Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 12452 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 12452 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 967/2023 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, anche disgiuntamente tra loro, dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE e dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE, con domiciliazione digitale ex lege
-ricorrente principale – contro
COGNOME
-intimati- sul controricorso incidentale proposto da
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con domiciliazione digitale ex lege
-ricorrente incidentale- contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOMEC.F. CODICE_FISCALE con domiciliazione digitale ex lege controricorrente al ricorso incidentalenonché contro
SPENDOLINI NOME
-intimato-
Avverso la SENTENZA di della CORTE D’APPELLO ANCONA n. 746/2022 depositata il 13/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
1.NOME COGNOME il 25.10.2013, con l’assistenza del Notaio NOME COGNOME ha stipulato con la RAGIONE_SOCIALE rappresentata dall’amministratore unico NOME COGNOME un contratto preliminare per la compravendita di un immobile da costruirsi in Jesi (AN).
Con tale contratto la promittente venditrice si è impegnata a costruire l’immobile e consegnarlo al promittente acquirente, entro il 30 giugno 2014, verso il corrispettivo di Euro 590.000,00, di cui
Euro 200.000,00 versati a titolo di caparra confirmatoria e in acconto prezzo tramite tre assegni bancari non trasferibili.
InBuilding, a garanzia dell’adempimento della propria obbligazione, ha consegnato, inoltre, all’esponente polizza fideiussoria emessa dalla RAGIONE_SOCIALE di Birmingham (di seguito Nissay Dowa), escutibile in caso di crisi finanziaria della società.
La RAGIONE_SOCIALE si è resa inadempiente all’obbligo di costruire e consegnare l’immobile promesso.
COGNOME, promittente acquirente, dopo aver inutilmente diffidato il promittente venditore ad adempiere, ha esercitato il recesso ai sensi dell’art. 1385 c.c. ed ha chiesto il pagamento del doppio della caparra, per l’importo complessivo di Euro 400. 000,00, ma, non ricevendo riscontro, ha ottenuto decreto ingiuntivo con cui il Tribunale di Ancona, pur riconoscendo la ricorrenza dei presupposti per l’esercizio del recesso e il diritto al pagamento del doppio della caparra, ha ingiunto a In-RAGIONE_SOCIALE il pagamento di 200.000,00 euro. Il decreto è diventato definitivo, anche se RAGIONE_SOCIALE non ha comunque pagato il dovuto, ragione per cui COGNOME ha depositato istanza di fallimento, a seguito della quale il rappresentante legale della società, ossia NOME COGNOME ha concluso una transazione con la quale si è impegnato personalmente a versare la somma di 200 mila euro ed a ultimare i lavori.
Anche questo accordo è andato disatteso e nel frattempo la InBuilding è stata dichiarata fallita.
3.-Il COGNOME si è allora rivolto alla NOME COGNOME ossia la società assicuratrice che aveva garantito l’adempimento ed ha scoperto che tale società non era autorizzata a svolgere attività finanziaria in regime di prestazione di servizi in Italia.
Ha dunque agito sia nei confronti di NOME COGNOME che, come si è visto, si era obbligato con la transazione, sia nei confronti del notaio NOME COGNOME cui si rimproverava di non aver controllato
che la compagnia di assicurazione non aveva l’autorizzazione ad operare in Italia.
Il primo dei due si è difeso sostenendo di non avere stipulato la transazione, ossia di non essersi impegnato di persona, mentre il notaio si è difeso sostenendo di avere avvisato il COGNOME dei rischi della operazione.
4.- Il Tribunale di Ancona ha rigettato la domanda, con i seguenti argomenti.
Quanto al convenuto COGNOME non era provato che costui avesse assunto l’impegno direttamente, mentre piuttosto risultava che con la transazione si era impegnata la società RAGIONE_SOCIALE; né il convenuto poteva ritenersi responsabile per avere scelto una compagnia di assicurazione inadeguata, in quanto per tale scelta la società si era rivolta ad un broker finanziario.
Quanto al notaio, invece, la domanda è stata rigettata sul presupposto che non era tra i suoi obblighi quello di verificare se la società garante avesse o meno autorizzazione a svolgere quella sua attività in Italia.
La Corte di Appello di Ancona, adita da COGNOME, ha, dapprima, rilevato la nullità della sentenza di primo grado, in quanto emessa da giudice monocratico in materia di competenza collegiale, ma, poi, non ravvisando in tale nullità ipotesi di rimessione al primo giudice, ha deciso nel merito, accogliendo parzialmente l’appello e condannando lo Spendolini al risarcimento di 200 mila euro nei confronti di COGNOME.
5.- Questa sentenza è oggetto di un ricorso principale da parte di COGNOME con sei motivi illustrati da memoria, e di ricorso incidentale da parte di COGNOME con cinque motivi illustrati da memoria. Il ricorso principale è stato notificato altresì al notaio COGNOME ma senza domande nei suoi confronti, che sono invece formulate nel ricorso incidentale, avverso il quale il notaio si è costituito con controricorso e memoria.
Ragioni della decisione
1.-La ratio della decisione impugnata è nel senso che gli obblighi assunti da COGNOME (rappresentante della venditrice) sono quelli propri del preliminare e non della transazione successiva, poiché non vi è alcuna ragione per dire che in tale transazione il COGNOME si sia impegnato in proprio.
E dunque, l’unico obbligo cui costui può dirsi inadempiente è quello, assunto a suo tempo, per l’appunto, con il contratto preliminare, di procurare una valida fideiussione, obbligo violato dal fatto che la fideiussione procurata non era, invece, utilizzabile.
Con la conclusione che l’affidamento che il COGNOME ha posto sulla valida esistenza della polizza, e che lo ha spinto alla stipula del contratto, ha causato allo stesso un danno pari alla somma versata alla società promittente venditrice in mancanza di apposita garanzia.
2.- Il ricorso principale
2.1.- Con il primo motivo di ricorso si prospetta violazione degli articoli 112 e 346 c.p.c.
La censura è la seguente. Il ricorrente assume di avere fatto, sin dal primo grado, dove la questione era stata assorbita dal rigetto della domanda, reiterandola poi in appello, la precisa eccezione secondo cui COGNOME, ossia il promittente acquirente, aveva perso il diritto di escutere la polizza in quanto era receduto dal contratto, prima che il promittente venditore fallisse, e la polizza escludeva tale caso.
In particolare, <>.
In conclusione, secondo il ricorrente, <> (v. ricorso, p. 18)
Sostiene il ricorrente che la Corte di Appello non ha deciso tale eccezione, non ha pronunciato affatto su di essa.
2.- Il secondo motivo è svolgimento del precedente e pone la medesima questione, ma sotto il profilo dell’omesso esame.
La Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare un fatto decisivo, quale era quello dell’avvenuto recesso del promissario acquirente, recesso che gli impediva di escutere la polizza:<> (v. ricorso, p.20)
Questi due motivi sono inammissibili. Non colgono la ratio della decisione impugnata, che è quella che si è riassunta in precedenza. Ossia: la Corte di Appello ha ritenuto responsabile COGNOME per il fatto che costui aveva leso l’affidamento della controparte, inducendolo a stipulare attraverso il miraggio di una garanzia, poi
rilevatasi inefficace. Scrive la Corte di Appello: <> (v. sentenza, p.12).
Ciò significa che l’eccezione fatta dal ricorrente è stata implicitamente rigettata, ed era irrilevante, poiché riguardava una ipotesi diversa, ossia riguardava l’ipotesi in cui il promissario acquirente faccia valere la polizza pur dopo essere receduto dal contratto preliminare. Tanto è vero che il ricorrente cita la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la polizza di quel tipo (garanzia in caso di fallimento) non può essere fatta valere se il preliminare è stato risolto, e può esserlo solo se il preliminare, al momento del fallimento, è ancora in essere (Cass. 21792/ 2019 e Cass. 1571/ 2020).
Dunque, l’eccezione fatta dal ricorrente, da un lato, è stata implicitamente rigettata, e, per altro verso, non conteneva un fatto decisivo, poiché era del tutto fuori dalla ratio decidendi , la quale, si ripete, era quella di ritenere responsabile il convenuto in quanto, avendo procurato una polizza inutilizzabile, aveva leso l’affidamento dell’attore. In altri termini, la questione posta con questi due motivi avrebbe avuto rilevanza ove l’a ttore avesse preteso di far valere la polizza, ove cioè la sua domanda fosse stata quella di escussione della polizza per via del fallimento della venditrice. In quel caso avrebbe potuto obiettarsi che la polizza non poteva più essere escussa in quanto il contratto preliminare era stato risolto (secondo l’orientamento di Cass. 21792/ 2019 e Cass. 1571/ 2020). Ma qui, come si è detto, la questione è un’altra, come altra era la domanda: responsabilità della controparte per avere fatto confidare l’acquirente nella esistenza di una valida garanzia. Questione rispetto alla quale l’obiezione che la polizza non può essere escussa perché ormai il contratto è risolto, è del tutto inconferente.
Il terzo motivo prospetta nullità della sentenza per difetto di motivazione.
La censura si appunta proprio sulla ratio che si è richiamata in precedenza.
Il ricorrente osserva che non è fornita alcuna giustificazione di tale ratio : i giudici di merito non dicono perché mai il rappresentante legale della società debba rispondere del fatto di non avere vigilato sulla scelta della assicurazione e sulla affidabilità di questa ultima.
Soprattutto i giudici non dicono perché mai, se la responsabilità fatta gravare sull’amministratore è per fatto proprio (art. 2395 c.c.), costui debba rispondere del fatto che la scelta del garante (non idoneo) è stata fatta da un mediatore finanziario.
Il motivo è infondato.
Intanto, la motivazione c’è, posto che i giudici di merito hanno ritenuto in capo all’amministratore della società un obbligo di conoscenza dei requisiti del garante (<>). Dunque, hanno giustificato la decisione di cendo che l’amministratore ha violato un obbligo posto a suo carico, quello di verificare se la società garante, seppure scelta da un mediatore, avesse i requisiti di legge. Altro discorso essendo ovviamente quello della fondatezza di tale motivazione, che è infatti oggetto di censura con il quarto motivo.
4.Il quarto motivo prospetta violazione dell’articolo 2395 c.c.
Il ricorrente sostiene che è infondato ritenere che debba essere l’amministratore a verificare se il garante, scelto da un mediatore finanziario, abbia o meno i requisiti di legge, in quanto ad essere obbligata a tale verifica è la società in quanto tale (<> v. ricorso, p. 23).
Ciò in quanto <> (v. ricorso, p. 23).
E comunque, se anche fosse, tra gli obblighi dell’amministratore non vi è quello di rispettare regole di perizia: non può chiedersi all’amministratore di verificare un fatto tecnico, ossia accertare se il garante, scelto dalla società, è autorizzato ad operare in Italia.
Il motivo è infondato.
Intanto, non si comprende come la società in quanto tale possa adempiere ad una obbligazione che presuppone un facere , ossia come possa porre in essere una condotta che è propria delle persone fisiche, quale quella di verificare la affidabilità di un soggetto con cui si instaurano rapporti contrattuali.
Resta evidente il fatto che il compimento di un atto (si imputa di non avere fatto una verifica) è faccenda delle persone fisiche che rappresentano la società, e non può essere opera di quest’ultima in quanto tale.
Qui però la questione è che i giudici di merito hanno ritenuto che l’amministratore è responsabile di un fatto proprio, in quanto aveva lui, in quanto amministratore, l’obbligo cautelare di verificare l’affidabilità del garante scelto nell’interesse della società. E la norma (art. 2395 c.c.) rende l’amministratore direttamente responsabile verso il terzo.
Dunque, si tratta di stabilire se l’amministratore di una società abbia quell’obbligo o meno.
La verifica circa i requisiti di un garante non è, come assume, il ricorrente, una questione di perizia, non impone all’amministratore di essere perito di qualcosa, ed in particolare delle norme tecniche, poiché si tratta di una mera verifica, di un mero accertamento di fatto : basta fare le istanze alla Banca d’Italia, non occorrendo alcuna particolare cognizione tecnica. E, comunque, quella verifica può
essere fatta in qualsiasi modo, anche servendosi di un perito, come del resto è accaduto, avendo l’amministratore scelto un mediatore finanziario perché costui procurasse una garanzia verso l’acquirente. Né si può dire che la scelta implica responsabilità per fatto altrui, non prevista dalla ipotesi dell’articolo 2395 c.c. né da quella citata dalla C orte di merito dell’articolo 2049 c.c.
Infatti, l’amministratore che, avvalendosi di un consulente, presti al creditore una garanzia non utile, in tal modo inducendolo, per affidamento, a stipulare il contratto, risponde di fatto proprio verso quest’ultimo, e non per fatto del mediatore finanzi ario, il rapporto con il quale rimane interno ai due e non è neanche conosciuto dal terzo.
Giova un chiarimento: nella responsabilità per fatto altrui, il danno è cagionato al terzo dal preposto o dal soggetto di cui ci si serve, e di quel danno risponde poi il preponente. Qui invece il preposto o il collaboratore non ha alcun rapporto con il terzo: non è il mediatore finanziario, che su incarico dell’amministratore della società ha trovato la garanzia, ad avere contatti con il terzo acquirente, né è il mediatore a ledere l’affidamento di quest’ultimo.
Qui la lesione dell’affidamento è operata direttamente dall’amministratore che ha fornito una garanzia non utilizzabile, per difetto delle autorizzazioni di legge in capo al garante, e dunque la lesione di quell’affidamento è direttamente riferibile al fat to proprio dell’amministratore.
5.- Il quinto motivo prospetta nullità della sentenza per difetto di motivazione.
La tesi è la seguente.
Era stato prospettato che il garante non aveva potuto pagare la polizza non già perché non era autorizzato ad ammetterla bensì perché lo stesso garantito era inadempiente.
Questa eccezione non sarebbe stata tenuta in alcuna considerazione.
6.- Il sesto motivo prospetta omesso esame di un fatto decisivo e rilevante.
Sempre a proposito della utilizzabilità della polizza, il ricorrente assume di avere eccepito che non vi era alcuna prova di tale limitazione; ossia, aveva eccepito che la Banca d’Italia aveva certificato la mancanza di autorizzazione solo dopo la stipula della medesima, e dunque non al momento di conclusione del contratto.
I due motivi pongono una questione simile e sono inammissibili.
Essi presuppongono, sotto l’apparente vizio di violazione di legge, un diverso accertamento di una questione di fatto: se la società garante avesse o meno autorizzazione a svolgere attività in Italia.
Il relativo fatto è stato accertato dai giudici di merito, sin dal primo grado (e non risulta impugnazione sul punto) e non può essere messo qui in discussione: senza tacere del fatto che quella della Banca d’Italia è la data della certificazione, che ben può essere successiva al fatto certificato.
Il ricorso incidentale
1.- Con il primo motivo si prospetta difetto assoluto di motivazione, e dunque violazione dell’articolo 132 c.p.c.
La tesi è la seguente.
Il giudice di merito ha escluso la responsabilità del notaio, anche in tal caso per la scelta del garante errato, in quanto costui aveva prodotto il contratto di incarico professionale che conteneva espressamente un esonero da quella responsabilità.
Tuttavia, il contratto, secondo il ricorrente incidentale, era stato depositato tardivamente e dunque non poteva tenersi conto della clausola in questione.
Secondo il ricorrente incidentale la sentenza impugnata avrebbe immotivatamente ritenuto che l’allegazione di quella clausola fosse semplicemente esercizio del diritto di difesa, ossia costituisse un
argomento difensivo al pari degli altri, come tale formulabile in qualunque momento del giudizio.
Ma senza dare conto di tale assunto.
2.Con il secondo motivo si prospetta violazione dell’articolo 1176 c.c.
Si contesta la tesi secondo cui non era obbligo del notaio verificare se il garante avesse o meno l’autorizzazione ad operare in Italia.
Si assume che invece è nella natura dell’incarico l’assunzione di quell’obbligo, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, non può essere oggetto di esonero.
Invece, i giudici di merito avrebbero escluso, dunque illegittimamente, che il notaio fosse obbligato a fare la verifica sulla qualità del garante.
Il terzo motivo prospetta violazione dell’articolo 132 c.p.c., e dunque nullità della sentenza per difetto di motivazione.
I giudici di merito non spiegano perché dal tenore della clausola hanno ricavato che si trattava di una delimitazione dell’oggetto del contratto piuttosto che un esonero da responsabilità, pur a fronte di deduzioni difensive contrarie.
4.Il quarto motivo prospetta violazione dell’articolo 112 c.p.c. e dunque omessa pronuncia,
Sostiene il ricorrente di avere posto una certa interpretazione della clausola, ossia che essa prevedeva <>.
Dunque, come a dire: dalla clausola si deduce che il notaio è esonerato solo dalla verifica della validità della polizza non già del fatto che il garante sia autorizzato, situazione questa che invece era obbligato a verificare.
Su tale domanda non vi sarebbe pronuncia.
Questi quattro motivi hanno connessione logica. Essi sono relativi alla interpretazione della clausola allegata dal notaio a propria difesa, interpretazione che ha portato i giudici di merito ad escludere responsabilità del professionista.
Possono dunque scrutinarsi insieme e sono infondati.
Intanto, il primo ed il terzo motivo prospettano un difetto di motivazione che invece non è rimproverabile alla decisione impugnata, la quale, e del resto lo stesso ricorrente incidentale ne riporta il contenuto, ha dato conto della interpretazione che di quella clausola ha inteso fornire, così come ha dato conto della sua ammissibilità processuale. Altra questione essendo quella del merito. Ma qui è denunciato difetto di motivazione.
Va ricordato che il difetto di motivazione rende nulla la sentenza solo ove la motivazione manchi del tutto, ossia non emergano le ragioni in base alle quali è stata assunta la decisione.
Qui, da pagina 9 a pagina 12, la decisione impugnata contiene quelle ragioni.
Né può dirsi che sulla questione di come si interpreta la clausola vi sia stata omessa pronuncia, che è la censura propria del quarto motivo, in quanto ovviamente alla domanda se quella clausola contenesse obbligo del notaio o meno, la Corte di merito ha risposto: non costituisce ovviamente omessa pronuncia il fatto che il giudice non dia conto di tutti gli argomenti usati dalla parte e non risponda ad essi in modo specifico. E’ sufficiente che decida sulla domanda.
Resta, al netto dunque del difetto di motivazione e di pronuncia, atteso che vi è una pronuncia motivata, la questione posta dal secondo motivo, ossia il fatto che quella clausola andava intesa come limitativa della responsabilità del notaio, come tale nulla alla luce del fatto che il notaio non può essere esonerato dal verificare la validità della fideiussione di cui si fa menzione o che si allega all’atto da lui rogato.
Questo motivo è in parte infondato in parte inammissibile.
E’ inammissibile nella parte in cui postula un ratio diversa: ossia postula che la clausola dovesse intendersi come limitativa della responsabilità, mentre i giudici di merito l’hanno intesa diversamente, ossia come clausola che limitava l’oggetto del contratto, come clausola che esonerava il notaio non già da responsabilità per una data attività, ma lo esonerava proprio dal compiere quella data attività.
La tesi della ricorrente avrebbe senso ove i giudici di merito avessero qualificato la clausola come di esonero da responsabilità, contro le regole proprie del contratto stipulato con il professionista. Ma essi hanno inteso la clausola come una delimitazio ne dell’oggetto del contratto, e dunque non suscettibile di essere valutata in termini di esonero da responsabilità.
Infine, è infondato il motivo nella parte in cui prospetta, sia pure adombrandola, la tesi che una limitazione dell’oggetto di tale portata non possa essere pattuita, ossia nella parte in cui assume che, ammesso che si tratti di una limitazione dell’oggett o, essa sarebbe incompatibile con la regola per cui il notaio è tenuto anche alla attività accessorie e successive alla redazione (p. 33).
Questi tesi prova troppo. Essa è relativa ad attività diverse, ossia accessorie alla stipula dell’atto, che rientrano nel normale incarico dato al notaio (per esempio, effettuare le visure catastali). Né può invocarsi in segno contrario il parere del consiglio notarile, che invece ritiene il notaio gravato dell’obbligo di fare la suddetta verifica.
Ciò in quanto altro è che quell’obbligo sia inerente al mandato, ossia possa gravare sul notaio in astratto, altro che il patto con cui quell’obbligo è escluso sia nullo. Che il notaio abbia quell’obbligo non significa che le parti possono decidere in senso contrario esonerandolo da quel compito.
E’ dunque questo il punto: che l’inderogabilità di quel patto non è qui argomentata.
5.Il quinto motivo prospetta violazione dell’articolo 112 cpc .
Secondo il ricorrente la Corte di Appello non ha pronunciato sulla espressa domanda di ripartizione delle spese.
Ossia: in primo grado l’attore COGNOME era stato condannato a rifondere le spese di giudizio ai due convenuti, COGNOME, controparte contrattuale, ed il notaio COGNOME. Ma senza decidere sulla ripartizione tra i due creditori. Questa statuizione era stata fatta oggetto di appello, con cui COGNOME ha dato atto di avere pagato le spese legali di primo grado, ed ha chiesto, in caso di riforma, che gli venisse restituito quanto aveva versato in esecuzione della decisione di primo grado.
Per contro <> (v. ricorso incidentale, p. 38)
Il motivo è fondato nei termini appresso precisati.
Nei confronti di COGNOME vi è stata riforma. Quindi, COGNOME ha pagato le spese a COGNOME, nel primo grado, ma, essendo poi la sentenza stata riformata (condanna di COGNOME alle spese dell’appello), quanto pagato a costui in primo grado per spese legali andava da costui restituito. E vi era domanda espressa.
Va dunque rigettato il ricorso principale ed accolto il quinto motivo del ricorso incidentale, che va rigettato nel resto. La decisione cassata con rinvio in relazione al motivo del ricorso incidentale accolto. Le spese del presente giudizio di legittimità rimesse al merito.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale ed i primi quattro motivi del ricorso incidentale; accoglie il quinto motivo del ricorso incidentale; cassa la decisione impugnata in relazione al motivo del ricorso
incidentale accolto e rinvia alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio di cassazione. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del solo ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale ed incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 6/03/2025.