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Remunerazione variabile bancaria: bonus nullo senza utili

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di alcuni dipendenti di un istituto di credito che chiedevano il pagamento di premi aziendali per gli anni 2016-2017. La Corte ha confermato la nullità della clausola del contratto integrativo che prevedeva un bonus fisso anche in caso di perdite di esercizio. Tale accordo viola la normativa sulla remunerazione variabile bancaria, che impone un collegamento tra incentivi e reale solidità finanziaria dell’impresa per garantire la stabilità del sistema.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto Bancario, Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Remunerazione Variabile Bancaria: La Cassazione Nega i Bonus in Assenza di Utili

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un tema cruciale nel settore del credito: la validità dei premi aziendali in contesti di difficoltà economica. La decisione chiarisce i limiti degli accordi aziendali sulla remunerazione variabile bancaria, sottolineando la prevalenza delle norme a tutela della stabilità del sistema finanziario. Il caso esaminato riguardava la richiesta di alcuni dipendenti di un istituto di credito di ottenere un premio di risultato (VAP) e un sistema incentivante (DPO) nonostante la banca avesse registrato perdite consistenti.

I Fatti di Causa: La Richiesta dei Dipendenti e il Diniego della Banca

Un gruppo di dipendenti di un istituto di credito aveva agito in giudizio per ottenere il pagamento del premio aziendale (VAP) e del sistema incentivante (DPO) relativi agli anni 2016 e 2017. La loro richiesta si basava su una clausola del Contratto Integrativo Aziendale che prevedeva l’erogazione di un premio in entità fissa. Tuttavia, la banca aveva negato tali emolumenti a seguito di un’ispezione della Banca d’Italia, che aveva raccomandato prudenza e confermato la sospensione dei trattamenti incentivanti. La ragione risiedeva nella situazione finanziaria dell’istituto, che nel 2016 aveva subito perdite significative e nel 2017 non aveva conseguito utili sufficienti a generare un risultato positivo. Sia il Tribunale di primo grado sia la Corte d’Appello avevano respinto le domande dei lavoratori, ritenendo nulla la clausola contrattuale in questione.

La Decisione della Cassazione sulla remunerazione variabile bancaria

I lavoratori hanno impugnato la decisione della Corte d’Appello dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione di diverse norme, tra cui l’art. 53 del Testo Unico Bancario (TUB) e la normativa europea di riferimento. La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando le sentenze dei precedenti gradi di giudizio. I giudici hanno stabilito che la clausola del contratto integrativo aziendale, prevedendo un meccanismo di riconoscimento premiale automatico e garantito anche in caso di perdite, era da considerarsi nulla perché in contrasto con le disposizioni imperative in materia bancaria.

Il Principio di Non Contestazione e l’Inammissibilità del Secondo Motivo

Oltre alla questione centrale sul premio aziendale, la Corte ha esaminato un secondo motivo di ricorso relativo al sistema incentivante (DPO). I ricorrenti sostenevano che il loro diritto non era stato contestato dalla banca. Anche questo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha rilevato una “mescolanza” di censure non consentita, che univa violazioni di legge e vizi procedurali. Inoltre, ha applicato il principio della “doppia conforme”, secondo cui il ricorso in Cassazione è precluso quando le decisioni di primo e secondo grado sono conformi sulla valutazione dei fatti, come avvenuto nel caso di specie.

Le Motivazioni: La Nullità della Clausola Contrattuale

Il cuore della motivazione della Cassazione risiede nell’interpretazione della normativa sulla remunerazione variabile bancaria. I giudici hanno affermato che le disposizioni del Testo Unico Bancario e le direttive europee mirano a contenere i rischi per il sistema, collegando le retribuzioni variabili e i sistemi incentivanti all’esistenza di un patrimonio stabile. Una clausola che garantisce un bonus a prescindere dai risultati economici, e quindi anche in presenza di perdite, crea un meccanismo automatico che è espressamente vietato. Questa regola non si applica solo all’alta dirigenza, ma a tutti i dipendenti, poiché la finalità è quella di garantire la stabilità dell’intero sistema bancario, evitando l’assunzione di rischi ingiustificati e imprudenti. La Corte ha quindi concluso che l’interpretazione fornita dalla Corte d’Appello era corretta e non censurabile in sede di legittimità.

Le Conclusioni: Stabilità del Sistema vs. Accordi Aziendali

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la stabilità del sistema finanziario prevale sull’autonomia contrattuale delle parti, anche quando si tratta di accordi collettivi aziendali. La normativa sulla remunerazione variabile bancaria ha lo scopo di disincentivare comportamenti che possano mettere a rischio la solidità degli istituti di credito. Di conseguenza, qualsiasi forma di retribuzione variabile deve essere genuinamente legata alla performance economica e alla salute patrimoniale della banca. Un premio garantito, slegato da questi parametri, è illegittimo e la relativa clausola contrattuale deve considerarsi nulla. La decisione offre un importante monito per le parti sociali nella stesura dei contratti integrativi, che devono sempre conformarsi alle normative imperative del settore.

È valida una clausola di un contratto aziendale che prevede un premio per i dipendenti anche se la banca è in perdita?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che una tale clausola è nulla. Viola la normativa bancaria nazionale ed europea che impone di collegare le remunerazioni variabili alla solidità patrimoniale e ai risultati effettivi dell’istituto di credito per non compromettere la stabilità del sistema.

Perché la normativa bancaria vieta i bonus garantiti e automatici?
Perché tali bonus, slegati dalla performance reale, potrebbero incentivare l’assunzione di rischi eccessivi da parte del management e dei dipendenti, mettendo a repentaglio la stabilità finanziaria della banca e, di conseguenza, del sistema bancario nel suo complesso.

Cosa succede se un motivo di ricorso in Cassazione mescola diverse censure (es. violazione di legge e vizi procedurali)?
Il motivo viene dichiarato inammissibile. La Corte di Cassazione richiede che ogni censura sia presentata in modo chiaro e distinto, senza “mescolanze” che costringerebbero la Corte stessa a enucleare le singole doglianze, in violazione del principio di chiarezza degli atti processuali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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