Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 9018 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 9018 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7630/2019 R.G. proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME
– Ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME COGNOME, NOME COGNOME
– Controricorrente – a vverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 113/2018 depositata il 26/07/2018.
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 13 marzo 2025.
SANZIONI CONSOB
FATTI DI CAUSA
A conclusione della verifica ispettiva condotta presso l’istituto di credito dal 22/04/2015 al 24/02/2016, la Consob, con delibera n. 19932 del 30 marzo 2017, ha applicato a NOME COGNOME componente del CdA della Banca Popolare di Vicenza (‘BPVi’) dal 26/04/2014 al 1°/12/2014, la sanzione pecuniaria di euro 30.000,00 per effetto del cumulo giuridico tra le sanzioni di euro 20.000,00 e di euro 1 5.000,00, ex art. 191 TUF, per l’omissione di rilevanti informazioni nei prospetti relativi ai due aumenti di capitale deliberati nel 2014, il primo dei quali mediante l’emissione di azioni in opzione ai soci per un importo fino ad un massimo di euro 607.786.750,00 (periodo di offerta dal 12/05/2014 all’08/08/2014), il secondo, mediante l’emissione di azioni, finalizzato all’ampliamento della base sociale, da offrire esclusivamente a non soci, fino ad un importo massimo di euro 300mln, entro un triennio (periodo di offerta dal 12/05/2014 al 19/12/2014).
Nel dettaglio, la sanzione inflitta al ricorrente riguardava la violazione dell’art. 94 comma 2 TUF per la mancata rappresentazione, nei prospetti di offerta delle azioni, di informazioni necessarie agli investitori concernenti la determinazione del prezzo delle azioni, la concessione di finanziamenti strumentali alla sottoscrizione e all’acquisto delle azioni, la compravendita delle azioni BPVi;
Il dott. COGNOME ha proposto opposizione e ha chiesto l’annullamento della sanzione.
La Corte d’appello di Venezia, nella resistenza della Consob, ha ridotto la sanzione da euro 30.000,00 a euro 26.500,00.
Questi, in sintesi, i punti chiave della decisione: (i) è priva di fondamento l’eccezione di decadenza dell’autorità di vigilanza dal potere sanzionatorio per il superamento del termine di 180 giorni ex art. 195 comma 1 TUF, e, comunque, del termine ragionevole di
definizione del procedimento sanzionatorio; (ii) non opera lo ius superveniens in quanto le modifiche apportate alla parte V del d.lgs. n. 58 del 1998 dal d.lgs. n. 72 del 2015 non si applicano alle violazioni commesse prima dell’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione adottate dalla Consob e dalla Banca d’Italia, secondo le rispettive competenze, poiché così dispone l’art. 6 dello stesso decreto, che è esente dai profili di incostituzionalità prospettati dall’opponente; (iii) la motivazione del provvedimento sanzionatorio è in linea con il principio di personalizzazione della misura afflittiva, ferma la considerazione che non è applicabile, per le ragioni già indicate, la sanzione di cui all’art. 194 -bis TUF di nuova introduzione; (iv) non vi è stata la lamentata grave limitazione del diritto di difesa dell’incolpato e, inoltre, la mancata ostensione della massa dei documenti esaminati dalla Consob in fase d’ispezione è inconferente perché la documentazione non allegata alla relazione ispettiva non costituisce il corredo probatorio delle violazioni ascritte al trasgressore. Quanto alla dedotta ‘violazione della lingua del procedimento’ , il breve stralcio della relazione ispettiva della BCE riportato in lingua inglese nell’atto di accertamento, si tratta di un documento il cui significato è stato ben compreso dagli organi di vertice della Popolare di Vicenza, la quale, proprio sulla scorta dei rilievi ispettivi, nella relazione semestrale al 30/06/2015, evidenzia l’esistenza del ‘capitale finanziato’ ; (v) infondate sono anche le censure relative ad asserite lacune del procedimento sanzionatorio (violazione del principio di imparzialità, mancanza di separazione tra funzione istruttoria e decisoria) o del giudizio poiché il rito introdotto dal d.lgs. n. 72 del 2015 prevede l’udienza pubblica e nulla vieta che l’incolpato promuova azione risarcitoria nei confronti della P.A.; (vi) con riferimento all’elemento oggettivo dell’illecito, quelle che sono state omesse erano informazioni necessarie, indispensabili agli
investitori per assumere decisioni ponderate di investimento: si pensi all’informativa circa la decisione del CdA di assegnare rilievo preminente, ai fini della determinazione del prezzo delle azioni al 31/12/2013, al criterio reddituale, senza comunicare agli investitori il divario tra il valore secondo l’ Income approach (62,5 euro) e quello secondo il Market approach (49,3 euro); alla mancanza di informazioni sull’imponente fenomeno del cosiddetto ‘capitale finanziato’ e sulla crescente richiesta di vendi ta delle azioni della banca, sulla mancata evasione degli ordini di vendita e sui tempi necessari al disinvestimento del titolo, illiquido; (vii) la normativa interna recante i criteri di valutazione del prezzo delle azioni, la cui predisposizione era stata demandata (nel 2011, con incarico rinnovato nel 2015) a un esperto indipendente (prof. COGNOME), prevedeva una ‘architettura metodologica’ articolata su tre criteri di stima ( Income approach , Market approach , Asset/Cost approach ), che dovevano contemperarsi senza che l’uno prevalesse sugli altri. Ma ciò non avvenne in quanto, come sopra anticipato, il CdA, il 1°/04/2014, in deroga alla normativa interna, deliberò di attribuire rilievo preminente al cosiddetto Income approach , pur sapendo che l’applicazione del Market approach restituiva un valore delle azioni molto più basso (62,5 euro, il primo criterio, 49,3 euro, il secondo criterio); (viii) la fondatezza della contestazione dell’autorità di vigilanza si evince proprio dalla lettura dei ‘Prospetti 2014’ e dalla disapplicazione della combinazione dei tre diversi modelli valutativi delle azioni BPVi; (ix) l’opposizione alla delibera n. 19932 poggia, anzitutto, sull’assenza dell’elemento materiale dell’illecito in relazione alla prima e alla terzo violazione. Obiezione, questa, priva di fondamento in ragione del fatto che, al contrario di quanto rappresenta l’incolpato, non è in discussione la ragionevolezza o l’opportunità della decisione del CdA di aderire al contenuto della
perizia del prof. COGNOME bensì il deficit informativo dei Prospetti 2014 in relazione ai risultati ottenuti dal consulente a seguito dell’applicazione di tutti e tre i criteri valutativi che l’organo amministrativo aveva deciso di adottare nel 2011, salvo poi decidere di disapplicare la normativa interna assegnando preminenza ad un unico metodo valutativo. Non costituisce motivo di legittimo affidamento la circostanza che la Consob avesse approvato quei prospetti, senza muovere rilievi di sorta, al pari di quelli relativi agli anni precedenti, poiché solo sugli organi sociali gravava la responsabilità di verificare la completezza del set informativo e poiché non risulta che la Consob fosse stata informata del divario tra i differenti criteri di valutazione delle azioni previsti dalla normativa interna e della sostanziale disapplicazione della stessa e, d’altra parte, all’atto dell’approvazione dei Prospetti 2014, la stessa autorità non poteva conoscere gli innumerevoli ordini di vendita in sospeso e il crescente numero di reclami presentati dai soci, nel 2013 e nei primi mesi dell’anno successivo; (x) con riferimento all’elemento soggettivo dell’illecito, benché l’opponente abbia rivestito al carica di amministratore privo di deleghe dal 26/04/2014 al 1°/12/2014, sussiste la sua responsabilità in relazione al contestato illecito, che ha natura permanente, considerato che tutti i componenti del CdA, nella predisposizione dei Prospett i, avevano assunto la ‘ responsabilità della veridicità e completezza dei dati e delle notizie contenuti nel presente documento di registrazione ‘ . Inoltre, in r elazione all’assenza di disclosure nei Prospetti 2014 dell’esistenza del ‘capitale finanziato’ (che consiste nell’impiego, da parte degli investitori, di finanziamenti erogati dalla banca per la sottoscrizione degli aumenti di capitale e per l’acquisto di azioni BPVi) , la colpa dell’opponente non è esclusa dal fatto che egli fosse un amministratore privo di deleghe, dato che la delega alla redazione delle informative era stata conferita ad altri esponenti della
banca, in primis al direttore generale COGNOME. Infatti, la disciplina regolamentare del settore bancario, introdotta con circolare della Banca d’Italia n. 285 del 2013 (e successivi aggiornamenti), che deriva dalle regole di corporate governance di matrice comunitaria contenute nella direttiva 2013/36/UE, che persegue la finalità di una sana e prudente gestione dell’attività bancaria ed è suscettibile di applicazione trasversale ai diversi modelli di amministrazione e di controllo previsti dal codice civile, rafforza il ruolo del CdA con riferimento all’assetto organizzativo, amministrativo e contabile dell’ente. Se il ruolo dell’amministratore delegato nella struttura di governo è ridimensionato, al contempo gli amministratori non esecutivi assumono un ruolo centrale nella governance della banca, poiché ad essi è affidato il compito di favorire l’assunzione di decisioni che, nelle materie di supervisione strategica, siano il frutto di un confronto effettivo; (xi ) spettava, quindi, all’opponente dimostrare di avere adempiuto, anzitutto, al dovere di tenersi adeguatamente informato sulla gestione e sull’organizzazione aziendale, posto che solo la conoscenza delle concrete caratteristiche della realtà aziendale può consentire agli amministratori non esecutivi di apportare un effettivo contributo all’esercizio della funzione di supervisione strategica attribuita al CdA. Sulla premessa che, in base all’art. 2381 comma 6 c.c., gli amministratori privi di deleghe hanno l’obbligo di agire informati, e che la circolare n. 285 del 2013 prevede, in via ordinaria, e dunque anche in assenza di ‘segnali di allarme’, in capo agli amministratori non esecutivi, il dovere di acquisire informazioni sulla gestione e sull’organizzazione aziendale, nel caso di specie, comunque, non mancano inequivocabili segnali di allarme; (xii) in particolare, il ricorrente risponde del l’omessa rappresentazione, nei Prospetti 2014, delle modalità di determinazione del prezzo delle azioni. Infatti, egli è stato nominato nel corso dell’ assemblea dei soci
del 26/04/2014 ed ha certamente letto il verbale dell’assemblea che riportava l’intervento del socio NOME COGNOME il quale aveva denunciato le carenze dei criteri di determinazione del prezzo delle azioni e la mancanza di un’informativa chiara e completa . Inoltre, l’accertamento della Consob ha dimostrato la violazione dell’obbligo di indicare, nei Prospetti 2014, la sussistenza e la dimensione del ‘capitale finanziato’ (fenomeno che la banca ha riconosciuto, nella relazione semestrale al 30/06/2015, per un controvalore di 974,9 mln di euro) e dei cosiddetti ‘finanziamenti correlati’, compiutamente ricostruiti dalla verifica ispettiva. Il fenomeno era conosciuto o conoscibile da parte di COGNOME, dato che, nel periodo in cui era in carica, il CdA autorizzò ripetutamente operazioni di rilevante importo; inoltre, come detto, vi furono diversi segnali di allarme, a cominciare delle dichiarazioni del socio COGNOME il quale chiese al collegio sindacale e alla vigilanza della Banca d’Italia di verificare se, nel recente passato, la Popolare di Vicenza avesse fatto affidamenti o dato garanzie dirette o indirette a soci o a non soci della banca per la sottoscrizione di azioni od obbligazioni convertibili di BPVi. Il ricorrente era presente alla seduta del 24/06/2014 nella quale il CdA deliberò un cospicuo finanziamento a favore del socio e cliente storico NOME COGNOME il quale, a distanza di pochi giorni, acquistò ingenti pacchetti di azioni della banca. Si aggiunga che analoghi finanziamenti, funzionali all’acquisto di azioni proprie , vennero elargiti, il 23/07/2014, a NOME COGNOME (fratello di un amministratore). Ancora, l’attività ispettiva ha svelato anche le omissioni di informazioni concernenti la compravendita di azioni e ha fatto emergere la consapevolezza, da parte del CdA, dell’enorme mole di richieste di cessione dei titoli da parte della clientela con i connessi reclami, esaminati dal comitato reclami (ad esempio, nella riunione del 18/02/2014). Il che vale certamente anche per COGNOME,
in carica dall’aprile al dicembre 2014, poiché, anche in questo lasso di tempo, il numero di ordini di vendita di azioni rimasto inevaso era decisamente anomalo. Il deficit informativo sul tema del blocking period , al contrario, non può essere addebitato al ricorrente, il quale è entrato in carica dopo che tale periodo di sospensione era stato deliberato e quando ormai lo stesso blocking period era ufficialmente terminato; (xiii ) la condotta dell’amministratore è punibile a titolo di colpa e in relazione all’illecito amministrativo non operano i presidi che la Costituzione accorda alle sanzioni penali; (xiv) non può essere fondatamente invocata l’esimente della buona fede, in assenza di un elemento positivo idoneo ad ingenerare nell’autore della violazione l’incolpevole convinzione della liceità della propria condotta. Con l’ulteriore considerazione che il giudizio di colpevolezza è ancorato a parametri normativi estranei al dato puramente psicologico, con limitazioni dell’indagine all’elemento oggettivo dell’illecito e alla suitas della condotta inosservante, con onere per il trasgressore di provare di avere agito in assenza di colpevolezza.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, articolato in cinque motivi.
La Consob ha depositato controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I. in via preliminare, come risulterà subito evidente dall’esame dei motivi, l’esito del giudizio non può essere conforme a Cass. n. 24010/2022 -precedente che il ricorrente invoca in memoria -, poiché, in quell’occasione , venne accolto il primo motivo per una ragione che non ricorre in questa vicenda processuale, segnatamente perché ‘ la Corte d’Appello aveva confermato una sanzione irrogata dalla Consob per l’illecito previsto da tale disposizione ‘ (cioè , dall’articolo 94, comma 2, TUF) ‘ pur avendo accertato che la condotta
riferibile al sig. COGNOME consisteva non nella omessa vigilanza sulle modalità di redazione del prospetto bensì in quella (non contestata, né sanzionata, dalla Consob) di omessa vigilanza sul dovere di menzionare, mediante un supplemento del prospetto, imprecisioni rilevate dopo l’approvazione del prospetto ‘ .
Sempre in via preliminare, occorre ricordare che la RAGIONE_SOCIALE si è già occupata dell’impugnazione della medesima delibera Consob con decisioni (v. Cass. nn. 5298 e 5299 del 2025) che il Collegio condivide ed alle quali intende dare continuità.
Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3, la violazione e falsa applicazione degli art. 94, commi 2 e 8, 191, comma 2 e 195 del TUF e dell’art. 1 della legge n. 689 del 1981.
Secondo il ricorrente, la responsabilità per le carenze del prospetto informativo grava sull’emittente (cioè, la banca) e sui soggetti responsabile della redazione e pubblicazione dei prospetti, ma certamente non sugli amministratori non esecutivi, come COGNOME, i quali non hanno compiuto alcuna attività finalizzata alla redazione dei prospetti suscettibile di essere sindacata nell’ambito dell’art. 94 TUF , e non sono indicati come responsabili del prospetto.
1.1. il motivo è infondato.
La censura trascura un dato strutturale dell’illecito amministrativo, desumibile dal coordinamento degli artt. 2, 3 e 6 legge n. 689/81, per un verso, e la costante giurisprudenza di questa Corte, per altro verso. Giurisprudenza che, come ricorda Cass. n. 25961 del 2022 (anch’essa in tema di sanzioni irrogate dalla Consob a un amministratore della Popolare di Vicenza), afferma che, a norma dell ‘ art. 3 della l. n. 689 del 1981, è responsabile di una violazione amministrativa solo la persona fisica cui è riferibile l ‘ azione materiale o l ‘omissione che integra la violazione; tant’è che la stessa
giurisprudenza trae da tale premessa che, qualora l’illecito sia ascrivibile in astratto ad una società, la responsabilità dei suoi amministratori non è automatica, ma dipendente dalla condotta positiva od omissiva che abbia dato luogo all’infrazione (cfr. ex multis, Cass. nn. 30766/2018, 26238/2011, 12459/1998 e 10518/1997). Nello specifico, la responsabilità della banca offerente è riconducibile all’art. 6 legge n. 689/81, ha carattere solidale e (primaria) funzione di rafforzamento del credito dell’amministrazione (oltre a rispondere a una secondaria finalità di indiretta deterrenza: cfr. S.U. n. 22082/17), di guisa che essa si aggiunge, senza minimamente sostituirvisi, alla responsabilità dell’autore dell’illecito, il quale, ai sensi dell’art. 2 legge n. 689 del 1981, può essere soltanto una persona fisica (v. anche Cass. n. 17381/2022).
I l secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli art. 94, commi 2, 191, comma 2 e 195 TUF, nonché dell’art. 1 della legge n. 689 del 1981, e la violazione dell’art. 94 bis, artt. 13 e 14 della Direttiva 2003/71CE e dell’art. 8 del Regolamento Emittenti .
La sanzione sarebbe illegittima in quanto i fatti contestati -omissione delle necessarie informazioni nei Prospetti 2014, correlati ai due aumenti di capitale del medesimo anno -non possono essere ascritti al ricorrente, il quale ha accettato il ruolo di amministratore il 29/04/2014, dopo che i prospetti erano già stati deliberati da parte del CdA (nelle riunioni del 1°/04/2014 e del 15/04/2014), e quando il documento di registrazione era già stato inviato alla Consob (ciò che era avvenuto in data 29/04/2014).
Sotto altro profilo, si lamenta che il ricorrente non può essere condannato, come in effetti è avvenuto, per la violazione dell’art. 94 comma 7 TUF (mancato aggiornamento del prospetto), vale a dire per una condotta diversa da quella che gli è stata contestata.
2.1. Il motivo, frammentato in due distinte censure, è infondato:
in primo luogo, il ricorrente, componente del CdA dal 2629/04/2014 al 1°/12/2024, era in carica al momento della predisposizione dei Prospetti 2014 funzionali ai due aumenti di capitale dello stesso anno. La sentenza impugnata, infatti, mette in evidenza (a pag. 5) che, in relazione alle due offerte al pubblico, la Popolare di Vicenza depositò presso la Consob, il 09/05/2014 (quando il ricorrente era già un membro del CdA), il documento di registrazione, la nota informativa degli strumenti finanziari e la nota di sintesi riguardante i due aumenti di capitale, e poi aggiunge (a pag. 8), in maniera giuridicamente impeccabile, che «l periodo rilevante ai fini della violazione è compreso tra l’ 8.5.2014 (data di comunicazione di approvazione, da parte della Consob, del DR pubblicato il giorno successivo) e il 19.12.2014 (data in cui ebbe termine il periodo di offerta del secondo aumento di capitale )».
In secondo luogo, è priva di fondamento l’asserzione secondo cui il ricorrente sarebbe stato condannato per una condotta (l’illecito delineato da ll’art. 94 comma 7 TUF) diversa da quella ( l’illecito di cui all’art. 94 comma 2 TUF) che gli era stata contestata dall’autorità di vigilanza.
Ad avviso del Collegio, questa censura non mette a fuoco la ratio giustificatrice della sentenza: il giudice di merito illustra, in maniera articolata e chiara , le ragioni per le quali ritiene integrati l’elemento oggettivo e soggettivo della violazione ex art. 94 comma 2 TUF, con riferimento alle omissioni informative nei Prospetti 2014; dopodiché, con notazione marginale, la quale non incide sulla sostanza della decisione, evidenzia (a pag. 58 della sentenza) che sarebbe stato onere dell’organo amministrativo anche pubblicare un supplemento di prospetto (secondo la previsione del settimo comma dell’ar ticolo 94) al fine di informare il pubblico circa i valori del prezzo delle azioni
derivanti dai tre criteri di stima e a proposito delle ‘fondate ragioni’ che avrebbero potuto legittimare la decisione di escludere alcuno di tali criteri.
Infine, l’affermazione del giudice di merito circa la natura permanente della violazione dell’art. 94 comma 2 TUF è perfettamente in linea con la giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. nn. 6295/2023, 14592/2019).
Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Carta di Nizza), da cui il ricorrente desume la necessaria disapplicazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 72 del 2015.
La violazione amministrativa contestata, punita con una sanzione pecuniaria pari, nel massimo, a euro 500.000,00, recentemente aumentata a euro 750.000,00, avrebbe un carattere di manifesta afflittività che, in base ai parametri dettati dalla ‘ Sentenza Engel ‘ della Corte EDU, la rende qualificabile come penale, e non già amministrativa, con la conseguenza di rendere applicabile lo ius mitior superveniens.
3.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte ha avuto modo di precisare, ripetutamente, che le sanzioni amministrative pecuniarie irrogate dalla Consob per violazione delle norme sull ‘ intermediazione finanziaria, diverse da quelle di cui all’art. 187-ter del d.lgs. n. 58 del 1998, non hanno natura sostanzialmente penale (Cass. nn. 1740/2022, 8855/2017, 1621/2018, 4/2019, 5/2019 e 31632/2019; in termini, Cass. 21397/2024, 26584/2022, 17399/2022, 17381/2022).
Del resto, la stessa giurisprudenza della Corte EDU in tema di sanzioni sostanzialmente penali ha riguardato non l’intero sistema sanzionatorio unitariamente considerato, ma singole e specifiche discipline sanzionatorie (Corte cost. nn. 193/2016 e 43/2017). Tale
impostazione non ha subito deviazioni per effetto della sentenza n. 63 del 2019 della Corte cost., che ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l ‘ art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 72 del 2015, in relazione agli artt. 3 e 117 primo comma della Costituzione, quest ‘ ultimo per rinvio all ‘ art. 7 della CEDU, nella parte in cui esclude l ‘ applicazione retroattiva delle modifiche favorevoli apportate dal terzo comma dello stesso art. 6 alle sanzioni amministrative previste per l ‘ illecito disciplinato dall ‘ art. 187-bis TUF. Il dictum della Consulta ha chiaramente ribadito che la regola di derivazione penale deve ritenersi applicabile anche agli illeciti amministrativi aventi natura e funzione punitiva, salvo che vi sia la necessità di tutelare interessi di rango costituzionale prevalenti tali da resistere al «vaglio positivo di ragionevolezza», al cui metro debbono essere valutate le deroghe al principio di retroattività in mitius . Pertanto, escluso che la sanzione in oggetto abbia una natura sostanzialmente penale, nemmeno questa decisione della Corte costituzionale sarebbe invocabile a sostegno della tesi del ricorrente.
Quanto, poi, ai cosiddetti criteri Engel (qualificazione dell’illecito secondo il diritto dello Stato, intrinseca sua natura e sanzione applicabile, quanto a tipo e grado di afflittività), alla cui stregua va scrutinata la natura della sanzione, sebbene essi siano tra loro alternativi e non già cumulativi, e quantunque debba aversi riguardo alla misura della sanzione astrattamente irrogabile e non a quella concretamente inflitta (che, nella specie, ammonta a euro 30.000,00), va tuttavia considerato che il giudizio, in particolare, di afflittività della sanzione non può essere operato in maniera astratta e a prescindere dalla platea dei potenziali destinatari passivi. In disparte che il carattere afflittivo è proprio d’ogni tipologia sanzionatoria che, non esaurendo la sua funzione nella pura e semplice eliminazione delle conseguenze dell’illecito, abbia una
finalità di deterrenza generale o speciale, sicché è il grado dell’afflizione a segnare il discrimine; ciò a parte, va osservato che la generalità dei destinatari passivi, cui correlare il grado di severità della sanzione, non può intendersi come applicabilità indifferenziata a ciascun soggetto dell’ordinamento, ma come idoneità alla ripetizione nell’applicazione (cfr. , sul punto, sia pure ad altri fini, inerenti alla natura dei regolamenti, Cons. Stato, Ad. pl. n. 9/12). Applicazione che, nella specie, riguarda soggetti, quali gli amministratori di una banca, le cui condizioni socio-economiche non possono che essere omogenee al livello di importanza, prestigio e connesso rilievo patrimoniale della carica rivestita.
Il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione dell’art. 25 della Direttiva 2003/71/CE, la violazione del principio di proporzionalità tra violazione contestata e sanzione irrogata, la violazione e falsa applicazione dell’art. 49 della Carta dei diritti f ondamentali dell’Unione Europea, la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della legge n. 689 del 1981, da interpretarsi anche alla luce dell’art. 39, co mma 1, lett. a) della Regolamento (UE) 2017/1129 e dell’art. 194 -bis con riferimento alla durata della carica.
Si sostiene che, anche a volere attribuire una qualche responsabilità a un amministratore (come COGNOME) privo di deleghe, il quale nemmeno ha partecipato all’approvazione dei prospetti, in ogni caso la sanzione non sarebbe proporzionata alla condotta del ricorrente. E questo perché il principio di proporzionalità impone una determinazione delle sanzioni coerente con quelle applicate a soggetti in carica per periodi ben più lunghi e dunque in grado di intercettare le mancanze in fase di redazione e approvazione del prospetto e di provvedere alla loro integrazione.
4.1. Anche tale motivo è infondato.
Quanto alla dosimetria della sanzione pecuniaria, per la giurisprudenza di questa Corte, il giudizio di adeguatezza e proporzionalità della sanzione amministrativa è rimesso dalla legge alla discrezionalità del giudice di merito, che ha il potere di quantificarne l’entità, entro i limiti sanciti dalla disposizione applicata, allo scopo di commisurarla all’effettiva gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi, senza che sia tenuto a specificare i criteri seguiti, con conseguente insindacabilità della relativa valutazione in sede di legittimità (Cass. n. 19856/2024 che, in motivazione, menziona Cass. n. 4844/2021; Cass. nn. 5526/2020, 9126/2017; in termini, Cass. nn. 11481/2020, 10277/2024; 32010/2024).
Nel dettaglio, Cass. n. 17400/2022 (in termini, Cass. n. 28135/2022), relativa ad un giudizio promosso da un altro esponente della BPVi, in risposta a un rilievo critico analogo a quello in esame, ha ribadito il principio secondo cui «ove la norma indichi un minimo e un massimo della sanzione, spetta al potere discrezionale del giudice determinarne l’entità entro tali limiti, allo scopo di commisurarla alla gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi: il relativo apprezzamento è incensurabile se tali limiti siano stati rispettati e dal complesso della motivazione risulti che una tale valutazione sia stata compiuta (Cass. 4844/2021; Cass. 5526/2020; Cass. 9126/2017; Cass. 2406/2016)», e ha soggiunto che «il giudizio di congruità della sanzione non riposa su alcun automatismo, ma è frutto dell ‘ apprezzamento della particolarità della vicenda del ricorrente, alla stregua dei parametri di legge contemplati dall’art. 11 L. 689/1981, sia pure ridimensionando il profilo temporale nel confronto con altri fattori, ritenuti prevalenti. Non può invero professarsi un ‘ automatica incidenza della durata della carica quale elemento che obbligatoriamente possa comportare una riduzione
della sanzione, pur in presenza di circostanze confermative dell’oggettivo disvalore della condotta ».
Svolte queste considerazioni, ove anche, in via ipotetica, la si volesse ritenere ammissibile, la censura è comunque infondata: infatti, secondo l’interpretazione della S.C., il sanzionato non può inferire l ‘ illegittimità della sanzione dal trattamento riservato ad altri esponenti, ma deve dimostrare l ‘ intrinseca illegittimità della pena pecuniaria a lui inflitta (Cass. nn. 27127/2024, 3656/2016), ragion per cui, ai fini della critica a ll’entità della sanzione, si profila come del tutto irrilevante l’allegazione del fatto che altri consiglieri, in carica durante la redazione dei prospetti, siano stati puniti con la stessa sanzione applicata a COGNOME
Il quinto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa dell’art. 49 della Carta dei diritti f ondamentali dell’Unione Europea , la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 della legge n. 689 del 1981, da interpretarsi anche alla luce dell’art. 39 comma 1, lett. c) del Regolamento (UE) 2017/1129, e dell’art. 194 -bis in relazione alle condizioni economiche, in assenza di prova a carico della Consob ex art. 6-bis comma 5 lett. d) TUF; si sostiene che l a Corte d’appello di Venezia, nel non tenere conto della capacità finanziaria del trasgressore, avrebbe commesso un errore di diritto.
5.1. Il motivo è inammissibile per due ordini di ragioni: innanzitutto, come eccepito da Consob (da ultimo) nella memoria (pag. 11), la critica incorre nel divieto di ius novorum nel giudizio di cassazione, trattandosi (appunto) di questione nuova non esaminata dal giudice di merito (tra le tante, v. Sez. 2 – , Ordinanza n. 2038 del 24/01/2019.
In secondo luogo, la censura è anche priva di specificità ed è appena abbozzata dato che non offre alcuna indicazione sulla
‘capacità finanziaria’ di COGNOME il quale, come ha più volte affermato questa Corte (v. Cass. nn. 17400/2022, 28135/2022, 6078/2025), al fine di fare valere la potenzialità attenuante delle proprie condizioni economiche, avrebbe dovuto allegare e dare prova di circostanze capaci di influire sulla gradazione economica della sanzione.
Da una diversa prospettiva giuridica, si nota che la sentenza, con giudizio di fatto che sfugge al sindacato della S.C., stabilisce che la sanzione complessivamente irrogata al l’incolpato è congrua perché vicina al minimo, data la ‘forbice edittale’ da euro 5.000,00 a euro 500.000,00, e precisa che, comunque, la pena pecuniaria, ridotta di circa un nono, viene rideterminata in euro 26.500,00 in quanto COGNOME non è responsabile del deficit informativo attinente alla questione del cd. blocking period .
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 5.000,00, a titolo di compenso, più euro 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115/2002, dichiara che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione