Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2407 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2407 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 01/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12565/2021 R.G. proposto da
– ricorrenti –
contro
NOME COGNOME elettivamente domiciliato agli indicati indirizzi PEC degli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME che lo rappresentano e difendono
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 290/2021 della Corte d’Appello di L’Aquila , depositata il 24.2.2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23.1.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Le due società ricorrenti, coinvolte in un contenzioso di ingente valore economico con Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo S.p.A. , chiamarono in causa anche il commissario straordinario della banca, attuale controricorrente, in quanto ritenuto personalmente responsabile per avere dolosamente negato l’esistenza dell’accordo sul quale esse fondavano le proprie ragioni.
Il Tribunale di L’Aquila , disposta la separazione della causa intentata nei confronti del commissario straordinario, rigettò la relativa domanda e condannò le attrici alla rifusione delle spese di lite, liquidate in € 40.000 , cui aggiunse il pagamento di un ulteriore uguale importo a titolo di responsabilità aggravata ex art. 96, comma 3, c.p.c.
La sentenza del Tribunale venne impugnata dalle attuali ricorrenti, sia nel merito che con riferimento alla liquidazione delle spese di lite e alla condanna per lite temeraria, ma il gravame venne respinto dalla Corte d’Appello di L’Aquila .
Contro la sentenza di secondo grado le due società hanno proposto ricorso per cassazione affidato a un unico motivo.
NOME COGNOME si è difeso con controricorso, illustrato anche con memoria depositata nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia «violazione dell’ art. 96 c.p.c., rilevante ai sensi dell’ art. 360, n. 2, c.p.c. o, alternativamente, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. (a seconda della natura norma sostanziale o processuale che
si intenda riconoscere), nonché omessa valutazione di fatti decisivi per il giudizio rilevante ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., con riferimento al capo della sentenza che ha condannato le società ricorrenti al risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata».
Il ricorso è inammissibile, perché l’unico motivo svolto non coglie la ratio decidendi che sostiene la sentenza impugnata. Non vi è stata la denunciata confusione di manifesta infondatezza ed abuso del processo, perché il giudizio della corte territoriale non si è basato soltanto sulla prima, ma anche, per quanto qui rileva, sulle ‘palesi, riprovevoli deficienze dell’azione’.
2.1. Correttamente il Tribunale, prima, e la Corte d’Appello, poi, hanno valutato la temerarietà dell’azione in quanto proposta nei confronti del commissario straordinario come persona fisica, che è un’ azione del tutto diversa rispetto all’azione e alle eccezioni svolte dalle due società nei confronti della banca amministrata dal commissario.
Parallelamente, del tutto errat a è l’affermazione -contenuta nel ricorso -secondo cui vi sarebbe una «pregiudizialità tra le due azioni», in forza della quale l’eventuale infondatezza delle pretese della banca nei confronti delle società ricorrenti sarebbe «inconciliabile» con l’ipotesi della temerarietà dell’azione da loro proposta nei confronti del suo commissario personalmente (v. pagg. 17 e s. del ricorso).
2.2. In realtà, sebbene nella motivazione della sentenza impugnata venga incidentalmente evidenziata l’assenza di una statuizione giudiziale su ll’inadempimento contrattuale della banca (al che le ricorrenti oppongono l’allegata circostanza che
la banca avrebbe infine rinunciato alle sue pretese), non è certo questa l’affermazione che dà sostegno a l rigetto dell’appello contro la condanna al pagamento di una somma equitativa a titolo di ristoro della lite temeraria. Ciò emerge chiaramente dalla stessa motivazione della sentenza, ove si legge che «quand’anche, per amore di ipotesi, detto inadempimento contrattuale fosse stato accertato, non ne conseguirebbe che l’amministratore della società possa esserne ritenuto responsabile se non si dimostri l’illecito doloso o gravemente colposo che ne sia stata causa».
E, sotto questo specifico profilo, la Corte d’Appello ha sottolineato una elementare nozione giuridica: «Poiché il rag. COGNOME ha agito nella veste di commissario straordinario di Tercas, con i poteri di cui all’art. 72 del Testo Unico Bancario, l’eventuale inadempimento contrattuale dev’essere imputato alla Tercas e non al commissario straordinario». Il giudice del merito ha aggiunto che il commissario aveva semplicemente adempiuto ai propri obblighi, sia difendendo il patrimonio della società amministrata, sia segnalando alla Centrale Rischi la revoca dell’affidamento . Inoltre, ha escluso l’ipotesi che il commissario avesse ingannato il difensore della banca, per averlo tenuto all’oscuro del contratto stipulato con le società ricorrenti , evidenziando la contraddizione insita nella stessa circostanza che il medesimo difensore aveva poi assunto il patrocinio per difendere il commissario dall’azione proposta personalmente contro di lui.
2.3. Un ulteriore significativo indizio di pretestuosità dell’azione è stato ravvisato dalla Corte d’Appello nella difficoltà di individuare un danno provocato dall’asserito illecito del commissario straordinario; danno che le stesse ricorrenti non
avevano saputo indicare in altro che nelle spese legali sostenute nel contenzioso con la banca (€ 20.000 , di cui la Corte territoriale ha rilevato che avrebbero potuto e dovuto essere regolate in quel processo ed eventualmente poste a carico dell’amministrazione straordinaria ).
A tale rilievo si associa quello -non certo ultimo in ordine di importanza -dell’omessa richiesta dell’autorizzazione della Banca d’Italia che l’art. 72, comma 9, del T.U.B. (Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia: d.lgs. n. 385 del 1993) richiede per l’esperimento delle « azioni civili contro i commissari e i membri del comitato di sorveglianza per atti compiuti nell ‘ espletamento dell ‘ incarico». La previsione di legge della necessità di una preventiva autorizzazione per tutte le «azioni civili» dirette contro gli organi delle banche poste in amministrazione straordinaria ( per incidens , la disposizione di legge è stata lasciata intatta dalla sentenza n. 248/2021 della Corte costituzionale) costituisce, ad un tempo, la testimonianza eloquente del l’avvertito pericolo di un uso strumentale e minaccioso di tali azioni e un ulteriore, specifico, profilo di temerarietà dell’azione delle ricorrenti, in quanto svolta senza richiedere la prescritta autorizzazione.
È appena il caso di aggiungere che nessuna sostanza può essere riconosciuta al l’affermazione delle ricorrenti secondo cui l’autorizzazione della Banca d’Italia non sarebbe stata in questo caso necessaria, perché «i fatti contestati al rag. COGNOME non attenevano all’esercizio della sua funzione, cioè non erano atti atipici dell’attività del Commissario, ma atti atipici illeciti e quindi non coperti dalla speciale prerogativa prevista dal T.U.B.». È fin troppo facile osservare che, in assenza della prospettazione di un atto illecito del commissario, nemmeno si
potrebbe prospettare una sua personale responsabilità, sicché escludere la necessità dell’autorizzazione per gli atti illeciti compiuti dal commissario nello svolgimento delle sue funzioni equivarrebbe a dare un’interpretazione totalmente abrogatrice del l’art. 72, comma 9, T.U.B.
2.4. In definitiva, ai plurimi profili di temerarietà dell’azione evidenziati nella sentenza impugnata non si rivolge la critica delle società ricorrenti, incentrata piuttosto sul tentativo di stabilire un improprio e non pertinente rapporto di accessorietà tra la causa con la banca e l’azione proposta contro il suo commissario straordinario.
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese legali per il presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che, in base all’esito del ricorso, sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese relative al giudizio di legittimità, liquidate in € 6.000 per compensi, oltre a spese generali al 15%, € 200 per esborsi e accessori di legge ;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 -bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione della Corte Suprema di Cassazione, del 23.1.2025.
Il Presidente NOME COGNOME