Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27797 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27797 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16665/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che lo rappresenta e difende giusta procura in atti;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono giusta procura in atti;
-controricorrente – avverso la sentenza n. 81/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 15/01/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Osserva
COGNOME NOME propose opposizione ex art. 195, co. 4 d.lgs. 58/1998 (TUF) avverso la delibera Consob n. 20033 del 14 giugno 2017, come modificata dalla delibera n. 20057 del 6 luglio 2017, con la quale era stata irrogata nei suoi confronti, quale componente del consiglio di amministrazione di RAGIONE_SOCIALE, una sanzione amministrativa pecuniaria per un importo pari ad € 115.000,00.
1.1. Questi i capi d’incolpazione dei quali il sanzionato venne dichiarato responsabile, siccome riportati dallo stesso ricorrente:
-violazione dell’art. 21, co. 1, lett. d), TUF e dell’art. 15 del regolamento congiunto RAGIONE_SOCIALE d’ Italia/Consob del 29/10/2007, nonché dell’art. 21, co. 1, lett. a) TUF e degli artt. 39 e 40 del regolamento Consob n. 16190 del 29/10/2007, per avere la RAGIONE_SOCIALE omesso di dotarsi di procedure adeguate e tenuto comportamenti contrari a correttezza, diligenza e trasparenza in materia di valutazione di adeguatezza delle operazioni nel periodo 1/6/201131/12/2015;
-violazione dell’art. 21, co. 1, lett. a), TUF, per avere la RAGIONE_SOCIALE tenuto comportamenti irregolari, tra l’altro, nell’ambito dei ‘trasferimenti tra privati’ delle azioni VB e dei finanziamenti concessi ai clienti per l’acquisto delle azioni di propria emi ssione nel periodo 18/12/2012-31/8/2015;
-violazione dell’art. 21, co. 1, lett. d), TUF e dell’art. 15 regolamento congiunto RAGIONE_SOCIALE d’Italia/Consob del 29/10/2007, nonché dell’art. 21, co. 1, lett. a), TUF e dell’art. 49, co. 1 e 3 del regolamento Consob n. 16190 del 29/10/2007, per avere la RAGIONE_SOCIALE omesso di dotarsi di procedure adeguate e tenuto comportamenti contrari a correttezza, diligenza e trasparenza in materia di gestione degli ordini dei clienti nel periodo 1/6/2011-10/2/2015;
-violazione dell’art. 21, co. 1, lett. d), TUF e dell’art. 15, co. 1, del regolamento congiunto RAGIONE_SOCIALE d’Italia/Consob del 29/10/2007, per avere la RAGIONE_SOCIALE omesso di dotarsi di procedure adeguate in materia di ‘ pricing ‘ delle azioni di propria emissione nel periodo 1/6/2011-1874/2015;
-violazione dell’art. 8, co. 1, TUF, per aver fornito alla Consob, in occasione dell’operazione di aumento del capitale 2014, informazioni rivelatesi non veritiere a seguito degli accertamenti ispettivi nel periodo 12/6/2014-12/1/2015.
1.2. Con l’opposizione suddetta, il ricorrente (siccome riassume in ricorso) chiese l’annullamento della delibera : <> .
La Consob si costituì chiedendo il rigetto delle pretese avverse.
La Corte di Appello di Venezia, parzialmente accogliendo l’ opposizione , rideterminò l’ammontare della sanzione in complessivi € 95.000,00.
NOME COGNOME propone ricorso sulla base di nove motivi. Resiste con controricorso la Consob. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 Cost. e 2 cod. pen. per mancata applicazione del principio del ‘ favor rei ‘ , ovvero in subordine, propone questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 co. 2 d. lgs
72/2015 per contrasto con gli artt. 3 e 25 co. 2 Cost., 117 co. 1 Cost., 6, 7 CEDU.
Secondo lo COGNOME, la decisione impugnata, sarebbe ‘ gravemente ‘ viziata poiché contrastante con il principio del ‘ favor rei ‘ , ciò in quanto <>.
In attuazione di tale principio, secondo l’esponente, la sentenza dovrebbe essere cassata, avendo confermato l’irrogazione della sanzione per violazione degli artt. 21 e 8 TUF, la quale, tuttavia, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 5 d.lgs. 72/2015, non sarebbe più imputabile in capo gli esponenti aziendali, rimanendo responsabile esclusiv amente l’ente.
4.1. Il motivo non merita accoglimento e la prospettata eccezione d’incostituzionalità è manifestamente infondata .
4.1.1. Costituisce principio consolidato, al quale il RAGIONE_SOCIALE intende dare continuità, quello secondo il quale, in materia di intermediazione finanziaria, le modifiche alla parte V del d.lgs. n. 58 del 1998 apportate dal d.lgs. n. 72 del 2015 si applicano alle violazioni commesse dopo l’entrata in vigore delle disposizioni di attuazione adottate dalla Consob, in tal senso disponendo l’art. 6 del medesimo decreto legislativo, e non è possibile ritenere l’applicazione immediata della legge più favorevole, atteso che il principio cd. del “favor rei”, di matrice penalistica, non si estende, in assenza di una specifica disposizione normativa, alla materia delle sanzioni amministrative, che risponde, invece, al distinto principio del “tempus regit actum”. Né tale impostazione viola i principi convenzionali enunciati dalla Corte EDU nella sentenza 4 marzo 2014
(COGNOME ed altri c/o Italia), secondo la quale l’avvio di un procedimento penale a seguito delle sanzioni amministrative comminate dalla Consob sui medesimi fatti violerebbe il principio del “ne bis in idem”, atteso che tali principi vanno considerati nell’ottica del giusto processo, che costituisce l’ambito di specifico intervento della Corte, ma non possono portare a ritenere sempre sostanzialmente penale una disposizione qualificata come amministrativa dal diritto interno, con conseguente irrilevanza di un’eventuale questione di costituzionalità ai sensi dell’art. 117 Cost. (Sez. 2, n. 20689, 09/08/2018, Rv. 650004 -03; conf., ex multis, Cass. n. 13433/2016).
Successivamente si è spiegato altresì: <> (Sez. 2, n. 2, n. 24375, 10/8/2023, in motivazione).
4.1.2. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 193/2016, ha smentito la tesi del ricorrente.
Scrive, invero, il Giudice costituzionale: <>.
Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza della Corte di Appello di Venezia per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 7 del Regolamento Consob n. 18750 del 19 dicembre 2013 e 81 cod. pen. (art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ.) ovvero in subordine propone questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 co. 2 L. 689/1981 per violazione degli artt. 3 e 27 Cost..
La sentenza impugnata, sarebbe viziata nella parte in cui aveva disatteso la censura con la quale lo COGNOME aveva addebitato alla Consob di avere <>.
Di contro la Consob, in applicazione del principio penalistico del ‘ favor rei ‘ , avrebbe dovuto riunire i procedimenti e applicare l’istituto della continuazione, così da permettere al ricorrente di accedere ad un regime sanzionatorio più mite consistente nell’irrogazione della sola pena prevista per la violazione più grave eventualmente aumentata fino al triplo.
Sol leva, infine, eccezione s’incostituzionalità dell’art. 8, co. 2, l. n. 689/1981 per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., laddove si fosse reputato di non accogliere la tesi di cui immediatamente sopra.
5.1. Il motivo è privo di pregio e la prospettata eccezione d’incostituzionalità è manifestamente infondata.
5.1.1. Come ripetutamente affermato da questa Corte, anche a sezioni unite, in tema di connessione di cause, il provvedimento di riunione, fondandosi su valutazioni di mera opportunità, costituisce esercizio del potere discrezionale del giudice, e ha natura ordinatoria, essendo pertanto insuscettibile di impugnazione e insindacabile in sede di legittimità (v. Cass., Sez. U, Sentenza n. 2245 del 06/02/2015; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1194 del 19/01/2007; più di recente, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1053 del 21/01/2016 non massimata e Cass. Sez. 2, n. 158/2018).
A fortiori, in questa sede non ci si può dolere dell’operato dell’ A utorità amministrativa procedente a riguardo dell’esercizio di una tal facoltà.
5.1.2. L ‘art. 81 cod. pen. non può trovare applicazione, essendo la materia regolata dalla l. n. 689/1981.
In tema di sanzioni amministrative, allorché siano poste in essere più condotte realizzatrici della medesima violazione, l’unificazione ai fini della applicazione della sanzione secondo il criterio del cumulo giuridico, presuppone l’unicità dell’azione od omissione produttiva della pluralità di violazioni, non operando nel caso di condotte distinte, sebbene collegate sul piano della identità di una stessa intenzione plurioffensiva, né è applicabile in via analogica l’istituto della continuazione di cui all’art. 81, comma 2, c.p., utilizzabile solo per le violazioni in materia di previdenza ed assistenza tenuto conto, altresì, delle differenze tra reato ed illecito amministrativo (Cass. Sez. 2, n. 20129, 22/06/2022). Tanto è vero che la legge fa espressamente eccezione a una tale regola in materia di previdenza e tributi.
5.1.3. Manifestamente priva di fondamento risulta l’ eccezione d’incostituzionalità .
N on vi è contrasto con l’art. 3 Cost., perché qui si pretende di assimilare, quanto a trattamento, la violazione amministrativa a quella penale, essendo, invece, corrispondente al principio d’ eguaglianza per cui situazioni dissimili vengono trattate dissimilmente.
N on vi è contrasto con l’art. 27 Cost., che riguarda esclusivamente il rimprovero penale in senso proprio, siccome voluto dal Costituente.
È evidente che l’eccezione ha base nel presupposto della piena assimilabilità con la sanzione penale, che al §§ 4.1.2. si è sconfessato.
Con la terza doglianza si censura la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2381 cod. civ. (art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ.) <> .
6.1. Il motivo è da rigettare.
In primo luogo, va evidenziato che la doglianza mira a un’impropria complessiva rivalutazione di merito che conduca a risultati diversi rispetto a quanto ritenuto dalla decisione impugnata (cfr. pag. 7 e segg.).
La denuncia di violazione di legge sostanziale non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (ex multis, Cass., S.U., n. 25573, 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Cass. Sez. 1, n. 3340, 05/02/2019).
Il ricorrente non si misura con la sentenza della Corte di merito, la quale ha spiegato che non constava presenza di
amministratore delegato o di comitato direttivo a partire dal 26/4/2014 e che solo dal 23/6/2015 era stato istituito un comitato esecutivo.
Ai fini del contenimento del rischio creditizio nelle sue diverse configurazioni nonché dell’organizzazione societaria e dei controlli interni, l’art. 53, lett. b) e d), del d.lgs. n. 385 del 1993 e le disposizioni attuative dettate con le istruzioni di vigilanza per le banche, mediante la circolare n. 229 del 1999 (e successive modificazioni e integrazioni), sanciscono doveri di particolare pregnanza in capo al consiglio di amministrazione delle società bancarie, che riguardano l’intero organo collegiale e, dunque, anche i consiglieri non esecutivi, i quali sono tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei loro requisiti di professionalità, ad ostacolare l’evento dannoso, sicché rispondono del mancato utile attivarsi. Ne consegue, inoltre, che in caso di irrogazione di sanzioni amministrative, la RAGIONE_SOCIALE d’Italia, anche in virtù della presunzione di colpa vigente in materia, ha unicamente l’onere di dimostrare l’esistenza dei segnali di allarme che avrebbero dovuto indurre gli amministratori non esecutivi, rimasti inerti, ad esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo, mentre spetta a questi ultimi provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o, comunque, mirante a scongiurare il danno (Sez. 1, n. 22848, 09/11/2015, Rv. 637769).
<> (Sez. 2, n. 11569/2025).
Principi, questi, che, a maggior ragione, debbono valere nella prospettiva del controllo, dei rilievi e delle sanzioni irrogate dalla Consob, a tutela del mercato mobiliare.
Tutela la quale esige che gli amministratori, pur non esecutivi, non attendano di essere informati, bensì esigano di esserlo, attivandosi in presenza di operazioni o situazioni sospette, dubbie o critiche, essendo ai medesimi addebitabile la mera conoscibilità, in ragione della qualità di competenza conoscitiva e predittiva che è da attendersi da professionisti particolarmente qualificati, chiamati per questo a ricoprire incarico di alto profilo nel settore del mercato mobiliare.
La Corte di merito puntualmente riprende i doveri del consiglio d’amministrazione derivanti dall’art. 2381, co. 3, nell’adempimento dei compiti di supervisione strategica e di quelli derivanti dal dovere di agire informati di cui al sesto comma del medesimo articolo. Correttamente ricorda i requisiti di elevata professionalità richiesti dall’art . 13 TUF e quelli imposti dal Ministero del tesoro con il d.m. n. 468, 11/11/1998 a consiglieri d’amministrazione e sindaci di società d’ intermediazione mobiliare (RAGIONE_SOCIALE), di società di gestione del
risparmio (SGR) e di società di investimento a capitale variabile (SICAV).
Il dovere d’informarsi impone all’amministratore, conclude correttamente la sentenza, riprendendo la pronuncia di legittimità n. 17689/2016, <>.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 co. 1 lett. d) TUF e dell’art. 15 del rregolamento ccongiunto RAGIONE_SOCIALE d’Italia/Consob del 29 ottobre 2007, nonché dell’art. 21 co. 1 lett. a) TUF e degli artt. 39 e 40 del rregolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007 in relazione alla prima violazione (art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ.).
Questa la sintesi delle critiche mosse:
-lo COGNOME aveva assunto la carica di consigliere di amministrazione della RAGIONE_SOCIALE solo a far data dal 26.04.2014. Ne consegue che le iniziative addebitate al medesimo erano state decise ed avviate prima che egli fosse in carica; inoltre non aveva in alcun modo contribuito alla realizzazione di esse;
tali iniziative, erano state avviate da alcuni funzionari non con carattere di ufficialità e dunque all’insaputa degli organi di controllo;
le procedure per la pianificazione commerciale, il ‘ budgeting ‘ e la profilatura della clientela erano state solamente in parte adottate con la partecipazione del ricorrente e, comunque, erano espressione della volontà del Consiglio di Amministrazione di migliorare l’assetto organizzativo e strutturale della RAGIONE_SOCIALE, ne ll’ottica di favorire il soddisfacimento dei bisogni della clientela;
la condotta dello COGNOME, in virtù del suo ruolo di consigliere di amministrazione privo di poteri esecutivi, avrebbe potuto essere censurata solamente ove fosse stato accertato un comportamento omissivo dello stesso rispetto a specifici segnali d’allarm e posti alla sua attenzione.
7.1. Il motivo è da rigettare.
Si è già spiegato che al ricorrente non vengono mossi rimproveri per vicende sulle quali il medesimo non avrebbe potuto intervenire: a prescindere dall’epoca in cui fosse stato dato avvio alle determinazioni scorrette , nulla ha fatto l’incolpato , durante il tempo in cui ebbe a rivestire la carica, per eliminare o almeno ridurne gli effetti pregiudizievoli sui risparmiatori.
La situazione di estrema criticità che aveva portato al mutamento del consiglio avrebbe implicato un fattivo e immediato e operoso intervento, capace di perlomeno ridurre i guasti, giammai avrebbe giustificato il rivendicato ‘semestre di ambientamento’ a danno dei risparmiatori ignari dell’imminente crac della RAGIONE_SOCIALE.
Quanto alla natura illecita di tali determinazioni e ‘ modus operandi ‘ la sentenza della Corte di Venezia ha reso ampia e analitica motivazione (pag. 11 e segg.), spiegando in cosa era consistito lo scostamento dall’operato prescritto dalle disposizioni primarie e
secondarie, la portata nociva sul mercato del risparmio e l’esigibilità di una condotta conforme ai precetti giuridici e conformata alle buone pratiche d’amministrazione , al fine di preservare, a un tempo, i diritti dei risparmiatori e dei soci estranei alle pratiche scorrette.
È appena il caso di soggiungere che trattasi di valutazioni e apprezzamenti, incentrati sui fatti accertati, in questa sede non sindacabili.
L’asserita violazione di norme, come già si è detto, altro non è che un escamotage attraverso il quale si aspira a un’alternativa ricostruzione del fatto.
La sentenza prende in esame analitico le condotte scorrette evidenziate e le loro ripercussioni negative sul mercato mobiliare. La ricapitalizzazione perseguita con metodi vietati (pressioni sulla rete distributiva, raccolta adesioni prima del lancio dell’offerta, trattamenti privilegiati in favore di taluni soci -tassi agevolati di rendimento -, profilatura della clientela in assenza di presidi volti a impedire condotte elusive, mancanza di verifica di ‘coerenza interna’ ed ‘esterna’ dei dati informativi delle clientela, riproposizioni di ordini già giudicati inadeguati, simulata ‘iniziativa clienti’ per gli acquisti, accordi tra privati, cd. ‘finanziamenti baciati’ (deleteria pratica attraverso la quale si alimenta innaturalmente il mercato d’acquisto dei titoli finanziando il cliente compratore, con evidente ripercussione negativa sull’effettività del capitale sociale, finanziato dalla stessa società), ecc.
A fronte di una tale analisi il ricorrente, che, per vero, incentra il cuore della propria difesa asserendo di non aver percepito i segnali di una tale eclatante ‘ mala gestio ‘, ad altri addebitabile, contrappone sommari e astratti argomenti, qua e là incentrati su taluna delle contestazioni, financo privi di giuridica concludenza (a titolo di esempio la pratica altamente scorretta dei ‘finanziamenti
baciati’ sarebbe stata giustificata dal fine di assicurare l’esercizio del diritto d’opzione di cui all’art. 2441 cod. civ.) e largamente incentrati su una lettura ‘tollerante’ delle prassi contestate e sulla necessità per il nuovo amministratore di poter godere di un ‘periodo di ambientamento’. All’evidenza, ignorando che la nomina del nu ovo consiglio d’ amministrazione fu reso necessario proprio dalle riscontrate anomalie da parte delle Autorità di controllo.
Con il quinto motivo, il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 co. 1 lett. a) in relazione alla seconda violazione (art. 360, co. 1 n. 3 cod. proc. civ.).
Il ricorrente si dice incolpevole del contestato diffuso coinvolgimento della RAGIONE_SOCIALE, in veste d’intermediaria, in numerosi trasferimenti azionari tra privati; nell’impiego di finanziamenti al fine di fare pressione sui clienti, onde spingerli all’acquisto di azioni, così da permettere il buon esito dell’aumento di capitale; nell’utilizzo di strumenti, quali lettere di garanzia e clausole di salvaguardia al fine di contenere gli invenduti sul mercato secondario.
Anche in questo caso assume di non avere avuto conoscenza di tali modalità operative, messe in atto dalla direzione e dai funzionari aziendali.
Soggiunge, inoltre, che le finalità mutualistiche dell’istituto, che fino al dicembre del 2015 aveva forma di società cooperativa, avrebbe reso inapplicabile l’art. 2358 cod. civ. e che in tali società <>.
Precisa ulteriormente che coloro che avevano male operato avevano violato il ‘Manuale Azioni Sociali’ , che la modulistica distribuita era stata predisposta dalla rete commerciale, che, in definitiva, la carenza dei <> non aveva permesso di percepire le anomalie.
8.1. Il motivo è privo di fondamento.
Valgono le osservazioni svolte in precedenza e, in special modo, in relazione al quarto motivo.
La presenza dei presidi organizzativi e delle istruzioni operative non è bastevole a rendere i consiglieri d’amministrazione esonerati dal dovere di agire informati, di attivarsi per ottenere puntuali e approfondite informazioni in ordine a operazioni che presentino già in astratto particolare delicatezza e, ancor più, in concreto, in presenza di segnali d’allarme, specie se gr avi e plurimi (tanto da avere imposto il mutamento del consiglio d’amministrazione).
Solo per completezza argomentativa deve affermarsi non essere condivisibile la tesi secondo la quale in nome dello scopo di mutualità può annichilirsi la tutela del patrimonio della società, di cui è garante imprescindibile l’effettività e adeguatezza del capitale sociale. Per la piena applicazione del l’art. 2358 cod. civ. alle banche cooperative, assai di recente si è espressa questa Corte (Cass. n. 372/2025).
Con il sesto motivo si censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 co. 1 lett. d) TUF e dell’art. 15 del regolamento congiunto RAGIONE_SOCIALE d’Italia/Consob del 29 ottobre 2007, nonché dell’art. 21 co. 1 lett. a) TUF e dell’art. 49 co. 1 e 3 del Regolamento Consob n. 16190 del 29 ottobre 2007 in relazione alla terza violazione (art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ.).
Il ricorrente a lungo s’intrattiene ad analizzare i presupposti e i riferimenti normativi afferenti alla terza violazione (gestione degli ordini di acquisto della clientela delle azioni della RAGIONE_SOCIALE), riprende le motivazioni della Corte d’appello, per giungere alla conclusione che la gestione degli ordini ricade nella discrezionalità della struttura aziendale, che si tratta non di un obbligo nei confronti dei clienti, bensì di <>. Necessaria, inoltre, agli occhi del ricorrente, doveva reputarsi l’autonomia di cui avevano goduto nel gestire siffatte operazioni le strutture bancarie, né, poteva essa autonomia addebitarsi alla contestata eccessiva discrezionalità del direttore generale. Infine, semmai, l’Autorità avrebbe dovuto sanzionare esclusivamente i diretti responsabili.
9.1. Il motivo non merita accoglimento.
Trattasi di mera sommaria narrazione della vicenda secondo la prospettazione difensiva, priva di effettiva capacità critica e largamente inconcludente, ancora una volta diretta a corroborare la tesi secondo la quale il consigliere d’amministrazione rivesta ruolo formale, ‘convitato di pietra’, privo di competenze e professionalità per cogliere i segnali d’allarme, per conoscere e intervenire e, tuttavia, possa liberamente scegliere di restare impunemente in carica
Ancor oggi sfugge al ricorrente financo l ‘evidente ratio dell’incolpazione : aver la RAGIONE_SOCIALE favorito taluni clienti a smobilitare i titoli che stavano per divenire carta straccia a discapito di altri.
10. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 21 co. 1 lett. d) TUF e dell’art. 15 co. 1 del Regolamento Congiunto RAGIONE_SOCIALE d’Italia/Consob del 29 ottobre 2007 in relazione alla quarta violazione (art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ.).
Evidenzia che la sentenza merita di essere cassata con riferimento alla responsabilità addebitata allo COGNOME in relazione alle carenze nell’ambito della ‘ policy ‘ per la determinazione del prezzo delle azioni di nuova emissione per l’operazione di aumento del capitale sociale.
Il ricorrente, infatti, non avrebbe partecipato alla formulazione dei caratteri essenziali della policy, né sarebbe stato coinvolto nel processo di definizione dei metodi valutativi e dell’articolazione del procedimento ivi contenuti.
Inoltre, lo stesso, avrebbe fatto ragionevole affidamento sull’adeguatezza della ‘ policy ‘ sia a fronte dell’assenza di segnali d’allarme al riguardo, sia dei pareri favorevoli espressi dal RAGIONE_SOCIALE.
10.1. Il motivo è da rigettare.
Ancora una volta trattasi di un’astratta congetturazione alternativa, che contrasta con i doveri degli amministratori sinteticamente prima illustrati.
Quanto allo specifico, cioè alla congruità di fissazione del prezzo delle azioni, questa Corte ha di recente chiarito riguardo di altra vicenda di dissoluzione bancaria quanto segue, che val la pena qui riprendere: <> (Cass. n. 11570/2025).
11. Con l’ottavo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 co. 1 TUF in relazione alla quinta violazione (art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ.).
La Corte d’appello , secondo lo COGNOME, non aveva tenuto in debita considerazione la circostanza che costui, quale consigliere privo di poteri esecutivi, non era in possesso di alcuna informazione concernente le iniziative illecite <>.
Inoltre, la decisione si poneva in contrasto con l’esito del procedimento n. 46239/2016 avviato dalla RAGIONE_SOCIALE per la violazione dell’art. 95 co. 1 TUF, il quale <> .
11.1. Il motivo non è fondato.
Ancora una volta viene inammissibilmente perorata una ricostruzione alternativa in ordine all’apprezzamento e al contenuto delle comunicazioni alla Consob.
Laddove, ancora una volta anche qui, si insiste nell’attribuire la responsabilità ad altri, negando la propria, non possono che valere gli argomenti già svolti a confutazione degli altri motivi fondati sul presupposto non condivisibile che, acclarata la responsabilità di determinate strutture e funzioni della RAGIONE_SOCIALE, il consigliere d’amministrazione, per ciò solo, debba andare esente da responsabilità, pur non essendosi attivato per contrastare gli effetti nefasti di scelte operative ‘ contra legem ‘ .
Infine, con il nono motivo, il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 194-sexies TUF e 131 bis cod. pen. (art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ.), per aver la Corte
d’appello respinto il motivo di opposizione con cui era stato chiesto l’annullamento della sanzione applicata nei confronti dell’odierno esponente per la mancanza dell’elemento dell’ offensività della condotta.
Il motivo, del tutto ingiustificatamente apodittico sulla pretesa assoluta mancanza di pregiudizio, evoca norma del TUF che si riferisce a ben altre condotte.
Peraltro, ed emblematicamente, al contrario del congetturato asserto, l’insieme delle condotte di ‘ mala gestio ‘ portarono al crac della RAGIONE_SOCIALE, con gravi ripercussioni ai danni di una vasta platea d’ignari risparmiatori.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza
dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il giorno 14 maggio 2025.
La Presidente NOME COGNOME