza), alla stregua dei principi sanciti da Cass., SU, n. 30174 del 2011, risulta tardiva.
2.3. Né risulta, dalla sentenza impugnata, che la menzionata appellante, già in quella sede, avesse argomentato circa la impossibilità, alla stessa non imputabile, di produrla in precedenza (malgrado la specifica eccezione di tardività di detta documentazione tempestivamente sollevata dal Ferrari nella propria comparsa di costituzione con appello incidentale, -cfr . pag. 10 e ss., parag. 6 e ss. -come verificato pure da questo Collegio mediante il consentito accesso agli atti del fascicolo, risultando sostanzialmente denunciato, nella specie, un error in procedendo ), mentre quanto oggi esposto dalla medesima nel suo controricorso ( cfr . pag. 17) si rivela carente di autosufficienza se non altro perché non specifica quando sarebbero effettivamente maturate le preclusioni istruttorie in primo grado, impedendo, così, qualsivoglia valutazione circa l’essersi formata, o meno, quella documentazione, successivamente a queste ultime.
2.4. In sostanza, considerare ammissibile, nella specie, la produzione della banca, in modo del tutto svincolato dalla verifica della impossibilità per la parte di operarla tempestivamente nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (senza dimenticare, peraltro, che, come sancito, in motivazione, da Cass. n. 21080 del 2024, « dev’essere esclusa l’ammissibilità della produzione in appello di elementi di prova relativi a fatti già esistenti nel corso del giudizio di primo grado, là dove il fatto da rappresentare avrebbe potuto costituire materia di rappresentazione attraverso la formazione e la produzione di documenti già nel corso del giudizio di primo grado »), significherebbe fare ricorso, praticamente, -latamente ed immotivatamente -ad un criterio di indispensabilità che, invece, non assume più rilievo nella vigente disciplina dell’ammissibilità di nuovi mezzi istruttori in appello.
2.5. Resta solo da aggiungere che: i ) le norme regolanti la ripartizione dell’onere della prova non possono determinare un sostanziale svilimento della portata applicativa, già descritta, dell’art. 345, comma 3, cod. proc. civ., come novellato nel 2012, sicché nemmeno potrebbe farsi applicazione del divieto di ‘ venire contra factum proprium ‘ , dunque erroneamente richiamato dalla corte territoriale; ii ) non merita seguito l’ assunto della banca oggi controricorrente circa l ‘asserita mancata impugnazione dell’affermazione della sentenza impugnata secondo cui la c.t.u. è stata svolta su documenti ritualmente prodotti, essendo stato tale passaggio motivazionale chiaramente inciso dal motivo in esame; iii ) dalle considerazioni tutte fin qui esposte, deriva anche l’ulteriore violazione dell’art. 115, comma 1, cod. proc. civ., perché la corte d’appello, nel fare proprie le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, a loro volta fondate in larga misura sulla documentazione introdotta in spregio alle preclusioni di cui all’art. 345, comma 3, cod. proc. civ., ha, di fatto, posto alla base della propria decisione documenti inammissibili, in quanto non ritualmente prodotti dalla banca.
2.6. Infine, è opportuno precisare che la nullità dell’acquisita produzione documentale si estende alla c.t.u. -che, nella specie, chiaramente non ha
valore contabile -nella sola misura in cui quest’ultima è basata su documenti inammissibilmente prodotti, mentre spetterà al giudice di rinvio valutare l’incidenza della qui ritenuta inammissibilità della produzione documentale suddetta sull’esito della lite relativamente alla quantificazione del residuo risarcimento gravante (alla stregua dei principi di Cass., SU, n. 30174 del 2011) sui debitori solidali oggi parti di questo giudizio e non già transigenti.
Il secondo motivo di ricorso -in cui si lamenta, sostanzialmente, che, contrariamente a quanto affermato dalla corte territoriale, il Ferrari aveva stato impugnato l’assunto del tribunale circa i ‘ chiari segnali rivelatori ‘ riguardanti l’ Operazione Antonveneta in relazione ai quali il menzionato ricorrente avrebbe omesso di attivarsi -risulta inammissibile.
3.1. Esso, infatti, in violazione dell’art. 366 , comma 1, n. 6, cod. proc. civ., non spiega specificatamente come sarebbe stato impugnato l’appena riportato assunto del giudice di prime, dovendo qui rimarcarsi che, con il proprio rilievo di non ‘ specifica ‘ impugnazione sul punto, la corte distrettuale ha inteso effettuare, chiaramente, una valutazione di inammissibilità ex art. 342 cod. proc., in parte qua , del gravame incidentale del Ferrari, il quale, tuttavia, in questa sede, non ha formulato alcuna puntuale censura su questo specifico profilo.
Inammissibile è pure il terzo motivo, secondo cui, quand’anche vi fosse stato il giudicato censurato nel motivo precedente, il riferimento ai ‘ chiari segnali d’allarme ‘ avrebbe riguardato solo l’ Operazione Antonveneta , con conseguente motivazione asseritamente solo apparente circa l’estensione ad altre operazioni .
4.1. La doglianza, infatti, mostra di non cogliere appieno la ratio decidendi della sentenza impugnata, in cui la corte ha distrettuale, in realtà, ha chiaramente limitato il giudicato interno all’ RAGIONE_SOCIALE Antonveneta , mentre, quanto al resto, ha compiuto un giudizio di fatto, non poggiante su tale giudicato.
4.2. Quella corte, tra l’altro, ha fatto propria la giurisprudenza di legittimità secondo cui: i ) « gli amministratori non operativi rispondono per non aver impedito ‘ fatti pregiudizievoli ‘ dei quali, o abbiano acquisito in
positivo conoscenza (anche per effetto delle informazioni ricevute ai sensi dell’art. 2381 c.c., comma 3), ovvero dei quali debbano acquisire conoscenza, di propria iniziativa, ai sensi dell’obbligo posto dall’art. 2381 c.c., u.c. » ( cfr. Cass. n. 32135 del 2018); ii ) la responsabilità dell’amministratore privo di deleghe, per non aver impedito il compimento di un atto dannoso o per non aver agito per eliminare o attenuare le sue conseguenze dannose, sussiste ogniqualvolta, in presenza di ‘ segnali d’allarme ‘ , questi non si sia attivato al fine di ottenere un supplemento informativo: « Agli amministratori privi di deleghe è richiesto, cioè, non soltanto di essere passivi destinatari delle informazioni rese sua sponte dall’organo delegato, ma anche di assumere l’iniziativa di richiedere informazioni, in particolare allorché sussistano quei ‘ segnali di pericolo ‘ o ‘ sintomi di patologia ‘ , quali ‘ indici rivelatori ‘ o ‘ campanelli di allarme ‘ del fatto illecito posto in essere – o che sta per essere posto in essere – dagli organi delegati » ( cfr. Cass. n. 22848 del 2015).
4.3. È chiaro, dunque, che così opinando, la corte territoriale ha mostrato di procedere, sostanzialmente, ad una nuova complessiva valutazione della responsabilità del F errari, utilizzando l’intero materiale istruttorio a sua disposizione e di cui è chiaro l’ iter logico seguito. Da un lato, dunque, non ricorre alcun vizio di motivazione apparente (né, tanto meno, inesistente, fattispecie, quest’ultima individuabile solo nelle specifiche ipotesi descritte da Cass., SU, n. 8053 del 2014); dall’altro, dovendo qui rimarcarsi che il giudizio legittimità non può essere trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 10712, 19423 e 25495 del 2024).
Il quarto motivo di ricorso, nella misura in cui censura nuovamente -questa volta lamentando il rigetto della corrispondente eccezione di nullità
della c.t.u. -l ‘ utilizzo di documenti prodotti tardivamente dalla banca appellante principale, può considerarsi assorbito alla luce dell’accoglimento del primo motivo. Laddove, invece, contesta alla corte distrettuale di non avere tenuto conto dei rilievi alla c.t.u. svolti dal Ferrari nella propria seconda comparsa conclusionale d’appello (già evidenziati, peraltro, dal suo consulente di parte), la doglianza è infondata perché, come si vedrà anche scrutinando il successivo ottavo motivo, la sentenza impugnata dà atto, specificamente, ( cfr . pag. 100) che la relazione del consulente tecnico di ufficio, oltre che « correttamente svolta sulla base di chiare indicazioni metodologiche » è stata pure « supportata da adeguate motivazioni, anche con specifico riguardo alle puntuali repliche alle osservazioni dei singoli consulenti tecnici di parte », dovendo qui solo ricordarsi che quello sulla idoneità, o non, della confutazione di una c.t.u. è giudizio di fatto riservato al giudice di merito.
I motivi quinto, sesto e settimo di questo ricorso, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connessi, tutti investendo il tema dell’ an della responsabilità del Ferrari e la sussistenza del nesso di causalità tra le condotte addebitate a quest’ultimo ed il danno lamentato dalla banca, si rivelano complessivamente inammissibili.
6.1. Gli stessi, infatti, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge e (quanto al sesto motivo) vizio motivazionale (peraltro qui inconfigurabile, tenuto conto dei principi sanciti dalla già richiamata pronuncia resa da Cass., SU, n. 8053 del 2014, stante la concreta motivazione rinvenibile nella sentenza impugnata), mirano, in realtà, ad ottenere il riesame del merito sui corrispondenti capi della sentenza impugnata, la quale, peraltro, ha fatto applicazione dei principi già affermati dalla qui condivisa giurisprudenza di legittimità in materia di responsabilità degli amministratori (anche privi di deleghe) di società.
6.2. Ricordato, allora, che le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito ( cfr . Cass.
n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015), va osservato che, nella specie, la corte distrettuale, come si è già riferito scrutinando i precedenti motivi secondo e terzo, ha fornito ampia giustificazione, anche facendo rinvio alla decisione di primo grado, del proprio convincimento circa la sussistenza della responsabilità del Ferrari per le condotte ascrittegli e del nesso di causalità queste ultime ed il danno lamentato dalla banca.
6.3. Pertanto, non resta che prendere atto dei relativi accertamenti, evidentemente fattuali, svolti dal giudice a quo , rispetto ai quali le argomentazioni delle censure in esame (senza che i fatti indicati nei motivi quinto e settimo possano qui riqualificarsi ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 5, cod. proc. civ., stante la previsione di cui all’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., -abrogato dal d.lgs. n. 149 del 2022 ma qui applicabile ratione temporis , giusta l’art. 35 del menzionato d.lgs. e posto che il giudizio di appello venne instaurato dalla banca appellante principale il 30 aprile 2015, come emerge dalla pagina 9 del ricorso del Ferrari. Cfr . Cass. n. 11439 del 2018 -e la doppia conforme sull’ an della responsabilità), come si è già anticipato, si rivelano sostanzialmente volte ad ottenerne un riesame, così dimenticando che: i ) il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme assertivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione ( cfr . tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 27328, 16448 e 15033 del 2024; Cass. nn. 13408 e 9014 del 2023; Cass. n. 31071 del 2022. Si veda pure Cass., SU, n. 23745 del 2020, a tenore della quale, « in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che
denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa »); ii ) ove la sentenza di appello sia motivata ” per relationem ” alla pronuncia di primo grado, al fine ritenere assolto l’onere ex art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, nonché le critiche ad essa mosse con l’atto di gravame, che è necessario individuare per evidenziare che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realtà, eluso i suoi doveri motivazionali ( cfr . Cass., SU, n. 7074 del 2017); iii ) il giudizio di legittimità -come si è già detto concludendo l’esame dei precedenti motivi secondo e terzo -non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr ., la rassegna giurisprudenziale riportata alla fine del § 4.3.).
7. L’ottavo motivo di ricorso , che, come si ricorderà, lamenta un’asserita motivazione apparente sulle voci di danno liquidate per mancanza di considerazione dei rilievi del consulente di parte del Ferrari, si rivela infondato perché, come si è già anticipato esaminando il quarto motivo, dalla sentenza impugnata ( cfr . pag. 100) emerge chiaramente che la relazione del consulente tecnico di ufficio ha tenuto conto delle consulenze di parte, sicché, la corte distrettuale, recependo una consulenza che ha confutato i rilievi di parte, ha adeguatamente soddisfatto il proprio onere motivazionale. Va ribadito, inoltre, che l’idoneità , o meno, di una confutazione ad una c.t.u. costituisce giudizio fattuale riservato al giudice di merito.
Il nono motivo, concernente la liquidazione, asseritamente arbitraria, del danno all’immagine riconosciuto alla banca appellante principale, è infondato.
8.1. Invero, giova premettere che tale danno, inteso come ‘ danno conseguenza ‘ e chiaramente di natura non patrimoniale, non sussiste in re ipsa , dovendo essere allegato e provato da chi ne domanda il risarcimento, e la sua liquidazione deve essere compiuta dal giudice in base, non tanto a valutazioni astratte, bensì al concreto pregiudizio presumibilmente patito dalla vittima, per come da questa dedotto e provato ( cfr . Cass. n. 19551 del 2023; Cass. n. 8861 del 2021; Cass. n. 31537 del 2018; Cass. n. 7594 del 2018; Cass. n. 25420 del 2017).
8.2. La sussistenza di un danno non patrimoniale in concreto subìto, quindi, deve essere oggetto di allegazione e prova, anche attraverso presunzioni, ed il giudice, quindi, può avvalersi di presunzioni gravi, precise e concordanti sulla base, però, di elementi indiziari diversi dal fatto in sé.
8.3. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che, sul punto, la corte territoriale ha indicato i criteri (la natura dell’ attività bancaria; l’ importante rilievo mediatico delle sanzioni; l’ espressione giornalistica rimasta nell’immaginario collettivo quale indice di disprezzo e di dileggio, che ha obbligato la Banca Popolare di Lodi a cambiare la propria ragione sociale ancor prima della sua incorporazione in BPM) ed il parametro (1% del danno patrimoniale) utilizzati per giungere alla liquidazione del danno predetto. La stessa, dunque, ha dato conto, in modo sufficientemente congruo, del valore attribuito ad ognuno degli indici valorizzati, in modo da rendere evidente il percorso logico seguito. Resta solo da dire, pertanto, che l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa è insuscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 28331 del 2023; Cass. n. 24070 del 2017).
Il decimo motivo, infine, volto a contestare la determinazione, come concretamente effettuata dalla corte distrettuale, delle quote ideali di
responsabilità dei diversi soggetti che risultano avere già transatto analoghe liti intraprese dalla banca nei loro confronti, è inammissibile perché mira, in realtà, ad ottenere il riesame del merito sul corrispondente capo della sentenza impugnata.
9.1. Posto, dunque, che anche in parte qua , la corte territoriale ha fornito ampia giustificazione ( cfr . pag. 104-108 della sentenza impugnata) del proprio convincimento circa le percentuali di responsabilità da imputarsi ai diversi soggetti predetti, non resta che prendere atto dei relativi accertamenti, evidentemente fattuali, svolti dal giudice a quo , rispetto ai quali le argomentazioni della censura in esame, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale e come si è già anticipato, si rivelano sostanzialmente volte ad ottenerne un riesame, così nuovamente dimenticando che il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr ., la rassegna giurisprudenziale riportata alla fine del § 4.3.).
B) Il ricorso incidentale di NOME COGNOME.
NOME COGNOME ha dichiarato, innanzitutto, di fare propri tutti i motivi formulati dal Ferrari, sicché deve intendersi qui richiamato quanto già opinato relativamente a questi ultimi.
1.1. I motivi, poi, da lui specificamente formulati denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Nel ritenere provato che il prof. COGNOME potesse conoscere degli illeciti di cui è causa, la sentenza ha violato gli artt. 2729, 2730 e 2733 c.c. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), l’art. 1306 c.c. (in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.), e l’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.). In subordine, omesso esame di fatto decisivo e controverso (art. 360, comma, 1, n. 5, c.p.c.) ». Si contesta la sentenza impugnata per avere la stessa ritenuto la conoscibilità degli illeciti di cui è causa da parte dell’Araldi sulla base di presunzioni (tratte soprattutto dalla scelta di quest’ultimo di patteggiare), mentre nulla è stato
desunto, in contrario, sempre in via presuntiva, dai significativi fatti noti invocati dall’odierno ricorrente, del tutto immotivatamente trascurati dalla corte distrettuale;
II) « Nel ritenere provato il valore della transazione stipulata tra il Banco ed il dr. COGNOME la sentenza: (A) ha omesso ogni esame di un fatto decisivo, oggetto di controversia tra le parti (il fatto che il c.t.u. ha espressamente dichiarato ‘ non determinabile ‘ il valore di molti cespiti trasferiti con tale transazione: art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.); e (B) ha comunque violato l’art. 345 c.p.c. (nonché l’art. 2697 c.c. e gli artt. 116, c. 2, 118, 210 e 232 c.p.c.), perché ha formato il proprio convincimento sulla scorta di documenti tardivamente prodotti dal Banco (art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.) ». Si censura il valore, come ritenuto dalla corte milanese, delle transazioni stipulate dal Banco con i principali responsabili dei danni di cui è causa, altresì contestandosi alla stessa corte di essersi avvalsa, a tal fine, di documenti prodotti tardivamente dal Banco medesimo;
III) « Violazione, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dell’art. 2697 c.c., per avere, la Corte d’appello, nella sentenza impugnata, ritenuto che l’onere della prova del valore delle transazioni incombesse ai convenuti (nonché, occorrendo, violazione , ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., degli artt. 116, comma 2, 118, 210 e 232 c.p.c., per avere la Corte d’appello, in tale pur erronea prospettiva, posto a carico dei convenuti le conseguenze dell’inottemperanza dell’ordine di esibizione impartito al Ban co) ». Si ascrive alla corte territoriale di avere erroneamente fatto gravare sugli originari convenuti l’onere della prova del valore delle transazioni suddette, da porsi, invece, a carico della parte attrice. Conseguentemente, anche l’inosservanza dell’ordin e di esibizione ex art. 210 cod. proc. civ. emesso, su istanza dei primi nei confronti di quest’ultima avrebbe dovuto comportare conseguenze negative per la stessa;
IV) « Nullità della sentenza, ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., e comunque, in subordine, violazione dell’art. 112 c.p.c., ex art. 360, comma 1, n, 3, c.p.c., per non avere la Corte d’appello, nella sentenza impugnata, pronunciato sulle domande del prof. COGNOME di determinazione delle quote
ideali di responsabilità e di eventuale manleva ». Si contesta alla corte d’appello di non aver pronunciato sulle domande dell’Araldi volte: i ) ad accertare la quota ideale della sua responsabilità nei rapporti interni (sia nei confronti degli amministratori, assumendo pari a zero detta quota; sia nei confronti degli altri sindaci), al fine di essere manlevato dagli altri corresponsabili dei fatti di cui è causa; ii ) ad ottenere la condanna degli altri corresponsabili, amministratori e sindaci, a manlevarlo da quanto si sarebbe trovato a pagare in misura superiore alla sua quota ideale di responsabilità;
V) « Violazione, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., degli artt. 1298, comma 1, 1304 e 2407, comma 2, c.c. », per non avere la corte d’appello sancito che la quota ideale di responsabilità dell’RAGIONE_SOCIALE, in quanto sindaco unicamente responsabile per omessa vigilanza, avrebbe comunque dovuto essere pari, nei rapporti interni, allo 0%, e per non avere riconosciuto che le transazioni stipulate dal Banco con i responsabili diretti del danno precludevano, quindi, la condanna dell’odierno ricorrente al risarcimento d el danno residuo;
VI) « Nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., e comunque, in subordine, violazione degli artt. 112, 329 e 342 c.p.c., ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., ove si ritenga che la corte d’appello, nella decisione impugnata abbia affermato la responsabilità dell’COGNOME per titoli diversi da quelli dedotti dall’attrice ed accertati nella sentenza di primo grado ». Muovendo dall’assunto che la responsabilità dell’COGNOME è stata accertata « solo ed esclusivamente per omessa vigilanza ex art. 2407, comma 2, cod. civ., sopra fatti ed omissioni degli amministratori », e non anche, in via diretta, per illeciti suoi propri, si sostiene che, ove questa premessa « fosse negata o contestata dalla banca ed ex adverso si provasse a sostenere che, in verità, la sentenza impugnata non si è limitata ad affermare la responsabilità del prof. COGNOME per omessa vigilanza, ma abbia anche accertato che egli concorse direttamente negli illeciti del COGNOME e del consiglio di amministrazione », dovrebbe allora concludersi nel senso che « la sentenza impugnata sarebbe nulla sul punto, e dovrebbe essere cassata, perché avrebbe violato il principio della domanda (e quello della necessaria
corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato), nonché il divieto di reformatio in peius».
Il primo di tali motivi si rivela inammissibile.
2.1. Invero, giova premettere, innanzitutto, che, come ricordato da Cass. n. 4784 del 2023 ( cfr . pag. 21 della motivazione), « in tema di prova per presunzioni, spetta al giudice di merito non solo la valutazione dell’opportunità di fare ricorso alla stessa, ma anche l’individuazione dei fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e l’accertamento della rispondenza degli stessi ai prescritti requisiti di gravità, precisione e concordanza: il relativo apprezzamento costituisce un giudizio di fatto, censurabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione, la cui denuncia non può risolversi, peraltro, nella mera prospettazione di un convincimento diverso da quello espresso nel provvedimento impugnato, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo ».
2.2. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che la corte distrettuale, nel valutare la responsabilità dell’COGNOME, affermata, essenzialmente, ex art. 2407, comma 2, cod. civ. (come del resto già aveva opinato il tribunale, sebbene respingendo poi la domanda risarcitoria della banca per carenza di prova del quantum ), non si è basata, semplicemente, su presunzioni, come preteso dal menzionato ricorrente, ma ha fatto riferimento al dato, evidentemente fattuale, che quest ‘ultimo non aveva assolto all’onere probatorio, su di lui gravante, di avere svolto la minima attività di vigilanza cui lo stesso sarebbe stato tenuto per legge: circostanza, questa, di per sé sufficiente a dimostrarne la colpa, indipendentemente dalla conoscibilità, o meno, degli illeciti perpetrati dall’organo amministrativo .
2.3. I sindaci, in effetti, non esauriscono l’adempimento dei proprio compiti con il mero e burocratico espletamento delle attività specificamente indicate dalla legge avendo, piuttosto, l’obbligo di adottare (ed, anzi, di ricercare lo strumento di volta in volta più consono ed opportuno di reazione,
vale a dire) ogni altro atto (del quale il sindaco deve fornire la dimostrazione) che, in relazione alle circostanze del caso (ed, in particolare, degli atti o delle omissioni degli amministratori che, in ipotesi, non siano stati rispettosi della legge, dello statuto o dei principi di corretta amministrazione) fosse utile e necessario ai fini di un’effettiva ed efficace (e non meramente formale) vigilanza sull’amministrazione della società e le relative operazioni gestorie ( cfr ., al riguardo, Cass. n. 18770 del 2019, in motivazione, per cui « l’onere di allegazione e di prova nelle azioni di responsabilità avverso l’organo sindacale si atteggia nel senso che spetta all’attore allegare l’inerzia del sindaco e provare il fatto illecito gestorio, accanto all’esistenza di segnali d’allarme che avrebbero dovuto porre i sindaci sull’avviso; assolto tale onere, l’inerzia del sindaco integra di per sé la responsabilità, rest ando a carico del medesimo l’onere di provare di non aver avuto nessuna possibilità di attivarsi utilmente, ponendo in essere tutta la gamma di atti, sollecitazioni, richieste, richiami, indagini, sino alle denunce alle autorità civile e penale ». Affermazione del tutto analoga si rinviene anche nella motivazione della più recente Cass. n. 2350 del 2024).
2.4. Il dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2403 c od. civ., in effetti, è configurato dalla legge con particolare ampiezza poiché non è circoscritto all’operato degli amministratori ma si estende al regolare svolgimento dell’intera gestione sociale in funzione della tutela non solo dell’interesse dei soci ma anche di quello conc orrente dei creditori sociali ( cfr . Cass. n. 2772 del 1999; Cass. n. 5287 del 1998. In tema di sanzioni amministrative, cfr . Cass. n. 1601 del 2021. In senso analogo vedasi anche, in motivazione, la più recente Cass. n. 2350 del 2024 ): né, d’altra parte, riguarda solo il mero e formale controllo sulla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, essendo conferito ai componenti del relativo collegio il potere dovere di chiedere notizie sull’andamento generale e su specifiche operazioni quando queste possono suscitare perplessità, per le modalità delle loro scelte o della loro esecuzione. Il compito essenziale dei sindaci, invero, è di verificare il rispetto dei principi di corretta amministrazione, che la riforma del diritto societario ha esplicitato e che già
in precedenza potevano ricondursi all’obbligo di vigilare sul rispetto della legge e dell’atto costitutivo, secondo la diligenza professionale prevista dall’art. 1176, comma 2, c od. civ., e cioè di controllare in ogni tempo che gli amministratori, alla stregua delle circostanze del caso concreto, compiano la scelta gestoria nel rispetto di tutte le regole che disciplinano il corretto procedimento decisionale.
2.5. Se è pur vero, pertanto, che il sindaco non risponde automaticamente, in termini d’inadempimento ai propri doveri giuridici, per ogni fatto gestorio aziendale non conforme alla legge o allo statuto ovvero ai principi di corretta amministrazione, è, tuttavia, necessario, a fini del corretto adempimento dei propri obblighi, che abbia esercitato (o, quanto meno, tentato, con la dovuta diligenza professionale, di esercitare) l’intera gamma dei poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge.
2.6. Come questa Corte ha di recente ribadito, infatti, solo un più penetrante controllo, attuato mediante attività informative e valutative, a partire dalla richiesta di informazioni o di ispezione ai sensi dell’art. 2403 -bis cod. civ ., può dare concreto contenuto all’obbligo di tutela degli essenziali interessi affidati al collegio sindacale, cui non è consentito di rimanere acriticamente legato e dipendente dalle scelte dell’amministratore, quando queste collidano con i doveri imposti dalla legge, avendo, piuttosto, il dovere di individuarle e di segnalarle ad amministratori e soci, non potendo assistere nell’inerzia alle altrui condotte dannose: n eppure potendosi limitare alla richiesta di chiarimenti all’organo gestorio ma dovendosi spingere a pretendere dal medesimo le cd. azioni correttive necessarie ( cfr ., in motivazione, la già citata Cass. n. 2350 del 2024).
2.7 . La configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza imposto ai sindaci dall’art. 2407, comma, c od. civ. non richiede, del resto, l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, essendo, piuttosto, sufficiente che gli stessi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o, comunque, non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona f ede,
eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunciando i fatti al Pubblico Ministero per consentirgli di provvedere, ove possibile, ai sensi dell’art. 2409 c.c. ( cfr . Cass. n. 2350 del 2024; Cass. n. 32397 del 2019; Cass. n. 16314 del 2017; Cass. n. 13517 del 2014), e senza trascurare, altresì, che la condotta impediente omessa va valutata nel contesto complessivo delle concrete circostanze in quanto l’inerzia del singolo nell’unirsi all’identico atteggiamento omi ssivo degli altri acquista efficacia causale atteso che, all’opposto, una condotta attiva giova a ‘ rompere il silenzio ‘ sollecitando, con il richiamo agli obblighi imposti dalla legge e ai principi di corretta amministrazione, un analogo atteggiamento degli altri ( cfr ., in motivazione, Cass. n. 18770 del 2019).
2 .8. A fronte di iniziative anomale da parte dell’organo amministrativo, quindi, i sindaci hanno l’obbligo di porre in essere, con debita tempestività, tutti gli atti necessari all’assolvimento dell’incarico con la dovuta diligenza, correttezza e buona fede, attivando ogni loro potere (se non di intervento sulla gestione, che non compete se non in casi eccezionali) di sollecitazione e denuncia, diretta, interna ed esterna, doveroso per un organo di controllo ( cfr., ancora, l’appena citata Cass. n. 18770 del 2019).
2.9. Né, come si è già accennato, e come si legge nella motivazione di Cass. n. 2350 del 2024, « può rilevare il fatto che il collegio sindacale abbia in tutto o in parte ignorato le operazioni gestorie compiute dagli amministratori; la colpa, infatti, può consistere tanto in un difetto di conoscenza, quanto in un difetto di attivazione: i) sotto il primo profilo, il sindaco è in colpa per non aver colposamente rilevato l’altrui illecita gestione: dove, però, non è affatto decisivo che nulla traspaia da formali relazioni degli amministratori, perché l’obbligo di vigilanza impone, ancor prima, la ricerca di adeguate informazioni; ii) sotto il secondo profilo, il sindaco è tenuto a conoscere i doveri specifici posti dalla legge e ad attivarsi perché l’organo amministrativo compia al meglio il proprio dovere gestorio, vigilando per impedire il verificarsi ed il protrarsi della situazione illecita: l’inerzia, a fronte dell’illecito altrui, dunque, è in sé colpevole: e il disinteresse è già indice di colpa (Cass. n. 18770 del 2019, in motiv.; Cass.
n. 24170 del 2022, la quale, in materia di sanzioni amministrative, ha osservato come il comportamento inerte dei sindaci integra la mancata adeguata vigilanza da parte degli stessi sulla condotta degli amministratori tutte le volte in cui fosse esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, di modo che l’attivazione dei poteri sindacali, conformemente ai doveri della carica, avrebbe potuto permettere di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse). E neppure è sufficiente per escludere l’inadempimento dei sindaci il fatto di essere stati tenuti all’oscuro o di avere assunto la carica dopo l’effettiva realizzazione di alcuni dei fatti dannosi ove gli stessi abbiano mantenuto un comportamento inerte, non vigilando adeguatamente sulla condotta degli amministratori, sebbene fosse da essi esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio, di modo che l’attivazione dei poteri sindacali, conformemente ai doveri della carica, avrebbe potuto permettere di scoprire le condotte illecite e reagire ad esse, prevenendo danni ulteriori ».
2.10. La sentenza impugnata, pertanto, lì dove ha ritenuto sussistente la responsabilità dell’Araldi ex art. 2407, comma 2, cod. civ. sul presupposto che quest’ultimo non aveva effettivamente vigilato sulle operazioni dedotte e documentate dalla banca appellante principale e così reagito al compimento delle stesse, si rivela assolutamente coerente con i principi fin qui esposti , laddove l’odierna censur a del menzionato ricorrente, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge o, in subordine, di vizio motivazionale, si rivela sostanzialmente volta ad ottenere un riesame di tale conclusione della corte distrettuale, anche quanto all’asserita portata ammissiva di talune dichiarazioni della banca, così dimenticando che il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr ., la rassegna giurisprudenziale riportata alla fine del § 4.3. della trattazione del ricorso del Ferrari). Né i fatti in essa indicati sono riqualificabili ai sensi dell’art. 360 , comma 1, n. 5, cod. proc. civ., pure
richiamato in via subordinata, stante la doppia conforme sull’ an della responsabilità dell’ COGNOME (circa l’applicabilità ratione temporis , nella specie, dell’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., vedasi quanto già chiarito al principio del § 6.3. della trattazione del ricorso del Ferrari).
2.11. Infine, quanto alla pretesa opponibilità alla banca, da parte del medesimo COGNOME, di un giudicato favorevole ad un coobligato solidale ( cfr . pag. 24 del ricorso, laddove si fa riferimento ad una pronuncia del Tribunale di Lodi del 2012 nei confronti del dott. COGNOME, la censura è parimenti inammissibile perché non rispetta l’art. 366 , comma 1, n. 6, cod. proc. civ. sia quanto al contenuto del giudicato suddetto, sia se, trattandosi di pronuncia del 2012, antecedente, dunque, alla sentenza di primo grado di questo giudizio (risalente al 2015), sia stato formulato un motivo di appello incidentale avente ad oggetto la violazione del detto giudicato.
Il secondo motivo di ricorso, nella misura in cui contesta l ‘ utilizzo di documenti prodotti tardivamente dalla banca appellante principale al fine di giungere alla determinazione del valore delle quote delle transazioni già concluse da altri soggetti nei cui confronti la medesima banca aveva esperito azione di responsabilità analoga a quella odierna, deve considerarsi fondato per le stesse ragioni che hanno condotto all’accoglimento del primo motivo del ricorso del Ferrari. Intuibili ragioni di sintesi, dunque, consentono il rinvio, in questa sede, a quanto si è già riferito con riferimento ad esso (cfr. §§ da 2.1. a 2.6. della trattazione di quel ricorso), potendosi considerare assorbita, invece, la residua parte della censura
Il terzo motivo di ricorso -concernente chi fosse realmente onerato della prova del ‘valore’ dell e transazioni (e non già della loro semplice esistenza) già concluse dalla banca con altri condebitori solidali -si rivela infondato.
4.1. Trattasi, invero, di circostanza certamente da considerarsi un fatto comunque parzialmente estintivo (giusta i principi sanciti da Cass., SU, n. 30174 del 2011), del credito risarcitorio azionato dalla banca, sicché onerati della relativa dimostrazione non potevano che essere gli originari convenuti in questo giudizio, non potendo certamente trovare seguito la possibilità,
prospettata dell’Araldi, di scindere -sotto il profilo del riparto degli oneri probatori -esistenza e valore della transazione (la prima da dimostrarsi dai convenuti, perché, in ipotesi fatto estintivo, sebbene qui solo parzialmente, del preteso credito risarcitorio di controparte; la seconda, invece, dalla banca attrice/appellante principale, quale fatto costitutivo del proprio residuo credito risarcitorio).
4.2. Giova ricordare, in proposito, che la qui condivisa giurisprudenza di legittimità ha già puntualizzato, ripetutamente, che: i ) « L’onere di provare la transazione incombe sulla parte che ne invoca gli effetti estintivi sul debito oggetto del giudizio; né rileva, in caso di obbligazione solidale, che detta parte non abbia partecipato all’accordo transattivo e non sia in grado di fornire la prova della transazione; infatti, la necessità della forma scritta ad probationem esclude la possibilità di fornirne la prova per testimoni e presunzioni, ma non di avvalersi degli altri mezzi di prova ovvero di richiedere al giudice l’ordine di esibizione di cui all’articolo 210 cod. proc. civ. » ( cfr . Cass. n. 5344 del 2020; Cas. n. 11262 del 2018); ii ) l ‘art. 1304, comma 1, cod. civ., che disciplina gli effetti della transazione del debito solidale ad opera di uno solo dei condebitori, si riferisce soltanto alla transazione stipulata per l’intero debito solidale, mentre quando la stessa è limitata alla sola quota interna del debitore che la stipula, essa rimane al di fuori della previsione normativa e, riducendo l’intero debito dell’importo corrispondente alla quota transatta, se la somma pagata è pari o superiore ad essa, altrimenti riducendola della sola quota ideale gravante sul debitore transigente. Cfr . Cass., SU, n. 30174 del 2011), produce automaticamente lo scioglimento del vincolo solidale tra lo stipulante e gli altri consorti ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 2426 del 2024; Cass. n. 7094 del 2022; Cass. n. 25980 del 2021).
4.3. Coerentemente con quanto fin qui esposto, allora, deve opinarsi che, nella specie, essendo rimasto sostanzialmente incontroverso che, con le transazioni già stipulate con gli altri (con)debitori solidali, la banca appellante incidentale aveva inteso transigere solo le quote interne di questi ultimi, da un lato, dette transazioni non avrebbero potuto produrre effetti
estintivi in merito alla residua quota di credito risarcitorio della medesima banca; dall’altro, dovevano essere gli originari convenuti, quali condebitori rimasti estranei a quelle transazioni, a dimostrarne il valore, -avvalendosi di mezzi di prova diversi dalle testimonianze e dalle presunzioni, o richiedere al giudice l’ordine di esibizione di cui all’articolo 210 cod. proc. civ. -essendosi al cospetto, innegabilmente, di fatto parzialmente estintivo del credito risarcitorio azionato dalla controparte nei loro confronti.
Il quarto motivo di ricorso, che contesta alla corte distrettuale di non essersi pronunciata sull’azione di regresso proposta dall’COGNOME nei confronti degli altri condebitori fin dal primo grado, è fondato.
5.1. La sentenza impugnata, infatti, nulla dice, malgrado la chiara riproposizione della relativa domanda (vedi le sue pagine 72-75, dove sono riportate le conclusioni già rassegnate in primo grado dall’odierno ricorrente), circa la ripartizione interna del residuo 20% di responsabilità attribuito dalla corte suddetta, complessivamente, a tutti i convenuti originari.
5.2. Né persuade, sul punto, l’assunto del la controricorrente, secondo cui l’A raldi avrebbe dovuto proporre appello incidentale su questo specifico profilo e non limitarsi alla mera riproposizione di quella domanda. Invero, quest’ultima non era stata minimamente esaminata dal tribunale (che aveva rigettato la domanda contro COGNOME, pur accertandone la responsabilità verso la banca, per assenza di prova della quantificazione del danno, così evidentemente ritenendo assorbita la richiesta di manleva), quindi, su detto punto, non era configurabile alcuna soccombenza dell’odierno ricorrente.
Il quinto motivo di ricorso -con cui, come si ricorderà, si assume che essendo stato ritenuto responsabile solo per omessa vigilanza, la quota di responsabilità dell’COGNOME, nel rapporto interno, si sarebbe dovuta considerare pari a zero, trattandosi di obbligazione solidale ad interesse unisoggettivo, sicché sarebbe stata preclusa anche la condanna dello stesso al risarcimento del danno residuo -può considerarsi assorbito, per effetto dell’accoglimento di quello precedente, quanto alla quota del rapporto interno.
6.1. É infondato, invece, per la sua parte residua, essendo stata affermata la responsabilità solidale dei sindaci ex art. 2407, comma 2, cod. civ., valutandosi il contributo eziologico dell’omissione ad essi contestata rispetto all’agire contra legem degli amministratori.
Il sesto motivo di ricorso, infine, per come concretamente argomentato, si rivela inammissibile, atteso che la responsabilità dell’ Araldi è stata chiaramente fondata, sia dal tribunale che, successivamente, dalla corte di appello, esclusivamente sul presupposto di una sua omessa vigilanza, sicché alle affermazioni, rinvenibili nella sentenza impugnata, oggi poste dal ricorrente ad eventuale supporto di questa doglianza (formulata, peraltro, in via meramente ipotetica) deve ragionevolmente attribuirsi un mero intento rafforzativo di detta declaratoria di responsabilità per omessa vigilanza.
Il ricorso incidentale di NOME COGNOME.
I formulati motivi del suddetto ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione dell’art. 345, comma 3, cod. proc. civ. e dell’art. 115, comma 1, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. », per aver la corte d’appello fondato la propria decisione su produzioni documentali della banca palesemente inammissibili. In particolare, la stessa ha erroneamente ritenuto ammissibili documenti che l’odierna controricorrente aveva prodotto solo in sede di gravame, senza considerare che, nel giudizio di primo grado, quest’ultima non solo avrebbe potuto produrre tali documenti perché erano già nella sua disponibilità prima che maturassero le preclusioni istruttorie, ma addirittura avrebbe dovuto produrli, in ossequio ad un preciso ordine di esibizione ex art. 210 cod. proc. civ. rivoltole dal Tribunale di Lodi. Invero, proprio l’omessa produzione dei menzionati documenti era stata una delle cause del rigetto delle domande avanzate dalla banca nel giudizio di primo grado;
II) « Violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 116, comma 2, 118, 210 e 232 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, c.p.c. », Si ascrive alla corte territoriale di avere erroneamente fatto gravare sugli
originari convenuti l’onere della prova del valore delle transazioni suddette, da porsi, invece, a carico della parte attrice. Conseguentemente, anche l’inosservanza dell’ordine di esibizione ex art. 210 cod. proc. civ. emesso, su istanza dei primi nei confronti di quest’ultima avrebbe dovuto comportare conseguenze negative per la stessa;
III) « Violazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 329 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. », per avere la corte distrettuale erroneamente ritenuto coperto da giudicato interno l’accertamento sia della responsabilità, in capo al Quartieri nella causazione del danno preteso dalla banca, sia del nesso di causalità tra le condotte contestategli ed il danno predetto;
IV) « Nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4, e violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. ». Si assume che la sentenza impugnata, pur avendo espressamente riconosciuto che il Quartieri aveva riproposto le eccezioni di carenza di legittimazione passiva e di transazione, aveva omesso, tuttavia, ogni pronuncia sul punto, limitandosi ad un contraddittorio riferimento al giudicato che sarebbe intervenuto ad opera della decisione di primo grado;
V) « Omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nonché violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. ». Si deduce che « Gli atti del giudizio di secondo grado contengono tutti i riferimenti documentali idonei a comprovare l’insussistenza, in capo a Quartieri, della legittimazione passiva rispetto alle domande contro lo stesso formulate nella sua qualità di Sindaco, nonché la prova della impossibilità di riferire al suo operato ed anche alla sua stessa qualifica di Sindaco i danni chiesti dalla Banca, e/o i danni che, secondo la c.t.u., sarebbero stati patiti dalla stessa e, quindi, i danni oggetto della pronuncia che ci occupa che ha recepito integralmente le erronee conclusioni della c.t.u. ». Si aggiunge che « la Corte di appello ha omesso la pronuncia sulle eccezioni dell’odierno ricorrente, ma ancor più ha omesso l’esame della sua stessa posizione rispetto agli accertamenti, peraltro erronei, del c.t.u., le cui conclusioni la sentenza ha fatto proprie. Il Giudice di secondo grado,
in particolare, ha omesso di esaminare un fatto decisivo per il giudizio, vale a dire la documentata estraneità di Quartieri rispetto ai fatti dedotti in giudizio ed ancor più la totale estraneità dello stesso rispetto ai presunti e non provati danni che ne sarebbero conseguiti. In altri termini, la Corte milanese ha omesso di valutare il semplicissimo e documentato fatto che il Quartieri, all’epoca dei fatti per cui è processo, non era Sindaco della Banca »;
VI) « Violazione degli artt. 2392, 2697, 1223 c.c. e 115, comma 1, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. », per avere la corte distrettuale ritenuto accertata la prova dei danni liquidati e del nesso eziologico tra l’operato del Quartieri e le voci di danno dedotte dalla Banca, indicate dal c.t.u. ed oggetto della pronuncia in esame;
VII) « Violazione degli artt. 157, commi 1 e 2, 194 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. Violazione degli artt. 111, comma 6, Cost., 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. », per avere la corte territoriale ritenuto inammissibili le eccezioni di nullità della c.t.u. proposte dal Quartieri;
VIII) « Violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118, comma 1, disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. », per avere la corte milanese fornito una motivazione apparente con riferimento alle voci di danno liquidate. In particolare, la stessa si è limitata a riprodurre acriticamente gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio, senza prendere in esame i precis i e argomentati rilievi mossi rispetto alla relazione tecnica dai consulenti delle parti e, soprattutto dall’odierno ricorrente. Tali rilievi, non adeguatamente smentiti dal consulente d’ufficio, erano stati esposti dal COGNOME nella memoria di replica alla c.t.u. del proprio consulente di parte e, successivamente ribaditi nella propria comparsa conclusionale;
IX) « Violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118, comma 1, disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. », per avere la corte d’appello accertato, con
motivazione contraddittoria -ai fini della determinazione del danno risarcibile dai convenuti -le quote ideali di responsabilità dei soggetti transigenti, ossia dei dott.ri NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente nella misura del 50%, del 17% e del 13%;
X) « Violazione degli artt. 1298, comma 1, 1304 e 2407, comma 2, c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ». Si contesta alla corte territoriale di avere: i ) « riconosciuto una responsabilità del Quartieri in misura pari al 20% del totale dell’intero danno, in solido con gli altri convenuti, tre dei quali (il Benevento, il COGNOME ed il COGNOME) erano amministratori della banca attrice , senza rilevare che la sua quota di responsabilità nei rapporti interni avrebbe dovuto risultare allo 0% ; la sentenza ha sbagliato, cioè, due volte: per non aver determinato tout court la quota di responsabilità del prof. COGNOME nei rapporti interni; e per non averla determinata nell’unica misura possibile , i.e . dello 0% »; ii ) « condannato Quartieri al pagamento di tale cifra, senza rilevare che, avendo i responsabili primari del danno transatto, tale transazione doveva precludere ogni condanna nei confronti del Quartieri, essendo questi responsabili ex art. 2407, comma 2, c.c., per non avere impedito proprio e solo gli illeciti commessi dai soggetti transigenti »;
XI) « Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. Nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 345 c.p.c. ». Si deduce che « la Corte d’appello, là dove ha acriticamente ritenuto provato il valore delle transazioni, senza porsi alcun problema in ordine alla presenza di cespiti di valore non determinabile dal c.t.u., né in ordine alle plurime eccezioni di inammissibilità dei documenti utilizzati dal medesimo c.t.u., ha omesso l’esame circa un fatto decisivo per il giudizio e controverso tra le parti . La Corte d’appello, infatti, ha del tutto trascurato di prendere in considerazione il fatto che, di almeno cinque cespiti che sarebbero stati oggetto della transazione tra Fiorani e la Banca, non è stato dimostrato in alcun modo, e neppure presuntivamente e per stima, il valore: con l’ovvia conseguenza che, dunque, non essendosi dimostrato il valore di tutte le sue componenti, non è stato neppure provato
il valore complessivo della transazione e che si tratti di fatto decisivo ai fini del presente giudizio non è lecito dubitare, stante il principio di Cass., sez. un., n. 30174/2011. Avendo utilizzato documenti prodotti solo in appello, la sentenza o il pro cedimento sono comunque nulli per violazione dell’art. 3545 cod. proc. civ., nonché per violazione dell’art. 2697 c.c. ».
Il primo di tali motivi pone questioni affatto analoghe a quelle rinvenibili nel primo motivo del ricorso del Ferrari e nel secondo motivo di quello dell’ Araldi. Esso, dunque, deve ritenersi fondato per le medesime ragioni esposte in quelle sedi, da intendersi qui interamente richiamate per intuibili ragioni di sintesi.
Il secondo motivo pone questioni affatto analoghe a quelle rinvenibili nel terzo motivo del ricorso dell’ Araldi. Esso, pertanto, deve considerarsi infondato per le medesime considerazioni complessivamente esposte in quella sede, da intendersi qui interamente richiamate per intuibili ragioni di sintesi.
Il terzo motivo, secondo cui erroneamente la corte distrettuale avrebbe ritenuto formatosi il giudicato sul nesso eziologico fra la condotta di NOME COGNOME ed il danno lamentato dalla banca, si rivela inammissibile alla stregua delle corrette affermazioni rinvenibili, sul punto, nella sentenza impugnata e che l’odierno ricorrente, evidentemente, mostra di non avere colto appieno.
4.1. Da un lato, infatti, non risulta che NOME COGNOME, quale erede dell’ originario convenuto NOME COGNOME, medio tempore deceduto, avesse proposto alcun appello incidentale avverso la pronuncia del tribunale che aveva accertato la responsabilità di quest’ultimo verso la banca; dall’altro, la corte predetta ha specificamente escluso che lo stesso NOME COGNOME potesse rispondere di alcuni danni.
4.2. Da tanto consegue, ragionevolmente, che quella corte ha soltanto interpretato l’estensione del giudicato in ordine alla responsabilità del menzionato convenuto, ma certamente non lo ha inteso sussistente sotto il profilo del nesso eziologico con il danno conseguenza.
Il quarto motivo , concernente un’asserita omessa pronuncia sull’eccezione di intervenuta transazione come riproposta da NOME COGNOME in sede di gravame, è infondato.
5.1. La corte d’appello, infatti, ha pronunciato espressamente su tale eccezione ( cfr . pag. 93 della sentenza impugnata), rigettandola sul presupposto che la transazione invocata dall’ivi appellante incidentale era relativa ad una prestazione professionale svolta da NOME COGNOME in favore della banca e non alla sua responsabilità quale sindaco della stessa.
5.2. Tanto esime, dunque, il Collegio dal rimarcare l’evidente difetto di autosufficienza della doglianza in esame nella misura in cui nemmeno riporta, almeno per le sue parti essenziali, il testo della menzionata transazione.
Il quinto motivo, che ascrive alla corte distrettuale di non aver esaminato il fatto storico che NOME COGNOME all’epoca dei fatti, non era sindaco, per cui al suo comportamento non erano riferibili danni, si rivela inammissibile.
6.1. Invero, per effetto di quanto si è detto in relazione ai precedenti motivi terzo e quarto, sull’ an della responsabilità del Quartieri, comprensivo del nesso di causalità materiale con l’evento di danno si era formato il giudicato interno per mancanza di specifica impugnazione, da parte di quest’ultimo, sul corrispondente capo della sentenza di primo gr ado (la quale aveva escluso, invece, il nesso di causalità giuridica, la prova, cioè, del danno conseguenza).
Il sesto motivo, volto a contestare la ritenuta sussistenza, da parte della corte milanese, del nesso eziologico tra l’operato di NOME COGNOME e le voci di danno lamentate dalla banca, si rivela complessivamente inammissibile.
7.1. In particolare, quanto al nesso di causalità tra la condotta del Quartieri ed il danno lamentato dalla banca, va ribadito che (per effetto di quanto si è detto nei precedenti motivi terzo e quarto), sull’ an della responsabilità del primo si era formato il giudicato interno per mancanza di
specifica impugnazione, da parte di quest’ultimo, sul corrispondete capo della sentenza del tribunale.
7.2. Circa, invece, la prova dei danni come liquidati nella sentenza impugnata, la censura, per come concretamente argomentata, si risolve, sostanzialmente in una richiesta di rivisitazione del merito.
7.3. Ricordato, allora, che le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito ( cfr . Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015), va osservato che, nella specie, la corte distrettuale ha fornito ampia giustificazione ( cfr . pag. 97-104 della sentenza impugnata) del proprio convincimento circa la sussistenza delle specifiche voci di danno riconosciute alla banca, sicché non resta che prendere atto dei relativi accertamenti, evidentemente fattuali, svolti dal giudice a quo , rispetto ai quali le argomentazioni delle censure in esame, come si è già anticipato, si rivelano sostanzialmente volte ad ottenerne un riesame, così dimenticando che: i ) il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme assertivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione ( cfr . la rassegna giurisprudenziale riportata nel § 6.3, sub i) , della trattazione del ricorso del Ferrari); ii ) il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie
aspettative ( cfr ., la rassegna giurisprudenziale riportata alla fine del § 4.3. della trattazione del medesimo ricorso).
Il settimo motivo, volto a contestare la ritenuta inammissibilità dell’eccezione di nullità della c.t.u. come sollevata dal Quartieri, nuovamente lamentando, inoltre, l’avvenuta utilizzazione, ad opera del consulente, di documenti tardivamente prodotti, è infondato.
8.1. Invero, la corte territoriale ha affermato ( cfr . pag. 100 della sentenza impugnata) che l’eccezione di nullità suddetta, « benché (tempestivamente) sollevata in sede di udienza di precisazione delle conclusioni, risulta formulata in modo del tutto apodittico, senza alcuna enunciazione dei motivi della pretesa nullità ». Il ricorrente, invece, non critica la decisione per questa parte, ma afferma, sostanzialmente, che la consulenza non aveva tenuto conto dei rilievi ad essa ribaditi nella propria (seconda) comparsa conclusionale: assunto, tuttavia, cui non può darsi seguito, atteso che, come si è già riferito esaminando il quarto motivo del ricorso del Ferrari (cfr. il relativo § 7), dalla sentenza impugnata ( cfr . pag. 100) emerge chiaramente che la relazione del consulente tecnico di ufficio ha tenuto conto delle consulenze di parte, sicché, la corte d’appello , recependo una consulenza che ha confutato i rilievi di parte, ha adeguatamente soddisfatto il proprio onere motivazionale. Va ribadito, inoltre, che l’idoneità , o meno, di una confutazione ad una c.t.u. costituisce giudizio fattuale riservato al giudice di merito.
8.2. La doglianza, poi, laddove censura la ritenuta ammissibilità dei documenti prodotti dalla banca in appello per la prima volta, deve considerarsi assorbita per effetto del già avvenuto accoglimento del primo motivo.
L’ottavo motivo, che prospetta un’asserita assenza di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui avrebbe recepito la c.t.u. senza confutazione delle consulenze di parte, è infondato alla stregua di quanto si è appena detto, sul punto, rigettandosi il precedente motivo.
Il nono motivo, volto a contestare la determinazione delle quote ideali dei soggetti transigenti come effettuata dalla corte distrettuale con motivazione asseritamente contraddittoria, si rivela inammissibile.
10.1. Invero (come già detto con riguardo al decimo motivo del ricorso del Ferrari recante analogo contenuto), la corte distrettuale ha esaustivamente motivato ( cfr . pag. 104-108 della sentenza impugnata) il proprio convincimento circa le percentuali di responsabilità da imputarsi ai diversi soggetti predetti. Pertanto, non resta che prendere atto dei relativi accertamenti, evidentemente fattuali, svolti dal giudice a quo , rispetto ai quali le argomentazioni della censura in esame, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale, si rivelano sostanzialmente volte ad ottenerne un riesame, così nuovamente dimenticando che il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr ., la rassegna giurisprudenziale riportata alla fine del § 4.3. della trattazione del ricorso del Ferrari).
10.2. Esigenze di completezza, inoltre, impongono di ricordare che, in ogni caso, la ‘ contraddittorietà ” della motivazione (nella specie, peraltro, assolutamente inconfigurabile), ove non insanabile, nemmeno è più censurabile in sede di legittimità ( cfr . Cass., SU, n. 32000 del 2022).
Il decimo motivo, di contenuto chiaramente analogo al quinto motivo di ricorso dell’COGNOME, è in parte inammissibile ed in parte infondato.
11.1. È inammissibile, nella misura in cui invoca una pretesa quota percentuale di responsabilità di NOME COGNOME nei rapporti interni, pari a zero, stante il mancato esercizio, da parte sua (diversamente da quanto accaduto per l’Araldi), dell’ azione di regresso.
11.2. La doglianza, per il resto, è infondata, atteso che, come si è già detto per l’COGNOME, la responsabilità solidale dei sindaci ex art. 2407, comma 2, cod. civ., è stata affermata valutandosi il contributo eziologico
dell’omissione ad essi contestata rispetto all’agire contra legem degli amministratori.
L’undicesimo motivo, infine, volto a denunciare la carenza di prova del valore delle transazioni, già concluse dalla banca con altri condebitori solidali, anche alla luce della tardività della produzione documentale, può considerarsi assorbito per effetto dell’ avvenuto accoglimento del primo motivo.
D) CONCLUSIONI E SPESE.
In conclusione, dunque:
i ) il ricorso principale di NOME COGNOME deve essere accolto limitatamente al suo primo motivo, dichiarandosene inammissibili il secondo, il terzo, il quinto, il sesto, il settimo ed il decimo, ed infondati il quarto (per la parte non assorbita dall’accoglimento del primo ) , l’ottavo ed il nono ;
ii) il ricorso incidentale di NOME COGNOME deve essere accolto limitatamente ai suoi motivi secondo e quarto, dichiarandosene inammissibili il primo ed il sesto, infondato il terzo e, parzialmente, il quinto, ed assorbito quest’ultimo per la sua parte residua ;
iii ) il ricorso incidentale di NOME COGNOME quale erede di NOME COGNOME, deve essere accolto limitatamente al suo primo motivo, dichiarandosene inammissibili il terzo, il quinto, il sesto, il nono e parzialmente il decimo, ed infondati il secondo, il quarto, il settimo (per la parte non assorbita dall’accoglimento del primo), l’ottavo, il nono e parzialmente il decimo, ed assorbito l’undicesimo .
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti di ciascuno dei suddetti ricorsi e la causa va rinviata alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso principale di NOME COGNOME limitatamente al suo primo motivo, dichiarandone inammissibili il secondo, il terzo, il quinto, il sesto, il settimo ed il decimo, ed infondati il quarto (per la parte non assorbita dall’accoglimento del primo), l’ottavo ed il nono.
Accoglie il ricorso incidentale di NOME COGNOME limitatamente ai suoi motivi secondo e quarto, dichiarandone inammissibili il primo ed il sesto, infondato il terzo e, parzialmente, il quinto, ed assorbito quest’ultimo per la sua parte residua.
Accoglie il ricorso incidentale di NOME COGNOME quale erede di NOME COGNOME limitatamente al suo primo motivo, dichiarandone inammissibili il terzo, il quinto, il sesto, il nono e parzialmente il decimo, ed infondati il secondo, il quarto, il settimo (per la parte non assorbita dall’accoglimento del primo), l’ottavo, il nono e parzialmente il decimo , ed assorbito l’undicesimo.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti di ciascuno dei suddetti ricorsi e rinvia la causa alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile