Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23124 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23124 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6668/2024 R.G. proposto da :
COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi da ll’ Avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al ricorso
– ricorrenti
–
contro
FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso da ll’ Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al controricorso
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 852/2023 depositata in data 11/9/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/7/2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il fallimento di RAGIONE_SOCIALE evocava in giudizio NOME COGNOME ed NOME COGNOME nella qualità, rispettivamente, di presidente del consiglio di amministrazione e consigliere di amministrazione della società poi fallita, chiedendo che fosse accertata la loro responsabilità, ai sensi degli artt. 2476, 2482ter e
2486 cod. civ. e 146 l. fall., in relazione ai danni dagli stessi provocati alla compagine amministrata con la decisione di proseguire l’attività sociale dopo l’erosione del suo patrimonio (non risultante dall’approvazione dei bilanci irregolari per gli anni 2013 e 2014) e per attività distrattive dei beni aziendali.
Il Tribunale di Torino, con sentenza n. 1126/2021, una volta respinte tanto l’eccezione di incompetenza a favore degli arbitri, formulata dai convenuti in base alla clausola n. 23 dello statuto della società, quanto l’eccezione di prescrizione quinquennale dell’azione di responsabilità, accertava la responsabilità degli ex amministratori convenuti, determinava il danno da loro procurato nella misura di € 200.000 e condannava COGNOME e COGNOME al pagamento di tale somma in favore della procedura attrice.
La Corte distrettuale di Torino respingeva l’appello presentato da NOME COGNOME ed NOME COGNOME con sentenza pubblicata in data 11 settembre 2023.
Ricordava -fra l’altro e per quanto qui di interesse -che l’azione di responsabilità esercitata dal curatore del fallimento ai sensi dell’art. 146 l. fall. ha carattere unitario ed inscindibile, risultando frutto della confluenza in un unico rimedio delle due diverse azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 cod. civ., con ogni conseguenza in ordine alla disciplina normativa applicabile, anche in tema di onere della prova.
Riteneva che la facoltà accordata al curatore di esercitare il rimedio in via cumulativa comportasse, quale corollario dell’unitarietà della disciplina concorsuale, la prevalenza dell’iniziativa processuale così assunta sulla operatività della clausola compromissoria prevista dallo statuto per la sola azione sociale, onde non snaturare la portata unitaria del rimedio.
Reputava che la genericità dei rilievi sollevati dagli appellanti in ordine al fatto che l’incapienza patrimoniale emergesse già con riferimento agli esercizi 2008, 2009 e 2010, come era ricavabile dalla
documentazione richiamata dal C.T.U., precludesse l’esame del secondo motivo di impugnazione.
Giudicava che gli appellanti non avessero introdotto alcun dato idoneo a contrastare in modo pertinente i rilievi svolti dal tribunale in ordine al riconoscimento della loro responsabilità e alla quantificazione del danno procurato.
Rilevava in particolare a questo proposito che non vi era alcun riscontro dell’effettività di servizi di trasporto resi da RAGIONE_SOCIALE, tali da giustificare l’insorgenza di un controcredito da compensare con la cessione degli automezzi, rappresentando che gli appellanti non avevano introdotto alcun dato concreto per smentire la pregnante e dirimente osservazione del C.T.U. circa la natura artificiosa delle operazioni eseguite con tale compagine, posseduta e gestita dagli stessi COGNOME e Chinotti.
NOME COGNOME ed NOME COGNOME hanno proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il fallimento di RAGIONE_SOCIALE
Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte, ex art. 380bis .1 cod. proc. civ., sollecitando il rigetto del ricorso.
Parte controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2392, 2393 e 2394 cod. civ., 146 l. fall., 132, comma 2, n. 4, 806 e 819ter cod. proc. civ., 3, 24, 25 e 111 Cost.: il curatore fallimentare ha esercitato l’azione di cui all’art 146 l. fall. cumulando le due diverse azioni di responsabilità sociale (art. 2392 cod. civ.) e verso i creditori (art. 2394 cod. civ.), le quali, tuttavia, si mantenevano distinte nei presupposti e nella disciplina processuale e sostanziale, sicché l’azione di responsabilità esercitata a tutela del patrimonio sociale
restava assoggettata alla clausola compromissoria prevista nello statuto sociale all’art. 23.
La Corte distrettuale, pur avendo riconosciuto che le azioni proposte cumulativamente dal curatore erano due, ha ritenuto che la clausola compromissoria relativa all’azione sociale di responsabilità non fosse opponibile al curatore fallimentare, benché questi avesse agito quale successore nell’azione contrattuale e non come terzo.
Occorreva invece riconoscere -sostengono i ricorrenti che l’azione esperita dal fallimento per fare valere l’inadempimento di obblighi sociali era devoluta al collegio arbitrale dall’art. 23 dello statuto di RAGIONE_SOCIALE cosicché il Tribunale di Torino era incompetente a prendere in esame la stessa.
L’asserita connotazione unitaria e inscindibile dell’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l. fall. crea -in tesi di parte ricorrente -un ‘ irragionevole ed evidente disparità di trattamento tra situazioni equiparabili, con lesione sia del diritto al giudice naturale arbitrale, sia del diritto alla difesa.
5. Il motivo non è fondato.
L’azione di responsabilità, esercitata dal curatore ai sensi dell’art. 146, comma 2, l. fall., cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2392-2393 cod. civ. e dall’art. 2394 cod. civ. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, tant’è che il curatore può, anche separatamente, formulare domande risarcitorie tanto con riferimento ai presupposti dell’azione sociale, che ha natura contrattuale, quanto con riguardo a quelli della responsabilità verso i creditori, che ha natura extracontrattuale; queste azioni non perdono la loro originaria identità giuridica, rimanendo tra loro distinte sia nei presupposti di fatto, che nella disciplina applicabile, differenti essendo la distribuzione dell’onere della prova, i criteri di determinazione dei danni risarcibili ed il regime di decorrenza del termine di prescrizione (Cass. 24715/2015; nello stesso senso Cass. 23452/2019, Cass. 19340/2016).
Secondo il costante orientamento di questa Corte, in caso di fallimento di una società la clausola compromissoria contenuta nel suo statuto non è applicabile all’azione di responsabilità proposta dal curatore nei confronti degli amministratori ai sensi dell’art. 146 l. fall. Questa inapplicabilità trova giustificazione -come ha opportunamente ricordato la Corte di merito – nel contenuto unitario e inscindibile di questa azione, quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale previsto a garanzia sia dei soci che dei creditori sociali, nel quale confluiscono, con connotati di autonomia e con la modifica della legittimazione attiva, sia l’azione prevista dall’art. 2393 cod. civ. che quella di cui all’art. 2394 cod. civ., in riferimento alla quale la clausola compromissoria non può operare per il semplice fatto che i creditori sono terzi rispetto alla società (cfr. Cass. 34819/2023, Cass. 15830/2020, Cass. 23452/2019, Cass. 28533/2018, Cass. 19308/2014).
Nel caso di specie non è in contestazione che l’azione di responsabilità esercitata dal curatore del fallimento ai sensi dell’art. 146 l. fall. fosse il frutto della confluenza in un unico rimedio delle due diverse azioni di cui agli artt. 2393 e 2394 cod. civ., come è stato evidenziato dalla Corte distrettuale.
Una simile azione, compendiando in sé l’azione sociale e quella dei creditori sociali, faceva sì che la clausola compromissoria contenuta nello statuto fosse inopponibile al curatore fallimentare, stante il suo carattere unitario ed inscindibile.
6. Il secondo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2392, 2393 e 2394 cod. civ., 132, comma 2, n. 4, 112, 115, 116, 168 e 169 cod. proc. civ., 111 Cost., 72, 73, 74, 75, 76 e 77 disp. att. cod. proc. civ.: la decisione impugnata -assumono i ricorrenti – è errata nella parte in cui ha rigettato l’eccezione di prescrizione, giacché dalla documentazione utilizzata dal C.T.U. era emerso che sin dal 2008 2010 la situazione economica e finanziaria della società era in perdita,
cosicché chiunque, al pari del consulente d’ufficio, si sarebbe potuto rendere conto della perdita del capitale sociale e della insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti sociali, momento da cui decorreva il termine di prescrizione quinquennale dell’a zione.
Una simile eccezione era stata sollevata mediante il richiamo specifico alla relazione del C.T.U. e ai documenti alla stessa allegati ed è stata decisa dalla Corte distrettuale senza acquisire gli atti richiamati dai ricorrenti e comprovanti che la perdita di esercizio risaliva a tale epoca.
7. Il motivo è inammissibile.
La Corte distrettuale non ha preso in esame nel merito la doglianza sollevata con il secondo motivo di appello, ritenendo che la stessa non fosse supportata da ‘ pertinenti e specifici rilievi ‘ in ordine all’individuazione degli atti allegati alla C.T.U. che avrebbero giustificato la retrodatazione del momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti. A fronte di queste osservazioni gli odierni ricorrenti, prima di sostenere che il giudice d’appello aveva il dovere di esaminare i documenti ritualmente prodotti in primo grado, erano tenuti a confutare in maniera appropriata l’assunto secondo cui la parte appellante non aveva fatto una specifica istanza a tal proposito nei propri scritti difensivi.
Il motivo in esame, al contrario, pecca della medesima genericità che già è stata rilevata dalla Corte di merito, atteso che si limita a rappresentare l’avvenuto ‘ richiamo specifico alla relazione di CTU e ai relativi allegati alla stessa ‘ (v. pag. 14 del ricorso), senza però dare conto di come tale richiamo fosse avvenuto, delle ragioni per cui lo stesso potesse essere qualificato come specifico, della natura dei documenti che non erano stati esaminati e del loro contenuto rilevante.
Una simile censura, all’evidenza, non è coerente con l’attuale disposto dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., che impone che il ricorso
per cassazione non solo contenga la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il motivo si fonda, ma illustri anche il contenuto rilevante degli stessi.
8. Il terzo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1218, 1227, 2043, 1223, 2056, 2392, 2393 e 2394 cod. civ. e 146 l. fall., assume l’insussistenza delle condizioni e dei presupposti per la configurabilità dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori e si duol e dell’omissione sia dell’allegazione di fatti specifici di responsabilità e di un particolare danno conseguente, sia di una quantificazione puntuale di questo pregiudizio.
Il fallimento aveva attribuito ai convenuti un danno che in realtà non era a loro ascrivibile e doveva essere imputato in gran parte, ai sensi dell’art. 1227 cod. civ., alla stessa parte attrice, la quale si era astenuta dal promuovere azioni revocatorie nei confronti delle banche e di RAGIONE_SOCIALE, azioni nei confronti delle banche per abusiva concessione del credito e comunque per l’applicazione di interessi illegittimi (anatocistici, usurari, ultralegali), che avevano fatto aumentare enormemente il disavanzo patrimoniale della società, ed azioni di recupero dei crediti.
La Corte di merito non ha considerato che tutti i trattori regolarmente venduti alla società bulgara RAGIONE_SOCIALE erano stati sequestrati in sede penale e già restituiti al fallimento, con il conseguente venir meno del danno indicato dal C.T.U. a questo proposito.
La motivazione della sentenza impugnata, inoltre, è -in tesi palesemente contraddittoria, illogica ed inidonea a suffragare la decisione, dato che in realtà i crediti verso RAGIONE_SOCIALE non erano inesistenti ed erano frutto di operazioni reali e non fittizie.
9. Il motivo è inammissibile.
Esso, infatti, ripropone in questa sede i vari profili di contestazione già sollevati con il terzo motivo di appello, senza prendere in
considerazione gli argomenti illustrati dalla Corte di merito per rigettare tale censura e sollecitando, nella sostanza, questa Corte a rinnovare gli accertamenti svolti all’interno della decisione impugnata. Una simile sollecitazione contravviene al principio secondo cui nel ricorso per cassazione la parte non può limitarsi alla mera riproposizione delle tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, operando così una mera contrapposizione del suo giudizio e della sua valutazione a quella espressa dalla sentenza impugnata (Cass. 22478/2018, Cass. 11098/2000) senza considerare le ragioni offerte da quest’ultima.
Peraltro, risulta più che evidente come il motivo non adduca alcuna criticità in punto di diritto in capo alla decisione impugnata, ma sia espressione di un mero dissenso rispetto a una serie di apprezzamenti di fatto che, essendo frutto di una determinazione discrezionale del giudice di merito, non sono sindacabili da questa Corte.
A questo proposito è sufficiente ribadire come risulti inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (v. Cass. 5987/2021, Cass., Sez. U., 34476/2019, Cass. 29404/2017, Cass. 19547/2017, Cass. 16056/2016).
10. Il quarto motivo di ricorso denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 61, 112, 191, 194, 115, 116, 132, comma 2, n. 4, 345 e 356, cod. proc. civ. e 111, comma 6, Cost., in quanto la Corte distrettuale non ha esaminato e deciso il quarto motivo di appello, con cui era stata contestata la sentenza del primo giudice nella parte in cui aveva rigettato le contestazioni sollevate dagli appellanti in ordine alla nullità della consulenza tecnica espletata.
11. Il motivo non è fondato.
La Corte distrettuale, dopo aver respinto l’eccezione di compromesso e di prescrizione, si è pronunciata in via generale sulle residue parti del gravame, dopo aver espressamente registrato (a pag. 4 della sentenza impugnata) che gli appellanti avevano censurato la decisione del primo giudice ‘ nella parte in cui ritiene valida e non nulla la CTU integrativa del petitum e della causa petendi e con la quale si è colmato l’onere di allegazione e di prova che incombeva in capo al Fallimento RAGIONE_SOCIALE ‘.
Il rigetto dell’impugnazione nel complesso di una valutazione unitaria induce a ritenere che anche tale censura, di cui i giudici distrettuali non per niente hanno dato atto, sia stata decisa e motivata nell’ambito di un approccio d’insieme alla globalità delle residue doglianze proposte dagli appellanti.
Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 8.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma in data 10 luglio 2025.