Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20524 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20524 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14504/2024 R.G., proposto da
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
-ricorrente –
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI , in persona del Presidente del Consiglio p.t., rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
-controricorrente – per la cassazione della sentenza n. 8432/2023 della CORTE d’APPELLO di Roma pubblicata il 29.12.2023;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 13.5.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
la Corte d’appello di Roma con sentenza pubblicata il 29.12.2023 , in parziale accoglimento dell’appello proposto da NOME COGNOME ed in parziale riforma
Responsabilità della PA Medici specializzandi -Corsi di specializzazione anteriori al 2006/2007
della sentenza n. 22652/2018 resa dal Tribunale di Roma, compensava le spese di lite del primo grado e confermava nel resto la sentenza gravata di rigetto della domanda proposta, compensando per un quarto le spese del grado e ponendo il residuo a carico dell’appellante;
l’attrice aveva esposto di avere frequentato il corso di specializzazione post lauream in Igiene e Medicina preventiva a seguito di iscrizione negli anni accademici successivi al 1990/1991 e anteriori al 2006/2007, e di avere usufruito solamente di una borsa di studio prevista dal D.Lgs n. 257/1991; lamentava di avere subito un danno patrimoniale per il ritardo con cui lo Stato italiano aveva recepito integralmente le direttive comunitarie 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE e 93/16/CEE, poiché la previsione contenuta nel D.Lgs. 368/99 circa il diritto degli specializzandi a ottenere la sottoscrizione di un contratto di formazione-lavoro era stata attuata solo a partire dall’anno accademico 2006/2007;
la Corte d’appello , richiamata Cass., Sez. Un., 9147/2009 in tema di diritto al risarcimento dei danni per l’omessa o tardiva trasposizione delle direttive europee n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, data la loro natura non autoesecutiva, osservava sulla doglianza relativa al carattere non adeguato della remunerazione accordata ai medici che la direttiva n. 93/16/CEE, al pari delle precedenti, non ha fissato criteri certi per la determinazione della remunerazione da considerarsi adeguata;
assumeva che: scopo della direttiva n. 75/363/CEE, e dei successivi interventi comunitari, è stato di introdurre in ambito comunitario disposizioni volte ad agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e la libera prestazione dei servizi di medico, prevedendo, altresì, il reciproco riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli; che quanto all’attività di specializzazione, la richiamata normativa, al fine di porre tutti i professionisti cittadini degli Stati membri su una certa base di parità all’interno della Comunità , ha introdotto disposizioni di coordinamento delle condizioni di formazione del medico specialista, fissando alcuni criteri minimi concernenti l’accesso alla formazione specializzata, la sua durata
minima, il modo e il luogo in cui quest’ultima deve essere effettuata ; che anche la successiva direttiva 93/16/CEE, pur avendo ribadito che per l’attività di formazione deve essere corrisposta un’adeguata remunerazione, nulla ha imposto agli Stati membri con specifico riferimento alla necessità di garantire agli specializzandi: 1 ) la stipula, all’atto dell’iscrizione, di un contratto annuale di formazione rinnovabile di anno in anno per l’intera durata del corso; 2) un trattamento economico di miglior favore rispetto alla remunerazione prevista dal D. Lgs. n. 257/91; 3) i versamenti contributivi; 4) la copertura assicurativa; 5) un incremento annuale della borsa di studio, nella misura del tasso programmato di inflazione, o un adeguamento periodico della stessa; che a tal fine era irrilevante che il D.Lgs. 368/1999 avesse introdotto una tale disciplina, trattandosi di una scelta discrezionale esclusivamente riservata al legislatore nazionale e in nessun modo vincolata o condizionata da obblighi d’adeguamento alla normativa comunitaria;
tali principi -ha osservato in fine la sentenza impugnata – sono stati affermati costantemente dalla giurisprudenza di legittimità dal 2018, che ha applicato il seguente principio di diritto: ‘ La disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi, prevista dall’art. 39 del d.lgs. n. 368 del 1999, si applica, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti; tale diversità di trattamento non è irragionevole, in quanto il legislatore è libero di differire gli effetti di una riforma ed il fluire del tempo costituisce di per sé idoneo elemento di diversificazione della disciplina, né sussiste disparità di trattamento tra i medici specializzandi iscritti presso le Università italiane e quelli iscritti in scuole di altri paesi europei, atteso che le situazioni giuridiche non sono comparabili, non avendo la Direttiva 93/16/CEE previsto o imposto uniformità di disciplina e di trattamento economico, o disparità di trattamento con i medici neoassunti che lavorano nell’ambito del SSN, non comparabili in ragione della peculiarità del rapporto che si
svolge nell’ambito della formazione specialistica (Cass. n. n. 4449/2018, Rv. 647457 -02; e in analoghi termini Cass. n. 6355/2018, n. 13445/2018, n. 14168/2019) ‘ ;
la corte territoriale ha ritenuto invece meritevole di accoglimento il motivo di impugnazione, relativo alle spese di lite del primo grado, che dovevano essere compensate in ragione del consolidamento dell’indicato orientamento giurisprudenziale nel 2018;
per la cassazione della sentenza della Corte d’appello E NOME COGNOME ha proposto ricorso, affidato a due motivi;
la Presidenza del Consiglio dei ministri ha resistito con controricorso; in data 10.1.2025 è stata comunicata al difensore della ricorrente proposta di definizione accelerata, ex art. 380bis cod. proc. civ. con pronuncia di inammissibilità del ricorso, sulla base della seguente motivazione
«rilevato che:
con la sentenza impugnata la Corte di merito ha confermato il rigetto della domanda dell’odierna ricorrente (medic o specializzato all’esito di corso iniziato successivamente al 1991 e prima dell’anno acc. 2006/2007) diretta a ottenere il riconoscimento del diritto alla corresponsione di adeguata remunerazione durante il periodo di frequenza del corso di specializzazione medica e quindi alla corresponsione di una remunerazione pari alla differenza tra l’importo erogato annualmente ai medici specializzandi a decorrere dall’anno 2006-2007 e l’importo effettivamente percepito, con applicazione dei benefici economici e contributivi; in via subordinata, all’adeguamento annuale della borsa di studio e rideterminazione triennale; con le conseguenti statuizioni di condanna, anche a titolo di risarcimento dei danni;
considerato che:
il primo motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360bis , n. 1, cod. proc. civ.;
la Corte di merito ha infatti deciso le questioni rimesse al suo esame in modo conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte e l’esame
dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa;
la decisione impugnata è, infatti, conforme ai seguenti principi di diritto, già enunciati da questa Corte e del resto ormai oggetto di indirizzi consolidati, che la difesa dei ricorrenti ─ che già li conosce per aver patrocinato diversi ricorsi analoghi in relazione ai quali sono state emesse pronunce negli stessi termini ─ non offre argomenti idonei a rimeditare;
l’attività svolta dai medici iscritti alle scuole di specializzazione universitarie non è inquadrabile nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, né del lavoro autonomo, ma costituisce una particolare ipotesi di contratto di formazione -lavoro, oggetto di specifica disciplina, rispetto alla quale non può essere ravvisata una relazione sinallagmatica di scambio tra la suddetta attività e la remunerazione prevista dalla legge a favore degli specializzandi, in quanto tali emolumenti sono destinati a sopperire alle esigenze materiali per l’impegno a tempo pieno degli interessati nell’attività rivolta alla loro formazione e non costituiscono, quindi, il corrispettivo delle prestazioni svolte, le quali non sono rivolte ad un vantaggio per l’università, ma alla formazione teorica e pratica degli stessi specializzandi e al conseguimento, a fine corso, di un titolo abilitante, sicché è inapplicabile l’art. 36 Cost. ed il principio di adeguatezza della retribuzione ivi contenuto; gli obblighi di attuazione della normativa comunitaria in tema di adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia derivanti dalle direttive CE n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76 -che non prevedono una precisa misura del compenso minimo spettante agli specializzandi -devono ritenersi adempiuti dallo Stato italiano con la borsa di studio introdotta dal decreto legislativo n. 257 del 1991, nella sua misura originaria; la direttiva comunitaria n. 93/16 non introduce alcun nuovo ed ulteriore obbligo con riguardo alla misura della suddetta adeguata remunerazione;
la previsione di un trattamento economico più elevato per i medici specializzandi, a decorrere dall’anno accademico 2006/2007, in coincidenza
con la riorganizzazione dell’ordinamento delle scuole di specializzazione e con l’introduzione del contratto di formazione specialistica operate nell’ordinamento interno con il decreto legislativo n. 368 del 1999, non costituisce il primo atto di adempimento dei suddetti obblighi comunitari in relazione all’adeguatezza della remunerazione, e non comporta alcun obbligo dello Stato di estendere il nuovo trattamento economico ai medici che hanno frequentato le scuole di specializzazione negli anni accademici anteriori al 2006/2007;
si è, inoltre, in pari modo da tempo consolidato anche il principio secondo il quale l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici in questione non è soggetto né ad incremento in relazione alla variazione del costo della vita, né all’adeguamento triennale previsto dall’art. 6 d.lgs. 257/1991;
in tal senso si sono da ultimo pronunciate le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza 19/07/2024, n. 20006: investite dalla Sezione Lavoro con ordinanza interlocutoria n. 6928/2024 del 14/03/2024 (richiamata dai ricorrenti con nota depositata in data 29/05/2024) della questione di massima di particolare importanza « se l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione sia soggetto, per il periodo dal 1° gennaio 1994 al 31 dicembre 1997, all’adeguamento trienna le previsto dall’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 257 del 1991 », le S.U. hanno infatti affermato il principio di diritto secondo cui « l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici compresi tra il 1992/1993 e il 2005/2006 non è soggetto, né ad incremento in relazione alla variazione del costo della vita, né all’adeguamento triennale previsto dall’art. 6, comma 1, d.lgs. n. 257 del 1991; ciò per effetto del blocco di tali aggiornamenti previsto, con effetti convergenti e senza soluzione di continuità, dall’art. 7, comma 5, d.l. n. 384 del 1992, convertito nella l. n. 438 del 1992, come interpretato dall’art. 1, comma 33, l. n. 549 del 1995; dall’art. 3, comma 36, l. n. 537 del 1993;
dall’art. 1, comma 66, l. n. 662 del 1996; dall’art. 32, comma 12, l. n. 449 del 1997; dall’art. 22 l. n. 488 del 1999; dall’art. 36 l. n. 289 del 2002 »;
il secondo motivo è inammissibile alla luce del principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. n. 2149 del 31/01/2014, Rv. 629389; n. 30592 del 20/12/2017, Rv. 646611; n. 14459 del 26/05/2021, Rv. 661569)»;
in data 18.2.2025 è stata depositata rituale e tempestiva «istanza per la decisione del ricorso»;
la trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.;
parte ricorrente ha depositato memoria;
CONSIDERATO CHE:
con la menzionata istanza ex art. 380bis , comma secondo, cod. proc. civ., parte ricorrente ha dichiarato di non aderire alla soluzione prospettata, principalmente nella parte in cui non è stata disposta la compensazione integrale delle spese di lite in secondo grado e che, pur consapevole dei principi espressi nelle pronunce indicate nella proposta, in sede di ricorso ha evidenziato alcuni aspetti fattuali e decisioni della Corte, tali che avrebbero dovuto portare alla compensazione integrale anche delle spese del secondo grado;
il Collegio ritiene che, in piena conformità alla proposta di definizione accelerata, i cui fondamenti fattuali e giuridici non sono scalfiti dalle argomentazioni svolte nella memoria illustrativa del 28.4.2025, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione delle direttive CEE in materia di medici specializzandi (ed in particolar modo della direttiva 93/16/CEE) per il mancato riconoscimento del l’inadempimento dello Stato italiano nel tempestivo recepimento della direttiva 93/16/CEE per l’inadeguatezza della disciplina contenuta nel D.Lgs. 257/1991 quale recepimento della summenzionata direttiva;
il principio di adeguatezza del compenso spettante ai medici specializzandi, stabilito dalla direttiva 93/16/CEE, è stato trasfuso negli articoli da 37 a 39 del D.Lgs. 368/1999 e il corrispettivo in essi contenuto rappresenta la quantificazione monetaria proprio di quell’adeguatezza , alla quale allude in modo incondizionato e sufficientemente preciso la Direttiva del 1993;
conseguentemente, lo Stato italiano non avrebbe potuto, da un lato, rendere concretamente operante per gli specializzandi la previsione delle fonti europee in tema di diritto ad un compenso adeguato e, dall’altro, differire (solo per ragioni di compatibilità finanziaria) l’attribuzione del relativo trattamento, sì che erroneamente la Corte d’appello con riferimento all’indicato decreto legislativo si è espressa in termini di scelta discrezionale del legislatore in alcun modo vincolata o condizionata da obblighi di adeguamento alla normativa comunitaria;
data la stretta correlazione tra adeguatezza della remunerazione e funzione esercitata, il recepimento delle direttive sarebbe dovuto proseguire nel tempo mediante l’adozione di meccanismi di conservazione del valore monetario, tuttavia, bloccati dal legislatore italiano dal 1992, tanto che solo con il D.Lgs. 368/1999 si è rimediato al venire meno dell’adeguatezza in termini di potere di acquisto;
l’Italia, pertanto, dopo il tardivo recepimento della direttiva 82/76/CEE con il D.Lgs. 257/1991, era divenuta nuovamente inadempiente avendo provveduto solo con il D.Lgs. 368/1999 al suo recepimento in termini di adeguatezza sostanziale;
come evidenziato nella proposta di definizione accelerata la sentenza impugnata ha fatto applicazione di un orientamento ormai stabilizzatosi a decorrere dal 2018 , a mente del quale ‘La disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi, prevista dall’art. 39 del d.lgs. n. 368 del 1999, si applica, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle relative scuole di specializzazione solo a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti; tale diversità di trattamento non è irragionevole, in quanto il legislatore è libero di differire gli effetti di una riforma ed il fluire del tempo costituisce di per sé idoneo elemento di diversificazione della disciplina, né sussiste disparità di trattamento tra i medici specializzandi iscritti presso le Università italiane e quelli iscritti in scuole di altri paesi europei, atteso che le situazioni giuridiche non sono comparabili, non avendo la Direttiva 93/16/CEE previsto o imposto uniformità di disciplina e di trattamento economico, o disparità di trattamento con i medici neoassunti che lavorano nell’ambito del SSN, non comparabili in ragione della peculiarità del rapporto che si svolge nell’ambito della formazione specialistica ‘ (v. Cass. n. 4449 del 2018; n. 6355 del 2018; n. 13445 del 2018; n. 13572 del 2019; n. 14168 del 2019; n. 21352 del 2020; n. 34882 del 2021; n. 36853 del 2021; n. 35145 del 2021; n. 23810 del 2021; n. 4203 del 2022; n. 38859 del 2021; n. 15014 del 2022; n. 17223 del 2022; n. 31785 del 2022);
in particolare nella sentenza 4449/2018 è stato espresso che ‘ 81. la Direttiva 93/16/CEE, al pari della Direttiva 82/76/CE, non contiene alcuna definizione comunitaria della remunerazione da considerarsi adeguata, né dei criteri di determinazione di tale remunerazione; 82. con il Decreto Legislativo 17 agosto 1999, n. 368 il legislatore ha dato attuazione della direttiva 93/16/CEE e nel disporre il differimento dell’applicazione delle disposizioni contenute negli articoli da 37 a 42 e la sostanziale conferma del contenuto del Decreto Legislativo n. 257 del 1991 ha esercitato legittimamente la sua potestà discrezionale; 83. non è inquadrabile nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato l’attività svolta dai medici
iscritti alle scuole di specializzazione, la quale costituisce una particolare ipotesi di “contratto di formazione-lavoro”, oggetto di specifica disciplina, rispetto alla quale non può essere ravvisata una relazione sinallagmatica di scambio tra l’attività suddetta e la remunerazione prevista dalla legge a favore degli specializzandi; 84. la inconfigurabilità dei rapporti di formazione specialistica in termini di subordinazione esclude la applicabilità dell’articolo 36 Cost. ‘ ;
come statuito da Cass., sez. III, 6 maggio 2020, n. 8503 ‘ Le direttive comunitarie n. 75/362, n. 75/363 e n. 82/76, le quali hanno prescritto che i medici specializzandi dovessero ricevere un’adeguata remunerazione, sono state attuate dallo Stato italiano con il d.lgs. n. 257 del 1991, con il riconoscimento di una borsa di studio annua. La successiva direttiva n. 93/16, invece, ha rappresentato un testo meramente compilativo, di coordinamento e aggiornamento delle precedenti disposizioni comunitarie già vigenti e, quindi, privo di carattere innovativo, con riguardo alla misura dei compensi da riconoscere agli iscritti alle scuole di specializzazione; quest’ultima direttiva è stata recepita in Italia dal d.lgs. n. 368 del 1999 che, dal momento della propria applicazione, avvenuta a partire dall’anno accademico 2006-2007, ha riorganizzato l’ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo un contratto di formazione da stipulare e rinnovare annualmente tra le Università (e le Regioni) e i detti specializzandi, con un meccanismo articolato in una quota fissa ed in una variabile. Ne consegue che, per gli anni accademici anteriori al 2006-2007, è rimasta operativa la sola disciplina del d.lgs. n. 257 del 1991, poiché la menzionata direttiva n. 93/16 non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo con riferimento alla misura della borsa di studio di cui alla normativa del 1991 ‘;
conseguentemente ‘ Il nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia introdotto con il d.lgs. n. 368 del 1999, e il relativo meccanismo di retribuzione, non possono pertanto ritenersi il primo atto di effettivo recepimento e adeguamento
dell’ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, in particolare per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, ma costituiscono il frutto di una successiva scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi ‘ (v. Cass., 9 ottobre 2018, n. 24804; 8053/2020, cit.);
da tempo si è stabilizzato anche il principio secondo cui l’importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici in questione non è soggetto né ad incremento in relazione alla variazione del costo della vita, né all’adeguamento triennale previsto dall’art. 6 d.lgs. 257/1991 (v. da ultima Cass., Sez. Un., 19 luglio 2024, n. 20006);
non essendo predeterminata a livello eurounitario la misura del compenso minimo spettante agli specializzandi, non è neppure possibile, come ribadito dalla ricorrente nella memoria del 28.4.2025, il rinvio pregiudiziale dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea , poiché non possono sussistere dubbi sulla compatibilità della normativa nazionale (D.Lgs. 257/1991 e D.Lgs. 368/1999) con il diritto UE e, conseguentemente, l’interpretazione del diritto UE sul punto non sarebbe rilevante ai fini della decisione, posto che ‘l’obbl igo di retribuire in maniera adeguata i periodi di formazione tanto a tempo pieno quanto a tempo parziale dei medici specialisti … non consente di per sé al giudice nazionale di identificare il debitore tenuto a versare la remunerazione adeguata né di individuare l’importo della stessa ‘ (v. Corte di Giustizia UE, 3 ottobre 2000, n. 371/97);
non è pertinente il richiamo a Corte di Giustizia UE, 19 luglio 2017, C143/16, poiché l’attività svolta dai medici iscritti alle scuole di specializzazione universitarie non è inquadrabile nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, né del lavoro autonomo, ma costituisce una particolare ipotesi di contratto di formazione -lavoro, oggetto di specifica disciplina, rispetto alla quale non può essere ravvisata una relazione sinallagmatica di scambio tra la suddetta attività e la remunerazione prevista dalla legge a favore degli specializzandi, in quanto tali emolumenti sono destinati a
sopperire alle esigenze materiali per l’impegno a tempo pieno degli interessati nell’attività rivolta alla loro formazione e non costituiscono, quindi, il corrispettivo delle prestazioni svolte, le quali non sono rivolte ad un vantaggio per l’università, m a alla formazione teorica e pratica degli stessi specializzandi e al conseguimento, a fine corso, di un titolo abilitante, sicché è inapplicabile l’art. 36 Cost. ed il principio di adeguatezza della retribuzione ivi contenuto;
con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. per la mancata compensazione integrale delle spese del secondo grado;
la ricorrente lamenta che l ‘accoglimento del secondo motivo di impugnazione, relativo all’erronea ripartizione delle spese in primo grado , ha determinato una soccombenza reciproca, che osta alla possibilità di condannare la parte comunque vittoriosa condannata alla rifusione delle spese di lite;
la Corte d’appello in ragione del parziale accoglimento dell’appello ha disposto la compensazione delle spese di lite per un quarto, ponendo il residuo a carico dell’appellante;
la valutazione sulla concessione o meno della compensazione delle spese sul presupposto, eventualmente, della esistenza di una soccombenza reciproca o di altre ragioni rientra nel potere discrezionale del giudice di merito ed esula dalla valutazione di questa Corte (v. Cass., 22 aprile 2005, n.8540; 17 marzo 2004, 5405; 28 novembre 2003, n.17692);
il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; pertanto, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi (v. Cass. 31 agosto 2020, n. 18128; 17 ottobre 2017, n.
24502; 31 marzo 2017, n. 8421; 19 giugno 2013, n. 15317), ferma restando la necessità della verifica che non siano addotte ragioni illogiche o erronee a fondamento della decisione di compensazione, risolvendosi il sindacato di legittimità, come affermato dalla Corte costituzionale (v. sentenza, 4 giugno 2014, n. 157), in una verifica «in negativo» in ragione della «elasticità» costituzionalmente necessaria che caratterizza il potere giudiziale di compensazione delle spese di lite, ‘non essendo indefettibilmente coessenziale alla tutela giurisdizionale la ripetizione delle dette spese in favore della parte vittoriosa’ (v., Corte Cost., 19 aprile 2018, n. 77; Cass. 26 luglio 2021, n. 21400);
anche la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass., sez. II, 31 gennaio 2014, n. 2149; sez. II, 20 dicembre 2017, n. 30592; sez. 6-III, 26 maggio 2021, n. 14459);
la parziale compensazione delle spese del secondo grado non determina l’effetto lamentato dalla ricorrente di far gravare le spese di lite sulla parte vittoriosa, ma è ricollegabile al parziale accoglimento dell’appello , mentre il residuo è stato regolato in base all’esito complessivo della lite (v. Cass., sez. I, 24 gennaio 2013, n. 1703);
proprio in ragione della stabilizzazione della giurisprudenza di questa Corte a partire dal 2018 la Corte d’appello ha disposto la compensazione delle spese del primo grado, ma tale giustificazione non la si sarebbe potuta applicare anche nell’ambito del giudizio d’appello definito nel 2023;
il ricorso, in conformità alla proposta di definizione accelerata, deve essere dichiarato inammissibile, dovendosi provvedere alla regolazione delle spese del giudizio di cassazione secondo il principio della soccombenza;
la definizione del giudizio in conformità alla proposta ex art. 380bis cod. proc. civ., comporta l’applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., come testualmente previsto dal citato art. 380bis, ultimo comma, cod. proc. civ.;
come chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza 27 dicembre 2023, n. 36069, ‘richiamando, per i casi di conformità tra proposta e decisione finale, l’art. 96, terzo e quarto comma, cod. proc. civ., l’art. 380 -bis cod. proc. civ. codifica, attraverso una valutazione legale tipica compiuta dal legislatore delegato, una ipotesi di abuso del processo, già immanente nel sistema processuale, giacché non attenersi alla delibazione del Presidente che trovi poi conferma nella decisione finale, lascia presumere una responsabilità aggravata sanzionabile con la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore a euro 5.000,00 (art. 96 quarto comma, cod. proc. civ., ove, appunto il legislatore usa la locuzione ‹‹altresì››)’ (v., altresì, Cass., sez. un., 22 settembre 2023, n. 27195; sez. un., 23 aprile 2024, n. 10955);
anche se deve essere esclusa una interpretazione della norma che conduca ad automatismi non in linea con una lettura costituzionalmente compatibile del nuovo istituto (v. Cass., sez. un., 36069/2023), nell’ipotesi in esame non si rinvengono ragioni per discostarsi dalla previsione legale, stante la complessiva ‘tenuta’ dell’opinamento espresso dalla PDA siccome emergente dalle notazioni innanzi svolte necessaria per confermare il rigetto del ricorso;
tale conclusione appare ancora più giustificata dalla circostanza che nella memoria parte ricorrente evoca Cass. n. 22664 del 2002, disinvoltamente ignorandone gli sviluppi, che poi hanno portato la Prima Sezione a pronunciare la sentenza n. 36427 del 2022.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in euro 3.000 per compensi, oltre le spese prenotate e a debito, nonché al pagamento, in favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., della ulteriore somma di euro 2.000 ed al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della ulteriore somma di euro 1.000.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, del l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della