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Responsabilità amministratori e prestiti infragruppo

Una società ha citato in giudizio il suo ex amministratore di diritto e due presunti amministratori di fatto, chiedendo il risarcimento per atti di mala gestio, in particolare per cospicui finanziamenti concessi ad altre società del gruppo. La Corte d’Appello ha respinto la richiesta, confermando la sentenza di primo grado. Secondo i giudici, la responsabilità amministratori per prestiti infragruppo sorge solo se si prova che, al momento dell’erogazione, l’amministratore era consapevole dell’impossibilità di restituzione da parte della società beneficiaria. La semplice appartenenza al gruppo giustifica tali operazioni in un’ottica di sinergia. Inoltre, la Corte ha ritenuto non provata la qualifica di amministratori di fatto dei due consulenti, le cui attività rientravano nei limiti del loro incarico professionale.

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Responsabilità Amministratori: I Finanziamenti Infragruppo non sono Sempre Mala Gestio

La gestione di una società all’interno di un gruppo imprenditoriale presenta complessità uniche, specialmente per quanto riguarda i flussi finanziari tra le varie entità. Una recente sentenza della Corte d’Appello di Roma offre importanti chiarimenti sulla responsabilità amministratori in relazione ai cosiddetti finanziamenti infragruppo, stabilendo che tali operazioni non costituiscono automaticamente un atto di mala gestio. Analizziamo in dettaglio questa decisione per comprendere i confini della diligenza richiesta agli organi gestori.

I Fatti di Causa

Una società avviava un’azione di responsabilità contro il suo ex amministratore unico e due consulenti, accusati di aver agito come amministratori di fatto. L’accusa principale verteva su una serie di atti di presunta mala gestio, tra cui l’erogazione di ingenti finanziamenti a favore di altre società facenti parte dello stesso gruppo (la controllante e altre società ‘sorelle’). Secondo la società attrice, queste operazioni avevano depauperato il patrimonio sociale e configuravano una grave negligenza gestoria, meritevole di risarcimento.

Il Tribunale di primo grado aveva rigettato la domanda, e la società aveva quindi proposto appello, insistendo sulla natura distrattiva dei finanziamenti e sulla qualifica di amministratori di fatto dei due consulenti coinvolti.

La Responsabilità degli Amministratori secondo la Corte d’Appello

La Corte d’Appello ha confermato integralmente la decisione di primo grado, rigettando l’appello. La sentenza si fonda su due pilastri argomentativi principali: la legittimità dei finanziamenti nell’ottica di gruppo e l’insussistenza della prova della qualifica di amministratori di fatto.

Finanziamenti Infragruppo e Logica di Gruppo

Il punto centrale della decisione riguarda la natura dei finanziamenti infragruppo. La Corte chiarisce che l’effettuazione di prestiti a società dello stesso gruppo non è, di per sé, una condotta contraria ai doveri dell’amministratore. Tali operazioni, infatti, non sono rivolte a terzi estranei, ma si inseriscono in una logica di “interesse di gruppo”, finalizzata a creare sinergie e a far fronte in modo condiviso alle dinamiche di mercato.

Perché possa configurarsi una responsabilità degli amministratori, la società che agisce in giudizio ha l’onere di provare che l’operazione era illecita ex ante, ovvero al momento in cui è stata deliberata. Non è sufficiente dimostrare, ex post, che il finanziamento non è stato restituito. La società attrice avrebbe dovuto allegare e provare che l’amministratore, al momento della concessione del prestito, fosse consapevole (o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza) dell’impossibilità di restituzione da parte della società beneficiaria, ad esempio a causa di una già palese condizione di insolvenza. In assenza di tale prova, l’operazione viene considerata legittima nell’ambito della strategia di gruppo.

L’Amministratore di Fatto: La Prova di un Potere Gestorio Effettivo

Un’altra questione cruciale affrontata dalla Corte è la figura dell’amministratore di fatto. La società appellante sosteneva che due consulenti esterni avessero esercitato poteri gestori, influenzando le decisioni strategiche e operative. Tuttavia, i giudici hanno ritenuto le prove insufficienti.

La Corte ha specificato che per attribuire la qualifica di amministratore di fatto è necessario dimostrare un esercizio continuativo e significativo dei poteri tipici della funzione, come l’autonomia decisionale, la programmazione strategica e l’emanazione di direttive. Nel caso di specie, le attività svolte dai consulenti (gestione della contabilità, rapporti con le banche, gestione del personale) sono state considerate coerenti con il loro incarico professionale e non indicative di un inserimento organico nella gestione societaria con poteri decisionali autonomi. Anzi, le prove documentali (scambi di email) dimostravano che l’amministratore di diritto non aveva affatto abdicato ai propri poteri, ma si avvaleva del supporto di consulenti per lo svolgimento delle sue funzioni.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte d’Appello si concentrano sull’onere della prova e sulla distinzione tra valutazione ex ante ed ex post della condotta gestoria. I giudici sottolineano che la valutazione dell’operato di un amministratore deve essere effettuata sulla base degli elementi a sua conoscenza al momento della decisione. Il successivo fallimento di un’operazione, come il mancato rientro di un finanziamento, non è di per sé prova di mala gestio, se la decisione iniziale era ragionevole nel contesto di una strategia di gruppo.

Inoltre, la Corte ribadisce che la qualifica di amministratore di fatto non può essere presunta, ma deve essere rigorosamente provata attraverso elementi sintomatici di un inserimento organico e continuativo del soggetto nelle funzioni direttive. L’esercizio di attività di consulenza, anche se ampie e delicate, non è sufficiente a configurare tale ruolo se non è accompagnato da un potere decisionale autonomo e dall’assunzione di responsabilità gestionali tipiche dell’organo amministrativo.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante riferimento in materia di responsabilità degli amministratori nei gruppi di società. Le conclusioni che possiamo trarre sono le seguenti:
1. I finanziamenti infragruppo sono, in linea di principio, operazioni lecite, giustificate dall’esistenza di un interesse di gruppo a perseguire sinergie operative e finanziarie.
2. La responsabilità di un amministratore per tali finanziamenti sorge solo se viene provato che egli ha agito in conflitto di interessi o con la consapevolezza, al momento dell’erogazione, che la società beneficiaria non sarebbe stata in grado di restituire le somme.
3. La prova della qualifica di amministratore di fatto richiede la dimostrazione di un esercizio effettivo, continuativo e autonomo di poteri gestionali, non essendo sufficiente lo svolgimento di importanti incarichi di consulenza.

Un finanziamento concesso a un’altra società dello stesso gruppo costituisce automaticamente un atto di mala gestio?
No. Secondo la sentenza, l’effettuazione di finanziamenti infragruppo non integra di per sé una condotta contraria ai doveri dell’amministratore, in quanto si inserisce nella legittima logica del perseguimento di un interesse di gruppo e di sinergie condivise.

Cosa deve provare una società per dimostrare la responsabilità degli amministratori per un finanziamento infragruppo non restituito?
La società deve provare che, al momento della concessione del finanziamento (valutazione ex ante), l’amministratore era consapevole o avrebbe dovuto esserlo dell’impossibilità di restituzione da parte della società beneficiaria. La mera mancata restituzione del prestito (valutazione ex post) non è sufficiente a provare la mala gestio.

Quali elementi sono necessari per qualificare una persona come ‘amministratore di fatto’?
È necessario provare l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici della funzione amministrativa, come l’autonomia decisionale, la programmazione, il controllo e l’emanazione di direttive. L’esercizio di attività di consulenza, anche se rilevanti, non è sufficiente se non è accompagnato da un effettivo potere gestorio e da un inserimento organico nelle funzioni direttive della società.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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