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Responsabilità amministratore: onere della prova del danno

Una società ha richiesto un sequestro conservativo dei beni di un ex amministratore delegato, accusandolo di aver causato un ammanco di magazzino superiore a 3 milioni di euro. Il Tribunale ha respinto il ricorso, evidenziando che la società non ha fornito prove sufficienti per dimostrare né l’effettiva esistenza del danno né, soprattutto, il nesso di causalità tra la presunta perdita e la condotta dell’amministratore. La decisione sottolinea come, nell’ambito della responsabilità amministratore, l’onere della prova del danno e della sua riconducibilità alla gestione spetti alla società che agisce in giudizio.

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Responsabilità Amministratore: Quando la Prova del Danno Non Basta

L’azione di responsabilità amministratore è uno strumento cruciale per la tutela del patrimonio sociale. Tuttavia, una recente ordinanza del Tribunale di Ancona ci ricorda che non è sufficiente lamentare una perdita per ottenere una misura cautelare come il sequestro conservativo. È indispensabile fornire una prova rigorosa non solo del danno, ma anche del nesso di causalità che lega tale danno alla condotta dell’amministratore. Analizziamo insieme questa interessante decisione.

I Fatti di Causa: Un Ammanco Milionario e la Richiesta di Sequestro

Una società avviava un procedimento d’urgenza contro il suo ex amministratore delegato, chiedendo il sequestro conservativo dei suoi beni per un valore di oltre 3 milioni di euro. Secondo la società, tale cifra corrispondeva al pregiudizio patrimoniale subito a causa di una gestione negligente.

In particolare, la ricorrente lamentava:
1. Ammanchi di magazzino: Una differenza inventariale di circa 3,5 milioni di euro, mascherata, secondo l’accusa, da un sistema di storni fittizi e rettifiche contabili irregolari.
2. Danno fiscale: Un conseguente esborso di circa 1,3 milioni di euro a titolo di imposte per la regolarizzazione fiscale della merce mancante.

La società sosteneva che la responsabilità amministratore derivasse sia dal difetto di controllo che ha permesso l’ammanco, sia dall’omessa vigilanza sulla corretta tenuta delle scritture contabili.

L’amministratore si difendeva contestando ogni addebito. Sottolineava l’esistenza di una transazione precedente con cui la società aveva rinunciato ad azioni di responsabilità, salvo i casi di dolo o colpa grave. Negava inoltre di essere a conoscenza di qualsiasi manipolazione contabile e contestava la quantificazione del danno, sostenendo che non vi fosse prova che l’ammanco si fosse generato durante il suo mandato.

Onere della Prova nella Responsabilità Amministratore

Il Tribunale, nel rigettare il ricorso, ha svolto una puntuale analisi sui principi che governano l’onere della prova in materia di responsabilità amministratore. La responsabilità degli amministratori verso la società ha natura contrattuale (art. 2392 c.c.). Ciò comporta una specifica ripartizione dell’onere probatorio, come chiarito dalla giurisprudenza consolidata.

Spetta alla società che agisce in giudizio:
* Allegare le violazioni ai doveri imposti dalla legge e dallo statuto.
* Provare il danno subito dal patrimonio sociale.
* Provare il nesso di causalità tra la condotta inadempiente e il danno.

Spetta invece all’amministratore convenuto dimostrare di aver agito con la diligenza richiesta e di aver osservato i propri doveri, ovvero che l’inadempimento non è a lui imputabile.

L’Anello Mancante: La Prova del Nesso Causale

Il punto cruciale della decisione è stata proprio la mancanza di prova sul nesso causale. La società deduceva che, essendo stati rilevati gli ammanchi alla fine del 2022 e non risultando nei bilanci precedenti (dal 2018 al 2021), essi dovessero essersi necessariamente prodotti durante la gestione dell’amministratore convenuto. Il giudice ha ritenuto questa una deduzione logica, ma non una prova sufficiente.

Il Tribunale ha osservato che una precedente attestazione sulla consistenza del magazzino al 31.12.2018 era basata su un’analisi a campione e non su un inventario completo. Pertanto, non si poteva escludere che le perdite fossero già presenti in passato, data anche la pregressa situazione di crisi della società. Mancava, in sintesi, un punto di partenza certo per datare l’origine degli ammanchi.

Le Motivazioni

Il giudice ha rigettato la domanda cautelare per l’assenza del fumus boni iuris, ovvero della probabilità che la domanda di merito possa essere accolta. La motivazione si fonda su un principio fondamentale: la mera irregolarità formale nella redazione del bilancio non è, di per sé, fonte di responsabilità risarcitoria se non si dimostra che ha causato un danno patrimoniale diretto alla società. Il bilancio ha una funzione informativa, ma una sua non corretta redazione non impoverisce automaticamente la società.

Nel caso specifico, la società non è riuscita a provare ‘quando’ si è verificato l’ammanco di magazzino. Senza questa prova temporale, è impossibile stabilire il nesso di causalità tra la perdita e la condotta dell’amministratore convenuto. Non si può attribuire una colpa se non si riesce a collocare l’evento dannoso all’interno del suo mandato. Di conseguenza, è venuto meno il presupposto principale per la richiesta di risarcimento e, a cascata, per la concessione della misura cautelare del sequestro.

Anche il periculum in mora, cioè il rischio di non poter recuperare il credito, è stato ritenuto insussistente. L’atto di disposizione patrimoniale contestato (cessione di quote societarie alle figlie) era avvenuto prima dell’inizio formale della lite, rendendo difficile qualificarlo come un atto finalizzato a sottrarre beni alla garanzia del creditore.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica per le società che intendono agire contro i propri amministratori. La responsabilità amministratore non può basarsi su mere presunzioni o deduzioni logiche, per quanto possano apparire ragionevoli. Per ottenere tutela, soprattutto in via cautelare, è necessario costruire un solido quadro probatorio in grado di dimostrare in modo inequivocabile tre elementi: la condotta illecita, il danno patrimoniale e il legame diretto di causa-effetto tra i due. In assenza di uno di questi pilastri, l’azione è destinata a fallire.

Perché il giudice ha respinto la richiesta di sequestro conservativo contro l’amministratore?
Il giudice ha respinto la richiesta perché la società ricorrente non ha fornito la prova del ‘fumus boni iuris’, ovvero non ha dimostrato con sufficiente probabilità l’esistenza del proprio diritto al risarcimento. In particolare, è mancata la prova del nesso di causalità tra la condotta dell’amministratore e il danno lamentato, non essendo stato possibile determinare quando si fossero verificati gli ammanchi di magazzino.

Chi deve provare il danno in un’azione di responsabilità contro un amministratore?
In un’azione di responsabilità, che ha natura contrattuale, l’onere di provare il danno patrimoniale e la sua genesi dalla condotta inadempiente dell’amministratore (il nesso di causalità) grava sulla società che agisce in giudizio. All’amministratore spetta invece l’onere di dimostrare l’assenza di colpa, cioè di aver adempiuto ai propri doveri con la diligenza richiesta.

Una semplice irregolarità contabile è sufficiente per dimostrare un danno patrimoniale?
No. Secondo l’ordinanza, la mera irregolarità formale nella redazione del bilancio o nella contabilizzazione delle merci non è di per sé fonte di responsabilità risarcitoria. È necessario dimostrare che tale condotta abbia causato un effettivo e concreto danno patrimoniale alla società, poiché il bilancio ha principalmente una funzione informativa e la sua irregolarità non comporta un automatico impoverimento del patrimonio sociale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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