Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5057 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5057 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7042/2020 R.G. proposto da
NOME COGNOME , elett.te domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l o studio dell’AVV_NOTAIO , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona curatore p.t., elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende con l ‘AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente –
Oggetto:
sRAGIONE_SOCIALE azione resp. Amministratori
AC -20/02/2024
COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME ;
-intimati – e sul ricorso successivo, iscritto con lo stesso numero di ruolo, proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME , elett.te domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona curatore p.t., elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende con l’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente – e nei confronti di
COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME ;
-intimati – avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 2979/2019 depositata in data 11 dicembre 2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20 febbraio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME, erede di NOME COGNOME, ex amministratore della poi fallita RAGIONE_SOCIALE, ha proposto ricorso in cassazione, affidato a quattro motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze che ha confermato la sentenza con cui il locale Tribunale aveva condannato NOME COGNOME, in solido con gli altri amministratori e sindaci della predetta società, oggi intimati, a risarcire alla curatela del fallimento la somma di euro 885.748,20, a titolo di danno derivante dallo scorretto svolgimento delle rispettive funzioni connesse alle cariche rispettivamente ricoperte.
Il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Con successivo ricorso, identica impugnazione, per i medesimi motivi è stata proposta anche da NOME COGNOME e NOME COGNOME, nella medesima qualità di eredi di NOME COGNOME.
La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, ha osservato: a) che NOME COGNOME aveva assunto la carica di amministratore in esito all’ assemblea del 21 novembre 2007, nel corso della quale erano state accettate le dimissioni dei sindaci NOME COGNOME e NOME COGNOME, motivate espressamente dalla rilevata omissione dell’organo gestorio all’epoca in carica (amministratore unico NOME COGNOME, odierno intimato) rispetto alla segnalata esigenza di convocare immediatamente l’ assemblea stante la rilevata sussistenza di perdite superiori al capitale sociale; b) che tale circostanza rendeva del tutto inverosimile che il COGNOME non conoscesse la situazione economico-finanziaria della società al momento dell’ assunzione della carica di amministratore, posto che proprio la predetta situazione – accertata dai sindaci dimissionari e
ritualmente portata a conoscenza dell’organo amministrativo nella relativa relazione – aveva costituito la ragione delle dimissioni dei sindaci; c) che, pertanto, e del tutto a prescindere dalla circostanza che l’ordine del giorno della predetta assemblea prevedesse o meno l’ adozione dei provvedimenti conseguenti alla situazione di perdita del capitale denunciata, al COGNOME andava ascritta la responsabilità conseguente all’avere omesso, in epoca successiva alla denuncia sindacale e all’assunzione della carica , ogni attività di doveroso controllo della denuncia medesima, omettendo di convocare l’ assemblea anche in epoca successiva, a ciò non ostando in maniera dirimente il peggioramento delle proprie condizioni di salute che, ove rilevante ai fini dello svolgimento della carica, avrebbero imposto la presentazione di tempestive dimissioni; d) che, in relazione alla quantificazione del danno, il metodo differenziale tra netto patrimoniale al momento dell’esigibilità della condotta e netto fallimentare, adottato dal Tribunale, doveva ritenersi corretto anche alla luce della sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 9100 del 2015, siccome la sentenza di primo grado aveva indicato il criterio specifico di calcolo, donde l’inapplicabilità alla fattispecie del criterio suppletivo indicato dalle citate Sezioni Unite; e) che prive di prova erano rimaste le allegazioni degli eredi COGNOME inerenti a un’ asserita sussistenza di fattori estranei alla responsabilità del loro dante causa rispetto alla quantificazione del danno, posto che del tutto indimostrate eran o rimaste sia le dedotte ‘potenzialità aziendali’ che avrebbero potuto essere preservate al momento della dichiarazione di fallimento, sia la dedotta conseguente riduzione del passivo fallimentare effettivamente accertato.
Le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
1. I due identici ricorsi lamentano:
Primo motivo: «I. Art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.: Omessa pronuncia», deducendo la nullità della sentenza impugnata per aver omesso di pronunciarsi sul motivo di gravame con cui si censurava la sentenza di primo grado per aver invertito l’onere probatorio ex art. 2697 c.c. ponendo a carico degli eredi del COGNOME la prova di determinate circostanze, che invece incombeva sulla curatela, e per aver omesso di pronunciarsi sulla predetta censura nella parte in cui si lamentava che la sentenza di primo grado avesse liquidato l’ammontare del risarcimento senza tener conto delle perdite effettivamente sopportate dalla società nel periodo di riferimento.
La censura, nelle sue due distinte articolazioni, non può trovare accoglimento. Invero, la denunciata omissione di pronuncia sul primo motivo di appello, per come riprodotto a pagine 7 e 8 del ricorso, non sussiste; come si evince dalla superiore narrativa, la Corte territoriale ha correttamente applicato il criterio di riparto dell’onere della prova, laddove ha condiviso il pregresso accertamento del Tribunale che aveva rilevato come fosse stata fornita la prova della responsabilità del COGNOME; responsabilità consistita nell’aver omesso qualsiasi doverosa attività di accertamento e di conseguente adozione dei comportamenti imposti dalla legge a carico dell’ amministratore, in ipotesi di perdita totale del capitale da parte della società amministrata; ciò che emerge con evidenza, e ben oltre il c.d. ‘minimo costituziona le’ in tema di nullità della sentenza, a far data da Cass. S.U. n. 22232 del 2016 (e conformemente precisato dalla giurisprudenza a Sezioni semplici successiva: Cass. Sez. 6-5,
Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019; id. Sez. L, Ordinanza n. 3819 del 14/02/2020; id. Sez. 1, ordinanza n. 18793 del 02/07/2021; id. Sez. 5, sentenza n. 20140 del 15/07/2021). La seconda parte della prima censura è invece inammissibile, perché non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata sul punto: la Corte distrettuale ha respinto la doglianza inerente alla pretesamente illegittima quantificazione del danno, affermando che vi era stata specifica motivazione del Tribunale, condivisa in appello, circa la sussistenza in concreto di elementi idonei a far coincidere il danno con il pregiudizio patrimoniale differenziale, ciò che escludeva la necessità di applicare criteri residuali. Come si vede, non sussiste alcuna omissione di pronuncia sul punto e, conseguentemente, alcuna nullità della sentenza impugnata.
Secondo motivo: «II. Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: violazione degli articoli 2392 2393 1226 e 2697 c.c.», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata per non aver tenuto conto dei criteri di liquidazione del danno relativo alle azioni di responsabilità degli amministratori e degli organi di controllo delle società sanciti dalle Sezioni Unite n. 9100 del 2015 applicando erroneamente il metodo differenziale.
Terzo motivo: «III. Art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: violazione degli articoli 2392 2393 1226 e 2697 c.c. sotto altro profilo», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata per aver invertito l’onere probatorio, ponendo in capo all’amministratore nel giudizio di responsabilità l’onere di dover provare l’insussistenza di quei presupposti che rendono applicabile il cosiddetto metodo differenziale.
Il secondo e il terzo motivo, che possono essere congiuntamente esaminati, sono inammissibili perché, come testé detto a commento del primo motivo di ricorso, non si confrontano correttamente con la ratio decidendi , laddove la Corte territoriale non ha affatto eluso il principio di diritto affermato da questa Corte nella sentenza n. 9100 del 2015 ma, al contrario, ha espressamente condiviso la ragione di specifica indicazione delle ragioni per le quali nella fattispecie doveva ritenersi correttamente applicato il c.d. criterio differenziale di calcolo del danno risarcibile, come del resto il principio affermato in quella sede dalle Sezioni Unite di questa Corte espressamente consente (nel senso ulteriormente precisato da Cass. Sez. 1, Sentenza n. 38 del 03/01/2017 e da Sez. 1, Ordinanza n. 4347 del 10/02/2022), essendo stato nella specie accertato che l’omissione addebitata al COGNOME ha contribuito a consolidare il passivo fallimentare nella misura esistente al momento della dichiarazione di fallimento.
A ciò si aggiunga che il metodo del c.d. ‘differenziale dei saldi’ del patrimonio è stato espressamente codificato, come ordinario metodo di calcolo del danno derivante dall ‘accertata responsabilità degli amministratori connessa alla mancata adozione dei provvedimenti conseguenti al verificarsi di una causa di scioglimento della società, ad opera del terzo comma dell’art. 2486 cod. civ., introdotto dall’art. 378, comma 2, del d. lgs. n. 14 del 2019.
Di tanto, per verità, si sarebbe dovuta avvedere la Corte distrettuale atteso che la predetta disposizione, avente un carattere generale di indicazione al giudicante di un criterio ordinario (certamente derogabile, ma in presenza di una espressa prova del diverso ammontare) di calcolo del danno in tutte le
ipotesi astrattamente riconducibili alla fattispecie, è di immediata applicabilità ai giudizi in corso, ed era applicabile quindi anche in fase di appello nel presente giudizio, atteso che la novella in esame è entrata in vigore il 16 marzo 2019 e, dunque, in epoca antecedente alla decisione della sentenza impugnata, che è stata resa in data 16 maggio 2019.
Il criterio differenziale adottato, quindi, non è più – come accadeva prima dell’introduzione del terzo comma dell’art. 2486 cod. civ. -un metodo ‘equitativo’ cui il giudice ricorre quando non sia possibile ricostruire la contabilità per incompletezza dei dati contabili, ma diviene il criterio ordinario di calcolo del danno risarcibile, per espressa disposizione di legge, che all’uopo introduce una presunzione, sebbene relativa, in quanto derogabile con la prova di un danno di diverso ammontare.
d) Quarto motivo: «IV. Art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.: per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.», deducendo l’erroneità della sentenza impugnata per aver omesso di valutare il fatto decisivo identificato nella circostanza che l’organo di controllo e l’amministratore unico, in carica in epoca precedente alla nomina del COGNOME, non avevano posto in essere gli adempimenti ai sensi degli articoli 2482bis e 2482ter cod. proc. civ.
La censura è infondata, perché l’ omissione denunciata non sussiste, avendo la Corte territoriale espressamente argomentato (si vedano le pagg. 19 e 20) le ragioni per cui non ha ritenuto dirimente la condotta dell’organo gestorio della società, precedente all’assunzione della carica da parte del COGNOME a esimerlo dal concorso a diverso ma concorrente titolo nella causazione del danno.
I ricorsi vanno quindi complessivamente respinti.
La soccombenza regola le spese di fase, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto (Cass. S.U., n. 4315 del 20 febbraio 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi e condanna NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME a rifondere al RAGIONE_SOCIALE le spese della presente fase di legittimità, che liquida in complessivi euro 15.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge.
A i sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 febbraio