Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21502 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21502 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26745/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO COGNOME NOME;
-ricorrente-
contro
BANCA D’ITALIA, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME, COGNOME NOME;
-controricorrente-
avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2477/2018 depositato il 19/02/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso il decreto della Corte d’appello di Roma del 19 febbraio 2018, che ha rigettato l’opposizione proposta alla delibera del Direttorio della RAGIONE_SOCIALE d’Italia del 12 agosto 2014. Con detto provvedimento, all’esito di procedimento sanzionatorio ex art. 145 TUB, era stata irrogata al COGNOME, ex componente dal 2000 al 2012 del consiglio di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE, la sanzione amministrativa di € 256.000,00, per quattordici addebiti relativi alla violazione degli artt. 53, 67 e 144 TUB e della normativa secondaria emanata dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia, per inosservanza delle disposizioni sulla governance, carenze nell’organizzazione e nei controlli interni e carenze nella gestione e nel controllo del credito.
La RAGIONE_SOCIALE d’Italia ha resistito con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, comma 2, 4 -quater, e 380 bis.1 c.p.c.
2.1. AVV_NOTAIO‘AVV_NOTAIO ha depositato in data 20 maggio 2024 ‘note di udienza’, recanti la dichiarazione della morte di NOME COGNOME, avvenuta in data 16 novembre 2018 (dunque all’incirca due mesi dopo la notificazione del ricorso per cassazione), ed altresì accompagnate dal deposito del certificato di morte del COGNOME (rilasciato dal Comune di Jesi in data 19 novembre 2018) e da dichiarazione di rinuncia all’eredità del 15 febbraio 2019.
La ‘note di udienza’ del 20 maggio 2024 sono volte a conseguire la declaratoria di cessazione della materia del contendere per la morte dell’autore delle violazioni oggetto della delibera sanzionatoria.
Sia le ‘note di udienza’, sia le contestuali produzioni documentali sono inammissibili, perché inosservanti i termini di dieci giorni ex art. 380bis .1, comma 1, c.p.c. e di quindici giorni ex art. 372, comma 2, c.p.c. prima dell’adunanza , stabiliti, rispettivamente, per il deposito
della memoria e dei documenti relativi all’ammissibilità del ricorso (tra le tante, Cass. n. 1854 del 2000; n. 22199 del 2010; n. 6737 del 2016), senza che neppure sul punto sia stato garantito il contraddittorio (cfr. Cass. n. 26619 del 2023).
Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., la motivazione apparente del decreto impugnato e la genericità ed indeterminatezza delle contestazioni, per assenza di qualsivoglia riferimento temporale delle condotte addebitate.
Il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 11 della legge n. 689 del 1981, essendo sproporzionata ed inadeguata la misura della sanzione applicata. In subordine, lo stesso motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., per l’assenza o l’apparenza della motivazione sulla misura della sanzione applicata e sulla responsabilità del ricorrente, amministratore privo di deleghe.
Il terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME denuncia l’omesso esame circa il fatto storico decisivo della mancata conoscibilità della seconda parte dei verbali ispettivi. Il motivo fa poi riferimento anche al decreto di archiviazione del parallelo procedimento penale, egualmente non adeguatamente non considerato dalla Corte d’appello, prospettando la sussistenza di una ipotesi di ne bis in idem . Si ribadisce il dato che il COGNOME non era destinatario di specifiche deleghe in materia di concessione del credito.
Il quarto motivo del ricorso di NOME COGNOME denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 CEDU.
2.1. I quattro motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente, si risolvono in unica critica generica della sentenza impugnata, formulata sotto una molteplicità di profili, e sono infondati.
2.2. Il provvedimento impugnato contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione, e la motivazione in esso contenuta non è perciò affatto ‘apparente’, consentendo un «effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice» (cfr. Cass. Sezioni Unite n. 8053 del 2014; n. 22232 del 2016; n. 2767 del 2023.
2.3. E’ da premettere che il giudizio di opposizione a sanzioni amministrative irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia non configura un’impugnazione dell’atto, ed introduce, piuttosto, un ordinario giudizio sul fondamento della pretesa dell’autorità amministrativa, devolvendo comunque al giudice adito la piena cognizione circa la legittimità e la fondatezza della stessa, con l’ulteriore conseguenza che il giudice ha il potere -dovere di esaminare l’intero rapporto, con cognizione non limitata alla verifica della legittimità formale del provvedimento, ma estesa -nell’ambito delle deduzioni delle parti -all’esame completo nel merito della fondatezza dell’ingiunzione, ivi compresa la determinazione dell’entità della sanzione, sulla base di un apprezzamento discrezionale, insindacabile, pertanto, in sede di legittimità se congruamente motivato e immune da errori logici o giuridici. In particolare, in tema di sanzioni amministrative pecuniarie, quali appunto quelle per violazione della legge bancaria, ove la norma indichi un minimo e un massimo della sanzione, spetta al potere discrezionale del giudice determinarne l’entità entro tali limiti, senza esser tenuto nemmeno a specificare in sentenza i criteri adottati nel procedere a detta determinazione (Cass. n. 2406 del 2016, n. 9126 del 2017). La statuizione del giudice dell’opposizione sulla misura della sanzione pecuniaria è, quindi, denunciabile per cassazione ove siano stati superati i limiti edittali della sanzione, oppure emerga dal provvedimento che non si sia tenuto conto dei parametri previsti dall’art. 11 della l. n. 689 del 1981, quali la gravità della violazione, la
personalità dell’agente e le sue condizioni economiche. Il giudice dell’opposizione è perciò chiamato a determinare la sanzione entro i limiti edittali previsti, allo scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, desumendola globalmente dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, dovendosi escludere che la sua statuizione sia censurabile in sede di legittimità ove quei limiti siano stati rispettati e dalla motivazione emerga come, nella determinazione, si sia tenuto conto dei parametri previsti dall’art. 11 della l. n. 689 del 1981.
Ciò è quanto avvenuto nelle pagine 10 e seguenti della decisione impugnata, ove si legge, tra l’altro: delle negligenze e dell’imperizia imputabili al COGNOME; delle anomalie emerse sino all’inizio del 2012 e avvertite nella nota della RAGIONE_SOCIALE d’Italia dell’11 gennaio 2012, quando il ricorrente era in carica; della mancata prova di un dissenso da parte dello stesso alle scelte gestionali; dell’elevatissimo grado di colpa del COGNOME; del pratico esautoramento delle funzioni del consiglio di amministrazione in favore del Direttore generale; dello scarso rilievo del documento prodotto per dimostrare le precarie condizioni economiche del ricorrente.
2.4. Peraltro, l’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. concerne il vizio specifico, denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Non risultano allora indicati, nel rispetto della previsione dell’art. 366, primo comma, n. 6, c.p.c., “fatti storici”, il cui esame sia stato omesso, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato
comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
2.5. Sono comunque prive di decisività le censure sull’omesso esame della vicenda dell’accesso alla seconda parte dei verbali ispettivi e del decreto di archiviazione del parallelo procedimento penale.
Le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia ai sensi degli artt. 144 e ss. del d.lgs. n. 385 del 1993 (nella formulazione anteriore alle modifiche di cui al d.lgs. n. 72 del 2015) nei confronti di soggetti che svolgono funzioni di direzione, amministrazione o controllo di istituti bancari, non sono equiparabili, quanto a gravosità economica ed incidenza sui diritti e libertà fondamentali, avuto riguardo alle concrete estrinsecazioni professionali, imprenditoriali e manageriali della persona, a quelle previste dall’art. 187-ter T.U.F., per manipolazione del mercato, sicché esse non hanno natura sostanzialmente penale e non pongono, quindi, un problema di compatibilità con le garanzie riservate ai processi penali dall’art. 6 CEDU, sia quanto al contraddittorio nella fase procedimentale (comunque pienamente garantito nel successivo pieno sindacato giurisdizionale), sia quanto alla violazione del ” ne bis in idem ” tra sanzione penale ed amministrativa comminata sui medesimi fatti (ove pure il principio del ne bis in idem si intendesse operante nel senso che una persona venga considerata come definitivamente assolta in conseguenza di un provvedimento di archiviazione nel giudizio penale) (arg. da Cass. n. 16517 del 2020; Cass. n. 24850 del 2019; Cass. n. 3656 del 2016).
2.6. Per il resto, la Corte d’appello di Roma ha deciso la questione di diritto in senso conforme a l consolidato orientamento di questa Corte in tema proprio di sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia ai sensi dell’art. 144 del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, per carenze nell’organizzazione e nei controlli interni. Tale
orientamento precisa che, ai fini del contenimento del rischio creditizio nelle sue diverse configurazioni, nonché dell’organizzazione societaria e dei controlli interni, l’art. 53, lett. b) e d), del d.lgs. n. 385 del 1993 e le disposizioni attuative dettate con le Istruzioni di vigilanza per le banche, mediante la circolare n. 229 del 1999 (e successive modificazioni e integrazioni), sanciscono doveri di particolare pregnanza in capo al consiglio di amministrazione delle società bancarie, che riguardano l’intero organo collegiale e, dunque, anche i consiglieri non esecutivi, i quali sono tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei loro requisiti di professionalità, ad ostacolare l’evento dannoso, sicché rispondono del mancato utile attivarsi. Ne consegue, inoltre, che in caso di irrogazione di sanzioni amministrative, la RAGIONE_SOCIALE d’Italia, anche in virtù della presunzione di colpa vigente in materia, ha unicamente l’onere di dimostrare l’esistenza dei segnali di allarme che avrebbero dovuto indurre gli amministratori non esecutivi, rimasti inerti, ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo, mentre spetta a questi ultimi provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o, comunque, mirante a scongiurare il danno (Cass. n. 22848 del 2015; Cass. n. 19556 del 2020). Il dovere di agire informati dei consiglieri non esecutivi delle società bancarie, sancito dagli artt. 2381, commi 3 e 6, e 2392 c.c., non va, del resto, rimesso, nella sua concreta operatività, alle segnalazioni provenienti dai rapporti degli amministratori delegati, giacché anche i primi devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del business bancario e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi, non solo in vista della
valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al consiglio di amministrazione, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega.
Questa interpretazione non vale ad accollare una responsabilità oggettiva agli amministratori non esecutivi, essendo gli stessi perseguibili ove ricorrano comunque sia la condotta d’inerzia, sia il fatto pregiudizievole antidoveroso, sia il nesso causale tra i medesimi, sia, appunto, la colpa, consistente nel non aver rilevato colposamente i segnali dell’altrui illecita gestione, pur percepibili con la diligenza della carica (anche indipendentemente dalle informazioni doverose ex art. 2381 c.c.), e nel non essersi utilmente attivati al fine di evitare l’evento. Sotto il profilo probatorio, ciò comporta che spetta al soggetto il quale afferma la responsabilità allegare e provare, a fronte dell’inerzia dei consiglieri non delegati, l’esistenza di segnali d’allarme (anche impliciti nelle anomale condotte gestorie) che avrebbero dovuto indurli ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo (con la richiesta di convocazione del consiglio di amministrazione rivolta al presidente, il sollecito alla revoca della deliberazione illegittima od all’avocazione dei poteri, l’invio di richieste per iscritto all’organo delegato di desistere dall’attività dannosa, l’impugnazione delle deliberazione ex art. 2391 c.c., la segnalazione al p.m. o all’autorità di vigilanza, e così via); assolto tale onere, è, per contro, onere degli amministratori provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o la causa esterna, che abbia reso non percepibili quei segnali o impossibile qualsiasi condotta attiva mirante a scongiurare il danno. A ciò si aggiunga come, in materia di sanzioni amministrative, quali appunto quelle previste dall’art. 144 del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione o di controllo di
istituti bancari, il legislatore individua una serie di fattispecie, destinate a salvaguardare procedure e funzioni ed incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso, e così ricollega il giudizio di colpevolezza a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, limitando l’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della “suità” del comportamento inosservante, con la conseguenza che, una volta integrata e provata dall’autorità amministrativa la fattispecie tipica dell’illecito, grava sul trasgressore, in virtù della presunzione di colpa posta dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, l’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza.
Per quanto specificamente attiene ai consiglieri non esecutivi di società bancaria, l’art. 53, lett. b e lett. d, del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, prevede che la RAGIONE_SOCIALE d’Italia emani disposizioni di carattere generale aventi ad oggetto, tra l’altro, il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni e il governo societario, l’organizzazione amministrativa e contabile, nonché i controlli interni e i sistemi di remunerazione e di incentivazione. Le disposizioni attuative sono state quindi dettate con le Istruzioni di vigilanza per le banche, mediante la circolare 21 aprile 1999 n. 229, e le successive modificazioni ed integrazioni, le quali sanciscono doveri di particolare pregnanza in capo all’intero consiglio di amministrazione di azienda bancaria (e quindi anche dei consiglieri non esecutivi), che si incentrano, per l’intero organo collegiale, proprio in quel compito di monitoraggio e valutazione della struttura operativa.
In tal senso sono conformi a diritto le considerazioni, già richiamate, svolte nelle pagine 10 e seguenti della decisione impugnata.
Il ricorso va perciò rigettato.
Segue la condanna del ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 6.000,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile