Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1122 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1122 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
sul ricorso 9192/2021 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
CURATELA RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, COGNOME FRANCO
– intimati –
avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO di LECCE n. 921/2020 depositata il 24/09/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre a questa Corte per sentire cassare l’epigrafata sentenza con la quale la Corte di appello di Lecce, rigettandone il gravame, ne ha confermato la condanna in primo grado perché nella sua veste di amministratrice dell’RAGIONE_SOCIALE, ora fallita, aveva distratto dalle casse sociali le somme giacenti alla chiusura dell’esercizio sociale 2007, non riconsegnate al nuovo amministratore all’atto di succederle nella carica, ed aveva altresì addebitato sui conti della società il pagamento di sei rate di un mutuo contratto per interessi personali.
A motivazione del pronunciato rigetto e della confermata condanna il giudice di appello ha rinnovato le ragioni già enunciate dal primo giudice ed ha fatto, perciò, rilevare, quanto all’imputata distrazione, che la riportata giacenza di cassa risultava dal bilancio di periodo e che la COGNOME non aveva offerto alcuna giustificazione del fatto che le somme corrispondenti non fossero state consegnate al nuovo amministratore, astenendosi, per di più, dal rendere l’interrogatorio deferitole; e, quanto al saldo dei ratei di mutuo, che la RAGIONE_SOCIALE, del pari, non aveva fornito alcuna dimostrazione che il denaro occorrente non fosse di provenienza societaria, a fronte del fatto che l’addebito delle rate era avvenuto sul conto corrente intestato alla società, come pure era documentato il pagamento da parte della società della rata n. 19.
L’odierno ricorso della RAGIONE_SOCIALE si vale di tre mezzi, illustrati pure con memoria e resistiti dal fallimento con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso -con cui si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2394 e 2476 cod. civ. perché la Corte di appello avrebbe ritenuto sussistente la responsabilità di essa ricorrente in danno della società a mente delle norme rubricate quantunque detta responsabilità non ricorra in caso di risultati negativi della gestione e debba essere provato il nesso di causalità tra inosservanza dei doveri sociali ed il danno lamentato -è inammissibile per evidente difetto di specificità in quanto, per un verso, si rivela distonico rispetto all’ iter motivazionale della decisione, per l’altro, omette di confrontarsi con le ragioni di questa.
Va infatti rimarcato, sotto la prima angolazione, che il giudice di appello ha reiterato la contestata pronuncia di condanna confermandone i presupposti lumeggiati dal Tribunale, ovvero che la COGNOME aveva distratto la giacenza di cassa ed aveva utilizzato i conti della società per pagare i propri debiti, senza minimamente far cenno a risultati negativi di gestione di cui strologa invece il motivo; sotto la seconda angolazione preme invece considerare che, essendo quelle appena ricordate le ragioni della rinnovata condanna della COGNOME, il motivo non sviluppa riguardo ad esse nessuna considerazione critica, sicché esso mostra di venir meno al comando secondo cui il vizio denunciato postula che l’errore lamentato sia dedotto mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite
dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente non potendo la Corte disimpegnerà il proprio ufficio di legittimità.
4. Il secondo motivo di ricorso -con cui si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e 116 cod. proc. civ. perché la Corte di appello avrebbe ritenuto che la ricorrente non avesse offerto alcuna dimostrazione dell’impiego delle somme di denaro, quantunque non fosse lei a dover fornire la prova dell’assenza del danno e del nesso di causalità, ma semmai la società che aveva agito in responsabilità -è inammissibile per evidente difetto di specificità in quanto non si allinea all’esatto tenore del decisum .
La Corte di appello, si è visto, rinnovando le ragioni di condanna già enunciate dal primo giudice ha valorizzato in chiave probatoria il duplice rilievo che la giacenza di cassa, presente alla chiusura dell’esercizio sociale 2007, non era stata consegnata al nuovo amministratore allorché questo nel giugno 2008 era succeduto alla COGNOME e che le rate del mutuo personale di questa erano state addebitate sul conto corrente intestato alla società. Su questi presupposti, evidenzianti un’obiettiva lesione dell’integrità patrimoniale della società, ha ritenuto raggiunta, come già il primo giudice, la prova che la COGNOME fosse incorsa nella violazione dei doveri impostile nella sua veste di amministratore della società e che, di conseguenza, fosse onere della stessa, ove avesse voluto sottrarsi al riconoscimento di responsabilità che ciò comportava, provare i fatti impeditivi di segno contrario. E, dunque, lungi dall’incorrere nel vizio denunciato la Corte di appello ha regolato il riparto dell ‘onere probatorio esattamente in adesione al principio dell’art. 2697 cod. civ., sicché la censura, per come è formulata, ovvero concentrandosi solo sul segmento del gioco probatorio che fa capo al convenuto, non vede il segmento di esso che fa capo
all’attore e che qui è stato assolto per mezzo dei fatti costitutivi positivamente accertati dal decidente.
Il terzo motivo di ricorso -con cui si lamenta la violazione dell’art. 134 cod. proc. civ. per omessa motivazione riguardo alle istanze istruttorie, posto che la Corte di appello avrebbe rigettato il gravame limitandosi solo a ritenere infondato il motivo di appello -è inammissibile per evidente difetto di specificità in quanto non si allinea all’esatto tenore del decisum .
Per vero, come riporta la stessa ricorrente a pag. 17 del ricorso, la Corte di appello ha al riguardo affermato che «il giudice di prime cure, infatti, sia pure sinteticamente, ha rigettato la richiesta di prova testimoniale e quella di esibizione ex art. 210 cpc, tenendo conto, da un lato, di quanto già acquisito documentalmente al processo, dall’altro dell’oggetto del giudizio, sicché non ricorre evidentemente alcuna nullità del provvedimento impugnato».
Ora, è, perciò, di tutta evidenza, alla luce del passaggio motivazionale appena riprodotto, che il vizio denunciato non sussista, avendo la Corte di appello, per mezzo delle parole già impiegate dal primo giudice, comunque assolto l’obbligo motivazionale impostole dal gravame, e dunque la doglianza non coglie minimamente nel segno poiché, in evidente inosservanza del principio di specificità del motivo, oblitera palesemente il contenuto della sentenza.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico della ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in euro 6000,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il