Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25279 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25279 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5462/2023 R.G. proposto da : COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME COGNOME (MSSCML63E12G273H), COGNOME NOME (GLLGRL75T22H501O)
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO. (NUMERO_DOCUMENTO
-controricorrente-
nonchè
contro
MINISTERO
DELLA
NOME
-intimati-
NOME COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-resistente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PALERMO n. 1924/2022 depositata il 22/11/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
–NOME COGNOME ha convenuto in giudizio avanti al Tribunale di Palermo il rag. NOME COGNOME esponendo che il Tribunale di Palermo – sezione Misure di Prevezione, aveva sottoposto a sequestro l’intero complesso aziendale della propria ditta individuale ‘RAGIONE_SOCIALE di COGNOME e aveva nominato il convenuto amministratore giudiziario. In seguito, era stata disposta la confisca del compendio aziendale, poi però revocata dalla Corte di Appello, che ha ordinato la restituzione dei beni al confiscato.
Quest’ultimo, tuttavia, ricevuta la documentazione relativa alla gestione durante il periodo di confisca, si è accorto di irregolarità commesse dall’amministratore giudiziario, dalle quali era derivato danno alla sua azienda.
Ha dunque citato il COGNOME ritenendolo responsabile dei danni subiti, o per contatto sociale qualificato, oppure ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Ne ha chiesto la condanna al pagamento della complessiva somma di € 655.807,67, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma rivalutata dalla data del sequestro a quella dell’effettivo pagamento.
Il convenuto si è costituito, si è opposto alla domanda, ed ha chiesto di chiamare in giudizio il Ministero della Giustizia da cui essere manlevato.
-Ma, contemporaneamente, il rag. COGNOME ha separatamente convenuto in giudizio il Ministero chiedendo che -previa riunione con il precedente giudizio, e per l’ipotesi in cui l’esponente dovesse, in tutto o in parte, essere ritenuto responsabile dei danni lamentati dal sig. NOME COGNOME -il Tribunale dichiarasse il Ministero della Giustizia tenuto a manlevarlo e tenerlo indenne di quanto condannato a pagare al COGNOME.
Il Ministero si è costituito ed ha chiesto il rigetto della domanda.
I due procedimenti sono stati poi riuniti.
-Il Tribunale di Palermo ha condannato il COGNOME a pagare all’attore la somma di € 114.309,00, oltre interessi dalla domanda giudiziale al saldo, ed ha respinto le domande proposte dal COGNOME nei riguardi del Ministero della Giustizia. Avverso tale decisione ha proposto appello COGNOME NOME.
Il Ministero della Giustizia ha eccepito il giudicato interno in merito alla statuizione di rigetto della domanda di manleva formulata in primo grado dal rag. COGNOME NOMECOGNOME
NOME COGNOME ha proposto appello incidentale.
-La Corte di Appello ha accolto la tesi del Ministero quanto al giudicato interno, sul presupposto che il COGNOME non aveva proposto espresso gravame; ha rigettato l’appello di costui, ed ha accolto in parte quello incidentale di COGNOME.
-Contro tale decisione ha proposto poi ricorso per cassazione COGNOME con nove motivi di censura e memoria. Si sono costituti sia il Ministero che COGNOME ed entrambi hanno depositato memoria illustrativa.
Ragioni della decisione
1. -Con il primo motivo si prospetta violazione dell’articolo 346 c.p.c.
La Corte di Appello ha ritenuto formatosi il giudicato sul rigetto della domanda di manleva fatta dal ricorrente verso il Ministero.
Il ricorrente infatti aveva chiesto, come si è visto, sia costituendosi nella causa intentata nei suoi confronti che con domanda autonoma, il cui giudizio è stato poi riunito all’altro, di essere manlevato dal Ministero in caso di accoglimento della domanda di risarcimento e dunque in caso egli avesse dovuto risarcire il danno.
Il Tribunale ha accolto la domanda di risarcimento, proposta da COGNOME verso Sanfilippo, ma ha rigettato la domanda di manleva di costui verso il Ministero.
COGNOME ha riproposto ex art. 346 cpc la domanda di manleva, ma, su eccezione del Ministero, la Corte di Appello ha ritenuto che su di essa si era formato il giudicato in quanto il COGNOME, soccombente in primo grado, avrebbe dovuto proporre appello, e non già limitarsi a riproporre ex articolo 346 c.p.c. la domanda di manleva già formulata in primo grado e rigettata.
Questa ratio è contestata dal ricorrente, con l’argomento che il principio enunciato dalla Corte di Appello, e che trova un fondamento nella giurisprudenza di questa Corte, presuppone che la domanda di manleva sia stata rigettata in toto. Invece, nel caso presente, solo rispetto ad alcune domande, o meglio, alla richiesta di risarcimento di alcuni danni, vi è stato rigetto, ma per le altre domande di risarcimento rispetto a cui quella di manleva era stata
proposta in subordine, essa risulta assorbita, e dunque poteva essere semplicemente riproposta.
Il motivo è infondato.
Questa distinzione è speciosa. COGNOME ha proposto una domanda di risarcimento, unica per diverse voci di danno, alcune delle quali accolte, in primo grado, ed altre no. Ciò che conta tuttavia è che la domanda di manleva, sempre in primo grado, è stata espressamente rigettata. Non c’è, ed è pacifico, alcuna pronuncia di assorbimento di tale domanda. Dunque, poco importa quanti e quali voci di danno siano state riconosciute: importa che la domanda di manleva, a torto o ragione, sia stata rigettata. A fronte di tale rigetto, era necessario proporre appello e non già limitarsi a riproporre la domanda.
E’ principio di diritto infatti che <> (Cass. 9265/ 2021; Cass. 25876/ 2024).
E risulta chiaramente dalla decisione impugnata che il ricorrente sulla domanda di manleva è rimasto soccombente, ed aveva dunque onere di impugnare.
Non rileva per contro la giurisprudenza citata a pagina 18, che presuppone che la domanda di risarcimento sia stata rigettata, e dunque quella di manleva conseguentemente assorbita. Ossia l’ipotesi contraria a quella qui verificatasi.
2. -Il secondo motivo prospetta violazione degli articoli 43 e 65 TUIR.
La questione è la seguente.
Nel patrimonio della società immobiliare confiscata vi era un cespite, tra gli altri, destinato alla locazione commerciale. Dunque, doveva ritenersi bene strumentale alla attività della impresa, doveva essere fiscalmente dichiarato come tale e dovevano essere di conseguenza corrisposte le imposte relative.
Invece, il custode non ha tenuto conto di tale natura, ed ha esposto la società ad un maggiore aggravio fiscale dovuto all’originario omesso pagamento della imposta.
La ratio decidendi è che, anche se è vero che il custode non ha ricevuto le scritture contabili, egli aveva l’obbligo di qualificare il bene in base agli altri elementi disponibili. E tali elementi indicavano per l’appunto la natura strumentale del cespite.
Sostiene il ricorrente che invece non è affatto detto che egli dovesse qualificare il bene, ossia stabilire se fosse un bene strumentale o meno, in quanto tale destinazione è rimessa all’imprenditore, e comunque in mancanza della documentazione contabile relativa, nemmeno può essere operata.
Il motivo è fondato.
Intanto, la ratio decidendi è basata su una motivazione di per sé contraddittoria: se si dice che era difficile recuperare le imposte pagate in più in quanto la natura strumentale del bene non poteva essere dimostrata per mancanza del registro dei beni ammortizzabili (p. 12) come si può poi però dire che il custode avrebbe potuto fare a meno di quel registro e qualificare comunque di sua iniziativa quel bene come bene strumentale, facendo valere fiscalmente tale strumentalità.
Inoltre, il ricorrente aveva eccepito poi il concorso di colpa: COGNOME, una volta rientrato nella disponibilità dell’azienda avrebbe potuto fare istanza di rimborso, recuperando dunque quanto, per effetto della condotta del custode, era stato corrisposto in eccesso.
La replica della Corte di appello a tale eccezione è in contraddizione con il precedente assunto: egli non aveva la disponibilità del registro dei beni ammortizzabili che, tuttavia, non era necessario al ricorrente per provvedere lui alla dichiarazione fiscale.
3. -Il terzo motivo prospetta omesso esame
Il fatto omesso e controverso è il seguente.
A Giarrusso la Corte di appello ha riconosciuto il risarcimento del danno per la mancata percezione dei canoni di locazione di un immobile, proventi che il custode ha destinato al pagamento di terzi estranei.
La tesi del ricorrente è la seguente: COGNOME non aveva legittimazione a domandare quel risarcimento in quanto, per come era pacifico, aveva ceduto alla moglie, in sede di separazione, il credito relativo a quei canoni. E dunque non aveva più diritto di percepirli.
Il motivo è fondato.
La ratio della decisione impugnata è un’altra. Sostengono i giudici di merito che <> (p. 13).
Ma questa ratio serve solo a dire che può agire per il recupero dei canoni anche chi sia formalmente locatore, ed anche se costui ha ceduto il credito ad un terzo.
Da tale principio non si può ricavare che conseguentemente il locatore, che pure può agire per il recupero dei canoni, ha subito un danno per il fatto che l’amministratore non li ha riscossi: il danno è pur sempre del creditore effettivo dei canoni.
4. -Il quarto motivo prospetta violazione dell’articolo 2 -octies l.n. 575 del 1965.
La tesi è la seguente.
Mentre il Tribunale ha escluso che possa aver comportato colpa la circostanza di non aver tenuto una contabilità separata per le diverse aziende, in ragione del fatto che tale obbligo è stato introdotto successivamente, la Corte di appello ha ritenuto il contrario.
Sostiene il ricorrente che: <> ed aggiunge che <>.
Il motivo è fondato nei termini che seguono.
Ha ritenuto la Corte di Appello che viene <> (p. 14).
Tuttavia, anche questo assunto è frutto di una motivazione apparente, in quanto dalla circostanza che sia stato tenuto un solo conto (l’obbligo di conti separati è entrato in vigore dopo), deduce
che quindi c’è stato danno da mala gestio . Manca la ragione per la quale ritenere che la tenuta di un solo conto ha prodotto danno. Il tribunale in primo grado si era avveduto della mancanza di tale medio, e pur constatato che era stato tenuto un solo conto, non ne ha tratto per ciò stesso né la conclusione che tale metodo di gestione fosse imperito né la conclusione che ne sia derivato danno: conclusione che ha del resto bisogno di essere giustificata diversamente.
5. -Il quinto motivo prospetta violazione del giudicato interno.
Presupposto di tale censura è che L’art. 2 -octies della l. n. 575/1965 stabilisce che tutte le somme erogate a titolo di compenso dell’amministratore giudiziario e prelevate dal conto di gestione devono essere dallo Stato restituite al proposto in caso di revoca della misura di prevenzione.
Il ricorrente evidenzia come il Tribunale, quanto al danno derivante dai compensi percepiti dall’amministratore giudiziario, aveva statuito che <>.
Secondo il ricorrente, il rigetto della domanda di risarcimento in primo grado sarebbe stata basata su due rationes autonome: che non ci fosse inadempimento e che non ci fosse danno. Solo la prima delle due è stata impugnata, la seconda no.
E dunque, trattandosi di ratio autonoma, è da sola sufficiente a reggere la decisione ed a farla passare in giudicato se non impugnata.
Il motivo è infondato.
Intanto, il motivo difetta di specificità, poiché non è dato ricavarne quale sia stato l’ambito dell’appello e dunque se effettivamente sia stato limitato alla contestazione del solo inadempimento, senza riguardo al tema del danno.
Né indicazioni possono ricavarsi accedendo all’atto, che non risulta allegato (lo è l’appello principale, ma non quello incidentale, di cui si discute).
A prescindere da ciò, è principio di diritto che <> (Cass. 40276/ 2021; Cass. 27246/ 2024).
Nella fattispecie, il riferimento sia all’inadempimento che al danno fanno parte del medesimo capo di sentenza, che è quello volto ad escludere una responsabilità per la questione dei compensi e della loro restituzione, nel senso di dire che la possibilità di agire, una volta in bonis, esclude danno anche ove vi sia inadempimento, e tale assunto è oggetto di contestazione, non passato in giudicato.
6. -Il sesto motivo ripropone la medesima questione sotto l’aspetto della omessa pronuncia: ritiene il ricorrente di avere fatto eccezione di giudicato interno (e ne riporta il contenuto) senza che però la Corte di Appello si sia pronunciata.
Il motivo è dipendente dal precedente: l’eccezione di giudicato è implicitamente rigettata dalla pronuncia della Corte, che va intesa nel senso detto in precedenza.
7. -Il settimo motivo prospetta violazione dell’articolo 2 legge 575 del 1975.
La questione è connessa a quella dei due motivi precedenti: il ricorrente avrebbe percepito compensi per la gestione di altre società dello stesso proposto, remunerandole con i proventi di quella oggetto di causa.
Il ricorrente sostiene che, poiché la società sotto sequestro, tornata in bonis, ha diritto al rimborso di quei compensi da parte dello Stato, non può allora prospettarsi alcun danno.
Il motivo è fondato come conseguenza della fondatezza del quarto, a cui si rinvia.
-L’ottavo motivo prospetta violazione degli articoli 1218 e 2236 c.c.
Secondo il ricorrente <> (p.38)
Invece, sia in ragione della natura pubblicistica dell’incarico, sia per la particolare complessità di esso, la responsabilità dell’amministratore non può che affermarsi solo per colpa grave o dolo.
Ciò in quanto <> e poi perché alcune norme
dimostrano come la responsabilità di chi abbia un incarico pubblico è stabilita solo per colpa grave (artt. 22 e 23 del d.p.r. n. 3/1957).
Secondo il ricorrente <>. E ciò anche se tale norma è entrata in vigore successivamente.
Il ricorrente in subordine chiede che, ove si ritenga che invece la nuova disciplina (art. 35 bis l. 2011 n. 159, come modificata dalla legge n. 167 del 2017 ) non si applica ai fatti anteriori, allora dovrebbe porsi questione di legittimità costituzionale: <>.
Il motivo è infondato anche sulla questione della legittimità costituzionale.
Intanto, il fatto che la responsabilità dell’amministratore sia stata prevista solo per colpa grave a partire da un certo momento, successivo a quello in cui ha agito il ricorrente, significa che, prima, invece era rilevante anche la colpa lieve.
Salvo, per l’appunto, che non si intenda l’introduzione del più rigoroso criterio di rilevanza della colpa come applicabile retroattivamente pena l’illegittimità costituzionale.
Dunque, la quesitone si riduce a quella posta con la seconda censura: se il fatto che, nel 2017, il legislatore abbia ritenuto di dover limitare la responsabilità dell’amministratore ai soli casi di dolo o colpa grave non escluda che tale limitazione possa applicarsi anche fattispecie anteriori, ed in caso negativo, se l’irretroattività sia costituzionalmente legittima.
Ma va prima affrontata un’altra questione, sempre sul piano della legittimità costituzionale, posta dal ricorrente: se, al di là della possibilità di retroattività, l’illegittimità costituzionale possa, per contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, derivare dal raffronto con altri pubblici dipendenti ed incaricati di pubbliche funzioni che invece rispondono solo per dolo o colpa grave.
Ma quest’ultima questione è evidentemente inammissibile: la legge attuale, e non si può ovviamente discutere di legittimità costituzionale di una legge abrogata o modificata, prevede quella equiparazione, stabilisce cioè che anche gli amministratori rispondano per dolo o colpa grave per gli atti di gestione e dunque non sono discriminati rispetto a coloro che svolgono funzioni analoghe.
Dunque, la questione si riduce a stabilire se la legge attuale si possa applicare retroattivamente e se, in caso contrario, questo limite la renda costituzionalmente illegittima.
E la risposta è negativa.
In generale, è principio di diritto che <> (Cass. 15652/ 2004).
Questo principio vale altresì per i criteri di valutazione di una condotta (ossia per i criteri di valutazione della colpa), come precisato da questa Corte con riferimento alla colpa professionale del medico, rispetto a cui si è stabilito che <> (Cass. 28811/ 2019; Cass. 28994/ 2019).
Il che consente di dire che alcuna illegittimità costituzionale può risultare dal fatto che una norma non è retroattiva, essendo la retroattività, come è noto, una eccezione, e non già la regola.
9. -Il nono motivo prospetta omesso esame.
E’ riferito alla questione dell’impiego dei proventi derivanti dalle locazioni. I giudici di merito hanno ritenuto che tale impiego avesse arrecato danno alla società, ma senza tener conto del fatto che era un impiego autorizzato dal giudice della procedura.
La questione era stata posta in primo grado, ma assorbita dall’accoglimento della ragione più ‘liquida’.
Ammette il ricorrente di non averla riproposta in appello, ma che tuttavia, ciò non impediva al giudice di rilevarla d’ufficio: <> p. 47)
Il motivo è fondato.
La censura va inteso come omessa pronuncia su una eccezione, anche se in rubrica non è indicato il titolo violato: trattandosi di eccezione in senso stretto, anche se non riproposta (era assorbita in primo grado e non andava dunque fatta espressa impugnazione) la questione era rilevabile d’ufficio (Cass. Sez. Un. 11799/ 2017; Cass. 21264/ 2018).
Ciò in quanto l’eccezione relativa alla legittimità dei pagamenti è una eccezione in senso lato poiché contesta il rapporto stesso, ossia contesta il diritto di ripetere quei pagamenti, ossia contesta lo stesso rapporto obbligatorio (sulla distinzione v. Cass. 12980/ 2020): che i pagamenti erano stati autorizzati e che di conseguenza non potevano ritenersi indebiti o in danno per la società, era eccezione che, una volta formulata, era acquisita all’oggetto del giudizio, anche se non formalmente riproposta in appello. Ed in quanto eccezione in senso lato andava esaminata anche d’ufficio.
Il ricorso va pertanto accolto nei termini di cui in motivazione. La decisione va cassata con rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo, il terzo, il quarto, il settimo ed il nono motivo. Rigetta il primo, quinto, sesto ed ottavo. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 07/04/2025.
Il Presidente NOME COGNOME