Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 28719 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 28719 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/10/2025
SENTENZA
R.G.N. 23367/21
U.P. 16/10/2025
Appalto -Opere -Rescissione per lesione -Risoluzione per inadempimento -Arricchimento senza causa sul ricorso (iscritto al NNUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da:
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), quale cessionario del credito nonché socio accomandatario e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE (P.IVA: P_IVA), ammesso al patrocinio a spese dello Stato, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che lo rappresenta e difende, unitamente all’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE
CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), quali eredi di COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE);
-intimati –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari n. 1145/2021, pubblicata il 15 giugno 2021;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16 ottobre 2025 dal AVV_NOTAIO relatore NOME COGNOME;
viste le conclusioni rassegnate nella memoria depositata dal P.M. ex art. 378, primo comma, c.p.c., in persona della Sostituta Procuratrice generale dott.AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIOCOGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso; conclusioni ribadite nel corso dell’udienza pubblica;
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse del ricorrente, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.;
sentito , in sede di discussione orale all’udienza pubblica, l’AVV_NOTAIO per il ricorrente.
FATTI DI CAUSA
1. -Con atto di citazione notificato il 7 giugno 1999, la RAGIONE_SOCIALE conveniva, davanti al Tribunale di Foggia, COGNOME NOME e COGNOME NOME, chiedendo: A) che fosse pronunciata la rescissione per lesione del contratto d’appalto concluso il 27 febbraio 1997, avente ad oggetto l’esecuzione di lavori edili per la realizzazione di un opificio industriale, con la
quantificazione della somma derivante dalla differenza tra l’importo effettivamente spettante in ragione della qualità e quantità dei lavori eseguiti e l’importo ricevuto dall’appaltatrice; B) in subordine, che fosse disposta la condanna al pagamento della somma determinata in corso di causa a mezzo consulenza tecnica d’ufficio, anche eventualmente a titolo di indebito arricchimento, pronunciando la risoluzione del contratto d’appalto per l’eccepito inadempimento dei convenuti.
Si costituivano in giudizio COGNOME NOME e COGNOME NOME, i quali eccepivano il loro difetto di legittimazione passiva sostanziale, in ragione della loro estraneità al rapporto dedotto in causa.
All’esito, l’attrice chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa gli eredi di COGNOME NOME, quale parte committente risultante dal prodotto contratto d’appalto.
Autorizzata la chiamata in causa, si costituivano COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME, i quali chiedevano che le domande avversarie fossero disattese.
Nel corso del giudizio erano assunte le prove orali ammesse e, all’esito, era disposta consulenza tecnica d’ufficio.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 1710/2013, depositata il 26 novembre 2013, rigettava le domande avanzate dall’attrice e dichiarava l’inammissibilità della domanda di arricchimento senza causa proposta in via subordinata verso i terzi chiamati, dichiarando altresì l’inammissibilità della domanda spiegata dall’attrice solo all’udienza del 21 settembre 2007 (con
cui era stata richiesta la condanna dei convenuti al pagamento dell’indennità dovuta nella misura del 10% per avere operato su cantiere disagiato).
2. -Con atto di citazione notificato il 13 febbraio 2014, la RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la pronuncia di primo grado, lamentando: 1) che erroneamente era stata accolta l’eccezione di difetto di titolarità passiva del rapporto sostanziale dedotto in giudizio in capo a COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali reali committenti dell’opera appaltata; 2) che erroneamente era stata disattesa la domanda di rescissione per lesione del contratto di appalto, nonostante ne ricorressero le condizioni, con particolare riguardo alla conoscenza dello stato di bisogno dell’appaltatrice; 3) che ricorrevano i presupposti per la riconduzione del contratto d’appalto ad equità e per la revisione del corrispettivo, dovendo attribuirsi all’istanza formulata dai convenuti di esibizione delle fatture emesse dalla società attrice il significato di manifestazione della volontà di affidare al giudice la determinazione del corrispettivo dell’appalto, con la possibilità di applicazione della norma sull’onerosità dell’esecuzione ex art. 1664, primo comma, c.c., tale da giustificare un aumento del corrispettivo; 4) che la subordinata domanda di risoluzione non avrebbe potuto essere respinta, in assenza di un’eccezione di inadempimento specificamente proposta, mentre avrebbe dovuto essere verificato, in ragione del principio di non contestazione e delle risultanze istruttorie, che il valore dei lavori eseguiti, pari a vecchie lire 315.715.349, superava ampiamente l’importo degli acconti complessivamente ricevuti, pari a vecchie lire 83.300.000, sicché avrebbe dovuto accertarsi che i lavori non erano stati
ultimati per eccessiva onerosità del contratto e per il rifiuto del committente di saldare persino il corrispettivo pattuito; 5) che, per l’effetto, avrebbe dovuto essere accolta la domanda di indebito arricchimento, avendo il Tribunale erroneamente dichiarato il difetto di titolarità passiva del rapporto in capo a COGNOME NOME e COGNOME NOME e altrettanto ingiustamente respinto le domande di rescissione e risoluzione contrattuale; 6) che non avrebbe costituito una domanda nuova la richiesta di pagamento dell’ulteriore somma di euro 10.190,83, quale sovraprezzo dovuto per avere operato in cantiere disagiato, come formulata all’udienza del 21 settembre 2007.
Chiedeva altresì di essere autorizzata alla presentazione di querela di falso in via incidentale avverso la scrittura privata del 27 febbraio 1997, in ragione della natura apocrifa della sottoscrizione apparentemente riconducibile a COGNOME NOME.
Si costituivano nel giudizio di impugnazione COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME (anche in proprio), quali eredi di COGNOME NOME, nonché COGNOME NOME, i quali concludevano per il rigetto dell’appello spiegato e la conferma della sentenza impugnata.
Con ordinanza del 27 giugno 2014, la Corte d’appello autorizzava la presentazione della querela di falso davanti al Tribunale competente e sospendeva il giudizio.
Quindi, la RAGIONE_SOCIALE riassumeva il giudizio di falso davanti al Tribunale di Foggia che, con sentenza n. 3035/2018, depositata il 4 dicembre 2018, dichiarava l’improcedibilità della spiegata querela di falso, in quanto,
nonostante gli inviti formulati, non era stato depositato il documento in originale su cui la verifica avrebbe dovuto essere svolta.
Con sentenza n. 769/2020, pubblicata il 22 maggio 2020, la Corte d’appello di Bari dichiarava l’inammissibilità dell’impugnazione proposta avverso la sentenza innanzi citata.
Riassunto il giudizio principale all’esito del passaggio in giudicato della sentenza che aveva definito il giudizio di falso, decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Bari, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’impugnazione spiegata e, per l’effetto, confermava la pronuncia appellata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che, per effetto dell’improcedibilità della querela di falso per il mancato assolvimento -da parte della querelante -dell’onere probatorio sulla stessa gravante, restava ferma la motivazione resa in ordine al dichiarato difetto di titolarità passiva del rapporto sostanziale dedotto in giudizio in capo a COGNOME NOME e COGNOME NOME, poiché il tenore della scrittura in cui era riportato il contratto d’appalto confermava l’esistenza di un rapporto negoziale con un soggetto diverso, ossia con COGNOME NOME; b ) che non poteva accedersi alla ricostruzione dell’appellante, secondo cui i querelati sarebbero decaduti dal diritto di avvalersi del documento, avendo dato causa, col loro comportamento, alla mancata produzione dell’originale, poiché l’assunto strideva con la decisione passata in giudicato del Tribunale, che aveva respinto la querela di falso per non essersi la querelante avvalsa di alcuno degli strumenti processuali predisposti dall’ordinamento per ottenere dagli
appellati la consegna di tale originale; c ) che l’ordinamento processuale civilistico vigente non prevedeva alcuna fictio juris nell’ipotesi di mancato deposito, da parte di chi aveva prodotto il documento oggetto di querela, dell’originale dello stesso e, d’altronde, la produzione del documento implicava di per sé la volontà di avvalersene, salvo che non fosse stata manifestata la volontà contraria, ipotesi non ricorrente nella fattispecie; d ) che, quanto alla domanda di rescissione per lesione, doveva essere confermata la decisione del Tribunale, poiché non risultava dimostrata la ricorrenza delle altre (oltre alla sproporzione tra la prestazione dell’appaltatore e quella del committente) condizioni necessarie per l’accoglimento della domanda, vale a dire lo stato di bisogno della RAGIONE_SOCIALE e il consapevole approfittamento da parte della COGNOME, stante che la prova che l’appellante versasse in una contingente situazione di difficoltà economica conosciuta o conoscibile all’esterno era stata affidata alla sola testimonianza di COGNOME NOME, testimonianza reputata inattendibile; e ) che altrettanto corretto era il rilievo del Tribunale, in base al quale non era stato affatto dimostrato, mediante la produzione di idonea documentazione di supporto, che -all’epoca della conclusione del contratto d’appalto la società appellante fosse assoggettata a procedure espropriative e neppure vagamente quantificato l’ammontare dei debiti ipoteticamente gravanti a quel tempo, né offerti elementi concreti obiettivamente verificabili, indicativi della precarietà della situazione economica e finanziaria dell’impresa; f ) che, peraltro, l’appellante non poteva pretendere ragionevolmente di sopperire a tale carenza probatoria per il tramite di un improprio riferimento al principio di non
contestazione, la cui applicazione avrebbe richiesto che l’attore avesse ottemperato all’onere processuale, a suo carico, di compiere una puntuale e circostanziata allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali il convenuto sarebbe stato tenuto a prendere posizione, mentre, nel caso di specie, l’onere di allegazione non era stato sufficientemente soddisfatto, avendo l’appellante omesso di indicare gli elementi minimi indispensabili a definire l’asserita situazione di crisi economica da questa attraversa ta all’epoca dell’appalto; g ) che la domanda di determinazione del corrispettivo dell’appalto non poteva trovare seguito, poiché l’art. 1657 c.c. aveva una portata residuale, operando cioè nel solo caso in cui le parti non avessero determinato la misura del corrispettivo, evenienza che non si era verificata nel caso di specie, posto che la querela di falso era stata disattesa e che la scrittura privata del 27 febbraio 1997 stabiliva il prezzo; h ) che, in ordine alla domanda di risoluzione proposta dall’appa ltatrice, era stato valutato il comportamento a sua volta inadempiente tenuto da quest’ultima, consistito nell’abbandono improvviso ed ingiustificato del cantiere e nella conseguente pacifica interruzione dei lavori, in quanto la circostanza era stata allegata dagli appellati al fine di difendersi dall’altrui pretesa, allorquando avevano dedotto che la RAGIONE_SOCIALE non avesse completato i lavori appaltati, costringendo la committente a rivolgersi ad altra impresa per la relativa ultimazione, stante che l’eccezione di inadempimento non richiedeva l’adozione di forme speciali o formule sacramentali, essendo sufficiente che la volontà della parte di sollevarla fosse desumibile, in modo non equivoco, dall’insieme delle sue difese e più in generale dalla sua condotta
processuale, come avvenuto nel caso di specie; i ) che, in conseguenza, spettava all’appaltatrice che aveva agito per la risoluzione del contratto -provare l’esatto adempimento della propria obbligazione, avendo il committente eccepito l’inadempimento della prima per l’improvviso e ingiustificato abbandono del cantiere, mentre tale prova non era stata affatto fornita, anzi l’appaltatrice aveva persino ammesso di aver interrotto i lavori nella convinzione che le spettasse un corrispettivo di molto superiore a quello convenuto, senza che tale convincimento fosse fondato, non essendovi i presupposti per infirmare l’efficacia rappresentativa del contratto d’appalto, né per rescinderlo per lesione ultra dimidium ; l ) che correttamente il Tribunale aveva ritenuto che il mancato pagamento del saldo fosse dipeso dall’ingiustificata ed improvvisa interruzione dei lavori, che avevano costretto l’appaltante a reperire, in tempi brevi, altra impresa per completare l’appalto; m ) che, al contempo, non giovava all’appellan te obiettare di aver eseguito i lavori per un valore superiore rispetto agli acconti percepiti, poiché il corrispettivo doveva trovare la sua fonte esclusiva nel contratto d’appalto, che stabiliva un corrispettivo complessivo pari a vecchie lire 190.000.000, e -quand’anche si fosse ritenuto che i lavori eseguiti fossero pari alla metà di quelli commissionati, come poteva desumersi dall’elaborato peritale era evidente che gli acconti versati, documentati in vecchie lire 115.000.000 (secondo quanto risultava dagli assegni prodotti), erano persino superiori rispetto al valore contrattuale di tali lavori (pari alla metà di vecchie lire 190.000.000); n ) che, in conseguenza del difetto di titolarità passiva del rapporto in capo a COGNOME NOME e COGNOME
NOME e del rigetto delle domande di rescissione e risoluzione, anche la censura in ordine al rigetto della domanda di indebito arricchimento doveva essere respinta.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, NOME NOME, quale cessionario del credito nonché socio accomandatario e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
Sono rimasti intimati NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME e COGNOME NOME, nonché NOME NOME.
-Il Pubblico Ministero ha depositato memoria ex art. 378, primo comma, c.p.c., in cui ha rassegnato le conclusioni trascritte in epigrafe.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa, ai sensi dell’art. 378, secondo comma, c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. e degli artt. 221 e ss. c.p.c., in combinato disposto con gli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c., nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del principio di vicinanza della prova, per avere la Corte di merito ritenuto che fosse coperta dal giudicato la questione relativa alle conseguenze della mancata produzione, da parte dei querelati, dell’originale del documento oggetto della querela di falso, così reputando
utilizzabile, quale prova, il contratto d’appalto del 27 febbraio 1997, che i querelati non solo non avevano prodotto in originale nel giudizio di falso, ma di cui avevano depositato una fotocopia non conforme a quella prodotta nel giudizio principale, benché la sentenza pronunciata nel giudizio di falso avesse rimesso al giudice della causa principale la valutazione del contegno assunto dai querelati in ordine alla volontà di avvalersi del documento contestato.
Osserva, ancora, il ricorrente che alla dichiarazione di improcedibilità della querela di falso non sarebbe seguita, come effetto automatico, l’utilizzabilità del documento nel giudizio principale, trattandosi di aspetti e momenti assolutamente indipendenti l’uno dall’altro, sicché il fatto che i querelati non avessero prodotto il documento impugnato di falso in originale avrebbe implicato la volontà di non avvalersene.
1.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, il passaggio in giudicato della declaratoria di improcedibilità della querela di falso imponeva al giudice della causa principale ( recte al giudice d’appello dinanzi al quale la querela di falso era stata proposta in via incidentale, con la successiva autorizzazione alla presentazione della querela e la sospensione del giudizio in attesa che il Tribunale definisse il relativo procedimento da riassumere) di utilizzare, quale documento con efficacia probatoria, il contratto d’appalto incorporato in tale documento (scrittura privata), concluso il 27 febbraio 1997 tra la RAGIONE_SOCIALE, in qualità di appaltatrice, e COGNOME NOME, in qualità di committente.
Il contegno assunto dalle controparti nel giudizio di falso, consistito nella mancata produzione dell’originale del documento, originale reputato indispensabile dal Tribunale ai fini di procedere al relativo accertamento, non poteva essere inteso come significativo della volontà di non avvalersene, come invece prospettato dall’odierno ricorrente, avendo sia COGNOME NOME e COGNOME NOME, sia gli eredi di COGNOME NOME, posto a fondamento delle proprie argomentazioni difensive -sia prima che dopo lo svolgimento dell’incidente relativo alla interposta querela di falso -l’avvenuta stipulazione dell’appalto, con la cogenza delle pattuizioni ivi contenute, anche relativamente al prezzo dovuto, come da scrittura privata prodotta in copia.
E questo senza che il querelante si fosse attivato per acquisire il documento in originale attraverso la richiesta di un ordine di esibizione.
Ora, in tema di prova documentale e con riguardo alla querela di falso proposta in via incidentale, la risposta affermativa all’interpello rivolto dal giudice alla parte, circa l’intenzione di avvalersi del documento contestato, è revocabile, poiché l’utilizzazione del documento resta nella disponibilità della parte che l’ha prodotto, la quale può, pertanto, dichiarare successivamente di non avvalersene, con la conseguente sopravvenuta carenza di interesse, in capo al querelante, a proseguire il giudizio sulla querela di falso (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 20563 del 30/08/2017; Sez. 1, Sentenza n. 7108 del 25/05/2001; Sez. U, Sentenza n. 9409 dell’11/11/1994).
Senonché, nella fattispecie, nessuna revoca di tale volontà di avvalersi del contratto d’appalto risulta espressa, neanche per
comportamenti concludenti, non potendo attribuirsi alla mancata produzione dell’originale nel giudizio di falso alcuna valenza significativa della desistenza dall’intento di utilizzare il relativo documento.
Tanto più che la mancata produzione dell’originale non rende in assoluto improcedibile la querela di falso, ove l’accertamento possa essere compiuto sulla copia del documento di cui non sia stata disconosciuta la conformità all’originale, fatti salvi, appunto, il grado di probatorietà che gli accertamenti in tal caso possono raggiungere e la possibilità di acquisire l’originale, ove ritenuto necessario, in relazione alla natura del falso dedotto (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8718 del 28/03/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 32219 del 13/12/2018; Sez. 1, Sentenza n. 5350 del 10/06/1996).
2. -Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1448 c.c., in relazione agli artt. 112, 115, 116, 117 e 167 c.p.c. e all’art. 2697 c.c. con errore percettivo sui riscontri probatori -nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo ai fini della decisione della controversia, per avere la Corte territoriale escluso che ricorressero i presupposti dell’azione di resc issione per lesione, non già sotto il profilo della integrazione della lesione ultra dimidium , quanto sotto l’aspetto della mancanza di prova dello stato di bisogno dell’appaltatore e dell’approfittamento che il committente ne avesse tratto, in ragione della relativa conoscenza, elementi che invece si sarebbero potuti ricavare dalle prove costituende assunte e dalle circostanze dedotte e mai
contestate dai convenuti e dai terzi chiamati, anzi pacificamente ammesse.
2.1. -Il motivo è inammissibile.
Sul punto la sentenza impugnata ha evidenziato: – che la prova che l’appellante versasse in una contingente situazione di difficoltà economica conosciuta o conoscibile all’esterno era stata affidata alla sola testimonianza di COGNOME NOME, testimonianza reputata inattendibile per le ragioni analiticamente esposte; – che altrettanto corretto era il rilievo del Tribunale, in base al quale non era stato affatto dimostrato, mediante la produzione di idonea documentazione di supporto, che -all’epoca della conclusione del contratto d’appalto la società appellante fosse assoggettata a procedure espropriative e neppure vagamente quantificato l’ammontare dei debiti ipoteticamente gravanti a quel tempo, né offerti elementi concreti obiettivamente verificabili, indicativi della precarietà della situazione economica e finanziaria dell’impresa; -che, peraltro, l’appellante non poteva pretendere ragionevolmente di sopperire a tale carenza probatoria per il tramite di un improprio riferimento al principio di non contestazione, la cui applicazione avrebbe richiesto che l’attore avesse ottemperato all’onere processuale a suo carico di compiere una puntuale e circostanziata allegazione dei fatti di causa, in merito ai quali il convenuto sarebbe stato tenuto a prendere posizione, mentre, nel caso di specie, l’onere di allegazione non era stato sufficientemente soddisfatto, avendo l’appellante omesso di indicare gli elementi minimi indispensabili a definire l’asserita situazione di crisi economica da questa attraversata all’epoca dell’appalto.
A fronte di questa ricostruzione giuridica delle ragioni del rigetto della domanda di rescissione per lesione, la censura mira chiaramente ad ottenere una rivalutazione dei fatti di causa debitamente esaminati per giungere ad una conclusione diversa, rivalutazione preclusa in sede di legittimità (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. 6-5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
D’altronde, la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 19011 del 31/07/2017; Sez. 6-3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017; Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016; Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014; Sez. L, Sentenza n. 17097 del 21/07/2010; Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006; nello stesso senso, tra le più recenti, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 10344 del 19/04/2025; Sez. 2, Ordinanza n. 9507 dell’11/04/2025; Sez. 2, Ordinanza n. 9398 del 10/04/2025; Sez. 1, Ordinanza n. 7356 del 19/03/2025; Sez. 2, Ordinanza n. 8832 del 29/03/2023).
3. -Con il terzo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1460 c.c. nonché degli artt. 1657 e
1661 c.c. e, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., il vizio di ultra-petizione e la nullità del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte distrettuale negato l’integrazione del vizio di ultra -petizione quanto alla rilevazione d’ufficio dell’eccezione di inadempimento, in ragione della possibilità di desumere la proposizione di siffatta eccezione dalle circostanze indicate, ossia dall’affermazione, a cura dei convenuti e dei terzi chiamati, del mancato completamento dei lavori appaltati, con la conseguente necessità dell’appaltante di rivolgersi ad altra impresa, senza specificare in quale contesto tale linea difensiva sarebbe stata adottata.
Deduce il ricorrente che giammai alcuna eccezione fosse stata sollevata dalle controparti, neanche nei termini rilevati dalla Corte d’appello, sicché il giudice di merito non avrebbe potuto rilevare d’ufficio l’eccezione di inadempimento non proposta, trattandosi di eccezione in senso stretto, con la conseguente violazione dell’onere probatorio facente carico alle parti.
3.1. -Il motivo è infondato.
Ebbene -come rilevato dal ricorrente -l’eccezione di inadempimento, avendo natura di eccezione in senso stretto (o in senso proprio), non è rilevabile d’ufficio e va proposta, a pena di decadenza ex art. 167, secondo comma, c.p.c., nella comparsa di risposta depositata dal convenuto almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione, ai sensi dell’art. 166 c.p.c. nella versione vigente ratione temporis (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 19753 del 16/07/2025; Sez. 6-2, Ordinanza n. 36531 del 24/11/2021; Sez. 2, Sentenza n. 6168 del 16/03/2011; Sez. 2, Sentenza n. 3151 del 13/05/1980).
Nondimeno -come osservato dalla Corte d’appello l’ exceptio inadimpleti contractus di cui all’art. 1460 c.c., al pari di ogni altra eccezione, non richiede l’adozione di forme speciali o formule sacramentali, essendo sufficiente che la volontà della parte di sollevarla sia desumibile, in modo non equivoco, dall’insieme delle sue difese, secondo un’interpretazione del giudice di merito che, se ancorata a corretti canoni di ermeneutica processuale, non è censurabile in sede di legittimità (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17424 del 23/07/2010; Sez. 2, Sentenza n. 20870 del 29/09/2009; Sez. 2, Sentenza n. 11728 del 05/08/2002; Sez. 3, Sentenza n. 10764 del 29/09/1999; nello stesso senso Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 24567 del 04/09/2025; Sez. L, Ordinanza n. 6966 del 16/03/2025; Sez. 2, Ordinanza n. 3211 del 05/02/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 1128 dell’11/01/2024).
Senonché le controparti, sin dalla loro costituzione in giudizio, hanno giustificato la propria inadempienza nel pagamento del saldo in ragione dell’inadempimento dell’altra ( recte dell’appaltatore) nel completamento dei lavori, tanto da costringere il committente a rivolgersi ad un’impresa terza per l’ultimazione dell’opera di realizzazione dell’opificio industriale.
Con la conseguenza che a tale argomentazione correttamente è stata attribuita la valenza di eccezione d’inadempimento, alla stregua della sua portata paralizzatrice dell’inadempimento contestato dall’assuntore.
4. -Con il quarto motivo il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1661 c.c. nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., dell’omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte del gravame mancato di ponderare le risultanze probatorie con precipuo riferimento all’esito della disposta consulenza tecnica d’ufficio, da cui sarebbe emerso che l’appaltatrice aveva eseguito ulteriori lavorazioni rispetto a quelle concordate nel contratto, a seguito di variazioni ordinate dal committente, di cui non si sarebbe tenuto conto.
Sostiene il ricorrente che, in base a tali lavorazioni ulteriori, sarebbe spettato un compenso integrativo.
4.1. -Il motivo è infondato.
In primis , non risulta che l’assuntore abbia mai richiesto nel giudizio di merito alcun compenso ulteriore per le variazioni ordinate dal committente, ai sensi dell’art. 1661 c.c.
Per converso, la domanda è stata sin dall’origine diretta ad ottenere il corrispettivo dovuto per l’appalto eseguito.
In secondo luogo, il fatto che la consulenza tecnica d’ufficio abbia accertato che alcuni dei lavori eseguiti dall’assuntore fossero ‘difformi’ dalle prescrizioni di contratto non è affatto indicativo dell’intervenuto ordine di variante a cura dell’appaltante, che avrebbe richiesto uno specifico onere di allegazione e probatorio, nella specie non assolto.
In ultimo, l’accertamento del valore delle opere sulla scorta del prezziario vigente, tale da implicare una quantificazione superiore a quella indicata nel contratto d’appalto, non è in sé indicativo delle intervenute varianti.
5. -Il quinto motivo del ricorso investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, per
avere la Corte di secondo grado disatteso la domanda subordinata di pagamento del corrispettivo dovuto, in ragione della qualità e quantità dei lavori svolti dalla ditta appaltatrice in misura più che doppia rispetto a quelli invece pattuiti, senza valutare gli accertamenti compiuti dal consulente tecnico d’ufficio sull’entità dei lavori extra-appalto.
5.1. -Il motivo è infondato.
Nessuna allegazione e dimostrazione dell’esecuzione di lavori extra-contratto è stata infatti fornita.
Quanto, invece, ai lavori eseguiti in base al contratto d’appalto concluso tra le parti, la determinazione del compenso non avrebbe potuto essere rimessa alla quantificazione del consulente tecnico d’ufficio, poiché le parti hanno espressamente determinato la misura del corrispettivo nell’importo di vecchie lire 190.000.000.
Ebbene nel contratto di appalto, solo qualora le parti non abbiano determinato il compenso (ovvero allorché non abbiano dato seguito alla previsione contrattuale sulla determinazione del corrispettivo, volta a stabilire la misurazione delle opere in contraddittorio tra appaltatore e direttore dei lavori), l’entità dei lavori realizzati e la relativa quantificazione devono essere accertati dal giudice, a mezzo di indagine tecnica, ai sensi dell’art. 1657 c.c., non costituendo la specificazione del prezzo dell’appalto elemento essenziale dell’accordo tra le parti (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19594 del 30/09/2016; Sez. 2, Sentenza n. 19413 del 15/09/2014; Sez. 2, Sentenza n. 1511 del 29/03/1989; Sez. 2, Sentenza n. 3208 del 28/04/1988; Sez. 1, Sentenza n. 1906 del 26/05/1976).
Nella fattispecie, per contro, la determinazione del compenso è avvenuta a corpo nel contratto, nella misura innanzi indicata, sicché i criteri integrativi di cui al citato art. 1657 c.c. non potevano essere applicati, attesa la loro portata sussidiaria.
D’altronde, il giudice di merito ha altresì accertato che, benché i lavori effettivamente eseguiti ammontassero a circa la metà di quelli concordati, il committente aveva corrisposto l’importo di vecchie lire 115.000.000 (superiore alla metà del corrispettivo stabilito), come emergeva dagli assegni prodotti.
6. -Con il sesto motivo il ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’appello mancato di riconoscere le spettanze dovute sotto il profilo dell’indebito arricchimento, secondo la prospettazione subordinata avanzata.
6.1. -Il motivo è inammissibile.
Lo stesso ricorrente ha, infatti, riconosciuto che la pretesa di arricchimento senza causa avrebbe potuto essere valutata solo allorché fosse stato accertato che il contratto concluso il 27 febbraio 1997 non fosse vincolante, in ragione della sua falsità, ovvero nell’ipotesi in cui fosse stata accolta la domanda di rescissione per lesione o di risoluzione per inadempimento.
Tali condizioni non si sono verificate, sicché -in base allo stesso assunto del ricorrente -la doglianza non può essere esaminata nel merito.
7. -In conseguenza delle argomentazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese di lite, poiché le controparti del soccombente sono rimaste intimate.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 16 ottobre 2025.
Il AVV_NOTAIO estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME