Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26871 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26871 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 7686/2023 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale, datata 28 maggio 2024, allegata in atti e recante anche la revoca di precedente difensore, da ll’ AVV_NOTAIO, presso il cui studio elettivamente domicilia in Bologna, alla INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del curatore rag. NOME COGNOME, rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al controricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, presso il cui studio elettivamente domicilia in Vicenza, alla INDIRIZZO.
NOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, da ll’ AVV_NOTAIO, presso il cui studio
elettivamente domicilia in Badia Polesine (RO), alla INDIRIZZO.
–
contro
ricorrente –
e
COGNOME NOME; COGNOME NOME.
-intimati – avverso la sentenza, n. cron. 180/2023, della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA pubblicata il 25/01/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 10/10/2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 16/18 aprile 2019, n. 892, il Tribunale di Vicenza -definitivamente pronunciando sulla domanda del RAGIONE_SOCIALE volta a sentire dichiarare la responsabilità, ex artt. 2393 e 2394 cod. civ., degli ex amministratori NOME COGNOME e NOME COGNOME e ad ottenerne la condannare al risarcimento del danno, giudizio nel quale la COGNOME fu autorizzata a chiamare in causa NOME COGNOME e NOME COGNOME per esserne manlevata in caso di condanna -accertò la responsabilità del COGNOME, della COGNOME e del COGNOME verso la società fallita ed i creditori sociali e, per l’effetto, li condannò, in solido tra loro, al risarcimento, in favore del RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 168.941,37, oltre rivalutazione ed interessi; ripartì il danno nei rapporti interni tra i coobbligati in quote eguali; condannò il COGNOME a tenere manlevata ed indenne la COGNOME e respinse ogni domanda proposta nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, regolando, infine, le spese di lite secondo il criterio della soccombenza.
Il gravame promosso dalla COGNOME contro questa decisione fu respinto dall’adita Corte di appello di Venezia, con sentenza del 25 gennaio 2023, n. 180, resa nel contraddittorio con il RAGIONE_SOCIALE predetto e NOME COGNOME e nella contumacia di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.1 Per quanto qui ancora di interesse, quella corte: i ) disattese l’eccezione di prescrizione dell’azione ex art. 146 l.fall. ivi ribadita dall’appellante. Richiamati, in proposito, i principi della giurisprudenza di legittimità in materia, osservò che la COGNOME « ha dedotto che l’oggettiva percepibilità dell’insolvenza deriverebbe, anzitutto, dalle risultanze del bilancio 2004 di RAGIONE_SOCIALE, bilancio che, tuttavia, non ha prodotto in giudizio e di cui neppure ha indicato la data di pubblicazione nel registro delle imprese. In tal modo, non solo il mezzo difetta di specifica indicazione del dies a quo -in tesi di parte, diverso ed anteriore rispetto alla dichiarazione di fallimento -a partire dal quale computare il termine di prescrizione, ma neppure consente di verificare, attraverso un esame dei dati contabili e delle altre informazioni contenute nel bilancio, l’effettiva sussistenza della condizione di insufficienza patrimoniale, che costituisce il presupposto stesso affinché la prescrizione possa iniziare a decorrere ». Puntualizzò, poi, che « i dati esposti dalla curatela sono riferiti all’attivo ed al passivo fallimentare, non al bilancio della società ancora in bonis relativo all’anno precedente la dichiarazione di fallimento », sicché le considerazioni espresse, in proposito, dal curatore non potevano valere a colmare la prospettata lacuna probatoria circa il momento in cui era divenuta conoscibile l’insufficienza del patrimonio sociale. Circostanza, quest’ultima, in relazione alla quale nemmeno gli altri elementi indicati dalla COGNOME potevano considerarsi significativi. Rimarcò, inoltre, che « il tribunale ha respinto l’eccezione di prescrizione anche in relazione all’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. – confluita anch’essa nell’azione promossa dal curatore ai sensi dell’art. 146 l.f. ma pur sempre autonoma rispetto all’azione spettante ai creditori sociali ex art. 2394 c.c. e caratterizzata da una sua propria disciplina, anche per quanto attiene lo specifico profilo del regime di decorrenza del termine di prescrizione (Cass. 4.12.2015, n. 24715) -con statuizione che non è stata impugnata dall’appellante ed è perciò coperta da giudicato »; ii ) premesso che « Le condotte -distrazione di somme di denaro, anche attraverso l’utilizzo di linee di credito in conto corrente, senza ripianamento della esposizione debitoria in tal modo generata; distrazione di merce acquistata dalla società e destinata
a scopi estranei alle finalità aziendali; omessa richiesta ai soci di versamento delle quote residue di capitale sociale; distruzione e/o occultamento della contabilità sociale -integranti, secondo il provvedimento impugnato, atti di mala gestio, non sono contestate nella loro oggettività », ritenne, quanto alle dedotte circostanze asseritamente idonee a dimostrare l’estraneità della COGNOME alle condotte distrattive, delle quali la stessa aveva sostenuto di essere stata all’oscuro, che « non vi è prova del fatto che, nel periodo estivo compreso tra fine luglio 2004 e 4.9.2004 – durante il quale, a dire dell’appellante, le condotte sarebbero state poste in essere essa si fosse ‘trasferita ad Olbia per motivi di lavoro’; né vi sono concreti elementi a supp orto della prospettazione secondo cui l’appellante sarebbe rimasta vittima di una truffa ordita ai suoi danni da COGNOME e dagli altri appellati COGNOME e COGNOME, di cui si sarebbe resa conto soltanto dopo effettuate indagini presso gli istituti di credito con i quali operava la società. In particolare, non vi è alcuna evidenza che l’utilizzo del credito bancario accordato a RAGIONE_SOCIALE, documentato dalle contabili bancarie prodotte in atti a firma apparente COGNOME, sia riconducibile ad iniziative fraudolente di terzi, poste in essere anche a mezzo di falsificazioni della firma dell’odierna appellante. Al contrario, la Ctu disposta in corso di causa ha attribuito con elevato grado di probabilità alla COGNOME la paternità delle sottoscrizioni apposte sulla gran parte della documentazione bancaria prodotta in giudizio, e con certezza la sottoscrizione apposta su alcune altre, tra cui la dichiarazione di consenso ai dati personali ed il contratto RAGIONE_SOCIALE entrambi di data 20.7.2004 e lo specimen di firma RAGIONE_SOCIALE. E che fosse l’appellante a intrattenere i rapporti bancari in nome e per conto della società, aprendo e movimentando i conti ad essa intestati, trova conferma nella comunicazione 20.10.2004 a RAGIONE_SOCIALE sede di Bologna , con cui la COGNOME, qualificandosi ‘Amministratore Unico della ditta RAGIONE_SOCIALE‘, chiede alla banca di ‘poter essere l’unica ad operare sul conto della società’ al contempo revocando con effetto immediato eventuali precedenti deleghe ‘date per errore’ (comun icazione nella quale, per inciso, non vi è alcun cenno a falsificazioni della propria firma poste in essere da terzi per il compimento di operazioni bancarie). Nessuna specifica
indicazione, circa l’attività concretamente svolta dalla RAGIONE_SOCIALE nella società, si ritrae dalle deposizioni testimoniali, il cui richiamo è peraltro operato all’interno del motivo in modo del tutto generico, senza riferimento alcuno a singole e ben individuate deposizioni ed al loro contenuto, risultando perciò non conforme al disposto dell’art. 342 c.p.c. »; iii ) rigettò, facendo ampio riferimento alle risultanze istruttorie, le doglianze con cui l’appellante aveva lamentato l’erronea individuazione dei s oggetti responsabili ex artt. 2393 e 2394 cod. civ., la invalidità della propria nomina ad amministratrice della società poi fallita e l’insussistenza di concreti atti di gestione da lei posti in essere, ricordando, quanto a quest’ultimo aspetto, che « la responsabilità ascritta all’appellante è legata alla carica di amministratrice unica della società, di cui la COGNOME è stata formalmente investita e che comporta l’assunzione di responsabilità, tanto nei confronti dei soci quanto dei creditori sociali, per il buon andamento e la corretta gestione della società. Ed al riguardo è stato recentemente ribadito in giurisprudenza che la responsabilità dell’amministratore per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale, sicché, a fronte di somme fuoriuscite dall’attivo della società (ovvero di distrazione di beni sociali destinati a scopi estranei alle finalità aziendali o di mancata richiesta di versamento delle quote di capitale), quest’ultima, nell’agire per il risarcimento del danno, può limitarsi ad allegare l’inadempimento, consistente nella distrazione di dette risorse, mentre compete all’amministratore la prova del corretto adempimento e, dunque, della destinazione del patrimonio all’estinzione di debiti sociali oppure allo svolgimento dell’attività sociale (Cass. 12.5.2021, n. 12567). Prova che l’appellante – che ha inquadrato i fatti di mala gestio nell’ambito di una, indimostrata, truffa ai suoi danni – non è stata in grado di dare »; iv ) opinò, quanto alla responsabilità di NOME COGNOME pure invocata dalla COGNOME, che « Il motivo -che si basa sulla esposizione di fatti già esaminati dal tribunale e ritenuti inidonei a dimostrare ‘una ingerenza della RAGIONE_SOCIALE nella gestione della società connotata da carattere di sistematicità e continuità’ non si confronta in modo puntuale con la motivazione che ha condotto il tribunale al rigetto dell’istanza e non offre concrete evidenze a supporto della
partecipazione della COGNOME alla condotta truffaldina, peraltro anch’essa indimostrata, asseritamente posta in essere in danno dell’appellante »; v ) considerò, infine, che « La responsabilità degli organi sociali ex art. 146 l.f. dà luogo a solidarietà passiva nell’obbligazione risarcitoria , ex artt. 1292 e 2055 c.c. L’appellante non contesta in modo specifico la uguale ripartizione delle responsabilità come determinata dal tribunale, limitandosi, infondatamente per quanto esposto in precedenza, a rivendicare la propria estraneità alle condotte di mala gestio e la parziarietà dell’obbligazione. Il motivo perciò è infondato ».
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME affidandosi a sette motivi, il primo dei quali articolato in un duplice profilo. Hanno resistito, con distinti controricorsi, il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e NOME RAGIONE_SOCIALE. Non hanno svolto difese in questa sede NOME COGNOME e NOME COGNOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di ricorso denunciano, in sintesi, rispettivamente:
« Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2394 c.c. e 146 l.f. e 2949 c.c. e art. 5 l.f., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 », contestandosi alla corte di appello di avere errato nel ritenere che l’azione esercitata dal RAGIONE_SOCIALE non fosse prescritta;
Ibis ) « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2393 e 2383 c.c. e 146 l.f., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ». Si assume che « l’azione di prescrizione si può esercitare dalla cessazione della carica di amministratore nel termine di 5 anni: la carica in capo alla Sig.ra COGNOME non è mai stata validamente costituita e, anche a volerla considerare tale, sicuramente la cessazione si può intendere avvenuta con il contratto preliminare del 6.10.2004. La norma di cui all’art. 2383 c.c. assegna un termine alla nominata amministratrice per l’iscrizione nel Registro Imprese. Parte Appellante ha sempre eccepito che la carica di amministratrice non era stata validamente formata. Da qui, la Corte di Venezia ha errato nel ritenere che non vi sia stata impugnazione e, pertanto, che vi sia giudicato sul punto:
anche tale parte della sentenza impugnata deve essere cassata (rientrante sempre nel primo motivo) »;
II) « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e dell’art. 2392 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. », ascrivendosi alla corte lagunare di non aver considerato che le controparti mai avevano contestato che la COGNOME si fosse trovata fuori sede dal 27 luglio al 4 settembre 2004, sicché doveva ritenersi che tutte le condotte distrattive di quel periodo erano avvenute a sua insaputa. Pertanto, una corretta applicazione dell’art. 2392 cod. civ. avrebbe dovuto condurre a d una pronuncia di esonero di responsabilità della odierna ricorrente o di una responsabilità di certo minore rispetto a quella del COGNOME e del COGNOME;
III) « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2392, 2393 e 2394 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.: omesso esame di un fatto decisivo della controversia », contestandosi la sentenza impugnata per avere omesso di esaminare i comportamenti delle altre parti in causa, concentrandosi solo sulla COGNOME, ma non considerandone la complessiva condotta tenuta dopo aver compreso di essere stata raggirata;
IV) « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2380bis c.c. e seguenti e dell’art. 2392 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. », perché la corte distrettuale non aveva correttamente applicato la norma di cui all’art. 2380bis cod. civ., atteso che la COGNOME, oltre a non iscrivere la propria nomina nel Registro Imprese e risultando invece – successivamente alla sua pretesa nomina – l’iscrizione del COGNOME, non aveva compiuto alcun atto di gestione se non dopo il suo rientro da Olbia e finalizzato ad arginare le condotte distrattive compiute dagli altri soggetti;
V) « Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ». Si deduce che la RAGIONE_SOCIALE, pur contestando genericamente la propria responsabilità, mai aveva fornito l’elemento della sua discolpa, anche perché, in realtà, aveva compiuto vari atti volti al prelievo e distrazione di somme della società in complicità con il COGNOME. La corte d’appello ed ancor prima il tribunale – avrebbero dovuto tenere conto di tale circostanza oltre che degli elementi di fatto e delle
produzioni in atti, sicché la prima avrebbe dovuto riconoscere l’ingerenza della COGNOME nella vicenda esaminata. La sentenza impugnata, dunque, doveva essere cassata laddove aveva sostenuto che il motivo « non si confronta in modo puntuale con la motivazione che ha condotto il tribunale al rigetto dell’istanza e non offre concrete evidenze a supporto della partecipazione della COGNOME alla condotta truffaldina. In merito a quanto ora riportato, è sufficiente valutare il prelievo sino ad esaurimento della linea di credito accesa presso la BNL, che non è stato negato dalla sig.ra COGNOME ai sensi dell’art. 115 c.p.c. »;
VI) « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 146 l.f., 1292 e 2055 c.c., nonché dell’art. 2476 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. », invocandosi la cassazione della sentenza impugnata anche nella parte in cui sostiene che « la responsabilità degli organi sociali ex art. 146 L.F. dà luogo a solidarietà passiva nell’obbligazione risarcitoria ex artt. 1292 e 2055 c.c. e che l’appellante non contesta in modo specifico la uguale ripartizione delle responsabilità come determinata dal tribunale, limitandosi, infondatamente … a rivendicare la propria estraneità alle condotte di mala gestio e la parziarietà dell’obbligazione e che il motivo è infondato ». Si afferma che la responsabilità non si estende a coloro che dimostrino di essere esenti da colpa, sicché, considerato il comportamento della COGNOME, la stessa avrebbe dovuto essere esonerata da responsabilità o, comunque, avrebbe dovuto beneficiare di una graduazione diversa ed inferiore rispetto a chi aveva posto in essere le condotte distrattive e truffaldine, da lei prontamente querelate appena resasi conto di essere stata raggirata e di ciò che era avvenuto a sua insaputa;
VII) « Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. », lamentandosi l’asserita falsa applicazione del principio della soccombenza dovuta all’errore determinato da una mancata diversa ripartizione delle spese processuali. Si assume che l’appellante « non avrebbe dovuto essere condannata nella stessa misura dei Sigg.ri COGNOME e COGNOME, reali responsabili, e tantomeno in solido con loro ».
I descritti motivi primo e primo bis , scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connessi, si rivelano complessivamente inammissibili alla stregua delle argomentazioni tutte di cui appresso.
2.1. Giova premettere che il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. (specificamente invocato dalla ricorrente nelle doglianze in esame) può rivestire la forma della violazione di legge (intesa come errata negazione o affermazione dell’esistenza o inesistenza di una norma, ovvero attribuzione alla stessa di un significato inappropriato) e della falsa applicazione di norme di diritto (intesa come sussunzione della fattispecie concreta in una disposizione non pertinente perché, ove propriamente individuata ed interpretata, riferita ad altro, ovvero deduzione da una norma di conseguenze giuridiche che, in relazione alla fattispecie concreta, contraddicono la sua, pur corretta, interpretazione. Cfr . Cass. nn. 19423, 16448 e 5436 del 2024; Cass. n. 1015 del 2023; Cass. n. 5490 del 2022; Cass. n. 3246 del 2022; Cass. n. 596 del 2022; Cass. n. 40495 del 2021; Cass. n. 28462 del 2021; Cass. n. 25343 del 2021; Cass. n. 4226 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 27909 del 2020; Cass. n. 4343 del 2020; Cass. n. 27686 del 2018). È opportuno evidenziare, inoltre, che questa Corte, ancora recentemente ( cfr ., pure nelle rispettive motivazioni, oltre alle pronunce appena citate, Cass. n. 35041 del 2022, Cass. n. 33961 del 2022 e Cass. n. 13408 del 2022), ha chiarito, tra l’altro, che: a ) non integra violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretative ed applicativo della norma di legge; b ) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ( cfr . Cass. n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010); c ) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle
norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente alla valutazione del giudice di merito ( cfr . Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015).
2.2. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che, come si è ampiamente riferito al § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘, la corte distrettuale ha giustificato, affatto esaustivamente, le ragioni del proprio maturato convincimento circa la ritenuta infondatezza dell’eccezione di prescrizione dell’azione ex art. 146 l.fall. ivi ribadita dall’appellante. A tale conclusione la stessa è giunta all’esito della valutazione del materiale istruttorio, giudicato inidoneo a sorreggere quella eccezione, rimarcando, da un lato, che « Non è stata perciò superata la presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento (Cass. 12.6.2014, n. 13378) » e, dall’altro, che « il tribunale ha respinto l’eccezione di prescrizione anche in relazione all’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. – confluita anch’essa nell’azione promossa dal curatore ai sensi dell’art. 146 l.f. ma pur sempre autonoma rispetto all’azione spettante ai creditori sociali ex art. 2394 c.c. e caratterizzata da una sua propria disciplina, anche per quanto attiene lo specifico profilo del regime di decorrenza del termine di prescrizione (Cass. 4.12.2015, n. 24715) -con statuizione che non è stata impugnata dall’appellante ed è perciò coperta da giudicato ». Inoltre, la stessa ha osservato pure, che, « Quanto alle due delibere assembleari, di data rispettivamente 17.6.2004 e 15.7.2004, con le quali la COGNOME è stata nominata amministratrice unica di RAGIONE_SOCIALE , si tratta in entrambi i casi di assemblee totalitarie alla presenza, per quanto risulta dai relativi verbali, dell’intero collegio sindacale. Nessuna delle due delibere, di cui l’appellante sostiene l’illegittimità senza enunciarne le precise ragioni a supporto, risulta essere stata impugnata; oltretutto, la delibera 15.7.2004 risulta anche personalmente sottoscritta dall’appellante. Non costituisce causa di invalidità della delibera di nomina la mancata iscrizione della stessa nel registro delle imprese, stante l’efficac ia meramente dichiarativa e non costitutiva da annettersi all’iscrizione degli atti riguardanti la società (Cass. 12.4.1995, n. 4173). Peraltro, va nuovamente rilevato come sia stata la
stessa odierna appellante a qualificarsi, nella cennata comunicazione 20.10.2004 a RAGIONE_SOCIALE, quale ‘Amministratore Unico RAGIONE_SOCIALE‘; stante che non è allegata né documentata l’esistenza di altra delibera di nomina, deve ragionevolmente presumersi che la carica sia stata conferita alla COGNOME con le delibere di cui si discute » ( cfr . pag. 13-14 della sentenza impugnata).
2.2.1. Le censure in esame, invece, non si confrontano in alcun modo con le descritte, puntuali rationes decidendi come concretamente motivate dalla corte territoriale, sicché difettano di specificità, atteso che, come del tutto condivisibilmente chiarito da Cass. n. 21563 del 2022 ( cfr . pag. 8 e ss. della motivazione), da Cass. n. 35782 del 2023 ( cfr . pag. 41 e ss. della motivazione) e da Cass. n. 25495 del 2024 ( cfr . pag. 7-8 della motivazione), « l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, non solo “di indicare le norm e di legge di cui intende lamentare la violazione” , ma anche “di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01), confrontandosi sempre con l’effettivo “decisum” che sorregge la sentenza impugnata. Difatti, il motivo di impugnazione “è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e
da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo”, sicché, in riferimento al ricorso per Cassazione, “tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ‘non motivo’, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4), cod. proc. civ.” (così Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, Rv. 579564- 01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01, nonché, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01) ».
2.2.2. In altri termini, le doglianze suddette della COGNOME si rivelano prive di una specifica censura giuridica e logica alla motivazione della sentenza impugnata, nelle parti qui di interesse, perché, piuttosto che esplicitare, in maniera puntuale, le ragioni per cui essa sarebbe errata (confrontandosi concretamente, dunque, con le sue argomentazioni in diritto e confutandole), sostanzialmente si limitano a richiamare le stesse argomentazioni e le medesime deduzioni articolate negli atti difesivi dei gradi di merito già scrutinate e ritenute infondate dalla corte di appello. Sotto questo punto di vista, quindi, i presenti motivi appaiono una mera ripetizione delle difese che, ove questa Corte giungesse all’esame funzionale degli stessi, dovrebbero ritenersi già (peraltro correttamente) respinte. A tanto va solo aggiunto che il giudizio legittimità non può essere trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 19423 e 25495 del 2024).
Parimenti inammissibile è anche il secondo motivo di ricorso.
3.1. Esso, invero, laddove ascrive alla corte lagunare di non aver considerato che le controparti mai avevano contestato che la COGNOME si fosse trovata fuori sede dal 27 luglio al 4 settembre 2004, sicché doveva ritenersi che tutte le condotte distrattive di quel periodo erano avvenute a sua insaputa, si rivela inficiato da evidente carenza di autosufficienza.
3.1.1. Premesso, infatti, che -come recentemente ribadito da Cass. n. 15058 del 2024 ( cfr . in motivazione) -costituisce ‘ elemento valutativo riservato al giudice del merito ‘, apprezzare, ‘ nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte ‘ (così Cass. n. 3680 del 2019), sicché tale ‘ apprezzamento è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per incongruenza o illogicità della motivazione, non spettando a questa Corte il potere di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni poste a fondamento della decisione ‘ ( cfr . Cass. n. 13217 del 2014), va rilevato, comunque, che anche la censura di falsa applicazione del principio di non contestazione e, dunque, dell’art. 115, comma 2, cod. proc. civ., soggiace alla necessità dell’osservanza dell’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ. Difatti, allorché sia denunciata una non corretta applicazione del principio di ‘ non contestazione ‘ -e ciò a prescindere dal contenuto della doglianza formulata e, quindi, tanto nell’ipotesi in cui si lamenti che il giudice abbia ritenuto operante il principio in assenza dei suoi presupposti, quanto (come nella censura in esame) nel caso in cui ci si dolga, al contrario, dell’erronea esclusione della sua operatività il ricorrente è tenuto non solo ad ‘ indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese ‘, inserendo nel ricorso ‘ la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi ‘ e ciò mercé ‘ la riproduzione degli atti del giudizio nella misura necessaria ‘ a tale scopo ( cfr . Cass. n. 16655 del 2016), ma anche ad ‘ indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi ‘ ( cfr . Cass. n. 12840 del 2017), in modo da consentire a questa Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115, comma 2, cod. proc. civ.
3.1.2. Nella specie, tale onere non risulta essere stato adempiuto, donde, già per ciò solo, l’inammissibilità del motivo, dovendosi aggiungere, peraltro, quanto alla lamentata (ma in nessun modo argomentata) violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., che esponga, in maniera concisa, gli elementi posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo seguito. Ne consegue che: i ) il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre laddove, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto ( cfr. Cass. n. 1863 del 2024; Cass. n. 12652 del 2020); ii ) la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività ( cfr . Cass. n. 4024 del 2024; Cass. n. 1863 del 2024; Cass. n. 12131 del 2023; Cass. n. 24953 del 2020).
Inammissibile è pure il terzo motivo.
4.1. Invero, avuto riguardo alla regola di cui all’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ., abrogato dal d.lgs. n. 149 del 2022 ma qui applicabile ratione temporis (giusta l’art. 35 del menzionato d.lgs. e posto che il giudizio di appello venne instaurato dalla odierna ricorrente con citazione inviata per la notifica il 7 novembre 2019, come emerge dalla corrispondente copia rinvenibile nel fascicolo di ufficio, olt re che, quanto all’avvenuta iscrizione a ruolo nel medesimo anno 2019, dell’epigrafe dell a sentenza oggi impugnata.
Cfr . Cass. n. 11439 del 2018), la quale esclude la possibilità di ricorrere per cassazione ai sensi del numero 5 dell’art. 360, comma 1, dello stesso codice, nell’ipotesi in cui la sentenza di appello impugnata rechi l’integrale conferma della decisione di pr imo grado (cd. ‘ doppia conforme ‘), questa Corte ha da tempo chiarito che il presupposto di applicabilità della norma risiede nella cd. ‘ doppia conforme ‘ in facto (Cass. n. 7724 del 2002 ha precisato, inoltre, che « Ricorre l’ipotesi di ‘doppia conforme’, ai sensi dell’art. 348 -ter , commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logicoargomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice »), sicché il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo, ha l’onere di indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( cfr . Cass. nn. 19371, 17021 e 5436 del 2024; Cass. nn. 35782, 26934 e 5947 del 2023; Cass. n. 20994 del 2019; Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 26860 del 2014): onere rimasto, invece, totalmente inadempiuto stando alle argomentazioni concretamente rinvenibili nella doglianza de qua .
Il quarto motivo è anch’esso inammissibile.
5.1. Lo stesso, infatti, non si confronta in alcun modo con la puntuale ratio decidendi come concretamente motivata dalla corte territoriale (e di cui si è già in parte riferito disattendendosi le doglianze di cui ai precedenti motivi primo e primo bis ), sicché difetta di specificità. Basta richiamare, dunque, per giustificare la inammissibilità anche di questa censura, le considerazioni tutte già esposte nei precedenti §§ da 2.2., seconda parte, a 2.2.2. di questa motivazione.
Il quinto motivo, laddove formulato con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., è inammissibile per le medesime ragioni già esposte con riguardo al terzo.
6.1. Nella misura in cui, invece, intende contestare una pretesa violazione dell’art. 115 comma 2, cod. proc. civ., sotto il profilo di una non corretta applicazione del principio di non contestazione, valgono le medesime argomentazioni ( cfr . §§ 3.1.1. e 3.1.2., primo periodo, di questa motivazione) che hanno già condotto alla declaratoria di inammissibilità del secondo motivo.
Il sesto motivo è inammissibile perché, per come concretamente argomentato, presuppone la dimostrazione, invece definitivamente mancata anche per effetto della declaratoria di inammissibilità dei precedenti motivi, dell’assenza di responsabilità della P ollastri.
Il settimo motivo, infine, è parimenti inammissibile, sia perché privo di autonomo contenuto impugnatorio, sia, soprattutto, in ragione del principio secondo cui la denuncia di violazione della norma di cui all’art. 91, comma 1, cod. proc. civ. trova ingresso, in questa sede di legittimità, solo quando le spese siano poste a carico della parte integralmente vittoriosa ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 15697 del 2023; Cass. n. 2984 del 2022; Cass. n. 26912 del 2020; Cass. n. 18128 del 2020), e tanto non è dato cogliere dal motivo all’esame.
In conclusione, dunque, il ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute da ciascuna delle parti controricorrenti costituitesi, rimarcandosi, peraltro, che, come evidenziato dal RAGIONE_SOCIALE, il giudice delegato ha attestato che lo stesso è privo di fondi ai fini di cui all’art. 144 del d.P.R. n. 115 del 2002.
9.1. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/02, i presupposti processuali per il
versamento, da parte della COGNOME, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME e la condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute da ciascuna delle parti controricorrenti costituitesi, che si liquidano: a ) in favore del RAGIONE_SOCIALE, in € 8.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge, il tutto da corrispondersi in favore dello Stato; b ) in favore di NOME NOME, in € 8.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della menzionata ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile