SENTENZA CORTE DI APPELLO DI ROMA N. 4792 2025 – N. R.G. 00006402 2022 DEPOSITO MINUTA 07 08 2025 PUBBLICAZIONE 07 08 2025
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE D’APPELLO DI ROMA
SEZIONE SECONDA CIVILE
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA
così composta:
NOME COGNOME de RAGIONE_SOCIALE
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere rel.
riunita in camera di consiglio ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile in grado d’appello iscritta al n. 6402 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2022, trattenuta in decisione all’udienza del giorno 14.4.2025
tra
(cod.
fisc.:
), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso INDIRIZZO
lo studio dell’avv. NOME COGNOMEcod. fisc.:
, che
la rappresenta e difende unitamente all’avv. NOME COGNOME (cod. fisc.:
per procura alle liti in calce all’atto di citazione intro-
duttivo del giudizio di primo grado;
-appellante-
e
(cod. fisc.: ), elettivamente do- miciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOMEcod. fisc.: , che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. NOME COGNOMEcod. fisc.: per procura alle liti in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello;
-appellato-
e
(cod. fisc.:
) E
(cod. fisc.:
), elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO
INDIRIZZO, presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME (cod. fisc.:
C.F.
), che li rappresenta e difende per procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta in appello; C.F.
-appellati-
OGGETTO: causa di responsabilità verso organi amministrativi e di controllo.
CONCLUSIONI DELLE PARTI
per in concordato preventivo: ‘Voglia l’Ecc.ma Corte d’Appello adita, contrariis rejectis:
IN VIA PRINCIPALE E NEL MERITO, accogliere, per i motivi tutti dedotti in narrativa, il proposto appello e, per l’effetto, riformare la sentenza n. 6119/2022, pubblicata il 22 aprile 2022, dal Tribunale di Roma, nel giudizio rubricato con il numero di R.G. 51665/2018: (i) nella parte di cui al ‘capo a’ sopra indicato, qui da intendersi integralmente richiamato e trascritto:
Accertando la responsabilità ex art. 2476 c.c. del Sig. in qualità di amministratore della dal 30/4/2009 al 08/09/2016, per gli atti di mala gestio contestati e compiuti dal momento della sua nomina ad amministratore sino all’08/09/2016;
(ii) nella parte di cui al ‘capo b’ sopra indicato, qui da intendersi integralmente richiamato e trascritto: a. Accertando il ruolo di amministratore di fatto di ricoperto dal Sig. dal 2012 al 3 giugno 2016 e conseguentemente accertare la responsabilità ex art. 2476 c.c., del Sig. in qualità di amministratore di fatto della per gli atti di mala gestio compiuti dal 1/1/2012 al 03/06/2016;
Accertando il ruolo di amministratrice di fatto di ricoperto dalla Sig.r dal 2012 al 3 giugno 2016 e conseguentemente accertare la responsabilità ex art. 2476 c.c., della Sig.ra in qualità di amministratrice di fatto della per gli atti di mala gestio compiuti dal 1/1/2012 al 03/06/2016.
Per l’effetto:
Condannare il Sig. al risarcimento del danno provocato dagli atti di mala gestio contestati dal giorno della sua nomina sino al 31/12/2011 pari ad euro 1.201.000,00 ovvero alla diversa, maggiore o minore somma, eventualmente accertata, se del caso anche in via equitativa, dal Giudice nel corso del processo, oltre interessi e rivalutazione.
Condannare i Sig.ri e in solido tra loro, al risarcimento del danno provocato dagli atti di mala gestio contestati dal 01/01/2012 al 08/09/2015 pari ad euro 1.926.596,40 ovvero alla diversa, maggiore o minore somma, eventualmente accertata, se del caso anche in via equitativa, dal Giudice nel corso del processo, oltre interessi e rivalutazione.
Condannare il Sig. e la Sig.ra in solido tra loro al risarcimento del danno provocato dagli atti di mala gestio contestati dal 08/09/2015 al 03/06/2016 pari di euro 144.200,00 ovvero alla diversa, maggiore o minore somma, eventualmente accertata, se del caso anche in via equitativa, dal Giudice nel corso del processo, oltre interessi e rivalutazione.
(iii) nella parte di cui al ‘capo c’ sopra indicato, qui da intendersi integralmente richiamato e trascritto, accertare e dichiarare la soccombenza dei Sig.ri
e con conseguente riforma della sentenza gravata in merito alla statuizione sulle spese di lite, e per l’effetto condannare le controparti al pagamento delle stesse in ossequio al principio di soccombenza.
IN INDIRIZZO nella denegata ipotesi di non configurabilità dell’amministrazione di fatto in capo alla Sig.ra comunque condannarla solidalmente con l’amministratore di fatto e con l’amministratore di diritto ai sensi dell’art. 2476 7° comma c.c. per gli atti di mala gestio compiuti dal 07/10/2015 al 03/06/2016 quale socia ingeritasi nella gestione dell’attrice.
IN VIA ISTRUTTORIA, qualora ritenuto necessario dalla Corte d’Appello ai fini del decidere, si insiste sull’ammissione Si insta affinché questa ill.ma Corte provveda all’ammissione delle istanze istruttorie tutte come formulate con la memoria ex art. 183, VI comma, n. 2, compresa la CTU tecnico contabile.
Con vittoria di spese e compensi ai sensi del D.M. n. 55/2014 e s.m.i., oltre spese generali (15%), IVA e C.P.A. come per legge.
per
‘Voglia l’Ill.ma Corte adita, contrariis rejectis
Nel merito
Rigettare l’appello proposto dalla
, in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la impugnata Sentenza n. 6119/2022, emessa dal Tribunale di Roma, XVI sezione, presidente Dott. NOME COGNOME giudice relatore Dott. NOME COGNOME con la Dott.ssa COGNOME COGNOME in quanto infondato in fatto ed in diritto per i motivi indicati nel presente atto e per l’effetto confermare la sentenza di primo grado;
In via istruttoria
Ove la Corte lo ritenga opportuno, si chiede l’ammissione dei mezzi istruttori così come articolati nella comparsa di costituzione del primo grado di giudizio e nelle memorie ex art. 183, comma 6, n. 2 e 3.
Con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa, nonché rimborso forfettario 15%, IVA e CPA del presente grado di giudizio, aumentate del 30% ai sensi dell’art. 4, comma 1 bis del D.M. 55/2014′;
per e ‘Voglia l’On.le Corte di Appello adita, contrariis reiectis, rigettare tutte le domande, anche istruttorie, formulate da controparte in quanto l’appello è inammissibile e/o comunque infondato e pretestuoso, anche nel merito, confermando la sentenza gravata, per le causali tutte di cui in narrativa.
Con condanna al pagamento delle spese, competenze ed onorari di causa, anche valutando il contegno di controparte ex art. 96 c.p.c.’.
FATTO E DIRITTO
Nella sentenza appellata lo svolgimento del processo di primo grado viene riassunto come segue (è opportuno – nel caso in esame – riportare integralmente tale parte della motivazione della sentenza appellata in quanto funzionale a una migliore comprensione di quanto si dirà di seguito con riguardo ai motivi di appello):
‘Con atto di citazione ritualmente notificato ai Sigg.ri e la premesso che:
essa attrice era stata costituita in data 06/11/2007 e disponeva di un capitale sociale pari ad € 119.000,00, così suddiviso:
– , società con sede in Roma, INDIRIZZO (a sua volta partecipata dal Sig. al 37,5%, dalla Sig.ra al 37,5% e dalla Sig.ra al 25%);
-10%;
-10%;
essa istante aveva ad oggetto: ‘la prestazione di assistenza tecnica, pratica e teorica nel settore informatico e multimediale; la commercializzazione, in proprio e per conto di terzi, di prodotti informatici; l’assistenza alle aziende, le ricerche di mercato, il marketing; la prestazione di servizi amministrativi, organizzativi, commerciali, tecnici e di marketing, …’;
alla data di costituzione e sino al 30/04/2009 essa esponente era stata amministrata da un organo monocratico nella persona del Sig.
successivamente, in data 30/04/2009, aveva assunto la carica di amministratore unico il Sig. sino all’08/09/2015, giorno delle sue dimissioni e della contestuale nomina del Dott. attuale amministratore unico;
durante il periodo di amministrazione del Sig. la compagine era stata di fatto co-gestita dal Sig. e dalla moglie Sig.ra socia di e della sua controllante ; Co
il Sig. aveva operato formalmente in qualità di consulente di essa attrice, ma in realtà rivestente il ruolo di socio occulto della compagine ed amministratore di fatto della stessa al pari della moglie la quale, oltre alla qualifica di socia, era responsabile dell’amministrazione contabile e del personale;
la Sig.ra si era occupata, sempre quale consulente, della contabilità aziendale e della gestione del personale;
al momento della nomina ad amministratore unico di essa attrice (avvenuta l’08/09/2015, contestualmente alle dimissioni del Sig. il Sig. si era impegnato in un iniziale screening aziendale al fine di comprendere le reali ragioni delle difficoltà finanziarie;
fra i primi provvedimenti assunti dal nuovo amministratore vi era stato quello di conferire un primo incarico allo studio dei commercialisti per una due diligence amministrativa e contabile;
dal momento in cui i coniugi erano venuti a conoscenza dell’incarico di due diligence avevano iniziato a dare vita ad una serie di condotte ostruzionistiche nei confronti di essa istante e dei professionisti da questa incaricati; in particolare la Sig.ra aveva:
cambiato ufficio trasferendosi in una stanza isolata ed inaccessibile agli altri dipendenti;
interrotto ogni rapporto con il resto del personale occupandosi esclusivamente della predisposizione dei bilanci e della gestione della contabilità;
osteggiato il trasferimento dei dati e delle informazioni necessarie ai consulenti per il corretto espletamento della loro attività;
il giorno 03/06/2016, nel corso di una riunione indetta dall’amministratore per la riorganizzazione dell’ufficio del personale, alla presenza della Sig.ra
e del Dott. la Sig.ra si era rifiutata di operare il passaggio delle consegne per quanto concernente la gestione del personale sostenendo la incompetenza del Dott. (consulente del lavoro) e della Sig.ra ; – i comportamenti mantenuti dalla Sig.ra e dal Sig. avevano convinto l’attuale amministratore ad allontanare prima la moglie (il 03/06/2016) e poi il marito dagli uffici di essa esponente in quanto il loro agire appariva contrario all’interesse sociale;
dal momento dell’allontanamento dei Sigg.ri e il Dott. aveva potuto occuparsi a pieno titolo dell’amministrazione di essa attrice tentando un rilancio dell’attività e, successivamente, accortosi della insostenibilità della situazione, aveva dato mandato ad un secondo pool di professionisti grazie ai quali aveva potuto far emergere le ragioni della crisi aziendale;
l’attività di questi consulenti aveva consentito di chiarire l’esistenza di numerose e gravi irregolarità imputabili all’ex-amministratore Sig. e/o ai coniugi
l’erogazione di finanziamenti ingiustificati a soggetti terzi – compresa la controllante RAGIONE_SOCIALE – per complessivi € 2.756.783,00 nel periodo compreso fra il 26/05/2019 ed il 31/05/2016, di cui € 140.764,00 versati al Sig. COGNOME all’epoca amministratore di essa istante;
i pagamenti in favore di RAGIONE_SOCIALE (partecipata ed amministrata dai Sig.ri e nel corso degli anni precedenti (dal 2012 al 2015) per complessivi € 165.182,00 per asserita attività di consulenza delle quali non si rinveniva traccia nella documentazione aziendale;
la modifica – da parte della Sig.ra – della fattura n° 5/2015 dopo che alla stessa era stato inibito l’accesso alla sede aziendale e quindi anche al sistema gestionale;
in data 05/06/2016 si era ravvisata la modifica della suddetta fattura da parte dell’utente ‘ (evidentemente con accesso da remoto), fattura che poi insieme ad altre parimenti inserite dalla Sig.ra pur in assenza di qualsivoglia attività svolta o da svolgere in favore di era stata azionata in sede monitoria da DMN; Co
lo stato di crisi era stato palesato e reso noto ai soci durante l’assemblea del 26 giugno 2018, nel corso della quale essa esponente aveva deliberato, con le maggioranze previste dall’art. 21 dello statuto sociale, la azione di responsabilità nei confronti dei Sigg.ri e ;
tanto esposto chiedeva accertarsi la responsabilità del Sig. quale amministratore di diritto per l’attività svolta sino all’08/09/2015 e dei Sigg.ri Rafe dall’01/01/2012 al 03/06/2016 quali amministratori di fatto; per l’effetto chiedeva condannarsi il Sig. al risarcimento dei danni per l’attività svolta a decorrere dal 31/12/2011 in misura pari ad € 1.201.000,00; chiedeva in ogni caso condannarsi tutti i convenuti, in solido fra loro, al risarcimento dei danni per l’attività di mala gestio dall’01/01/2012
all’08/09/2015 per l’importo pari ad € 1.926.596,40; chiedeva da ultimo condannarsi i Sigg.ri e al risarcimento degli ulteriori danni pari ad € 144.200,00 per l’attività di mala gestio svolta dall’08/09/2015 sino al 03/06/2016.
Si costituiva il Sig. il quale, con comparsa di risposta, eccepiva che le compagini beneficiarie dei finanziamenti erano la società controllante ( o le società consorelle della stessa in quanto controllate o comunque collegate alle stessa; tali investimenti avevano consentito alle società del gruppo di acquisire immobili (nel caso di RAGIONE_SOCIALE) e di avviare attività redditizie nel settore della ristorazione (come nel caso di RAGIONE_SOCIALE) ovvero di far fronte a crisi di liquidità.
In ogni caso l’attività connessa strumentalmente all’oggetto sociale era di natura finanziaria non potendo, per l’effetto, essere censurato lo svolgimento di attività non esulante dalle finalità societarie.
Non sussisteva, del pari, alcun profilo di inadempimento in relazione all’arco temporale di attività gestoria (2009-2015); comunque gli investimenti infra-gruppo avevano sempre rappresentato la politica aziendale ed erano stati sempre conosciuti e condivisi da tutti i soci i quali non avevano mai contestato alcunché, non essendo mai stati impugnati i bilanci di esercizio.
Si costituivano i Sigg.ri e i quali, con comparsa di risposta, eccepivano di aver operato quali lavoratori dipendenti e non già nella veste di amministratori di fatto della semmai era il Sig. il quale era stato amministratore di fatto della società sin dalla costituzione, ad avere svolto attività di natura gestoria; del pari il predetto, nell’arco temporale contestato (08/09/2015- 03/06/2016), era stato legale rappresentante pro-tempore della
A tutto voler concedere non era stata fornita prova di condotte di inadempimento, fonte di danno di natura patrimoniale’.
La causa è stata istruita a mezzo deposito di copiosa documentazione, soprattutto da parte appellante, mentre il giudice istruttore ha rigettato le istanze istruttorie delle parti.
Con sentenza n. 6119/2022 del 20.4.2022 il Tribunale di Roma – Sezione Specializzata in Materia di Impresa ha così statuito: ‘Respinge la domanda.
Condanna la società attrice a rifondere in favore del Sig. le spese del presente giudizio che si liquidano nell’importo complessivo di € 24.637,50 oltre rimborso forfettario spese generali 15% compenso, C.P.A. ed I.V.A. come per legge.
Condanna la società attrice a rifondere in favore dei Sigg.r e
, in solido fra loro, le spese del presente giudizio che si
liquidano nell’importo complessivo di € 24.637,50 oltre rimborso forfettario spese generali 15%, C.P.A. ed I.V.A. come per legge’.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto tempestivamente appello la in concordato preventivo (d’ora innanzi, soltanto , che ha svolto le censure riportate di seguito e ha concluso come in epigrafe.
Si sono costituiti nel presente grado di giudizio, con separate comparse di costituzione e risposta ed assistiti da distinti difensori, sia
sia e che hanno contestato la fondatezza delle censure svolte dall’appellante e hanno concluso, come in epigrafe, per il rigetto dell’impugnazione.
Con il primo motivo di appello si censura la sentenza di primo grado nella parte in cui ha escluso ‘la responsabilità dell’amministratore di diritto (e di conseguenza nemmeno per quelli di fatto) per il compimento di atti di mala gestio, tra i quali (…) finanziamenti estranei all’oggetto sociale e/o imperitamente disposti nel corso del tempo’.
Il motivo non è fondato.
2.1. Parte appellante censura la sentenza emessa dalla Sezione Specializzata in Materia di Impresa del Tribunale di Roma, in primo luogo, laddove ha ritenuto che i finanziamenti indicati dalla nell’introdurre il giudizio rientrassero nell’oggetto sociale, deducendo che ‘i finanziamenti contestati dalla Società alle controparti non possono, in alcun modo, essere ricompresi all’interno della previsione statutaria indicata posto che gli stessi sono privi della natura ‘strettamente strumentale al conseguimento dell’oggetto sociale’ richiesta dallo statuto e posto che la gran parte dei finanziamenti è stata rivolta in favore di soggetti i quali, rispetto all’oggetto sociale sopra riportato, non avevano nulla a che fare (i.e. RAGIONE_SOCIALE era società attiva nel settore della ristorazione, al pari di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE era, per l’appunto, una azienda agricola)’.
Di contro, i finanziamenti effettuati alla società controllata (finanziamenti c.d. upstream) e ad altre società da questa controllate (finanziamenti c.d. crosstream), quindi tutti a società dello stesso gruppo, non richiedono di espressa previsione nell’oggetto sociale, il quale dovrebbe dunque annoverare anche le attività finanziarie, come mostra di ritenere parte appellante (e,
invero, anche il giudice di prime cure). Infatti, i finanziamenti infragruppo non rientrano nell’attività rivolta propriamente a soggetti terzi, la quale deve invece rientrare nell’ambito dell’oggetto sociale, e hanno peraltro un’espressa disciplina codicistica, quanto al rimborso degli stessi, nell’art. 2497-quinquies c.c.
Al riguardo, a conferma di quanto sopra ritenuto, si può richiamare l’art. 3, co. 2, del d.m. 2.4.2015, n. 53 stabilisce che non configurano operatività nei confronti del pubblico le attività finanziarie esercitate esclusivamente all’interno del gruppo di appartenenza. L’art. 8, co. 1, della Delibera C.I.C.R. n. 1058/2005 amplia ulteriormente questa possibilità, permettendo la raccolta di risparmio tra società controllanti, controllate o collegate ai sensi dell’art. 2359 c.c., consentendo così anche i finanziamenti tra società c.d. ‘consorelle’, ovvero controllate dalla stessa capogruppo, anche in assenza di partecipazioni dirette tra loro, quali alcuni di quelli effettuati dalla e imputati quali atti di mala gestio all’organo amministrativo della
stessa.
In altri termini, l’effettuazione di finanziamenti a società del gruppo, che pure operano in settori diversi da quelli in cui opera e potrebbe operare, in base all’oggetto sociale, la società mutuante, non costituisce esercizio dell’attività sociale in settori estranei all’oggetto sociale, come invece deduce parte appellante. Non è allora pertinente, nel caso in esame, il richiamo alla giurisprudenza di legittimità che statuisce come gli amministratori ‘non possono perseguire l’interesse della società (lo scopo di lucro) operando indifferentemente in qualsiasi settore economico, ma devono rispettare la scelta fatta nell’atto costitutivo dai soci, che hanno indicato una specifica attività (o più specifiche attività), nella quale soltanto hanno inteso rischiare il capitale investito’ (così Cass. civ., Sez. I, 21.11.2002, n. 16416).
2.2. Parte appellante censura la decisione del giudice di prime cure anche laddove ha ritenuto che non sono qualificabili come attività contrarie ai doveri degli amministratori i ‘plurimi finanziamenti in favore di società in regime di controllo o di collegamento facenti parte della pluralità delle articolazioni costituenti il gruppo di impresa o, comunque, di aggregazione di compagini avendo la società attrice interesse ad attivare sinergie al fine di far fronte in forma condivisa alle logiche di mercato’. In particolare, la
deduce che ‘Tale motivazione risulta infondata e non supportata da alcuna evidenza in quanto nessuna delle controparti interessate ha mai eccepito, provato né tanto meno accennato nei propri scritti difensivi a ‘sinergie’ che potessero giustificare le operazioni contestate’.
Ancora una volta, parte appellante cade nell’equivoco di voler delimitare l’ambito delle possibili sinergie perseguite con i finanziamenti in questione sulla base dell’oggetto sociale della società mutuante in relazione a quello delle società finanziate, deducendo così come ‘Non si comprende davvero da quali elementi il Tribunale abbia potuto ricavare l’esistenza di sinergie tra una società, l’attrice, attiva nel settore dell’information technology e le beneficiarie dei finanziamenti attive in settori del tutto diversi tra i quali, come già ampiamente dimostrato, la ristorazione, l’agricoltura e la comunicazione’. Di contro, e come si è detto sopra, le sinergie devono essere ravvisate nell’appartenenza tanto della società finanziante quanto delle finanziate allo stesso gruppo, non potendosi e dovendosi ricondurre i finanziamenti infragruppo ad attività rientranti nell’oggetto sociale, non essendo rivolte nei confronti del ‘pubblico’.
Quanto, poi, al perseguimento, con i finanziamenti in questione, di ‘condivise logiche di mercato’, di queste non è richiesta – a differenza di quanto deduce parte appellante – una prova da parte degli odierni appellati, e ciò per due ordini di ragioni. In primo luogo, perché è la stessa società odierna appellante ad avere allegato, nell’introdurre il giudizio di primo grado, la circostanza per cui i finanziamenti, imputati quali condotte di mala gestio all’amministratore di diritto (e ai ritenuti amministratori di fatto), fossero stati effettuati esclusivamente a società dello stesso gruppo.
In secondo luogo, se è vero che l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori di società ha natura contrattuale, spettando dunque a tali convenuti di provare di avere adempiuti ai propri doveri diligentemente (cfr. Cass. civ., Sez. I, ord. 7.2.2020, n. 2975; Cass. civ., Sez. I, 11.11.2010, n. 22911; Cass. civ., Sez. I, 31.8.2016, n. 17441), è anche vero che è onere della parte attrice allegare gli elementi costitutivi della domanda proposta, e quindi indicare quali siano state le condotte illecite poste in essere dall’organo gestorio. In particolare, era onere della allegare che i finanziamenti effettuati alla capogruppo e ad altre società dello stesso
gruppo – circostanza allegata da parte attrice, si ripete – dall’amministratore soci dovevano considerarsi, valutati al momento dell’erogazione degli stessi, come atti di mala gestio.
2.3. Nell’ambito del primo motivo di appello si censura, quindi, la valutazione operata dal giudice di primo grado per cui non può considerarsi inadempiente, e quindi fonte di danno per la società, la condotta dell’amministratore di diritto (come anche di quelli che sono stati indicati come amministratori di fatto) in quanto i finanziamenti effettuati in favore di terzi non possono essere considerati depauperatavi del patrimonio sociale, essendo gli stessi operati ‘in favore di compagini rientranti nella sfera di interesse della Società’ e dovendo valutarsi ‘in un’ottica non meramente individualistica, ma di valutazione dell’interesse oggettivo dell’impresa’. E, in particolare, la deduce che ‘diversamente da quanto ritenuto dal Giudice di prime cure, (…) sebbene tutte le società beneficiarie dei finanziamenti fossero legate, a vario titolo da vincoli partecipativi, contrattuali o, in alcuni casi, personali, nel caso qui sotteso alcun ‘gruppo’ può dirsi configurato’.
Nello svolgere tale censura, tuttavia, parte appellante non esclude che la società appellante e le società finanziate fossero parte dello stesso gruppo societario (circostanza, peraltro, allegata dalla stessa società originaria attrice), come sembrerebbe da quanto sopra riportato. Piuttosto, la
deduce ‘l’inesistenza di un concetto di ‘gruppo’ e/o di un interesse imprenditoriale di ‘gruppo’ idoneo a legittimare il sacrificio dell’interesse della singola società’. Segnatamente, l’appellante deduce come ‘la decisione degli amministratori di erogare finanziamenti a favore di società ‘collegate’ trova un limite necessario sia nella capacità finanziaria della finanziatrice sia nel suo obbligo di perseguire una corretta gestione societaria, in quanto l’esistenza di un gruppo non modifica la responsabilità degli amministratori, i quali hanno comunque il dovere di perseguire prioritariamente l’interesse della società alla cui gestione sono preposti (cfr. Cass. Civ. 24 agosto 2004, n. 16707; Cass. Civ. 11 dicembre 2006, n. 26325)’.
La decisione assunta dalla Sezione Specializzata in Materia di Impresa del Tribunale di Roma, tuttavia, non si pone in contrasto con tale affermazione.
Quello che si deve escludere, nel caso in esame, è semmai che non si possa ritenere come non conforme all’interesse della società mutuante
l’effettuazione dei finanziamenti da parte di (e, quindi, anche di e qualora fossero ritenuti amministratori di fatto della società), se si ha riguardo al momento in cui sono stati effettuati.
2.4. Del resto, parte appellante non ha dedotto, nell’introdurre il giudizio di primo grado (e neanche deduce nel proporre appello) che i finanziamenti in questione siano stati concessi dall’amministratore (di diritto e da quelli di fatto) in conflitto di interessi con la società, ma piuttosto che detti finanziamenti integrerebbero atti di mala gestio a prescindere. Di contro, l’effettuazione di finanziamenti infragruppo non integra, di per sé, una condotta contraria ai doveri dell’amministratore e contraria agli interessi della società.
È necessario riguardare gli atti ‘censurati’ al momento in cui sono stati compiuti, e quindi valutare tutti gli elementi che erano a conoscenza (o potevano essere a conoscenza) dell’organo gestorio in quel momento. Non è invece possibile ritenere gli stessi contrari all’interesse della società ex post, vale a dire in considerazione del mancato rimborso dei finanziamenti in questione da parte delle società finanziate. Nel caso in esame, invece, la
non ha dedotto, e non deduce, che l’amministratore di diritto,
ovvero quelli (ritenuti) di fatto, e abbiano concesso finanziamenti a società facenti parte dello stesso gruppo nella consapevolezza – anche per essere amministratori o soci delle stesse dell’impossibilità da parte di queste di provvedere alla restituzione, e tanto meno tale circostanza risulta comunque dagli atti di causa.
Soltanto nel proporre appello la deduce che ‘le società beneficiarie erano, esse stesse, in condizione di difficoltà economica e finanziaria tanto da impedirne qualsiasi azione di recupero che potesse avere una qualche concreta utilità’ (così pagg. 14 e 15 atto di citazione in appello). La circostanza in questione – di cui, dunque, parte appellante percepisce chiaramente l’astratta rilevanza al fine di configurare la dedotta responsabilità dell’organo gestorio – è stata tardivamente allegata soltanto nell’introdurre l’impugnazione in esame, e non anche nel giudizio di primo grado.
Piuttosto, con l’atto introduttivo del giudizio innanzi alla Sezione Specializzata in Materia di Impresa del Tribunale di Roma l’odierna appellante ha dedotto come i finanziamenti dovessero ritenersi ‘depauperativi del patrimonio sociale’ in quanto ‘appaiono privi di qualsiasi giustificazione o prospettiva
reddituale’, nonché in quanto gli amministratori non si avevano previsto, in sede di erogazione, ‘il rientro degli importi erogati’ e, soprattutto, ‘del tutto prive di un reale vantaggio economico per la società’ in quanto si trattava di ‘finanziamenti infruttiferi’.
Al riguardo, la mancata previsione di una scadenza dell’obbligazione di restituzione di tali finanziamenti – che pure doveva essere opportunamente indicata, ma come in ogni tipo di finanziamento – rende, invero, il credito della nei confronti della controllante e delle società c.d. consorelle immediatamente esigibile. In altri termini, la mancanza di una scadenza ridonda invero a danno dei soggetti finanziati, diversamente da quanto intende rappresentare parte appellante.
La circostanza per cui quelli imputati all’organo gestorio costituiscono finanziamenti infruttiferi, poi, non assume rilevanza al fine di ritenere gli stessi contrari all’interesse sociale, trattandosi – come si è detto – di finanziamenti infragruppo. Anzi, nella prassi è assai frequente che tale tipologia di finanziamenti possa essere tale, ciò ponendo semmai problemi di carattere fiscale (cfr., tra molte, Cass. civ., Sez. V, 8.2.2025, n. 3223; Cass. civ., Sez. V, ord. 20.5.2021, n. 13850), e segnatamente la necessità per il contribuente (il soggetto finanziatore) di giustificare l’aderenza del tasso di interesse applicato a quello di mercato e che la natura infruttifera del finanziamento sia dipesa da ‘ragioni commerciali’ interne al gruppo.
2.5. Al contempo, la dedotta esistenza di un rapporto di gruppo esclude che vi fosse un onere in capo all’organo gestorio convenuto di provare ‘quali fossero i vantaggi compensativi di cui l’odierna Appellante poteva beneficiare’. Anche questi devono essere riguardati ex ante, vale a dire al momento dell’effettuazione dei finanziamenti alle altre società del gruppo (e – come si è detto – proprio in ragione del vincolo in questione), sicché la loro insussistenza non può essere valutata ex post in ragione del mancato adempimento da parte delle società all’obbligazione di restituzione.
Piuttosto, sarebbe stato onere della allegare, ancora prima che provare, per quale ragione, malgrado la sussistenza di un vincolo di gruppo, i finanziamenti imputati all’organo gestorio quali condotte di mala gestio non fossero volti a perseguire quello che il giudice di primo grado ha
definito come un ‘interesse ad attivare sinergie al fine di far fronte in forma condivisa alle logiche di mercato’.
Non è pertinente il richiamo da parte dell’appellante all’orientamento della giurisprudenza di legittimità che, ‘in tema di responsabilità degli amministratori di società, (…) nel riconoscere che, ai fini della valutazione dell’operato dell’amministratore, può assumere rilievo anche la considerazione dei c.d. vantaggi compensativi, prodottisi a favore della società in conseguenza della sua appartenenza ad un gruppo societario ed idonei a neutralizzare, in tutto o in parte, il pregiudizio cagionato direttamente alla società amministrata, ha precisato (…) che, al fine di escludere corrispondentemente la responsabilità dello amministratore, non è sufficiente l’astratta prospettazione della sussistenza dei predetti vantaggi, incombendo al convenuto l’onere di allegare e provare gli ipotizzati benefici indiretti, connessi al vantaggio complessivo del gruppo, e la loro idoneità a compensare efficacemente gli effetti immediatamente negativi dell’operazione compiuta (cfr. Cass., Sez. I, 7/12/2011, n. 26362; 24/08/2004, n. 16707; al riguardo, v. anche Cass., Sez. I, 11/12/2006, n. 26325)’ (così Cass. civ., Sez. I, 18.8.2017 n. 21566).
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, infatti, l’atto che la parte attrice aveva allegato costituire una condotta di mala gestio era tale nell’ambito di una valutazione ex ante. Nello specifico si trattava della mancata riscossione di crediti liquidi ed esigibili nei confronti di società dello stesso gruppo.
2.6. La deduce, infine, che ‘Deve (…) ritenersi esservi stata, a voler tacer d’altro, da parte degli amministratori una gravissima imprudenza gestoria posto che, contemporaneamente all’erogazione (indebita o, a tutto voler concedere, improvvida e negligente) degli stessi finanziamenti, il debito tributario della Società è costantemente aumentato, aggravato da interessi e sanzioni al pari dell’esposizione nei confronti dei fornitori (cfr. doc. 43 fascicolo di primo grado)’.
Parte appellante non deduce, e non ha dedotto nell’introdurre il giudizio di primo grado, che il mancato pagamento dei debiti fiscali sia in relazione con l’indisponibilità di risorse, in quanto le stesse sarebbero state ‘distratte’ dall’organo gestorio in favore della società controllante o di altre società del gruppo. Con l’atto di citazione innanzi alla Sezione Specializzata in Materia di Impresa del Tribunale di Roma la società attrice ha soltanto evidenziato
che ‘l’attrice ha visto aumentare esponenzialmente il proprio debito tributario, passato da Euro 248.676,00 nel 2010 ad Euro 2.998.528,00 nel 2015 (doc. 42) ed oggi leggermente sceso solo grazie ai pagamenti (gravati di sanzioni e interessi) faticosamente operati dall’amministratore e necessari al fine di consentire la continuità aziendale’.
In altri termini, quello che parte appellante deduce è, piuttosto, una scelta precisa e voluta dell’organo gestorio di provvedere, dal 2009 al 2015, ad effettuare finanziamenti alle società del gruppo (la capogruppo e le c.d. consorelle) piuttosto che provvedere al pagamento di imposte e tasse. Questo avrebbe determinato l’aumento nel tempo dell’esposizione fiscale, e soprattutto che quanto dovuto venisse gravato sanzioni e interessi, ma non è in relazione con quanto la ha dedotto in ordine alla responsabilità dell’amministratore (e di quelli che vengono indicati come amministratori di fatto, e .
Del resto, è difficilmente sostenibile che la società odierna appellante non disponesse delle risorse per fare fronte ai propri debiti fiscali, seppure in parte o in modalità rateale, se – appunto – provvedeva costantemente a finanziare la capogruppo e le altre società ‘consorelle’ e ad effettuare ulteriori, ingenti, pagamenti, come si dirà di seguito.
2.7. Quanto sopra ritenuto assorbe l’esame della censura con cui parte appellante deduce che il giudice di primo grado ha erroneamente ritenuto di ‘decisivo impatto probatorio il rilievo che i bilanci di esercizio della sino al 31.12.2015 siano stati approvati all’unanimità’.
Solo incidentalmente, dunque, si deve osservare come sia corretto il rilievo di parte appellante per cui tale statuizione si pone in contrasto con quanto sancito dall’art. 2434 c.c., secondo cui: ‘L’approvazione del bilancio non implica liberazione degli amministratori, dei direttori generali, dei dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari e dei sindaci per le responsabilità incorse nella gestione sociale’.
Con quello che costituisce un secondo motivo di appello la censura la sentenza di primo grado laddove ha ritenuto che la somma di € 142.860,00 deve ritenersi debitamente versata in favore di e segnatamente che deve ‘presumersi che gli importi siano stati riscossi a titolo di compenso di amministratore (essendo l’ammontare del
compenso riconosciuto al Sig. in linea con quello riconosciuto agli altri amministratori succedutisi nel tempo)’. In particolare, la società appellante, dopo avere rilevato che ‘il Sig nelle sue difese non ha in alcun modo contestato tale importo’, deduce ‘che, proprio dalle scritture contabili invocate dal Tribunale per escluderne la natura distrattiva, risulta pacificamente come credito nei confronti dell’ex amministratore’ a titolo di finanziamento.
Il motivo non è fondato.
3.1. L’ammontare del compenso dell’amministratore viene determinato al momento della nomina o dall’assemblea (la quale può anche predeterminare i criteri di quantificazione del compenso o stabilire un tetto massimo alla remunerazione, rimettendo al consiglio di amministrazione la decisione in merito alla quantificazione degli emolumenti spettanti a ciascun membro) giusto il disposto dell’art. 2389 c.c., disposizione pacificamente applicabile in via estensiva anche alle società a responsabilità limitata. Nel caso in esame, dro non ha dedotto che, nel corrispondere a sé stesso tale importo, abbia dato esecuzione a delibere che stabiliscano il suo compenso quale amministratore, nella misura pari al credito suddetto, e quindi come il suo operato fosse immune da censura.
Ne consegue che, anche qualora – come ha invero solo ipotizzato (e non ritenuto, come si dirà di seguito) il giudice di prime cure – l’amministratore di diritto della società attrice avesse inteso corrispondersi il proprio emolumento, nella misura sopra indicata, si dovrebbe ritenere che il compenso all’amministratore, non stabilito al momento della nomina e pagato senza una previa deliberazione assembleare che lo determini (o anche, eventualmente, di una successiva delibera di ratifica), non può essere ricondotto alla volontà della società.
Neanche è possibile ritenere che la natura di compenso dell’amministratore emerga dai bilanci approvati e, peraltro, prodotti dalla società appellante (v. doc. n. 42 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio). Infatti, la determinazione del compenso degli amministratori di società di capitali, non stabilita nello statuto, non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio, attesa la natura imperativa e inderogabile della previsione normativa di cui all’art. 2389, co. 1, c.c., discendente dall’essere la
disciplina del funzionamento delle società dettata, anche, nell’interesse pubblico al regolare svolgimento dell’attività economica (tanto che, prima dell’abrogazione da parte dell’art. 1 del d.lgs. 11.4.2002, n. 61, costituiva delitto la percezione di compensi non previamente deliberati dall’assemblea, ai sensi dell’art. 2630, co. 2, c.c.); la distinta previsione della delibera di approvazione del bilancio e di quella di determinazione dei compensi (art. 2364 n. 1 e 3 c.c.); la mancata liberazione degli amministratori dalla responsabilità di gestione, nel caso di approvazione del bilancio (art. 2434 c.c.); il diretto contrasto delle delibere tacite ed implicite con le regole di formazione della volontà della società (art. 2393, co. 2, c.c.). Conseguentemente, l’approvazione del bilancio contenente la posta relativa ai compensi degli amministratori non è idonea a configurare la specifica delibera richiesta dall’art. 2389 c.c., salvo che un’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio, essendo totalitaria, non abbia espressamente discusso e approvato la proposta di determinazione dei compensi degli amministratori (cfr. Cass. civ., S.U., 29.8.2008, n. 21933, e quindi Cass. civ., Sez. V, 19.7.2013, n. 17673; Cass. civ., Sez. V, 4.9.2013, n. 20265; Cass. civ., Sez. V, ord. 3.3.2021, n. 5763).
Peraltro, ed invero in via assorbente su ogni altra considerazione, è la stessa parte appellante a dedurre, nell’introdurre il giudizio di primo grado (anche con la perizia di parte allegata: v. doc. n. 3 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio) che nel bilancio della società appellante tali importi non sarebbero indicati alla voce ‘compenso amministratori’ quanto piuttosto alla voce ‘crediti per finanziamenti’, e quindi non sarebbe comunque possibile ritenere – come ipotizzato dal giudice di primo grado – che il pagamento dell’importo di € 142.860,00 a sia avvenuto a titolo di compenso quale amministratore della società.
3.2. Ciò chiarito, il giudice di primo grado ha rigettato la domanda risarcitoria per tale importo in quanto ha ritenuto che non è stata fornita alcuna prova di tale finanziamento da parte della in favore di
In particolare, la Sezione Specializzata in Materia di Impresa del Tribunale di Roma, dopo avere rilevato che ‘in ordine alla contestazione inerente il versamento della somma pari ad € 142,860,00 al Sig giova evidenziare: la predetta somma sarebbe stata distratta nel 2012 quanto ad € 132.864,00 e nel 2015 quanto ad € 10.000,00’, ha ritenuto
– in via assorbente sulla considerazione per cui dovrebbe ‘presumersi che gli importi siano stati riscossi a titolo di compenso di amministratore’ – che ‘di tale situazione non è fornita alcuna evidenza’.
Nel costituirsi nel giudizio di primo grado, con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 26.11.2018, con riguardo alla ‘richiesta al sig a titolo di risarcimento (…) la cifra complessiva di €. 142.864,00 pretesamente distratta dall’amm.r a propri ed, in particolare, €. 132.864,00 nel 2012 ed €. 10.000,00 nel 2015’, ha dedotto che ‘di tale situazione non vi è alcuna evidenza documentale, in quanto sia l’importo che l’imputazione risultano unicamente dall’atto di citazione notificato da controparte; pertanto ci si riserva ogni più ampia difesa all’esito del riscontro documentale, essendo altresì trascorsi sei anni dal fatto contestato’.
Come si è detto, il giudice di primo grado ha ritenuto che – come dedotto dall’amministratore di diritto – non sia stata fornita alcuna prova del pagamento, quale che ne sia il titolo, in favore di dell’importo complessivo di € 142.864,00. E nessuna ulteriore documentazione oltre i bilanci, sopra richiamati, è stata prodotta da parte attrice per provare tale credito (dedotto quale credito risarcitorio) nei confronti dell’amministratore unico della
Al riguardo, l’odierna appellante deduce – come si è detto sopra – che ‘proprio dalle scritture contabili invocate dal Tribunale per escluderne la natura distrattiva, risulta pacificamente come credito nei confronti dell’ex amministratore’. Di contro, nel bilancio relativo all’esercizio 2012 non solo non è specificamente indicato – anche solo nella nota integrativa – il finanziamento per € 132.864,00 e in quello relativo all’anno 2015 quello per € 10.000,00, ma anzi l’ammontare complessivo dei crediti verso ‘altri’ (diversi da ‘Società controllanti’) risulta essere inferiore rispetto all’importo del finanziamento effettuato nei confronti di
Non può non rilevarsi, poi, come la stessa società attrice, pur allegando come risulta anche dalla motivazione della sentenza di primo grado sopra riportata – che il finanziamento effettuato in favore di è stato indicato, dall’accertamento effettuato dallo ‘ ‘ (COGNOME – Studio Commerciale e Tributario) e sulla base del quale è stato
redatto l’atto introduttivo, nella misura di € 140.764,00 (v. doc. n. 3 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio – pagg. 13 e 16), poi ha allegato, nell’introdurre il giudizio di primo grado, che ‘Fra le attività di finanziamento sopra contestate risultano importi erogati alla società in favore dell’ex amministratore per complessivi Euro 142.864,00 di cui Euro 132.864,00 versati nel corso del 2012 ed Euro 10.000,00 nel corso del 2015 (…)’ (così comparsa di costituzione e risposta nel giudizio di primo grado – pag. 11).
Con quello che costituisce un terzo motivo di appello si censura la sentenza di primo grado laddove, con riguardo ai pagamenti effettuati alla RAGIONE_SOCIALE per complessivi € 165.182,00 con causale ‘consulenze in ambito commerciale, organizzativo, amministrativo e informatico’, ha ritenuto che siano stati effettuati dall’organo gestorio per consulenza ‘contabile’ sebbene detta società avesse quale oggetto sociale la ‘prestazione di assistenza tecnica nel settore informatico’.
Il motivo non è fondato.
4.1. Con riguardo a tale pagamento il Tribunale di Roma – Sezione Specializzata in Materia di Impresa ha ritenuto che ‘si verte in ambito di fatture di pagamento per consulenza contabile svolta su incarico dell’organo gestorio, volta a soddisfare interessi di natura contabile, fiscale, laboristica della società attrice (difettando riscontri che le predette incombenze siano state svolte per finalità esulanti da quelle inerenti l’oggetto sociale)’.
Con riguardo alle somme corrisposte alla RAGIONE_SOCIALE, tuttavia, non si deve valutare l’idoneità di tali pagamenti a configurare atti di mala gestio in relazione alla pertinenza con l’oggetto sociale della come mostra di ritenere – non condivisibilmente – il giudice di prime cure. Qello che l’odierna parte appellante ha dedotto nell’introdurre il giudizio di primo grado e deduce nel censurare la decisione del Tribunale di Roma è, piuttosto, che tali pagamenti dovrebbero essere valutati come distrattivi in quanto sarebbero stati effettuati in favore della RAGIONE_SOCIALE per asserite attività di consulenza delle quali non si rinverrebbe traccia nella documentazione aziendale.
4.2. Ciò chiarito, a sostegno del proprio assunto l’odierna parte appellante ha allegato e documentato come la società in questione, sulla scorta delle
risultanze del Registro delle Imprese tenuto presso la locale Camera di Commercio, risultasse ‘attiva’ solo dal 3.9.2013, momento successivo a quello per il quale si richiede il pagamento di parte dell’attività asseritamente prestata in favore della (v. doc. n. 36 fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio); e che tale società, che nell’oggetto sociale indica lo svolgimento, quale attività prevalente, di ‘prestazioni di assistenza tecnica in ambito informatico’, fosse priva di dipendenti e non avesse depositato alcun bilancio sino al 2016, tanto che risulta avere depositato tutti insieme i bilanci a seguito delle contestazioni mosse dalla (v. doc. n. 35 fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio). E deduce che, pertanto, il giudice di primo grado avrebbe dovuto inferire da tali circostanze – unitamente a quella per cui ‘in data 5 giugno 2016, la Sig.ra dale successivamente al suo allontanamento’ – come i pagamenti dei paga-
abbia provveduto a modificare le poste contabili relative alla fattura n. 5/2015 di DMN accedendo al sistema informatico e di contabilità azienmenti in favore della RAGIONE_SOCIALEper asserite attività di consulenza delle quali non si rinviene traccia nella documentazione aziendale’, e quindi – in buona sostanza – come i pagamento per tali attività di consulenza sarebbero stati effettuati senza che per le stesse fossero state emesse fatture.
L’assunto di secondo cui i pagamenti sono stati effettuati a fronte di fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE.r.lRAGIONE_SOCIALE, trova però conferma proprio in quanto allegato dalla stessa parte appellante a sostegno di una condotta dell’amministratore contraria ai propri doveri, e segnatamente laddove deduce che ‘lo screenshot del programma di contabilità aziendale ‘RAGIONE_SOCIALE‘ mostra come, in data 5 giugno 2016, la Sig.r abbia provveduto a modificare le poste contabili relative alla fattura n. 5/2015 di DMN accedendo al sistema informatico e di contabilità aziendale successivamente al suo allontanamento (come confermato dalla perizia informatico-forense richiesta dalla Società attrice doc. 38 atto fascicolo primo grado)’.
In altri termini, è la stessa odierna appellante ad allegare che vi erano delle fatture emesse dalla società in questione, senza che possa assumere rilevanza, nel presente giudizio (e, quindi, al fine di ritenere la responsabilità dell’amministratore di diritto), che le stesse non potessero essere regolarmente emesse in ragione dell’inoperatività della società fino al 2016. Non è allora possibile affermare – come fa parte appellante – che delle attività di
consulenza espletate dalla RAGIONE_SOCIALE ‘non si rinviene traccia nella documentazione aziendale’. Anzi, vi è in atti prova del contrario, avendo peraltro la stessa allegato l’esistenza di documentazione contabile relativa alle attività pagare a tale società.
Ed è appena il caso di rilevare come l’odierna appellante non abbia allegato che l’attività di consulenza in questione non sia mai stata espletata, conseguentemente non incombendo dunque su l’onere di provare di avere effettuato i pagamenti a fronte di prestazione effettivamente espletate. Avendo la società imputato all’amministratore pagamenti effettuati in mancanza di documentazione contabile degli stessi, deducendo come la stessa non si sarebbe peraltro potuta emettere per essere la società inattiva quanto è stata effettuata l’attività di consulenza, sull’odierno appellato gravava soltanto l’onere di provare che i pagamenti in questione sono stati effettuati a fronte di emissione di fattura, circostanza che è stata invero allegata e documentata dalla stessa nel giudizio di primo grado.
Il rigetto del primo, del secondo e del terzo motivo di appello assorbirebbe, invero, l’esame del quarto, con cui si censura la sentenza di primo grado per avere escluso che e siano stati amministratori di fatto della ‘dal 2012 al 3 giugno 2016’. In particolare, parte appellante deduce che il giudice di primo grado ha escluso l’amministrazione di fatto da parte dei due convenuti suddetti sulla scorta di presunzioni, e tuttavia avrebbe erroneamente valutato gli elementi di fatto a sua disposizione in quanto risultanti dalla copiosa documentazione depositata da parte attrice.
La società appellante, però, chiede non soltanto la condanna di
e in solido con ma anche l’accertamento della qualità in capo agli stessi di amministratori di fatto, seppure questa sia – con tutta evidenza – funzionale alla domanda risarcitoria proposta. Al fine di evitare la deduzione, in sede di impugnazione, di un vizio di omessa pronuncia da parte di questo giudicante, si ritiene di dover esaminare nel merito anche detto quarto motivo di appello e questo non merita accoglimento.
5.1. Parte appellante deduce, in primo luogo, come sarebbe lo stesso Tribunale di Roma a configurare un’amministrazione ‘nei fatti’ da parte di e allorquando afferma che ‘è emerso che nel periodo
di amministrazione di diritto del Sig questi non ha abdicato ai propri poteri, ma nell’esercizio degli stessi si è avvalso dello svolgimento di attività di natura apicale delegate ai Sigg.ri e (con modalità formali o per mera acquiescenza)’.
È vero che – come deduce la e diversamente da come mostra di ritenere il giudice di primo grado – ‘al fine di configurare un’amministrazione di fatto non è necessario che vi sia una abdicazione (formale o sostanziale) dei propri poteri da parte dell’organo di diritto’. Conseguentemente, sarà responsabile per il suo operato non soltanto l’amministratore formalmente nominato, ma anche, in solido con questi, chi esercita di fatto funzioni di amministrazione nella società senza essere stato investito da una formale deliberazione, sulla base della legge o dello statuto.
Non è allora possibile ritenere – come ha fatto il giudice di prime cure – che debba escludersi la dedotta veste di amministratori di fatto in capo a e i quanto l’amministratore di diritto ‘non ha abdicato ai propri poteri, ma nell’esercizio degli stessi si è avvalso dello svolgimento (con modalità
di attività di natura apicale delegate ai Sigg.r formali o per mera acquiescenza)’.
5.2. Come ha osservato la Suprema Corte, ‘la nozione di amministratore di fatto, introdotta dall’art. 2639 cod. civ. postula l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione; nondimeno, ‘significatività’ e ‘continuità’ non comportano necessariamente l’esercizio di ‘tutti’ i poteri propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale (Sez. 2, n. 36556 del 24/05/2022, COGNOME, Rv. 283850 01; Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013 , Rv. 256534 – 01; Sez. 5, n. 43388 del 17/10/2005 Rv. 232456 – 01; Sez. 5, n. 22413 del 14/04/2003 Rv. 224948 – 01). È stato al riguardo precisato che, ai fini dell’attribuzione della qualifica di amministratore ‘di fatto’, è necessaria la presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare (…)
(Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, Rv. 277540 – 01; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, Rv. 269101 – 01; Sez. 5, n. 35346 del 2013, cit.)’ (così Cass. pen., Sez. III, 9.2.2023, n. 5577).
In particolare, le caratteristiche definite dalla giurisprudenza, soprattutto di merito, per l’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto sono: i) autonomia decisionale e poteri di controllo; ii) programmazione e adozione di decisioni che investano globalmente la società e il futuro della stessa; iii) individuazione come organo direzionale e gestionale anche da parte dei soggetti terzi rispetto alla compagine sociale; iv) esercizio in concreto e nel continuo di funzioni quali il controllo della gestione sotto il profilo contabile e amministrativo, la formulazione di programmi e l’emanazione di direttive. E si è anche chiarito come tali caratteristiche non debbano essere tutte compresenti perché si possa ritenere che si è in presenza di un amministratore di fatto.
La prova di tale veste in capo a un soggetto, dunque, si raggiunge mediante l’accertamento di elementi sintomatici dell’inserimento organico di tale soggetto con funzioni direttive, in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali – per esempio – i rapporti con i dipendenti, i fornitori o i clienti, ovvero in qualunque settore gestionale dell’attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare, senza che sia necessario provare l’esercizio di tutti i poteri propri dell’amministratore di una società. La giurisprudenza ha altresì precisato che un soggetto deve ritenersi responsabile in qualità di amministratore di fatto anche se svolga funzioni gestorie senza il requisito della sistematicità, qualora lo stesso compia atti di gestione da soli sufficientemente significativi, ovvero di assoluta rilevanza per la vita dell’impresa, tali da potersi giustificare soltanto in virtù di un effettivo inserimento nella gestione.
L’onere della prova degli elementi costitutivi della dedotta qualità di amministratori di fatto incombeva in capo alla società attrice, la quale non può dunque dedurre che, con riguardo alla ‘contestata’ veste di amministratori di fatto, ‘i Sig.r e non hanno fornito alcuna prova limitandosi a sollevare delle mere contestazioni di quanto dedotto dalla scrivente difesa,
e omettendo di dimostrare e provare altri fatti idonei a far venire meno la partecipazione dei convenuti all’amministrazione sociale’.
5.3. Ciò opportunamente premesso, nel caso in esame non è possibile ritenere che anche soggetti terzi individuassero e come l’organo direzionale e gestionale, e segnatamente non è possibile affermare che l’odierna appellante ha provato come tali fossero ritenuti dalle banche con cui la intratteneva rapporti di correntezza.
La società appellante afferma di avere provato che soprattutto facilmente appurare dalla mail del 21 luglio 2014 con cui il Sig.
era punto di riferimento per le banche’, deducendo come questo ‘si può Gestore Imprese della Cassa di Risparmio di Civitavecchia, chiedeva a : ‘ Hai affrontato il tema di una necessaria ricapitalizzazione dell’azienda ? Inoltre, perché non gli fai sistemare o chiudere i c/c cointestato ai garanti che mi risulta la segnalazione anche su ‘ (cfr. doc 54 fascicolo di primo grado)’. In verità, dal tenore della mail richiamata da parte appellante, e appena riportata, emerge semmai come anche il funzionario della Banca fosse pienamente consapevole che non avesse alcun potere decisionale nell’ambito della società appellante, in particolare quello proprio dell’organo gestorio, ma che venisse sollecitato a far assumere le scelte decisionali alla società ed ai suoi organi, e non senz’altro ad assumerle in proprio.
La circostanza per cui e richiedessero chiarimenti alle banche in relazione a ‘incassi e storni di fatture’ (v. doc. n. 7 fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio), poi, è del tutto in linea – ed anzi conferma – il loro ruolo di consulenti contabili della società, così come questo spiega anche la disponibilità da parte degli stessi delle chiavette di accesso ai conti correnti della società (v. doc. n. 7 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio). Ruolo che gli stessi avevano pacificamente, essendo stata la stessa ad allegare tale circostanza nell’introdurre il giudizio di primo grado (come si è detto sopra).
Anche il riportato scambio di mail tra e con cui il primo ha ‘invito per i prossimi tre mesi a fare un uso leggero delle carte di credito’, in quanto ‘Questo mese Unicredit mi ha chiamato per coprire più di 7000€ non avendo sul conto i soldi!’ (v. doc. n. 10
del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio) prova soltanto come si occupasse della contabilità e dei rapporti con le banche. Non si tratta di direttive impartite a dipendenti, o addirittura all’amministratore ‘di diritto’ della società, quanto piuttosto di un’indicazione di quale dovesse essere la condotta in relazione alla situazione contabile della società, peraltro rivolta – appunto – come un invito. Circostanza che prova semmai come tale appellato non avesse alcuna funzione decisionale, e quindi non potesse imporre alcunché, ma solo evidenziare l’assenza di liquidità e le richieste da parte della di provvedere alla copertura dello scoperto di conto, e questo proprio in quanto preposto alla contabilità della società sulla base di un contratto di prestazione d’opera professionale, pacificamente in essere con la
. Del resto, è la stessa società odierna appellante ad allegare come NOME e disponessero pagamenti per conto della società, e ciò in quanto incaricati della gestione della contabilità della società, senza tuttavia alcun potere di assumere impegni di spesa per la società.
Conseguentemente, non assumono alcuna valenza indiziaria delle veste di amministratori di fatto da parte di questi: (i) la mail del 1°.12.2015, con la quale l’allora amministratore della società, ha richiesto loro notizie in merito allo stato dei pagamenti a lui spettanti (v. doc. n. 8 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio); (ii) la mail del 1°.12.2015, con cui ha indicato alla moglie che vi erano ‘Da pagare 58k per sistemare le situazioni ancora appese’ (v. doc. n. 8 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio); iii) la mail del 2.12.2014, con cui ha chiesto alla moglie di ‘girare almeno 27k con giroconto immediato da Unicredit su Omnia RAGIONE_SOCIALE. Saldare poi quanto resta per uno stipendio di s S saldare la fattura di deservire (v. doc. n. 56 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio).
In particolare, con riguardo a tale ultima mail, non è possibile affermare come fa l’odierna appellante – che ‘se ne deduce da un lato il potere d di ordinare pagamenti e, dall’altro, quello di di eseguirli’. Piuttosto, da tale messaggio di posta elettronica si evince, appunto, come avesse una funzione di consulenza contabile e, quindi, segnalasse a colei
che era materialmente incaricata di effettuare i pagamenti, vale a dire quali fossero le posizioni contabili ancora ‘scoperte’.
5.5. Parimenti, del tutto coerente con l’incarico di consulenti della società, e segnatamente con l’incarico di gestione del personale, sono sia la mail del 21.10.2013, con la quale ha chiesto all’ufficio del personale della ‘ogniqualvolta ci sono modifiche sul personale (aggiunte e/o defezioni) mandami contratti e/o chiusure’ (v. doc. n. 9 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio); sia la mail del 25.1.2013, con cui ha chiesto a conto del pagamento di una fattura (v. doc. n. 9 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio). Anzi, proprio quest’ultima mail è particolarmente significativa ed evidenzia come i dipendenti della società non ritenessero che avesse un ruolo gestorio, facendo anzi chiaramente riferimento a terzi come i vertici sociali impermeabili economicamente ai problemi di liquidità della società, che ridondavano ai danni dei collaboratori della stessa (‘mentre io mi riduco lo stipendio altri continuano a prenderlo intero e mi sento pure dire che qualcuno ha finito i soldi (…) i NOSTRI soldi!!!!!!!’).
Inoltre, anche lo scambio di mail del 28-29.8.2013 tra e
in merito a una dipendente, per la quale si sono riservati di valutare un ‘richiamo ufficiale’ (v. doc. n. 58 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio), non può essere ritenuto un indice di autonomia decisionale dei due o dell’esercizio di poteri di controllo, che devono riguardare la gestione sociale. Piuttosto, è la concreta espressione dell’espletamento dell’attività di consulenza anche con riguardo alla gestione del personale, che la stessa parte appellante deduce essere stata ‘delegata’ a tali due odierni appellati nell’ambito del rapporto di consulenza intrattenuto dagli stessi con la società.
Al riguardo, particolarmente significativa – ma in senso opposto rispetto a quello prospettato da parte appellante – risulta essere la mail del 25.2.2015, con la quale l’amministratore di diritto, contesta a e la decisione (non realizzata) di assumere una nuova risorsa. Nella stessa si legge: ‘voi siete a conoscenza di questa richiesta (demenziale), visto che avevo detto e avevamo stabilito che il personale rispondeva a me, mi fa piacere notare che le assunzioni le decidono
e . Vorrei sapere chi lo ha deciso e come mai io non ne so niente, non so quali sono gli accordi per le coperture’ (v. doc. n. 80 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio).
La mail in questione prova come l’amministratore unico della società si fosse meravigliato di una decisione concernente l’assunzione di personale e, quindi, in buona sostanza non riconosca alcun ruolo decisionale o gestorio in capo a ma anzi rivendichi il proprio (anche) con riguardo alla decisione di assumere personale. Questo colloca chiaramente, ed esclusivamente, nell’ambito dell’attività di consulenza del personale l’attività svolta da e e documentata dal suddetto messaggio di posta elettronica, come anche da tutti gli altri prodotti e che secondo parte appellante – avrebbero dovuto condurre il giudice di prime cure a ritenere tali due convenuti amministratori di fatto della ‘dal 2012 al 3 giugno 2016’.
Non è allora possibile affermare – come fa l’appellante – che quest’ultima curasse ‘l’organigramma aziendale’ (v. doc. n. 71 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio), nel senso che fosse a decidere le politiche di assunzione della società. Anzi, proprio la mail richiamata da parte appellante evidenzia come la avesse optato per l’esternalizzazione della gestione del personale, che nella specie era appunto curata da Questa, nella veste di consulente e non quale amministratore di fatto della società, ‘gestiva il personale e le fatturazioni’ (v. doc. n. 72 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio) e si occupava del pagamento degli stipendi (v. doc. n. 73 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio).
5.6. Anche la gestione del contenzioso non implica, di necessità e di per sé, la qualifica di amministratore di fatto della società.
Peraltro, la mail richiamata dalla nel proporre appello esclude – a ben considerare – un potere decisionale, in ordine all’individuazione dei legali della società e della stessa strategia legale, di , e quindi una gestione del contenzioso da parte dello stesso.
In particolare, la mail del 17.10.2012 inviata da all’avv. NOME COGNOME ‘Ciao NOME ti inoltro questa mail perché so che posso contare sulla tua serietà, professionalità e aiuto. . Devo dare ancora 150 K a
questa azienda entro fino ottobre, ma non mi fido delle continue modifiche che l’avvocato nostro concorda con il loro avvocato . Se tu ci puoi dare una mano te ne sarei grato ‘ (v. doc. n. 11 e doc. n. 61 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio) – deve essere letta proprio in ragione della funzione di consulenti e incaricati della contabilità della società rivestita dagli stessi. Nell’espletamento di tale attività e hanno inteso avvalersi di un professionista di loro fiducia al fine di verificare le ricadute sotto il profilo della contabilità, e segnatamente del pagamento (da effettuare entro fine ottobre), concordate dal legale della – che, con tutta evidenza, non ‘rispondeva’ a (o, se si preferisce, che non si relazionava con) tali due odierni appellati – e l’avvocato della creditrice.
Neanche costituisce prova che fosse amministratore di fatto della società la mail del 22.2.2013, con cui e gli hanno rappresentato le svariate difficoltà aziendali e lo hanno invitato a ‘fare qualcosa perché se non cambia
5.7. Ancora, la documentazione richiamata da parte appellante non prova che rivestisse un ruolo di programmazione e adozione di decisioni che investissero globalmente la società e il futuro della stessa. In particolare, tale ruolo non può ritenersi provato dalla mail del 31.10.2012 (inviata al socio e all’amministratore e socio , in cui comunica che ‘Per la prossima settimana vorrei fare il punto della situazione con una riunione per analizzare insieme i punti da ottimizzare, con tagli e/o investimenti seri, tempi di realizzazione delle cose messe in cantiere, budget preventivi e consuntivi’ (v. doc. n. 49 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio); sia dalla mail del 28.11.2012, con cui ha proposto di fissare una riunione e ‘l’ordine del giorno che propongo è come al solito il taglio dei costi superflui e la riduzione delle spese il più possibile e principalmente organizzazione,
organizzazione, organizzazione. Io ho delle proposte da discutere, spero ce ne siano tante’ (v. doc. n. 52 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio). Anzi, dal testo di tali mail risulta come tale convenuto (e odierno appellato) proponesse, e quindi suggerisse all’amministratore unico e al socio, quale dovesse essere l’o.d.g., e non che senz’altro indicasse a questi quali dovessero essere gli argomenti da trattare durante la riunione da indire.
Infine, anche la mail del 16.1.2013, con cui ha convocato una riunione specificando le linee guida aziendali per il nuovo anno lavorativo: ‘budget 2013, ordini in tasca, ordini che hanno una percentuale alta di acquisizione, piano di rientro dei debiti, investimenti con relativo importo messo a disposizione, chiusura aziende palle al piede, creazione di gestione e organizzazione aziendale’ (v. doc. n. 59 del fascicolo di parte appellante primo grado di giudizio); e quella del 17.7.2015, con la quale l’allora amministratore unico, ha inoltrato a la proposta del nuovo oggetto sociale della (v. doc. n. 80 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio), sono del tutto coerenti con il ruolo di consulente per la gestione pacificamente rivestita da quest’ultimo.
Neanche è possibile affermare che ‘promette pagamenti impegnando la società attrice (cfr. doc. 69 fascicolo primo grado)’. Infatti, dall’esame della documentazione emerge come, semmai, lo stesso ‘promettesse’ – anche al fine di tacitare i creditori – pagamenti non effettuati dalla società, a seguito di impegni assunti non dallo stesso per conto di questa. Si deve ritenere, allora, che ciò facesse nella sua veste di gestore della contabilità e di incaricato di provvedere ai pagamenti. Compito non agevole in un’evidente e protratta situazione di carenza di liquidità e, probabilmente, anche di difficoltà finanziaria.
Per la stessa ragione, e quindi sempre nella veste di consulente contabile della tale convenuto manteneva i rapporti con la società proprietaria dell’immobile sede dell’azienda, ‘negoziando ingenti piani di rientro dei canoni non pagati’ (v. doc. n. 66 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio) e il rinnovo dei relativi contratti (v. doc. n. 67 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio). E, del pari, negoziava piani di rientro relativi a debiti sociali diversi da quelli nascenti dai rapporti
di locazione, come emerge dalla mail del 3.12.2012 (v. doc. n. 76 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio).
Il rigetto del quarto motivo di appello, con cui si censura la sentenza di primo grado per non avere ritenuto che e rivestissero la qualità di amministratori, assorbe l’esame delle questioni riproposte ex art. 346 c.p.c. – erroneamente quale autonomo motivo di appello in ordine alla sussistenza della responsabilità degli stessi per condotte di mala gestio, anche in solido ai sensi dell’art. 2476 co. 1 c.c. con l’amministratore ‘di diritto’
Inoltre, non merita accoglimento la censura svolta con riguardo al rigetto delle istanze istruttorie da parte del giudice di primo grado.
È la stessa parte appellante a dedurre che ‘le complessive emergenze in atti costituissero già di per sé una valida base documentale sulla quale poter procedere per l’accoglimento dell’azione promossa’, e quindi – in buona sostanza – l’irrilevanza della prova costituenda per la quale pure ha istato nel giudizio di primo grado.
Soprattutto, la NOME non dice in quale modo le ‘istanze istruttorie tutte come formulate con la memoria ex art. 183, VI° comma, n. 2, compresa la CTU tecnico contabile’ proverebbero i propri assunti, e invero anche quali. Solo per tale ragione la censura in questione non può trovare accoglimento.
Deve essere rigettata la domanda di condanna della società appellante al risarcimento del danno da responsabilità aggravata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c. proposta da e nel costituirsi nel presente grado di giudizio.
La liquidazione del danno da responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell’art. 96, co. 1, c.p.c., postula che la parte istante abbia quanto meno assolto all’onere di allegare gli elementi di fatto, desumibili dagli atti di causa, necessari a identificarne concretamente l’esistenza e idonei a consentire al giudice la relativa liquidazione, anche se equitativa (cfr. Cass. civ., Sez. III, ord. 30.5.2023, n. 15175; Cass. civ., Sez. III, 27.10.2015, n. 21798; Cass. civ., Sez. I, 30.7.2010, n. 17902; Cass. civ., Sez. I, 12.12.2005, n. 27383).
Anche con riguardo alla condanna al risarcimento del danno ai sensi della suddetta disposizione, infatti, è onere della parte che richiede il risarcimento
dedurre e dimostrare la concreta ed effettiva esistenza di un danno in conseguenza del comportamento processuale della controparte, sicché il giudice non può liquidare il danno, neppure equitativamente, se dagli atti non risultino elementi atti a identificarne concretamente l’esistenza. È questo il caso in esame.
Non osta, peraltro, all’affermazione di tali principi il fatto che il giudice possa desumere detto danno da nozioni di comune esperienza e fare riferimento anche al pregiudizio che la parte resistente abbia subito per essere stata costretta a contrastare un’iniziativa del tutto ingiustificata dell’avversario (cfr. Cass. civ., Sez. III, 19.7.2004, n. 13355). La previsione da parte dell’art. 96, co. 1, c.p.c. per cui la liquidazione del danno in questione può avvenire «anche d’ufficio» attiene dunque esclusivamente alla misura del risarcimento, e quindi alla possibilità di una liquidazione equitativa dello stesso, la quale non può prescindere, però, da un’allegazione dello stesso.
Peraltro, tale conclusione si impone – ad avviso di questo giudicante – in quanto, secondo la tesi dominante in dottrina e condivisa dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., Sez. VI-3, ord. 16.5.2017, n. 12029), la responsabilità prevista dalla norma in esame costituisce un’ipotesi peculiare da far rientrare nella più ampia categoria della responsabilità aquiliana o extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c. e che riguarda gli illeciti connessi alla qualità di parte del processo.
In conclusione, l’appello proposto dalla avverso la sentenza n. 6119/2022 emessa dal Tribunale di Roma – Sezione Specializzata in Materia di Impresa il 20.4.2022 deve essere rigettato.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.
La Corte deve dare atto, con la presente sentenza, della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, co. XVII, della legge 24.12.2012, n. 228.
P.Q.M.
La Corte di appello di Roma, definitivamente pronunciando nella causa indicata in epigrafe, ogni altra difesa, eccezione e istanza disattesa, così provvede:
rigetta l’appello proposto dalla avverso la sentenza n. 6119/2022 emessa dal Tribunale di Roma – Sezione Specializzata in Materia di Impresa il 20.4.2022; condanna la a pagare a le spese del presente grado di giudizio, che liquida in € 10.000,00 per compenso, oltre rimborso spese forfetarie (art. 2, co. 2, d.m. 10.3.2014, n. 55), I.V.A. (qualora dovuta) e C.P.A. nella misura di legge; condanna la paa e in solido tra loro, le spese del presente grado di giudizio, che liquida in € 10.000,00 per compenso, oltre rimborso spese forfetarie (art. 2, co. 2, d.m. 10.3.2014, n. 55), I.V.A. (qualora dovuta) e C.P.A. nella misura di legge; dà atto che, per effetto della presente decisione, sussistono i presupposti di cui al primo periodo dell’art. 13, co. 1 -quater, del d.P.R. n. 115/2002; manda alla Cancelleria di correggere il codice oggetto del presente giudizio,
indicando il seguente: 181003.
Roma, 21.7.2025
IL GIUDICE EST. NOME COGNOME
IL PRESIDENTE NOME COGNOME