Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3498 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 3498 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3866/2024 R.G. proposto da
NOME NOME COGNOME rappresentato e difeso, in proprio e in qualità di erede della madre, NOME COGNOME e del fratello, NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’Avv.NOME COGNOME come da procura in calce al ricorso, ex lege domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, INDIRIZZO (pecEMAIL;
– ricorrente –
contro
Oggetto: Responsabilità civile -Pretesa responsabilità dell’amministratore di condominio -Doppia conforme di rigetto -Errata applicazione artt. 2043 e 2059 c.c. e artt. 595 e 51 c.p. -Rigetto.
CC 12.12.2024
Ric. n. 3866/2024
Pres A. Scrima
Est. I. COGNOME
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. dall’Avv. NOME COGNOME come da procura speciale in calce al controricorso, ex lege domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, INDIRIZZO (pec: avvEMAIL;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, n. 2257/2023, pubblicata il 13 novembre 2023; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024 dalla Consigliera Dott.ssa NOME COGNOME
Fatti di causa
Con atto di citazione dell’aprile 2018, NOME NOME COGNOME, in proprio e in qualità di erede della madre, NOME COGNOME, e del fratello, NOME COGNOME, aveva convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Bologna NOME COGNOME Amministratore del proprio Condominio sito in Bologna, INDIRIZZO per sentirne dichiarare la responsabilità sia contrattuale sia extracontrattuale e la condanna a corrispondergli la somma di Euro 50.124,83, maggiorata dagli interessi e rivalutazione.
Per quanto ancora di rilievo, il Tribunale di Bologna, con sentenza n. 20749/2019, rigettò la domanda, condannando l’attore a rifondere le spese del grado in favore del convenuto, affermando che «le condotte imputate all’amministratore sono già state esaminate dal Tribunale di Bologna sia dalla Corte d’Appello di Bologna … in sede di volontaria giurisdizione, nell’ambito della richiesta revoca per asserite gravi irregolarità» e che, sebbene non idonei a costituire cosa giudicata, «i principi enunciati e le questioni esaminate (nei decreti emessi) possono essere condivise da questo giudice nell’ambito del procedimento contenzioso».
Avverso la sentenza di prime cure, NOME COGNOME COGNOME in proprio e in qualità di erede dei predetti congiunti, ha proposto
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Pres A. Scrima
Est. I. COGNOME gravame dinanzi alla Corte d’appello di Bologna, la quale ha rigettato l’appello conferma ndo la sentenza di prime cure, con condanna dell’appellante a rifondere all’appellato le spese del grado.
Avverso la sentenza d’appello, NOME Marco COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, in proprio e in qualità di erede di NOME COGNOME e NOME COGNOME sorretto da nove motivi di impugnazione. Ha resistito con controricorso NOME COGNOME
Il ricorso è stato fissato e trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art.380 bis .1 c.p.c..
Il ricorrente ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta ‘ (ex art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c.): violazione art.112 c.p.c. per omessa pronuncia ‘ ; in particolare, osserva che la Corte d’appello non si sia pronunciata su tutti i profili di censura del motivo di appello con il quale si era dedotto l’omesso esame di circostanze rilevanti ai fini della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale della specifica condotta dell’Amministratore Monti relativa alle omesse informazioni che avevano imposto al ricorrente di rivolgersi ad un legale di fiducia e di avviare la mediazione, sostenendone i costi. Il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non si sia pronunciata su uno specifico motivo di appello con il quale l’odierno ricorrente aveva censurato la sentenza di primo grado per aver ritenuto insussistente il fatto dell’ omessa richiesta di chiarimenti.
Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta ‘ (ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.): omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio: mancato riscontro del rag. COGNOME alle richieste di chiarimenti del dott. COGNOME ; in particolare ribadisce che la Corte d’appello non ha esaminato la condotta omissiva e reticente dell’Amministratore (costituente fatto decisivo per il
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RAGIONE_SOCIALE COGNOME giudizio) in relazione alle richieste di chiarimenti avanzate dal ricorrente prima dell’avvio del procedimento di mediazione .
Con il terzo motivo di ricorso, lamenta ‘(ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio: omessa considerazione della richiesta di ricevere la delibera a mezzo pec ‘; il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di rilevare che all’Amministratore COGNOME era stato richiesto l’invio per PEC della copia della delibera condominiale in contestazione e che lo stesso, rispondendo per PEC, ne ha omesso l’allegazione, provvedendo solo all’inoltro per posta, giorni dopo; aggiunge che, ove fosse stata inviata per PEC, il ricorrente non avrebbe dovuto avviare il giudizio in Tribunale, perché il termine non era ancora spirato.
Con il quarto motivo di ricorso, lamenta ‘ (ex art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. con riferimento agli artt. 112 e 132 c.p.c.): omessa pronuncia in relazione alla domanda di responsabilità extracontrattuale; ovvero, in subordine, motivazione assente ‘; a parere del ricorrente, con la sentenza impugnata la Corte d’appello avrebbe omesso ogni pronuncia con riferimento alla responsabilità extracontrattuale dell’Amministratore per i fatti esposti nei primi tre motivi di ricorso, pronunciando solo su quella contrattuale ovvero, in subordine, sul punto vi sarebbe motivazione assente.
Con il quinto motivo di ricorso, il ricorrente contesta ‘ (ex art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. con riferimento agli artt. 112 e 346 c.p.c.): extrapetizione in ordine alla scriminante del diritto di critica ‘; in particolare , la sentenza di appello ha ritenuto operante (anche) la scriminante del diritto di critica, in assenza di deduzione avversaria.
Con il sesto motivo di ricorso denuncia ‘ (ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.): violazione di legge per violazione ed errata applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. (anche in relazione all’art.
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2 cost.) Nonché degli artt. 595 e 51 c.p. errata applicazione del paradigma normativo e delle coordinate ermeneutiche sulla configurazione della responsabilità per condotte lesive dell’onorabilità e della reputazione’; in particolare, assume che la Corte d’appello avrebbe errato nell’a pplicazione e nell’interpretazione delle norme costituenti il paradigma normativo relativo alla responsabilità per lesione dell’altrui onore e reputazione, discostandosi dalle coordinate ermeneutiche consolidate relative agli elementi oggettivo e soggettivo della fattispecie dedotta, nonché sulle condizioni di applicabilità di eventuali esimenti. In particolare, ha erroneamente ritenuto rilevante che l’Amministratore Monti non avesse ‘volontà di nuocere’ alla reputazione del Gasparri (c.d. animus iniuriandi vel diffamandi ) mentre, al contrario, il reato di diffamazione si configura anche in presenza del dolo generico e comunque, in ambito civile, la condotta è rilevante anche se colposa. Inoltre, ha erroneamente escluso la configurazione dell’illiceità della condotta , nonostante abbia riconosciuto che l’Amministratore avesse divulgato circostanze non veritiere.
7 . Con il settimo motivo di ricorso, il ricorrente contesta ‘ (ex art. 360, primo comma, n. 5): omesso esame di circostanza dirimente ‘ in quanto il Giudice di appello avrebbe omesso di esaminare la circostanza che l’Amministratore aveva in effetti confermato di essere stato contattato dal ricorrente (con e-mail prodotta in giudizio); circostanza tale da escludere la veridicità della frase diffamatoria e denigratoria propalata dal primo, secondo cui il ricorrente ‘stranamente’ non avre bbe provato a contattare telefonicamente l’Amministratore.’; in particolare la sentenza di appello ha ritenuto operante (anche) la scriminante del diritto di critica, in assenza di deduzione avversaria.
Con l’ottavo motivo di ricorso, il ricorrente contesta ‘(ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. con riferimento all’art. 91 c.p.c.):
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Est. I. COGNOME condanna alle spese di lite per il contributo unificato corrisposto per la chiamata di terzo non autorizzata ‘; lamenta che l a sentenza di appello ha illegittimamente condannato il ricorrente al rimborso del contributo unificato per la chiamata del terzo, nonostante questa non sia stata validamente proposta, né coltivata e comunque non sia stata disposta.
Infine, con il nono motivo il ricorrente denuncia ‘ in via condizionata ‘, ‘ ex art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. con riferimento agli artt. 112, 115 e 116 c.p.c.) ‘ la ‘ omessa pronuncia sulle istanze istruttorie riproposte e comunque riproposizione delle istanze istruttorie ove assorbite ‘.
Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Questa Corte ha da tempo chiarito che la parte, la quale in sede di ricorso per cassazione deduca che il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per non essersi pronunciato su un motivo di appello o, comunque, su una conclusione formulata nell’atto di appello, è tenuta, ai fini dell’astratta idoneità del motivo ad individuare tale violazione – a precisare – a pena di inammissibilità – che il motivo o la conclusione sono stati mantenuti nel giudizio di appello fino al momento della precisazione delle conclusioni (v. Cass. 3/03/2010 n. 5087, Cass. Sez. 3, 22/12/2021 n. 41205).
Tale onere, nella specie, non risulta adeguatamente assolto, il che esime dal verificare in atti l’effettiva esistenza e consistenza del motivo di appello, come sarebbe stato altrimenti necessario.
10.1. I motivi secondo, terzo e settimo del ricorso, che possono essere congiuntamente esaminati stante l’evidente nesso di connessione, sono inammissibili.
Difatti, ai sensi dell’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., nella formulazione applicabile ratione temporis (disposizione che ha trovato continuità normativa nel nuovo testo dell’art.360, quarto comma, cod. proc. civ.), deve escludersi la possibilità di
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Est. I. Ambrosi ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 del citato art.360, nell’ipotesi in cui la sentenza d’appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di primo grado (c.d. ‘doppia conforme’); in proposito, questa Corte ha da tempo chiarito che la predetta esclusione si applica, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del decreto -legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012, e che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella c.d. ‘doppia conforme’ in facto , sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. ha l’onere nella specie non assolto, non ostante la sentenza d’appello abbia integralmente confermato quella di primo grado afferm ando l’infondatezza «della ricostruzione giuridica proposta dall’appellante» (pag. 4 della sentenza impugnata) -di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (tra molte, Cass. 18/12/2014, n. 26860; Cass. 22/12/2016, n. 26774; Cass. 6/08/2019, n. 20994).
Inoltre, l ‘articolazione complessiva dei motivi in esame ha l’effettiva consistenza di una inammissibile sollecitazione rivolta a questa Corte al fine di rivalutare la ricostruzione della quaestio facti e solo all’esito di essa postula l’omesso esame delle circostanze indicate dall’odierno ricorrente come ‘dirimenti’.
10.2. il quarto motivo di ricorso con cui il ricorrente lamenta, l’ asserita omessa pronuncia o, in subordine, l’assenza di motivazione in relazione alla pretesa responsabilità aquiliana dell’ Amministratore, per aver pronunciato la Corte d’appello di Bologna solo su quella contrattuale, non è fondato.
10.2.1 Anzitutto, vale accennare al fatto che il ricorrente con il mezzo in esame riformula sotto la lente dell’omessa e apparente
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Est. I. COGNOME pronuncia le medesime censure, già ritenute inammissibili rispetto al secondo, terzo e settimo motivi del ricorso, prospettate in relazione al diverso profilo della violazione di legge, rinnovando il tentativo di provocare una rivalutazione dei fatti storici, già adeguatamente operata in guisa conforme dai giudici del merito.
10.2.2. Lungi dall’omettere la motivazione in relazione alla pretesa responsabilità aquiliana , la Corte d’appello ha escluso, confermando in proposito l’accertamento già compiuto dal Tribunale, in via generale «qualsiasi ipotesi di irregolarità nelle condotte dell’odierno appellato e, conseguentemente, l’idoneità delle stesse a cagionare qualsiasi tipo di danno nei confronti dell’appellante » (pag. 8 della sentenza impugnata).
In via particolare, contrariamente a quanto sostenuto anche in memoria difensiva dall’odierno ricorrente , e cioè che la Corte d’appello si fosse limitata a statuire esclusivamente su ll’incarico di mandato conferito al Rag. COGNOME e alla sua mala gestio , ossia in merito a circostanze chiaramente e inequivocabilmente contrattuali (pag. 12 in memoria) , la Corte d’appello ha puntualmente esaminato la doglianza formulata dall’appellante, odierno ricorrente, che insisteva nel ritener e l’Amministratore COGNOME responsabile di ‘aver divulgato a tutti i condomini informazioni non veritiere, non richieste dai condomini e non attuali’ e che ciò aveva fatto ‘deliberatamente’ e che le informazioni divulgate, ‘nonostante l’amministratore fosse già a conoscenza dell’avvenuto saldo’ erano risultate ‘lesive del decoro, dell’onore, della rispettabilità e della reputazione della famiglia COGNOMECOGNOME‘.
In proposito, la Corte bolognese ha rammentato che «l’ Amministratore non ha solo il diritto ma anche il dovere di informare i condomini in relazione ai contenziosi instaurati e alle morosità esistenti» e che «la lettera di critica, se allegata a verbale assembleare (Cass. 22.06.2017 n. 31079) o comunque se rivolta a tutti i condomini (Cass. 23.05.2016 n. 21376), non è diffamatoria e
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Est. I. COGNOME non lede alcun diritto alla onorabilità o alla reputazione se riferita a rapporti condominiali, peraltro improntati ad un atteggiamento di difficile predisposizione al pagamento delle quote condominiali» (pag. 10 della sentenza impugnata). Ha poi accertato che nella fattispecie in esame: – non fosse rinvenibile alcuna compromissione alla reputazione dell’appellante visto che l’amministratore, nella lettera citata, si era limitato ad ‘enumerare una serie di circostanze fattuali’ che solo marginalmente poteva no essere errate, ma a causa di informazioni non del tutto corrette a lui fornite dal legale del Condominio e alle quali ha anche concorso la ‘confusione’ dei pagamenti effettuati al Condominio dagli stessi Sigg.ri COGNOME i quali non avevano neppure dato comunicazione dei versamenti eseguiti, nonostante fosse stato loro notificato un decreto ingiuntivo; – che nella comunicazione citata trasparisse peraltro che l’amministratore aveva agito in risposta a sollecitazioni da parte di condomini e con l’esigenza di motivare il proprio operato evidentemente screditato da altri.
La Corte d’appello ha quindi concluso sul punto con l’affermare che non fosse dunque rinvenibile alcuna compromissione della reputazione dell’appellante posta in essere da parte dell’amministratore.
In ordine all’offensività delle espressioni utilizzate la Corte d’appello ha verificato che: – i toni utilizzati della comunicazione in esame, anche se polemici, non costituissero un attacco personale tale da violare l’onore, il decoro e la reputazione dell’appellante, sottolineando, al riguardo, che detta comunicazione non fu neppure affissa al portone del Condominio o in altro luogo accessibile al pubblico, restando quindi all’interno di una realtà in cui erano già note le ‘criticità di bilancio’ condominiali e i rapporti tra condomini e tra alcuni di essi e l’amministratore; – la comunicazione informava del fatto che «la proprietà ha saldato la somma indicata in precetto» e che «le informazioni rese erano tutte afferenti alla contabilità
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Est. I. Ambrosi condominiale ed alle azioni intraprese e, pertanto, di evidente interesse per gli altri condomini, che per primi potevano essere chiamati a dover sanare, all’esterno, morosità altrui» (pag. 11 della sentenza impugnata).
10.3. Il quinto motivo di ricorso è infondato.
La Corte d’appello non è incorsa nel vizio di ultrapetizione lamentato; difatti ha ribadito, per un verso, quanto ritenuto dal Tribunale ovvero che l’a mministratore non aveva solo il diritto ma anche il dovere di informare i condomini in relazione ai contenziosi instaurati e alle morosità esistenti e, per l’altro, ha aggiunto che la diffamatorietà della condotta era esclusa anche dall’esimente dell’esercizio del diritto di critica .
Va al riguardo osservato che questa Corte ha, da tempo, affermato che il giudice civile, ove debba accertare la sussistenza del carattere diffamatorio di un fatto, è tenuto a rilevare tutte le circostanze che siano state allegate e provate, atteso che l’eventuale esistenza di una esimente esclude il carattere diffamatorio del fatto (Cass. Sez. 1, 30/01/2013 n. 2190). Inoltre, costituisce principio pacifico quello per cui il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato, attesa la distinzione rispetto a quelle in senso stretto, non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, purché i fatti risultino documentati ex actis (da ultimo, tra le innumerevoli, Cass. Sez. 6-L, 10/10/2019 n. 25434,). É stato, pertanto, affermato da questa Corte, e il principio va ribadito in questa sede, che in materia di diffamazione, l’esimente dell’esercizio del diritto di critica non costituisce espressione di un diritto potestativo, da esercitare nel momento in cui viene proposta l’eccezione, ma integra un diritto sostanziale già esercitato. Ne consegue che la relativa deduzione non ha natura di eccezione in senso stretto e che il giudice civile, ove debba accertare la sussistenza del carattere diffamatorio di un fatto, è tenuto a rilevare tutte le circostanze che siano state allegate e provate, atteso che
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Est. I. COGNOME l’eventuale esistenza di una esimente esclude il carattere diffamatorio del fatto (Cass. Sez. 3, 26/06/2020, n. 12902).
Va inoltre rilevato che, componendosi la decisione in esame di due antonome rationes decidendi, la prima è sufficiente a confermare il decisum del Giudice di prime cure da parte del Giudice d’appello, stante che l’odierno ricorrente non la censura idoneamente, sicché, sotto tale profilo, il motivo è pure inammissibile.
10.4. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile.
Come esattamente evidenziato dalla parte controricorrente (pag. 6 in controricorso), il lamentato vizio di violazione e falsa applicazione di norme di legge in esame (degli artt. 2043 e 2059 c.c. nonché degli artt. 595 e 51 c.p.) prospettato dal ricorrente è volto ad ottenere un nuovo accertamento dei fatti e una rivalutazione del merito della vicenda, non consentiti in sede di legittimità.
Ebbene, il ricorrente lamenta, tra l’altro, la errata applicazione del paradigma normativo e delle coordinate ermeneutiche in ordine alla configurazione della responsabilità per condotte lesive della onorabilità – spettando al giudice del merito l’apprezzamento che ne faccia: v., per tutte, Cass. Sez. 3, 14/03/2018 n. 6133 -e, nella sostanza, censura l’accertamento in fatto compiuto in sede di appello circa la circostanza che l’Amministratore COGNOME non avesse ‘volontà di nuocere ‘ . Invero, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., ricorre o non ricorre per l’esclusivo rilievo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata “male” applicata, e cioè applicata a fattispecie non esattamente comprensibile nella norma (tra tante, Cass. Sez. L, 21/06/2019, n. 16746, in motivazione; Cass. Sez L, 15/12/2014 n. 26307; Cass. Sez. 3, 24/10/2007 n. 22348; Cass. Sez. U, 5/05/2006 n. 10313); sicché il sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma
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Est. I. Ambrosi di diritto presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata perché è quella che è stata operata dai giudici del merito; al contrario, laddove si critichi la ricostruzione della vicenda storica quale risultante dalla sentenza impugnata (come accade nella specie, dove ancora nella memoria difensiva il ricorrente lamenta che la Corte d’appello , pur ritenendo che l’Amministratore avesse divulgato circostanze non veritiere, tuttavia ha affermato come non rilevante la volontà di nuocere), così pretendendo una ricostruzione degli accadimenti diametralmente opposta, si è fuori dall’ambito di operatività dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., e la censura è attratta inevitabilmente nei confini del sindacabile esclusivamente ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella formulazione tempo per tempo vigente, vizio che appunto postula un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti, ma che sottopone la censura ai rigorosi limiti imposti dall’interpretazione offerta dalle pronunce delle Sezioni unite di questa Corte (Cass. Sez. U, 7/04/2014 nn. 8053 e 8054).
10.5. L’ottavo motivo è infondato.
Nel giudizio in esame, non vi è alcun terzo chiamato rispetto al quale il convenuto COGNOME sia stato soccombente, poiché la chiamata non è stata ritenuta ammissibile e ciò rende il motivo di doglianza non fondato e i richiami giurisprudenziali operati dal ricorrente non pertinenti . Il giudice d’appello ha, quindi, correttamente statuito, anche sulle spese conseguenti al rigetto del gravame sul capo della sentenza di prime cure che ha condannato il COGNOME al pagamento in favore del Monti del contributo unificato per la chiamata in causa del terzo, rilevando che, nella specie, «la chiamata è stata effettuata dalla difesa del COGNOME in conseguenza del giudizio di responsabilità introdotto nei suoi confronti dal COGNOME, per essere manlevato, a termini di polizza, in caso di condanna al risarcimento. La spesa liquidata è diretta conseguenza dell’azione di fronte a cui il COGNOME è risultato soccombente» (sentenza impugnata pagg. 11-12), il che, in sé, è innegabile.
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10.6. Il nono e ultimo motivo è inammissibile in quanto con esso il ricorrente ripropone le istanze istruttorie, ove ritenute assorbite, motivo privo di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata, risolvendosi in un ‘ non motivo ‘ (tra tante, da ultimo, Cass. Sez. 2, 9/04/2024 n. 9450).
11. Il ricorso va rigettato.
Le spese vanno poste a carico del ricorrente in favore della parte controricorrente secondo il principio di soccombenza e liquidate così come in dispositivo.
Per questi motivi
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore della parte controricorrente che si liquidano in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie al 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della