Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23199 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23199 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17901/2019 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE COGNOME ( -) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 618/2019 depositata il 18/03/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Nel 2010 la curatela del Fallimento RAGIONE_SOCIALE ha promosso azione di responsabilità ex art. 146 l.fall. contro NOME COGNOME quale amministratore unico della società in bonis (dal 24.6.1998, data di costituzione, fino al 25.3.2019, quindi direttore generale e poi anche e di nuovo amministratore unico dal 4.5.2002 al 10.1.2005, quando è stato nominato un liquidatore giudiziario che ne ha chiesto il fallimento, dichiarato il 12.7.2006), per una serie di specifici atti di mala gestio (puntualmente trascritti in ricorso come risultanti dalla sentenza di primo grado), chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da liquidarsi in via equitativa -stante l ‘ assoluta inattendibilità delle scritture contabili della società fallita -con applicazione del criterio del cd. deficit fallimentare o in subordine dei cd. netti patrimoniali.
1.1. -Il Tribunale di Catania, dopo aver ritenuto che « gli addebiti in forza dei quali, secondo l’attrice, la contabilità della società fallita sarebbe totalmente inattendibile o sono infondati oppure, anche qualora fondati, non sono tali da minare, nel suo complesso, l’impianto contabile », ha accertato e quantificato i danni derivanti dai seguenti addebiti: A) aver proseguito l’attività di impresa dopo la perdita del capitale sociale con una gestione non conservativa fino alla convocazione dell’assemblea del 5.6.2003 (danno determinato mediante l’applicazione del criterio dei netti patrimoniali in € 159.110,57); B) aver determinato le condizioni per l’applicazione di sanzioni ed interessi su tributi e contributi non pagati (danno quantificato in € 90.576,96); C) essersi attribuito compensi non dovuti (danno quantificato in € 14.254,22 ).
Ha poi però condannato il convenuto NOME COGNOME al pagamento non già della sommatoria delle suddette voci di danno, bensì alla minor somma complessiva di € 171.310,21 , corrispondente alla quantificazione massima del danno operata dalla curatela (in riferimento alla differenza fra attivo e passivo fallimentare).
1.2. -In particolare, per quanto riportato nella decisione impugnata, il tribunale ha osservato:
(A) circa «l’addebito mosso dalla curatela di violazione degli artt. 2482 ter, 2484 e 2486, comma 2, c.c.»: – che NOME NOME aveva assunto la carica di amministratore in data 4.5.2002; – che il bilancio al 31.12.2001 veniva approvato il 20.5.2002 ed evidenziava un risultato di esercizio negativo per € 18.663,98 con conseguente perdita del capitale sociale; -che il NOME, alla data di presentazione del bilancio al 31.12.2001, ben sapeva che la società aveva perduto il capitale sociale, e tuttavia, anziché convocare senza indugio l’assemblea straordinaria avente all’ordine del giorno l’adozione dei provvedimenti ex art. 2482 ter C.c., attendeva oltre un anno indicendola per il 5.6.2003; -che «dall’analisi del conto economico della società, emerge chiaramente che la stessa ebbe a proseguire la sua attività di impresa, in maniera del tutto ordinaria, nell’esercizio 2002, salvo a ridurla soltanto nell’esercizio 2003 ed a cessarla, sostanzialmente, nell’esercizio 2004»; infatti, tra i costi risultano iscritti “acquisti di materie prime per € 57.995,67, manodopera impiegati per € 70.379,04 e manodopera operai per € 112.727,06”, mentre nel conto economico 2003, le stesse voci risultano azzerate, come nel caso della manodopera impiegati, ovvero fortemente ridotte; – che pertanto nell’esercizio 2002 la gestione del Mauro non è stata meramente conservativa «e ciò sia in ragione dei dati siccome esposti in contabilità, sia in mancanza di quale che sia allegazione difensiva di segno contrario espressa, con riferimento all’esercizio 2002, dal convenuto».
(B) circa l’addebito per sanzioni e interessi sui tributi e contributi non pagati “rilevati in contabilità nel 2004”: – che è stato lo stesso convenuto a rilevare nella contabilità del 2004 gli importi delle sanzioni e degli interessi dovuti in ragione del mancato pagamento di tributi e contributi dovuti per gli anni precedenti (poi insinuati al passivo), dovendosene desumere che al momento in cui le sanzioni e gli interessi sono stati rilevati, ne sussistevano i presupposti; che è inconferente sostenere ex post che la società poteva beneficiare della sospensione dei pagamenti prevista dalla normativa per l’emergenza eruttiva del 2002, poiché il Mauro si era evidentemente determinato alla rilevazione contabile delle sanzioni e degli interessi in quanto consapevole della impossibilità, anche futura, di pagare i tributi e i contributi sospesi, non essendo la
società più in grado di funzionare a causa dell’insanabile dissidio tra i soci; – che, in altri termini, una volta emerso con certezza che i pagamenti sospesi non avrebbero potuto essere effettuati, sanzioni e interessi andavano iscritti in bilancio; – che, come emerge chiaramente dall’esame dei bilanci, il Mauro, anziché accantonare le risorse necessarie per pagare i tributi e i contributi sospesi, aveva pagato i debiti verso banche e fornitori, cagionando alla società il danno pari alla misura appunto di sanzioni e interessi.
(C) circa l’addebito dei compensi autoattribuiti, c he l’amministratore ha percepito nei mesi di maggio e giugno 2002, dopo la riassunzione della carica di amministratore unico, compensi pari a € 14.254,22, risultanti dalle buste paga, in cui è indicato l’inquadramento di dirigente.
1.3. -La decisione è stata impugnata dal COGNOME e integralmente riformata dalla Corte d’appello di Catania, che ha rigettato la domanda della curatela fallimentare.
Innanzitutto, la corte territoriale ha ritenuto parzialmente fondato il primo motivo di appello (violazione art. 112 c.p.c.) sul rilievo che, con riguardo alla violazione dell’art. 2482-ter c.c., «effettivamente nell’atto di citazione introduttivo del primo grado la curatela non ricollega a tale specifica violazione alcuno specifico danno».
Dopo di che -ma solo «per mera esigenza di completezza» -ha «osservato che pure fondata è la censura» circa la natura ordinaria e non conservativa della gestione, desunta «solo dalla circostanza che risultano, nel conto economico, spese ingenti per materiale e personale», poiché: i) «quando si delibera lo scioglimento di una società, non possono affatto sospendersi, di colpo, tutte le attività»; ii) «la natura edilizia dell’attività » svolta dalla società «comportava normalmente, contratti anche di lunga durata».
In secondo luogo, la corte territoriale ha ritenuto erronea la motivazione del tribunale sulla responsabilità per sanzioni e interessi da mancato pagamento di tributi e contributi, osservando: riportare sanzioni e interessi nel bilancio al
che non era stato il NOME (ma il liquidatore giudiziale) e 31.12.2004, presupposto su cui il tribunale aveva basato la fondatezza di quelle
voci; ii) che non era nemmeno chiaro l’anno di scadenza di tributi e contributi; iii) che a maggio 2002 l’obbligo di pagamento era pacificamente sospeso (e lo fu sino al 2005) per le misure emergenziali adottate in relazione all’eruzione dell’Etna.
Infine, sulla percezione di € 14.254,22 nei mesi di maggio e giugno 2002, dopo la riassunzione della carica di amministratore unico, ha rilevato: «i) che gli stipendi sono stati percepiti dal NOME, quale direttore generale; ii) che, per tale qualifica, li aveva percepiti per anni dai precedenti amministratori; iii) che, non avendo documentato la curatela il venir meno del rapporto di lavoro subordinato, con l’attribuzione della qualità di amministratore della società, non si comprende perché il NOME non avrebbe dovuto continuare a percepire la propria retribuzione, come sino ad allora avvenuto; iv) che non occorreva un’apposita delibera assembleare per tali pagamenti, dopo la nomina come amministratore, in quanto il rapporto di lavoro subordinato era già risalente nel tempo».
-Avverso detta decisione il Fallimento propone ricorso per cassazione in due mezzi, cui il Mauro resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. -Con il primo motivo il Fallimento ricorrente lamenta la « Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 с.p.c., n.3, n.4 e n.5 » per avere la corte d’appello erroneamente ritenuto violato l’art. 112 c.p.c. a causa della mancata indicazione nell’atto introduttivo di uno specifico danno ricollegabile alla violazione dell’art. 2482-ter c.c., quando in realtà la curatela aveva contestato varie condotte di mala gestio , tra le quali anche la predetta violazione, per cui il tribunale, avendola accertata, si sarebbe pronunciato sulla richiesta di risarcimento del danno conseguente a tale condotta, adottando come criterio di liquidazione equitativo quello della «differenza dei netti patrimoniali, opportunamente rettificati». Nemmeno ritenere attendibile la contabilità societaria e utilizzarla per ricostruire le specifiche violazioni addebitate integrerebbe una violazione dell’art. 112 c.p.c., norma finalizzata solo a «impedire che nel giudizio possano trovare accoglimento domande sulle quali la controparte non sia stata in grado di difendersi».
2.2. -Con il secondo mezzo si lamenta la « Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 113, 115, 116 e 132, comma secondo, n. 4, c.p.c., c., in relazione all’art. 360, n.3, n. 4 e n.5 » per avere la corte d’appello ritenuto che il Fallimento non avesse specificato il danno ricollegabile alla violazione dell’art. 2482 -ter c.c., nonché per avere ritenuto, «con motivazione palesemente illogica, incomprensibile e avulsa da qualunque risultanza probatoria», «che: a) la gestione dell’attività d’impresa successiva alla perdita del capitale sociale fosse stata a carattere conservativo; b) non vi fosse responsabilità dell’amministratore unico per il mancato pagamento dei tributi e contributi dovuti per gli anni 2002 e 2003; c) non vi fosse responsabilità dell’amministratore unico per i pagamenti preferenziali effettuati negli anni 2002 e 2003 in favore dei fornitori e degli Istituti di Credito pur in presenza di una pesante esposizione debitoria nei confronti dell’Erario, nonché per il pagamento di rilevanti compensi in proprio favore».
-Il primo motivo è fondato e va accolto, con assorbimento del secondo.
3.1. -Con riguardo alle condotte contestate in relazione all’art. 2482 -ter c.c., l a corte d’appello ha rilevato una violazione dell’art. 112 c.p.c. che però risulta insussistente.
Invero, il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato deve ritenersi violato solo qualora il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri uno degli elementi obiettivi di identificazione dell’azione (“petitum” e “causa petendi”), attribuendo o negando ad uno dei contendenti un bene diverso da quello richiesto, e non compreso, nemmeno implicitamente o virtualmente, nell’ambito della domanda o delle richieste delle parti; ne deriva che il giudice non incorre nel vizio di ultrapetizione nemmeno quando esamini una questione non espressamente formulata, tutte le volte che questa debba ritenersi tacitamente proposta, in quanto in rapporto di necessaria connessione con quelle espressamente formulate ( ex multis , Cass. 17897/2019).
Nel caso in esame, emerge chiaramente dai riportati fatti di causa che gli addebiti mossi in citazione all’amministratore riguardavano
una serie di atti di mala gestio , tra i quali la prosecuzione dell’attività non conservativa nonostante la perdita del capitale sociale, e che il curatore fallimentare ha chiesto al tribunale di liquidare il danno secondo il criterio equitativo del cd. deficit ovvero dei netti patrimoniali, anche in considerazione della dedotta (ma non ritenuta) inattendibilità della contabilità societaria.
L’affermazione della corte territoriale che la curatela fallimentare non avrebbe ricollegato alla violazione dell’art. 2482 -ter c.c. alcuno specifico danno appare scollata dalla realtà processuale che emerge dalla stessa sentenza, così come erronea in diritto è la conseguenza che la corte d’appello ne trae, lapidariamente, in punto di violazione dell’art. 112 c.p.c.
È infatti pacifico che quell’addebito sia stato mosso e che il giudice di primo grado l’a bbia accertato nella pienezza del contraddittorio, con la conseguenza che sicuramente non è stato attribuito un bene della vita diverso da quello invocato dalla parte attrice.
Sul piano della liquidazione del danno, invece, il tribunale, avendo escluso che la contabilità fosse inattendibile -presupposto su cui si fondava la richiesta della curatela di una liquidazione equitativa -proprio sulla base di quella documentazione contabile ha quantificato i danni per gli addebiti specifici di cui alle voci B) e C) sopra indicate, mentre per l’addebito in questione di cui alla voce A) ha applicato, appunto, il criterio dei netti patrimoniali. Dopo di che, siccome l’ammontare complessivo dei danni così quantificati (circa 265 mila euro) era superiore al petitum , correttamente ha ricondotto la quantificazione complessiva entro i limiti della maggior somma domandata dall’attore ( € 171.310,21 pari al deficit fallimentare, però assunto come limite quantitativo, piuttosto che come criterio liquidatorio).
V ‘è da aggiungere che, rispetto all’addebito di aver aggravato il dissesto attraverso l’indebita prosecuzione dell’attività, il criterio dei netti patrimoniali -al di là della sua origine giurisprudenziale quale criterio equitativo da adottare in caso di contabilità inattendibile -risulta ex se appropriato anche a fronte di una contabilità ritenuta, come nella specie, attendibile.
3.2. -Questo vizio di fondo della pronuncia impugnata non è superato dalle mere ‘ osservazioni ‘ ulteriormente svolte « per mera esigenza di completezza » -e che in quanto tali dovrebbero anzi considerarsi tamquam non essent rispetto alla ratio decidendi della violazione dell’art. 112 c.p.c. attraverso il ricorso ad un paio di affermazioni semplicistiche ed ellittiche (« quando si delibera lo scioglimento di una società, non possono affatto sospendersi, di colpo, tutte le attività »; « la natura edilizia dell’attività svolta dalla RAGIONE_SOCIALE che comportava normalmente, contratti anche di lunga durata »), che avrebbero semmai dovuto lasciar posto all’assolvimento del corrispondente onere probatorio del convenuto circa la natura in tesi conservativa dell’attività proseguita .
3.3. -Tali profili ridondano, assorbendole, sulle censure svolte con il secondo mezzo, in riferimento alle ulteriori argomentazioni spese in modo poco appagante sugli altri due addebiti specifici (interessi e sanzioni tributarie; compensi per l’attività svolta come dirigente) , risultando predominante l’addebito di violazione degli artt. 2482 ter, 2484 e 2486, comma 2, c.c. relativo alla prosecuzione non meramente conservativa dell’attività per oltre un anno, nonostante la perdita del capitale sociale.
-Per concludere, la sentenza va cassata con rinvio per nuovo esame, in accoglimento del primo motivo e con assorbimento del secondo, oltre che per la statuizione sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26/06/2025.