Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5531 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5531 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30018/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato PIAZZA LUCIANO (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE SANPAOLO RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonché
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente incidentale-
nonché
NOME, TARDIBUONO NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME , rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti- nonché
BANCA POPOLARE DI VICENZA SOC COOP PA, BANCA NUOVA SPA, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME INDIRIZZO, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE SANPAOLO SPA, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME ROSARIOBANCA POPOLARE DI VICENZA SOC COOP PA, BANCA NUOVA SPA, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, RAGIONE_SOCIALE SANPAOLO SPA, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME ROSARIO
-intimati-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 1571/2019 depositata il 25/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Palermo con sentenza del 25 luglio 2019, n. 1571, ha confermato la decisione del Tribunale di Termini Imerese del 17 giugno 2014, n. 603, la quale ha condannato in solido alcuni degli ex amministratori della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione coatta amministrativa, convenuti in giudizio, al risarcimento del danno per mala gestio ed omesso controllo sui fatti dei dirigenti, per l’importo di € 3.673.566,41, oltre accessori, mentre ha respinto la domanda nei confronti di altri convenuti, reputando non provata la rispettiva responsabilità.
Avverso questa sentenza hanno proposto distinti ricorsi due ex amministratori, affidati rispettivamente ad otto ed a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso Intesa Sanpaolo RAGIONE_SOCIALE, quale RAGIONE_SOCIALE incorporante per fusione la RAGIONE_SOCIALE Hanno depositato controricorso avverso i ricorsi anche NOME COGNOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME COGNOME.
I ricorrenti e la banca hanno depositato le memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Il ricorso principale di NOME COGNOME .
-Il primo motivo del ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2504bis c.c. e 102, 111, 354 c.p.c., perché la corte territoriale non ha ravvisato la mancata integrazione del contraddittorio con la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE p.a.
L’azione fu proposta dal Commissario liquidatore della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione
coatta amministrativa e dalla RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria di tutte le attività e passività della prima.
Tuttavia, sono seguite varie vicende societarie: la RAGIONE_SOCIALE si è trasformata in RAGIONE_SOCIALE per azioni ed ha poi mutato la propria denominazione in RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE è stata incorporata nella RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE; questa ha conferito l’azienda bancaria a RAGIONE_SOCIALE, che poi ha mutato la sua denominazione in RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (soggetto diverso dalla precedente, pur ugualmente denominata, ormai estinta).
Dopo una delle varie interruzioni del processo di primo grado, RAGIONE_SOCIALE ha riassunto il giudizio, quale successore a titolo particolare, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., senza tuttavia che permanesse la presenza nel processo della dante causa RAGIONE_SOCIALE, come lo COGNOME non aveva mancato di rilevare in primo grado.
La corte del merito ha correttamente ritenuto che, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., ben possa avvenire la tacita estromissione del dante causa a titolo particolare, in presenza, come nella specie, del disinteresse sostanziale del medesimo e delle altre parti alla permanenza in causa; aggiungendo che, in ogni caso, il rifiuto a consentire l’estromissione dell’alienante deve fondarsi su di un interesse meritevole di tutela, che spetta al giudice del merito apprezzare e che nel caso in esame era insussistente.
Il motivo si palesa, pertanto, inammissibile: da un lato, esso non attacca tale seconda ratio decidendi , che resta idonea a sorreggere la decisione; dall’altro lato, non tiene conto che la corte territoriale si è conformata al principio consolidato, secondo cui sono in tali ipotesi integrati i presupposti per l’estromissione dal giudizio del dante causa a titolo particolare, sebbene non
formalmente dichiarata e che fa cessare la qualità di litisconsorte necessario alla parte originaria ( e multis , per vari profili, Cass., sez. I, 15 dicembre n. 36798; Cass., sez. I, 26 gennaio 2018, n. 2048; Cass., sez. II, 30 agosto 2017, n. 20533; Cass., sez. III, 8 febbraio 2011, n. 3056; Cass., sez. II, 17 maggio 2010, n. 12035); infine, per ogni altro aspetto, il motivo pertiene all’inammissibile giudizio sul fatto, riservato al giudice del merito.
2. -Il secondo motivo del ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., 164 c.p.c., perché l’atto di citazione introduttivo era nullo per indeterminatezza, ma il tribunale ha omesso di dichiararlo e la corte del merito ha confermato tale statuizione.
Il motivo è manifestamente infondato, avendo la sentenza impugnata condivisibilmente accertato che l’atto di citazione, notificato nel mese di dicembre 1993, era sufficientemente determinato nelle sue allegazioni, non risultando in concreto omesso o assolutamente incerto il requisito della enunciazione del thema decidendum e delle azioni proposte, atteso anche il richiamo al contenuto delle ispezioni della Vigilanza bancaria e degli stessi verbali consiliari, nonché per l’assenza di qualsiasi vulnus al diritto di difesa dei convenuti, che lo hanno compiutamente esplicato.
Del resto, questa Corte ha già rilevato come, ai fini della valida introduzione del giudizio, è sufficiente che l’atto di citazione enunci un nucleo di fatti su cui l’attore basa la sua pretesa, in relazione al quale il convenuto deve esser posto in grado di approntare la propria difesa ed il giudice di individuare i temi del processo (cfr., fra le altre, Cass., sez. I, 12 giugno 2007, n. 13765).
3. -Il terzo motivo del ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., perché la corte territoriale non si è pronunciata sul motivo di appello, con il quale si denunciava la
nullità del giudizio di primo grado per violazione dei principî di disponibilità delle prove, dell’imparzialità del giudice, del contraddittorio e del giusto processo. Infatti, in particolare, il giudice di primo grado, pur dopo che l’RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto ripetutamente il rinvio della causa per la precisazione delle conclusioni, con l’ordinanza istruttoria del 12 gennaio 2009 aveva invitato le parti a « chiarire se permane in capo ad esse l’interesse all’espletamento dell’ulteriore istruttoria già disposta dal Giudice ovvero se la richiesta di rinvio per la precisazione delle conclusioni debba ritenersi implicita rinuncia agli ulteriori accertamenti peritali » in tal modo operando una irrituale inferenza nei poteri esclusivi delle parti.
Il motivo è infondato.
L’art. 112 c.p.c. attiene alle eccezioni di merito e non a quelle processuali, secondo il principio consolidato per il quale il vizio di omissione di pronuncia non è configurabile su questioni processuali ( e plurimis , Cass., sez. II, 10 marzo 2020, n. 6733; Cass., sez. III, 11 ottobre 2018, n. 25154; Cass., sez. II, 25 gennaio 2018, n. 1876; Cass., sez. I, 26 settembre 2013, n. 22083).
A ciò si aggiunga che la corte territoriale ha palesato, alla stregua della sua completa motivazione, di avere disatteso la censura relativa ad una ordinanza istruttoria assunta in primo grado ed alle generiche deduzioni esposte: sia laddove ha rilevato come fossero censure dirette piuttosto sul modo ed il tempo degli accertamenti fattuali, da disattendere; sia in quanto si tratta di deduzioni non accolte, in quanto si pongono in rapporto di incompatibilità con le statuizioni ivi operate, che attengono al rigetto della tesi di una violazione ai diritti processuali della parte, nell’assunto dell’appellante sussistente invece perché parte RAGIONE_SOCIALE fu invitata a chiarire la propria finale posizione. Essa ha dunque
mostrato di riconoscere il principio di collaborazione del giudice nel processo civile con le parti, in particolare il potere-dovere di richiedere alle parti ‘i chiarimenti necessari’: disposizione che, pur nei diversi mutamenti all’articolo intervenuti, è rimasta sempre (salva la modifica dalla originaria dizione di ‘schiarimenti’), a conferma della perdurante attribuzione al giudice di un compito di collaborazione con le parti ed emersione del tema del giudizio, che non smentisce affatto il principio della domanda e dell’onere di allegazione e di prova a carico delle parti medesime.
4. -Il quarto motivo deduce il difetto di legittimazione attiva della RAGIONE_SOCIALE e dei successori, nonché l’erronea mancata dichiarazione di contumacia della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione coatta amministrativa, dopo l’interruzione del giudizio di primo grado in data 20 giugno 2012, in violazione degli artt. 189, 290, 303 c.p.c., 125 att. c.p.c., 72, 84 t.u.b. Sostiene il ricorrente che l’unico legittimato attivo all’azione era il commissario liquidatore e che l’inerzia di questi precludeva anche l’azione della cessionaria.
L’assunto non ha pregio.
La sentenza impugnata, rilevato come il giudizio di primo grado sia stato interrotto per ben quattro volte, ha poi osservato che l’ultimo atto di riassunzione ha comportato altresì l’intervento in giudizio di RAGIONE_SOCIALE (la seconda entità avente detta denominazione), quale cessionaria a titolo particolare del ramo di azienda di cui era stata originaria acquirente la RAGIONE_SOCIALE (il primo ente con detta denominazione), e che la riassumente ha, in una con la l.c.a., chiesto la prosecuzione del giudizio; la titolarità della domanda in capo ad entrambe, inoltre, è desunta dalla corte territoriale anche da una serie di atti del primo grado di giudizio, ossia l’intestazione della comparsa conclusionale, il verbale
dell’udienza di precisazione delle conclusioni innanzi al giudice istruttore ed il verbale dell’udienza di discussione innanzi al collegio: tutti atti in cui l’unico difensore, il medesimo per entrambe le parti, dichiarava di agire per i due assistiti.
Giova, al riguardo, rilevare che alla cessionaria dell’azienda passò la titolarità delle azioni (cfr. Cass., sez. I, 12 giugno 2007, n. 13765) e che, secondo l’accertamento della corte del merito, anche il commissario liquidatore era presente nel giudizio di primo grado sino alla sua definizione.
Ed è incontestato che, ai sensi dell’art. 84 t.u.b., l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità contro i membri dei cessati organi amministrativi e di controllo ed il direttore generale fosse stata autorizzata dalla RAGIONE_SOCIALE d’Italia.
-Il quinto motivo del ricorso deduce violazione e falsa applicazione di una serie di disposizioni di legge, oltre che vizio di ultrapetizione ed omesso esame di fatti decisivi, al fine di sostenere che, nella specie, la sentenza impugnata abbia errato nel ritenere il ricorrente responsabile degli addebiti di mala gestio .
Il sesto motivo del ricorso, del pari, deduce violazione e falsa applicazione di una serie di disposizioni di legge, oltre che vizio di ultrapetizione ed omesso esame di fatti decisivi, al fine di sostenere che, nella specie, la sentenza impugnata abbia errato nel ritenere sussistente il nesso di causalità ed il danno derivato.
I due motivi, intimamente connessi, possono essere congiuntamente trattati, in quanto affetti dai medesimi vizi.
Ed invero, mentre l’invocazione ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. è inammissibile, per la presenza della c.d. doppia conforme, tutti i profili riportati nei motivi in esame li palesano inammissibili, perché essi tendono a riproporre in pieno il giudizio sul fatto.
Lamenta, invero, il ricorrente che egli, soggetto non professionista chiamato ad amministrare una RAGIONE_SOCIALE composta da agricoltori ed artigiani, non aveva nessuna specifica competenza, a norma dell’art. 2392, comma 1, c.c., per cui essere chiamato a rispondere di inadempimento; mentre ogni condotta era imputabile soltanto al direttore ed al vicedirettore, che avevano in concreto posto in essere le condotte di concessione imprudente del credito a due famiglie del posto; né erano distinguibili le condotte dei vari amministratori, essendo quindi errata la decisione di rigetto della domanda per alcuni e di accoglimento per altri; onde sarebbe mancata, in definitiva, ogni prova dei fatti per cui è causa. Inoltre, dopo le richieste di precisazione delle conclusioni, parte RAGIONE_SOCIALE doveva ritenersi irrimediabilmente decaduta dalla prova e dalla stessa possibilità di instare per l’espletamento di una c.t.u.
Come si vede, mentre quest’ultimo assunto è infondato, per quanto già sopra esposto circa le legittime decisioni istruttorie del primo giudice, le precedenti osservazioni mirano ad una sostanziale rivalutazione del merito della causa, inammissibile in sede di legittimità.
Quanto alla deduzione, contenuta nel sesto motivo, secondo cui sarebbe stata inammissibilmente demandata al consulente tecnico d’ufficio la soluzione di una questione giuridica, allorché gli fu chiesto di verificare la sussistenza del nesso causale tra i riscontrati inadempimenti (anche omissivi) ed il danno, l’assunto non ha pregio, in quanto, come chiarito già dalla corte territoriale, all’ausiliario non fu demandata affatto la soluzione di questioni in diritto, ma solo un’indagine sui fatti.
6. -Il settimo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1298, 1299 e 1304 c.c., in quanto parte RAGIONE_SOCIALE aveva perfezionato, dopo la sentenza di primo grado, per alcuni in
giudicato, le transazioni con alcuni dei convenuti, che avevano visto respingere la domanda risarcitoria proposta; le transazioni si sono concretizzare nella rinuncia, da una parte, a proporre appello, e, dall’altra parte, ad esigere il rimborso delle spese di lite sostenute e liquidate dalla sentenza di primo grado nella misura di € 12.000,00, in favore di ciascun convenuto vittorioso; pertanto, il condebitore non transigente aveva il diritto di profittarne, ai sensi dell’art. 1304 c.c., con conseguente riduzione del proprio debito ad € 12.000,00 complessive.
Il motivo è inammissibile, per la genericità dei profili della questione dedotta.
La corte territoriale ha ritenuto la vicenda estranea all’art. 1304 c.c., in quanto la domanda fu respinta verso quei convenuti, con statuizione passata in giudicato, né del resto essendo in alcun modo precluso agli amministratori ritenuti responsabili l’esercizio autonomo di un giudizio di regresso verso i convenuti vittoriosi verso le parti attrici.
Il motivo è inammissibile per aspecificità, sia perché si afferma essere la sentenza al momento della transazione già passata in giudicato, ma senza precisare per quali soggetti, così che la Corte non è posta in condizione di valutare la censura; sia perché, laddove il motivo intende ritenere transatto l’intero debito, non è autosufficiente sul contenuto delle transazioni stesse, non ponendo la Corte in grado di accertare la fondatezza del motivo. Infine il motivo non censura adeguatamente la ratio decidendi , secondo cui la transazione conclusa riguardava debitori ormai non più da ritenere legati dal vincolo di solidarietà.
-L’ultima ed ottava censura costituisce un ‘non motivo’, consistendo nella riforma del capo sulle spese di lite in conseguenza dell’auspicato accoglimento del ricorso.
-Il ricorso successivo di NOME COGNOME.
-Il ricorrente successivo ha formulato cinque motivi di ricorso.
8.1. -Con i primi quattro motivi, egli invoca ripetutamente la violazione di una serie di disposizioni, sostanziali e processuali, ma senza formulare i medesimi in modo ammissibile.
Invero, si tratta di ‘motivi’ consistenti nella riproposizione di atti, argomenti, questioni, giudizi sul fatto, che hanno riguardato l’intero corso del processo nei gradi di merito, senza idonea articolazione delle specifiche censure proposte innanzi alla Corte di cassazione, e nella sostanza ripercorrendo in modo confuso e pletorico tutta la vicenda sostanziale della RAGIONE_SOCIALE, oltretutto riproponendo le censure a suo tempo rivolte alla sentenza di primo grado, il tutto per affermare la propria completa estraneità ai fatti di mala gestio .
Tale modo di procedere viola gli artt. 360 e 366 c.p.c. sul ricorso per cassazione.
È noto, infatti, che, ai sensi di tali disposizioni, il motivo d’impugnazione è costituito dall’enunciazione delle ragioni per le quali la decisione è erronea e si traduce in una critica della decisione impugnata, non potendosi, a tal fine, prescindere dalle motivazioni poste a base del provvedimento stesso, da confutare specificamente e non con rinvio ad atti esterni o precedenti difese: altrimenti risolvendosi in un ‘non motivo’, onde tale tecnica redazionale sarà sanzionata con l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. (cfr. Cass., sez. un., n. 20501/2019; Cass. n. 454/2019; Cass. n. 447/2019; Cass. n. 22478/2018; Cass. n. 20910/2017; Cass. n. 17330/2015; Cass. n. 187/2014; Cass. n. 11984/2011).
Secondo i principî consolidati enunciati da questa Corte, il ricorso per cassazione deve contenere motivi separati e specifici, che rientrino in una delle figure dell’art. 360 c.p.c. Invero, il ricorso per cassazione è ancorato rigidamente ad uno dei cinque vizi del provvedimento impugnato, previsti dall’art. 360 c.p.c., cui ciascuna doglianza deve poter essere agevolmente ricondotta la legge impone, altresì, l’indicazione delle norme violate. Ogni motivo deve essere autosufficiente, ossia intellegibile da solo, senza il ricorso ad elementi esterni.
Il vizio di violazione di legge deve essere dedotto, pertanto, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni, intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo date affermazioni in diritto, contenute nella sentenza impugnata, debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità: pertanto, è inammissibile la denuncia di violazione e falsa applicazione di una serie di articoli, ove essendo la stessa meramente enunciata nella rubrica del motivo, ma non trovando sviluppo argomentativo nel corpo del medesimo (Cass., sez. un., n. 25392/2019). Il vizio va dedotto mediante valutazione comparativa fra opposte soluzioni, evidenziandosi le ragioni per cui non si condividono quelle esposte nel provvedimento impugnato (Cass. n. 287/2016; Cass. n. 16760/2015; Cass. n. 16038/2013; Cass. n. 3010/2010).
Non rispettando tali parametri, tali motivi vanno dichiarati inammissibili.
8.2. -Il quinto motivo è parimenti inammissibile, in quanto esso lamenta la violazione degli artt. 91, 92 e 113 c.p.c., per avere la corte territoriale pronunciato una condanna alle spese ‘ingiusta
ed esorbitante’ e per non avere la stessa compensato le spese di lite.
Il motivo è inammissibile, in quanto del tutto generico e concernente di decisioni rimesse al giudice del merito
-Le spese di lite seguono la soccombenza. Vengono compensate per intero le spese tra i ricorrenti e gli intimati costituitisi, senza domanda verso i medesimi.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso proposto da NOME COGNOME e dichiara inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME; condanna NOME COGNOME al pagamento delle spese di legittimità in favore della controricorrente, liquidate in € 20.000,00 per compensi, oltre ad € 200,00 per esborsi, alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori, come per legge; condanna NOME COGNOME al pagamento delle spese di legittimità in favore della controricorrente, liquidate in € 20.000,00 per compensi, oltre ad € 200,00 per esborsi, alle spese forfetarie nella misura del 15% sui compensi ed agli accessori, come per legge. Compensa le spese tra i ricorrenti ed i controricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto, ove dovuto, per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 gennaio