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Responsabilità amministratori: danno da discriminazione

Un ex socio di una cooperativa edilizia ha citato in giudizio gli amministratori per un comportamento discriminatorio, consistito nel rifiuto di rilasciare una garanzia fideiussoria a lui concessa ad altri soci. La Corte di Cassazione ha stabilito che la responsabilità degli amministratori per discriminazione sussiste anche se il rapporto sociale viene successivamente dichiarato nullo con effetto retroattivo. Tuttavia, ha annullato la precedente sentenza per carenza di motivazione sulla quantificazione del danno, che non può essere automaticamente equiparata alle somme versate alla cooperativa, ma deve derivare direttamente dalla mancata offerta della garanzia.

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Responsabilità Amministratori Società Cooperativa: Analisi di un Caso di Discriminazione

La gestione di una società, in particolare di una cooperativa, impone agli amministratori doveri di correttezza e parità di trattamento verso tutti i soci. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato un caso delicato di responsabilità amministratori società cooperativa, chiarendo che tale responsabilità per atti discriminatori sussiste anche quando il rapporto sociale con la vittima viene dichiarato nullo. Questo principio rafforza la tutela del socio, anche in situazioni giuridicamente complesse.

I Fatti di Causa

Un socio di una cooperativa edilizia aveva sottoscritto un contratto per la prenotazione di un immobile da costruire. Successivamente, chiedeva agli amministratori il rilascio della garanzia fideiussoria prevista dalla legge (d.lgs. 122/2005) a tutela degli acquirenti. Di fronte al rifiuto degli amministratori, mentre ad altri soci tale garanzia era stata offerta, il socio agiva in giudizio ottenendo una sentenza che dichiarava la nullità sia del suo atto di adesione alla cooperativa sia del contratto di prenotazione. La cooperativa veniva condannata a restituire le somme versate.

Nonostante la vittoria, il socio avviava una seconda causa, questa volta direttamente contro gli amministratori, chiedendo il risarcimento del danno per il loro comportamento discriminatorio, basandosi sull’azione di responsabilità individuale prevista dall’art. 2395 del codice civile. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello accoglievano la sua domanda, ritenendo che la successiva nullità del rapporto sociale non facesse venir meno il diritto del socio a essere risarcito per un illecito subito quando rivestiva tale qualifica.

La Decisione della Corte di Cassazione

Gli amministratori ricorrevano in Cassazione, sostenendo principalmente che, una volta dichiarata la nullità ex tunc del rapporto sociale, l’ex socio non poteva più lamentare la violazione del principio di parità di trattamento riservato ai soci. La Suprema Corte ha rigettato questa tesi, ma ha accolto il ricorso su un altro punto cruciale: la quantificazione del danno.

La Legittimazione dell’Ex Socio e la Responsabilità degli Amministratori

La Corte ha affermato un principio fondamentale: la responsabilità degli amministratori per un atto illecito (in questo caso, la discriminazione) sorge nel momento in cui la condotta viene posta in essere. Il fatto che, successivamente, il rapporto sociale sia stato dichiarato nullo non cancella l’illecito commesso. Il soggetto danneggiato, al momento del comportamento discriminatorio, rivestiva a tutti gli effetti la qualifica di socio e, pertanto, aveva diritto alla parità di trattamento sancita dall’art. 2516 del codice civile. Negargli la possibilità di agire significherebbe creare una zona franca in cui gli amministratori potrebbero impunemente danneggiare un socio, contando su una successiva invalidità del suo status.

Il Problema della Quantificazione del Danno

Se la Corte ha confermato la responsabilità amministratori società cooperativa, ha però censurato la decisione della Corte d’Appello sulla quantificazione del danno. Il giudice di merito aveva liquidato un importo pari alle somme che la cooperativa era stata condannata a restituire al socio. Secondo la Cassazione, questa equazione è errata e immotivata.

le motivazioni

La Suprema Corte ha chiarito che il danno risarcibile nell’azione contro gli amministratori deve essere la conseguenza diretta e immediata del loro comportamento illecito. In questo caso, l’illecito non è il mancato rimborso delle somme (che è un’obbligazione della società), ma la mancata offerta della garanzia fideiussoria. Il danno, quindi, è il ‘danno differenziale’ derivante dalla perdita del beneficio (la sicurezza offerta dalla garanzia) che l’altro socio ha invece ricevuto. La Corte d’Appello ha omesso di spiegare l’iter logico che collega la mancata offerta della polizza a un danno di importo esattamente pari alle somme versate. Manca la prova e la motivazione di questo nesso causale specifico. La sentenza impugnata è stata quindi cassata con rinvio, affinché un nuovo giudice determini correttamente l’entità del danno derivante dal solo comportamento discriminatorio.

le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un importante principio di tutela per i soci di cooperative: la responsabilità degli amministratori per atti discriminatori non viene meno a causa della successiva nullità del rapporto sociale. Tuttavia, pone un forte accento sulla necessità di una rigorosa prova e motivazione nella quantificazione del danno. Non basta dimostrare l’illecito, ma occorre provare specificamente quale pregiudizio patrimoniale sia derivato da quella condotta, senza fare automatiche e immotivate equiparazioni con altre poste di danno, come l’obbligo di rimborso a carico della società.

Un socio la cui adesione a una cooperativa è stata dichiarata nulla può agire contro gli amministratori per atti illeciti subiti quando era socio?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la legittimazione ad agire per la responsabilità degli amministratori per un comportamento illecito, come la discriminazione, si basa sullo status di socio che la persona aveva al momento del fatto. La successiva dichiarazione di nullità del rapporto sociale, anche con effetto retroattivo (ex tunc), non elimina la responsabilità per l’illecito già commesso.

In cosa è consistito il comportamento discriminatorio degli amministratori in questo caso?
Il comportamento discriminatorio è consistito nell’aver violato il principio di parità di trattamento tra soci (art. 2516 c.c.), offrendo a un socio una garanzia fideiussoria per l’acquisto di un immobile e negandola a un altro socio (il ricorrente) che si trovava in una situazione analoga.

Come deve essere quantificato il danno derivante dal comportamento discriminatorio degli amministratori?
Il danno deve essere una conseguenza diretta e immediata dell’atto discriminatorio. Non può essere automaticamente identificato con l’importo che la società deve restituire al socio. Deve essere specificamente provato e motivato quale sia il pregiudizio patrimoniale derivante dalla mancata offerta della garanzia, rappresentando il ‘danno differenziale’ tra la situazione del socio discriminato e quella del socio che ha ricevuto il beneficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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