Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1153 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 1153 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 24622/2020 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO MILANO n. 5021/2019 depositata il 16/12/2019.
lette le conclusioni scritte rese dalla Sostituta Procuratrice Generale, dott.ssa NOME COGNOME
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/04/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Al termine della verifica ispettiva promossa da Consob nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti: Società) tenutasi nel periodo tra il 22.11.2016 05.07.2017 nell’ambito dell’attività di vigilanza che le è propria, la RAGIONE_SOCIALE formulava contestazioni per tre ipotesi di illecito nei confronti di tredici esponenti aziendali (persone fisiche) e cinque ipotesi di illecito nei confronti della stessa società, ai sensi degli artt. 190, 190bis e 195 del D.LGS. 24 febbraio 1998, n. 58 ( ‘ T.U.F. ‘ ).
1.1. In relazione alle evidenze ispettive e su proposta della Consob, la Banca d’Italia con due provvedimenti del 13 e 19 settembre 2017 – disponeva lo scioglimento degli organi di amministrazione e controllo della Società, sottoponendola ad amministrazione straordinaria ai sensi dell’art. 56 T.U.F. e nominando gli organi straordinari della procedura, insediatisi il 20.09.2017. In data 24.05.2018 l’assemblea della Società ha deliberato lo scioglimento anticipato della società e la messa in liquidazione volontaria della stessa.
1.2. Disattese le controdeduzioni formulate dalle parti interessate, l’Ufficio Sanzioni Amministrative proponeva alla Commissione l’irrogazione delle sanzioni, con relazione del 07.06.2018 trasmessa anche ai tredici esponenti aziendali, i quali producevano ulteriori osservazioni scritte.
1.3. Il procedimento sanzionatorio si concludeva, quindi, con delibera n. 20560 del 02.08.2018, notificata ad NOME COGNOME odierno ricorrente in data 20.09.2018, con la quale Consob ha ritenuto accertate nei suoi confronti, per le funzioni di consigliere di
amministrazione della Società da egli rivestite nel periodo 27.07.201505.07.2017, le seguenti violazioni:
A. Violazione degli artt. 35terdecies , comma 1, lett. a) e c), e 21, comma 1, lett. a) e d) ‘T.U.F.’; artt. 65 e 66 del Regolamento adottato con delibera Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007 e s.m. (‘Reg. Intermediari’). Per il Gotti, l’illecito è conseguito all’inosservanza dei doveri propri o dell’organo di appartenenza e in ragione del fatto che le sue condotte hanno provocato un grave pregiudizio alla tutela degli investitori e, in taluni casi, inciso in modo rilevante sulla complessiva organizzazione;
B. violazione dell’art. 21, comma 1 -bis , T.U.F. e degli artt. 23, 24, 25 del Regolamento Congiunto Consob/Banca d’Italia del 29 ottobre 2007 (‘Reg. Congiunto’), nonché dell’art. 35 -decies , comma 1, lett. b), del T.U.F. e degli artt. 46, 47, 48 e 49 Reg. Congiunto, in tema di identificazione e gestione dei conflitti di interessi con riferimento, rispettivamente, al servizio di investimento di gestione dei portafogli e alla gestione collettiva del risparmio. Per il COGNOME, l’illecito è conseguito all’inosservanza dei doveri propri o dell’organo di appartenenza e in ragione del fatto che le sue condotte hanno provocato un grave pregiudizio alla tutela degli investitori;
C. limitatamente al periodo 01.01.2016 -05.07.2017: violazione degli artt. 6, 21, comma 1, 35decies T.U.F. in combinato disposto con l’art. 15 così come richiamato dall’art. 30 del Reg. Congiunto e degli artt. 48 e 70 del Reg. Intermediari, in tema di misure per la trasmissione degli ordini su strumenti finanziari alle condizioni più favorevoli, rispettivamente per i clienti del servizio di investimento di gestione di portafogli e per gli OICR. Per il Gotti, l’illecito è conseguito all’inosservanza dei doveri propri o dell’organo di appartenenza e in ragione del fatto che le sue condotte hanno provocato un grave
pregiudizio alla tutela degli investitori e, in taluni casi, inciso in modo rilevante sulla complessiva organizzazione.
1.4. Con la suddetta delibera Consob condannava, pertanto, NOME COGNOME alla sanzione amministrativa pecuniaria di complessivi € 70.000,00 (pari a € 40.000,00 per la violazione A aumentata, per effetto del cumulo giuridico, di € 15.000,00 per la violazione B e di € 15.000,00 per la violazione C), di cui è contestualmente ingiunto il pagamento; nonché alla sanzione accessoria dell’interdizione dallo svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso intermediari autorizzati, per un periodo complessivo di mesi 17 (pari a mesi 11 per la violazione A aumentati, per effetto del cumulo giuridico, di mesi 3 per la violazione B e di mesi 3 per la violazione C).
1.5. NOME COGNOME proponeva opposizione alla suddetta delibera Consob innanzi alla Corte d’Appello di Milano.
Con sentenza n. 5021/2019, la Corte d’Appello di Milano respingeva l’opposizione e condannava l’opponente alla rifusione delle spese di lite sostenute da Consob. Per quanto rileva in questa sede, a sostegno della sua decisione la Corte osservava che:
con riguardo al grave pregiudizio per la tutela degli investitori, gli illeciti contestati si strutturano come illeciti di pericolo astratto: la disposizione in esame punisce non già la condotta che ha arrecato un «pregiudizio» (inteso some danno effettivo) agli investitori, bensì la condotta che ha arrecato un «pregiudizio alla tutela degli investitori». Ciò significa che per la loro integrazione è sufficiente la mera condotta potenzialmente pericolosa, senza alcuna necessità di verificare che vi sia stato per i soggetti protetti un effettivo danno o pericolo, che vengono presunti iuris et de iure ;
nel caso di specie, comunque, sembra evidente come i clienti hanno subíto perdite effettive: a titolo meramente esemplificativo, è
sufficiente ricordare che la Società, perseguendo il proprio esclusivo interesse, ha effettuato investimenti nelle c.d. Note SocGen, che hanno avuto un andamento peggiore rispetto al basket di strumenti sottostanti;
-con riguardo all’ «incidenza delle condotte» tenute « sull’organizzazione aziendale », le indagini compiute da Consob hanno rivelato indebite ingerenze nella gestione della Società da parte di soggetti che pure non rivestivano ruoli formali di rilievo, ma erano formalmente legati alla stessa da rapporti di collaborazione o agenzia: tali ingerenze hanno inciso in maniera rilevante sulla ripartizione dei compiti e dei ruoli dei vari soggetti coinvolti nel processo decisionale e sul carattere autonomo dello stesso;
-dall’esame dettagliato delle circostanze di fatto già accertate da Consob per ciascuna delle tre violazioni, non contestate dal ricorrente, si evince che le condotte integranti le suddette violazioni sono state ritenute addebitabili innanzitutto ai componenti del CdA, i quali non avevano adempiuto ai doveri loro ascritti dalla normativa vigente, rinunciando ad indirizzare prioritariamente le scelte strategiche e decisorie, di pertinenza del CdA stesso, al perseguimento del miglior interesse dei clienti, dei fondi e dei relativi partecipanti, nonché omettendo di identificare e gestire le fattispecie di conflitto di interessi;
quanto alla pretesa violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione, l’opponente pur avendo avuto un ruolo meno rilevante nella commissione delle violazioni contestate -non ha fornito prova di aver concretamente richiamato il CdA di cui era membro, sia pure quale espressione del socio di minoranza, all’adempimento dei doveri sullo stesso gravanti. Pertanto le sanzioni, principale e accessoria, sono state correttamente applicate da Consob secondo i criteri di legge enunciati agli artt. 11 l. n. 689/1981 e 194-
bis TUF, anche in comparazione con le sanzioni inflitte agli altri componenti del CdA, tenuto conto del ricorso all’istituto del cumulo giuridico (più favorevole del cumulo materiale) e in misura più prossima al minimo e non al massimo edittale. Tanto basta a non tenere conto di altre considerazioni, tra cui la capacità finanziaria del ricorrente.
Avverso detta pronuncia proponeva ricorso per cassazione COGNOME Alberto affidandolo a quattro motivi e illustrandolo con memoria.
Si difendeva Consob depositando controricorso, illustrato da memoria.
La Sostituta Procuratrice Generale si esprimeva per il rigetto del ricorso, ritenendo infondato il secondo motivo; inammissibili il primo, terzo e quarto mezzo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.). Il ricorrente censura l’inconciliabile contraddizione tra quanto affermato relativamente al requisito della c.d. incidenza rilevante delle violazioni ascritte all’esponente sulla complessiva organizzazione societaria, utilizzato nella sentenza impugnata, e l’informazione probatoria contenuta nell’atto di accertamento della Consob. Mentre in quest’ultimo si evidenzia il non diretto nesso eziologico tra la condotta del COGNOME e l’alterazione della complessiva organizzazione della Società, il giudice di seconde cure ravvisa l’incidenza causale della condotta del COGNOME nelle violazioni contestate. Pertanto, nella prospettazione del ricorrente si sarebbe in presenza di un travisamento della prova, che non implica una valutazione dei fatti e che pertanto è possibile sottoporre al sindacato di legittimità.
1.1. Il motivo è inammissibile, in quanto non attinge alla ratio decidendi della pronuncia impugnata. Dall’esame della struttura della sentenza emerge che il giudice territoriale discute dapprima degli illeciti contestati alla Società, come a tutte le persone fisiche componenti il Consiglio di Amministrazione: non essendo state conferite deleghe ai consiglieri, ciascun componente del CdA, compreso il ricorrente, godeva di pienezza di poteri, e quindi era responsabile per l’eventuale inosservanza di tutte le disposizioni che facevano carico allo stesso CdA. In questo senso, sia il requisito del «grave pregiudizio per la tutela degli investitori», sia il requisito « dell’incidenza delle condotte tenute sull’organizzazione aziendale » dimostrano che l’ Autorità di vigilanza ha correttamente ravvisato i presupposti richiesti dall’art. 190 -bis d.lgs. n. 58/1998 per poter irrogare le sanzioni amministrative, oltreché alla Società, anche alle persone fisiche con funzioni di amministrazione, direzione e controllo e al personale responsabile (p. 18 della sentenza impugnata, righi 3-6): ciò in quanto le disposizioni contestate agli odierni ricorrenti (v. punto 1.3. in parte narrativa) integrano innanzitutto illeciti di pericolo astratto, attivi o omissivi, come meglio si dirà infra al punto 2.1.
1.2. In definitiva, la conferma degli illeciti sanzionati è riferita a tutte le condotte contestate: la Corte d’appello di Milano dedica le pagine da 20 a 29 all’analisi dettagliata dei fatti (non contestati dal ricorrente) dai quali emergerebbero le responsabilità del CdA in violazione della normativa vigente. E’ solo a p. 31 , 1° capoverso della sentenza impugnata, che il giudice d’appello (come già la Consob) riferisce l’accertamento e la relativa sanzione anche all’ opponente, laddove si tratta di valutare la legittimità della sanzione irrogata: in quella sede, la Corte distrettuale sottolinea come il ricorrente non avesse in alcun modo fornito la prova di avere almeno concretamente
cercato di richiamare il CdA di cui era membro, sia pure quale espressione del socio di minoranza, in adempimento dei doveri sullo stesso gravanti.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 190 -bis del T.U.F. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ.). Il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui conferma l’interpretazione fornita dall’ Autorità di vigilanza con riferimento al «grave pregiudizio per la tutela degli investitori», ritenendo che gli illeciti contestati si strutturano come illeciti di pericolo astratto, per la cui integrazione è sufficiente la mera condotta potenzialmente pericolosa, senza alcuna necessità di verificare che vi sia stato per i soggetti protetti un effettivo danno. Nella prospettazione del ricorrente, invece, il grave pregiudizio deve essere oggetto di specifica allegazione e di compiuta prova; diversamente argomentando, l’art. 190bis T.U.F. risulterebbe implicitamente abrogato o comunque privo di forza cogente.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ.). La Corte d’Appello, facendo falsa applicazione delle norme sull’onere della prova, ha ritenuto provate le perdite effettive sostenute a danno degli investitori a causa delle scelte di investimento della Società laddove, invece, la stessa Consob aveva riconosciuto la non rinvenibilità in atti del grave pregiudizio. La Corte ha altresì violato l’art. 2697 cod. civ. laddove ha ritenuto dimostrato il danno effettivo attraverso l’accertamento della condotta illecita.
I due motivi possono essere trattati contestualmente per evidente connessione logica, ed entrambi sono infondati. Come correttamente rilevato dalla Corte territoriale (v. sentenza p. 17, 1° capoverso), si è in presenza di illeciti di pericolo astratto, attivi o
omissivi, concretizzatisi nell’inosservanza di una serie di regole di condotta (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9126 del 07/04/2017, Rv. 643548 -01, conf. da: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 14152 del 2022), a prescindere del danno effettivo delle condotte tenute sull’organizzazione aziendale e sul pregiudizio subíto dagli investitori. Anche l’art. 190bis T.U.F. contempla illeciti cosiddetti di «mera trasgressione», ossia fattispecie (richiamate in delibera impugnata e poste alla base delle violazioni contestate) a carattere ordinatorio, destinate a salvaguardare procedure e funzioni incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso. Nel caso di specie, deve rilevarsi che l’incidenza della condotta tenuta dalla Società e dai suoi esponenti aziendali, richiamata dalla fattispecie legislativa, prevede – oltre alla sua inosservanza – la ricorrenza di due condizioni fra loro alternative: che la condotta abbia inciso in modo rilevante sulla complessiva organizzazione o sui profili di rischio aziendali, ovvero che abbia provocato un grave pregiudizio per la tutela degli investitori o per l’integrità ed il corretto funzionamento del mercato: art 190bis comma 1, lett a), che così recita: «1. Fermo restando quanto previsto per le società e gli enti nei confronti dei quali sono accertate le violazioni, per l’inosservanza delle disposizioni richiamate dagli articoli 188, 189 e 190, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro cinquemila fino a cinque milioni di euro nei confronti dei soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, di direzione o di controllo, nonché nei confronti del personale, quando l’inosservanza è conseguenza della violazione di doveri propri o dell’organo di appartenenza e ricorrono una o più delle seguenti condizioni: a) la condotta ha inciso in modo rilevante sulla complessiva organizzazione o sui profili di rischio aziendali, ovvero ha
provocato un grave pregiudizio per la tutela degli investitori o per l’integrità ed il corretto funzionamento del mercato».
4.1. Nel caso che ci occupa, la Corte d’Appello non ha mancato di valutare le ricadute delle condotte contestate (v. sentenza p. 17, 2° 4° capoverso), ritenendo sussistente la loro incidenza complessiva sia sull’interesse degli investitori (in quanto si sarebbe in presenza di comportamenti potenzialmente pregiudizievoli per l’integrità ed il corretto funzionamento del mercato) , sia sull’organizzazion e aziendale (in particolare, avuto riguardo alle indebite ingerenze nella gestione della società da parte di soggetti che pure non rivestivano ruoli formali di rilievo in seno ad essa). Con la precisazione che, proprio per l’alternatività delle condizioni richieste dalla legge, nel caso di specie il riferimento al «grave pregiudizio» effettivamente subíto dagli investitori esprime una motivazione ad abundantiam , non necessaria all’integrazione della fattispecie di illecito.
4.2. Né coglie nel segno il terzo mezzo di gravame laddove censura la sentenza impugnata per falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., norma generale che individua nell’Autorità sanzionante il soggetto gravato dell’onere di dimostrare la responsabilità del trasgressore: all’Amministrazione, che viene a rivestire -dal punto di vista sostanziale – la posizione di attrice (ricoprendo, invece, sotto quello formale, il ruolo di convenuta opposta), incombe l’obbligo di fornire la prova adeguata della fondatezza della sua pretesa. All’opponente, al contrario, qualora abbia dedotto fatti specifici incidenti o sulla legittimità formale del procedimento amministrativo sanzionatoti espletato, o sull’esclusione della sua responsabilità relativamente alla commissione dell’illecito, spetta provare le circostanze negative contrapposte a quelle allegate dall’Amministrazione ( ex plurimis : Cass. 30.05.2022 n. 17394; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 1921 del
24/01/2019, Rv. 652384 -02; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 4898 del 11/03/2015, Rv. 635012 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5122 del 03/03/2011, Rv. 617175 -01; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1948 del 10/02/2003, Rv. 560351 – 01).
4.2.1. Tanto premesso, quanto alla corretta individuazione dei fatti costitutivi e dei fatti modificativo-estintivo-impeditivi, questa Corte ha precisato che in presenza di una norma di comando che imponga un facere , la condotta omissiva del responsabile è dimostrabile da parte dell’autorità mediante presunzioni: l’onere di provare la condotta attiva dovuta grava sul responsabile, il quale può anche provare la sussistenza di elementi tali da rendere inesigibile il comportamento attivo ( ex multis : Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1529 del 22/01/2018, Rv. 647782 -02; conf.: Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6037 del 29/03/2016, Rv. 639053 -01; Cass. Sez. U, Sentenza n. 20934 del 30/09/2009, Rv. 610514 -01, che richiama la nota sentenza di queste delle sezioni unite del 30/10/2001 n. 13533 resa nella diversa materia dei rapporti contrattuali; Cass. 22.08.2006, n. 18235; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5239 del 28/02/2008, Rv. 602219 -01; Cass 24/06/2004, n. 11751), in ossequio al principio di vicinanza della prova, a mente del quale il relativo onere va posto a carico del soggetto nella cui sfera di controllo si è prodotto l’inadempimento stesso. Correttamente, allora, la Corte d’Appello sottolinea come il ricorrente non avesse in alcun modo fornito la prova di avere almeno concretamente cercato di richiamare il CdA di cui era membro, sia pure quale espressione del socio di minoranza (v. supra , punto 1.2.), all’adempimento dei doveri sullo stesso gravanti.
4.2.2. Il principio della presunzione di colpa deve essere inteso, nel caso di illecito omissivo, non già come immotivata e irragionevole inversione dell’onere della prova, ma nel senso che una volta integrata e provata la fattispecie tipica dell’illecito il trasgressore viene gravato
dell’onere di provare di aver agito in assenza di colpevolezza. Del resto, l’art. 190bis T.U.F. contempla una serie assai ampia di illeciti cosiddetti di «mera trasgressione», ossia una serie di fattispecie (richiamate in delibera impugnata e poste alla base delle violazioni contestate) a carattere ordinatorio, destinate a salvaguardare procedure e funzioni incentrate sulla mera condotta, secondo un criterio di agire o di omettere doveroso. Orbene: è innegabile come negli illeciti di mera trasgressione la loro stessa morfologia renda impossibile individuare, sul piano funzionale, i singoli comportamenti riferibili ai singoli soggetti sui quali grava l’obbligo di osservanza delle norme procedimentali; il che consente, anzi impone al giudice del merito di limitarsi a individuare l’autore imputabile dell’inosservanza secondo un giudizio di colpevolezza «normativo», ancorato cioè a parametri di legge o regolamentari esterni ed estranei al dato psicologico, con limitazione dell’indagine sull’elemento oggettivo dell’illecito all’accertamento della suitas della condotta inosservante: come correttamente rilevato dalla Corte milanese, con riguardo agli illeciti amministrativi è sufficiente la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva dell’illecito, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa (v. sentenza, p. 17).
4.3. In definitiva per quanto sopra argomentato, la pronuncia impugnata è conforme alla costante giurisprudenza di codesta Corte in tema di ripartizione dell’onere della prova della responsabilità del trasgressore sopra richiamata. Del resto, è opportuno ricordare che in tema di ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni ( ex multis , di recente:
Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018, Rv. 650892 01).
5. Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 11 l. n. 689/1981 e degli artt. 190 -bis , comma 2, e 194bis d.lgs. n. 58/1998 (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ.) -Errata quantificazione della sanzione principale ed accessoria -violazione del principio di proporzionalità e ragionevolezza della sanzione. Il ricorrente si duole del fatto che il giudice d’appello non abbia rideterminato in mitius la misura delle sanzioni inflitte al minimo edittale, secondo una corretta applicazione del principio di proporzionalità che tenga conto dell’assenza di prova di una specifica condotta imputabile al COGNOME, del suo ruolo meno rilevante sul grave pregiudizio per la tutela degli investitori e del profilo soggettivo della colpa. La Corte d’Appello, invece, pur riconoscendo al COGNOME un ruolo marginale, gli addebita una responsabilità da omesso richiamo del Consiglio di amministrazione all’adempimento dei propri doveri: ragionamento che conduce ad un’inammissibile «responsabilità da posizione» . Né soccorre il fatto che, a giudizio della Corte, all’odierno ricorrente sia stata inflitta una sanzione pecuniaria e interdittiva inferiore alle sanzioni inflitte agli altri quattro membri del CdA, proprio in considerazione del ruolo di minor rilievo da questi rivestito.
5.1. Il motivo è inammissibile, in quanto attraverso lo schermo della violazione della proporzionalità di tipo sistemico introduce una critica al provvedimento per non aver applicato la misura minima, così attingendo al merito della questione. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che non è sindacabile in cassazione il quantum della sanzione: del resto, il giudice del merito a sua volta non è chiamato a controllare la motivazione dell’atto di accertamento, ma a determinare la sanzione entro i limiti edittali previsti, allo scopo di commisurarla
all’effettiva gravità del fatto concreto, desumendola globalmente dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, dovendosi escludere che la sua statuizione sia censurabile in sede di legittimità ove quei limiti siano stati rispettati e dalla motivazione emerga come, nella determinazione, si sia tenuto conto dei parametri previsti dall’art. 11 della I. n. 689 del 1981. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 26983 del 2022; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11481 del 15/06/2020, Rv. 658267 -01; Cass. n. 9126 del 2017, cit.).
5.2. Nel caso di specie, la Corte d’Appello si è soffermata sul controllo del rispetto dei criteri di legge (artt. 11 l. n. 689/1981 e 194bis TUF), considerando: la gravità delle violazioni, la durata delle stesse, il grado di responsabilità del trasgressore -anche in comparazione con gli altri soggetti colpiti da sanzione – la presenza o meno di condotte e collaborative la capacità finanziaria del ricorrente (v. sentenza, pp. 31 e 32).
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso, liquida le spese secondo soccombenza come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della Consob controricorrente, che liquida in €7.000,00 per compensi, oltre €200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda