Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14935 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14935 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
sul ricorso 16055/2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME IN PEPA, COGNOME NOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti e ricorrenti incidentali – nonché contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOMERAGIONE_SOCIALE COSTRUZIONI E RISTRUTTURAZIONI
– intimati – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ANCONA. n. 170/2021 depositata il 16/02/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/04/2025 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 La Corte d’appello di Ancona, pronunciando con la sentenza in epigrafe sull’appello proposto dagli attuali controricorrenti avverso il parziale accoglimento delle ragioni di danno da essi fatte valere nei confronti della Immobiliare RAGIONE_SOCIALE, di NOME COGNOME e e di NOME COGNOME per le difformità edilizie presenti in due appartamenti vendutigli da RAGIONE_SOCIALE, ha proceduto a riformare l’impugnata decisione di primo grado tanto nella parte in cui era stato riconosciuto agli attori il danno da deprezzamento, integrando la somma già a tal fine riconosciuta dal primo giudice («La maggiore incidenza dell’eventuale intervento sulle scale per garantire il rispetto della distanza impone di maggiorare la percentuale indicata dal CTU al 12% del prezzo di compravendita degli immobili»); quanto nella parte in cui si era esclusa la ricorrenza nei fatti denunciati del reato di truffa contrattuale, ritenendo, viceversa, che alla luce dell’espletata CTU ne sussistessero i necessari presupposti («alla luce di tali criteri, il reato di truffa contrattuale può ritenersi integrato nella fattispecie in esame, anche soltanto sulla base degli aspetti già accertati dalla CTU e recepiti dal primo giudice, riguardanti la minore altezza interna dei piani rispetto alle prescrizioni di cui al piano PEEP e le violazioni della L 13 quanto alla scala condominiale e alla pubblica via in ragione della non conformità, diversamente da quanto dichiarato, alle prescrizioni di
legge, oltre che, per quanto di seguito argomentato rispetto alle violazione delle distanze dal confine prescritta dagli strumenti urbanistici per effetto della scala esterna»); e quanto, ancora, nella parte in cui non si era riconosciuta la responsabilità “personale” ex art. 2395 cod. civ. del COGNOME in ragione della sua veste di amministratore della società venditrice («a fronte dell’inadempimento contrattuale di una società di capitali, la responsabilità societaria degli amministratori nei confronti dell’altro contraente non deriva automaticamente dalla loro responsabilità, ma richiede la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi che, nella fattispecie in esame, deve ritenersi integrati la ragione dell’accertata configurabilità della condotta di frode contrattuale»).
Per la cassazione di detta sentenza si ergono ora, in via principale, il COGNOME con un ricorso affidato a due motivi e gli intimati con ricorso incidentale su quattro motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo del ricorso principale -con cui si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 640 cod. pen. in punto di sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi del divisato reato di truffa contrattuale nei fatti denunciati addebitandosi al giudice di appello di aver erroneamente ritenuto sussistente l’elemento soggettivo degli artifici e dei raggiri asseritamente ravvisabile nel silenzio serbato dal COGNOME, sebbene non ve ne fosse prova ed il silenzio assuma rilevanza solo in rapporto a circostanze nascoste o non facilmente individuabili, nella specie non riscontrabili -è inammissibile essendo inteso a sindacare il giudizio di fatto osteso dal decidente di merito.
La censura formulata con il motivo non aggredisce, per vero, l’ iter decisionale sviluppato dalla sentenza impugnata a conforto del decisum , ma si limita a declinare una pura critica di merito, ponendo in discussione l’accertamento in fatto a cui ha proceduto la Corte di appello individuando nei fatti di causa per come risultanti dall’istruttoria condotta -che non è necessariamente e solo quella orale -gli estremi costitutivi del reato di truffa contrattuale, la cui ricorrenza nella specie, al pari di ogni altro elemento fattuale, solo ad essa, in quanto giudice del merito, compete delibare secondo il metro del proprio prudente apprezzamento. Di talché l’istanza odierna mira ad ottenere un’inammissibile rivisitazione di quel giudizio, il che però non può aver luogo in questa sede in quanto la Corte di cassazione è solo giudice del fatto processuale e, vieppiù, il giudizio che ha luogo davanti ad essa non costituisce un terzo grado del giudizio di merito in cui poter porre riparo alla pretesa ingiustizia della sentenza impugnata.
Il secondo motivo di ricorso -con cui si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2395 cod. civ. addebitandosi al giudice di appello di aver ritenuto sussistente la responsabilità in parola sulla scorta dell’incidentale accertamento del reato di truffa, sebbene non fosse stata condotta alcuna analisi dell’elemento soggettivo ed il danno lamentato non fosse direttamente collegato all’operato dell’amministratore -è inammissibile in quanto esso non si accorda con la ratio decidendi sottesa al pronunciamento in contestazione e difetta, perciò, di specificità.
Occorre infatti richiamare all’attenzione del deducente che la Corte di appello si è indotta all’affermazione qui censurata, come espressamente chiarisce il passaggio conclusivo sul punto, alla luce dell’accertata ricorrenza nei fatti di causa degli estremi del reato di truffa contrattuale, di modo che, essendosi in tal modo accertata la
sussistenza anche dell’elemento soggettivo, la prima allegazione viene conseguentemente meno, mentre la seconda è posta parimenti nel nulla dal fatto, neppure contestato dal ricorrente, che egli, nel porre in essere la condotta penale di che trattasi, abbia agito nella propria veste di amministratore della società venditrice, esplicitando in modo più che trasparente, dunque, che il danno conseguente al suo operato fosse direttamente riconducibile alla propria carica da giustificarne la condanna anche a mente dell’art. 2395 cod. civ.
6. Il terzo motivo di ricorso -con cui -con cui si lamenta l’omesso esame degli accertamenti oggettivi emersi in sede di consulenza tecnica d’ufficio esperita in primo grado e, segnatamente, di quanto riferito dal CTU circa il fatto che, essendo state completamente realizzate le palazzine in cui erano collocati gli appartamenti da loro acquistati, gli attori erano in grado di verificarne le anomalie, fatto che ove si fosse considerato avrebbe portato ad escludere la sussistenza del reato di truffa -è inammissibile per estraneità della censura al parametro cassatorio enunciato.
7. E’ infatti stabile insegnamento di questa Corte che le risultanze trasfuse nella consulenza tecnica disposta dal giudice, salvo che non evidenzino un fatto nel senso accolto dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. -che ha riguardo com’è noto al fatto in senso storiconaturalistico in grado di assicurare o di negare fondamento al diritto azionato, sì che non sono tali le circostanze aventi rilevanza meramente istruttoria, come tali non vincolanti per il giudice -non costituiscono un “fatto” decisivo per il giudizio rilevante, se ne è omesso, l’esame ai fini della cassazione impugnata: come si è infatti più volte affermato «l’art. 360, comma 1 n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con mod. dalla l. n. 134 del 2012, consente di censurare l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nozione nel cui ambito non è
inquadrabile la consulenza tecnica d’ufficio recepita dal giudice, risolvendosi la critica ad essa nell’esposizione di mere argomentazioni difensive contro un elemento istruttorio» ( ex plurimis , Cass., Sez. I, 16/03/2022, n. 8584).
Donde la doglianza, intendendo esternare solo una critica istruttoria, non merita seguito alcuno.
E’ appena il caso di aggiungere che il fatto, di cui si denuncia la pretermissione, è privo di decisività alla luce dell’affidamento riposto nel comportamento dell’alienante (cfr. Cass. n. 976 del 2006).
Il ricorso principale va dunque dichiarato inammissibile: di riflesso il ricorso incidentale in quanto tardivo, posto che la sentenza risulta notificata il 7.4.2021, mentre il ricorso incidentale risulta notificato il 13.7.2021, oltre quindi il termine di cui all’art. 325 cod. proc. civ. (cfr. Cass. n. 25889 del 2023). Va dichiarato pertanto inefficace a mente dell’art. 334, comma 2, cod. proc. civ.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente principale del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso principale inammissibile ed il ricorso incidentale inefficace; condanna parte ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in euro 4000,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge, da distrarsi in favore del procuratore antistatario.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il