Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7341 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7341 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso 28876 -2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del pro tempore, elettivamente domiciliata in AVV_NOTAIO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO giusta procura in atti, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Fucecchio, presso lo studio de ll’AVV_NOTAIO dal quale è
rappresentato e difeso, giusta procura in atti, con indicazione dell’indirizzo pec;
– controricorrente –
COGNOME NOMENOME elettivamente domiciliato in AVV_NOTAIO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO da cui è rappresentato e difeso con l’AVV_NOTAIO giusta procura allegata al ricorso in calce al controricorso, con indicazione d ell’indirizzo pec;
– controricorrente –
RAGIONE_SOCIALE, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliata in AVV_NOTAIO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, da cui è rappresentato e difeso insieme all’AVV_NOTAIO giusta procura allegata al controricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;
– controricorrente –
e contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimata –
avverso la sentenza della CORTE d’APPELLO di FIRENZE n. 1645/2018, pubblicata in data 06/07/2018 e notificata in data 10/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/11/2023 dal Consigliere dr. COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato in data 22/07/2003, la RAGIONE_SOCIALE, poi incorporata dalla RAGIONE_SOCIALE, convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Firenze, sez. di Empoli, la RAGIONE_SOCIALE, a cui aveva appaltato la sistemazione della sponda del torrente Streda in Vinci, limitrofa ad un’ area di sua proprietà su cui era in costruzione il suo stabilimento industriale, il direttore dei lavori NOME COGNOME e il progettista geologo NOME COGNOME, esponendo che, a causa della negligenza e dell’imperizia con cui i lavori erano stati progettati, diretti ed eseguiti, era stato costretto a spendere la somma di Euro 61.931,29 oltre al prezzo pattuito, per consolidare gli argini che avevano ceduto; in data 18/2/2002, infatti, cioè p rima dell’instaurazione del giudizio, aveva dovuto stipulare, con la stessa appaltatrice COGNOME e COGNOME ma con un diverso direttore dei lavori, un altro contratto di appalto avente ad oggetto nuovi lavori di consolidamento; chiese, pertanto, la condanna dei convenuti al rimborso di tale somma a titolo di risarcimento dei danni conseguenti ai vizi dell’opera realizzata , oltre al pagamento di Euro 10.000 a titolo di risarcimento dei danni conseguenti al ritardo nell’esecuzione dei lavori di costruzione del nuovo stabilimento.
NOME COGNOME chiamò in causa quale garante RAGIONE_SOCIALE, cui subentrò RAGIONE_SOCIALE;
costituendosi, la terza chiamata contestò l’operatività della polizza.
Si costituirono anche NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE.
Con sentenza n. 160/2003, il Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Empoli, rigettò la domanda, dichiarando assorbita la domanda di garanzia e condannando la RAGIONE_SOCIALE alle spese, anche della terza chiamata.
Il giudice di primo gradò evidenziò che i dissesti ed i cedimenti strutturali dell’argine erano da attribuire, secondo le conclusioni del c.t.u. nominato, alla mancanza di un progetto esecutivo fondato su specifiche indagini geotecniche, ma escluse la responsabilità dei convenuti perché non era stato loro affidato alcun incarico avente ad oggetto quelle indagini.
Avverso questa sentenza propose appello RAGIONE_SOCIALE, che aveva incorporato RAGIONE_SOCIALE, rappresentando che i convenuti erano specialisti del settore, che erano stati incaricati proprio per questa loro competenza e che avrebbero dovuto perciò necessariamente valutare quali indagini fossero necessarie per la corretta realizzazione dell’opera ; aggiunse che ingiustamente erano state poste a suo carico le spese di lite di RAGIONE_SOCIALE, chiamata in giudizio da COGNOME.
Quest’ultimo propose appello incidentale condizionato, reiterando la domanda di garanzia nell’ ipotesi di accoglimento dell’appello principale .
Anche RAGIONE_SOCIALE propose appello incidentale condizionato, reiterando, per quel che ancora qui rileva, l’ eccezione di prescrizione del diritto ex art. 1669 cod. civ.
COGNOME ribadì che il suo incarico concerneva soltanto la fase preliminare e non anche quella esecutiva del progetto e che non gli era stata affidata alcuna indagine geotecnica.
3.1. Con sentenza n. 1645/2018, la Corte d’a ppello di Firenze , in accoglimento dell’appello incidentale di COGNOME e COGNOME, dichiarò prescritto il diritto di COGNOME alla garanzia per vizi nei confronti della società appaltatrice e rigettò con diversa motivazione la domanda reiterata in appello principale nei confronti del direttore e del geologo incaricato; dichiarò assorbito l’appello incidentale proposto da COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e condannò COGNOME al rimborso delle spese di lite in favore delle parti appellate, anche della terza chiamata RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, per quel che qui ancora rileva, la Corte territoriale sostenne che il termine prescrizionale, già maturato al tempo della citazione, non potesse ritenersi interrotto dalla corrispondenza intercorsa, sull’eventuale liquidazione dei danni, fra il legale della RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, perché nelle comunicazioni non vi era un rapporto diretto fra danneggiato e assicurato e perché l’assicuratore non era direttamente obbligato in solido al risarcimento del danno nei confronti della committente.
La Corte territoriale motivò, quindi, il rigetto della domanda nei confronti del direttore dei lavori COGNOME e del progettista
COGNOME ex art. 1301 comma I cod. civ.: ravvisò, infatti, una tacita remissione di debito da parte di RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società appaltatrice nell’intervenuta stipula di un secondo contratto a titolo oneroso avente ad oggetto i nuovi lavori sui dissesti e i cedimenti dell’ argine, come allegata a fondamento della domanda risarcitoria; estese, quindi, gli effetti della riscontrata remissione anche al direttore e al progettista, quali condebitori in solido, atteso che dal creditore non era stata formulata alcuna riserva nei loro confronti.
Avverso questa sentenza, RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso in Cassazione, affidato a sei motivi.
NOME COGNOME, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE si sono difesi con controricorso. RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
In prossimità dell’adunanza camerale RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno curato il deposito di memorie ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ .
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., COGNOME ha prospettato la nullità della sentenza perché priva di motivazione sulla mancata ammissione delle prove chieste ai capitoli dal n. 4 al n. 6 della memoria ex art. 184 cod. proc. civ. del 5/1/2005: queste prove sarebbero state, invece, utili a dimostrare l’intervenuto riconoscimento «da parte di tutti i soggetti coinvolti, della sussistenza dei vizi e difetti dell’opera , così
determinando l’insorgenza di una nuova obbligazione svincolata dai termini dell’art. 1669 cod. civ.» (così in ricorso) .
1.1. Il motivo, seppure ammissibile per essere stati riportati i capitoli non ammessi così da consentire il sindacato di decisività della prova da parte di questa Corte, è tuttavia infondato.
Per principio consolidato di questa Corte, il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione soltanto nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (Cass. Sez. 3, n. 11457 del 17/05/2007; Sez. 6 – 1, n. 16214 del 17/06/2019).
Ebbene, lo scrutinio preventivo non consente di ritenere decisivi i fatti di cui è stata chiesta la prova per testi non ammessa.
In particolare, deve considerarsi in diritto che, al fine di escludere la prescrizione dell’azione , non era significativo l’intervenuto riconoscimento dei vizi -idoneo a scongiurare soltanto la decadenza dalla denuncia -ma unicamente l’impegno alla loro eliminazione, direttamente assunto dai soggetti tenuti alla garanzia e non certamente dalle loro compagnie assicuratrici che non erano, come rilevato dalla
Corte d’appello, obbligate nei confronti della società committente.
Per principio consolidato, infatti, il semplice riconoscimento dei vizi e delle difformità dell’opera da parte dell’appaltatore implica la superfluità della tempestiva denuncia da parte del committente, ma non anche, in mancanza di un impegno in tal senso, l’assunzione in capo all’appaltatore dell’obbligo di emendare l’opera, che, ove configurabile, costituirebbe una nuova e distinta obbligazione soggetta al termine di prescrizione decennale; ne consegue che il predetto riconoscimento dei vizi non impedisce il decorso dei termini brevi della prescrizione previsti in tema di appalto, in mancanza di diverso impegno alla loro eliminazione (Cass. Sez. 2, n. 19343 del 16/06/2022).
In tal senso, allora, certamente non risultano decisive le circostanze sub 4 e 5, aventi ad oggetto l’avvenuto cedimento degli argini, altrimenti oggetto di accertamento peritale e l’intervenuta denuncia, né le circostanze di cui ai capitoli da 6 a 12, tutte concernenti il riconoscimento dei vizi e la quantificazione delle somme dovute a titolo di danno, ma non l’impegno alla eliminazione dei vizi stessi.
Conseguentemente, la mancata ammissione della prova per testi richiesta risulta immune da censure.
Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 2944 cod. civ. per avere la Corte d’a ppello escluso che le trattative fra il
legale di RAGIONE_SOCIALE e l’assicurazione RAGIONE_SOCIALE abbiano avuto valore interruttivo della prescrizione: i giudici di secondo grado avrebbero dovuto applicare il principio giurisprudenziale secondo cui anche le trattative di amichevole composizione possono avere effetto interruttivo della prescrizione, quando il comportamento di una delle parti manifesti il riconoscimento del contrapposto diritto di credito.
2.1. Anche questo motivo è infondato. La Corte territoriale ha escluso che le trattative tra società committente e società assicuratrice di uno dei coobbligati potesse avere valenza interruttiva della prescrizione per mancanza di un rapporto obbligatorio direttamente intercorso tra le due società.
È vero che le trattative di amichevole composizione possono comportare l’interruzione della prescrizione, ex art. 2944 cod. civ., quando dal comportamento di una delle parti risulti il riconoscimento del contrapposto diritto di credito e la transazione sia mancata solo per questioni attinenti alla liquidazione, ma non anche all’esistenza, del diritto, nel senso che devono essersi svolte in circostanze e con modalità tali da implicare l’ammissione del diritto stesso (Sez. 3, Sentenza n. 18879 del 24/09/20159): è necessario tuttavia, evidentemente, che, come proprio prescrive l’art. 2944 cod. civ., nelle trattative il riconoscimento del diritto provenga da colui contro il quale il diritto stesso possa essere fatto valere, cioè dal debitore obbligato, mentre deve escludersi che possa provenire efficacemente da chi -come, nella specie, l’impresa
assicuratrice della appaltatrice – non sia direttamente obbligato nei confronti della committente danneggiata.
Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., COGNOME ha sostenuto la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per non avere la Corte d’appello individuato il dies a quo della decorrenza della prescrizione e per non aver comunque considerato che, nell’ipotesi di vizi afferenti ad opere costruttive complesse, la conoscenza completa idonea a provocare il decorso dei termini doveva ritenersi acquisita, in assenza di ulteriori elementi esaustivi, soltanto all’atto di acquisizione delle relazioni peritali in corso di causa.
3.1. Il motivo è fondato. Il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti nella costruzione di un immobile, a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua una sicura conoscenza dei difetti e delle loro cause e tale termine può anche essere postergato all’esito degli accertamenti tecnici che si rendano necessari per comprendere la gravità dei vizi e stabilire il corretto collegamento causale (Cass. Sez. 2, n. 10048 del 24/04/2018; Sez. 3, n. 9966 del 08/05/2014).
L’identificazione degli elementi conoscitivi necessari e sufficienti perché possa individuarsi la «scoperta» del vizio ai fini del computo dei termini annuali posti dall’art. 1669 cod civ. – il primo di decadenza per effettuare la denunzia ed il secondo, che dalla denunzia stessa inizia a decorrere, di prescrizione per
promuovere l’azione – deve effettuarsi infatti sia con riguardo alla gravità dei difetti dell’edificio che con riguardo al collegamento causale dei dissesti all’attività progettuale e costruttiva espletata, sicché, non potendosi onerare il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo, la conoscenza completa idonea a provocare la decorrenza del doppio termine (decadenziale e prescrizionale) potrebbe ritenersi compiuta, in assenza di anteriori esaustivi elementi, soltanto all’atto dell’acquisizione delle disposte relazioni peritali. La denunzia di gravi vizi da parte del committente può implicare allora un’idonea ammissione di valida scoperta degli stessi tale da costituire il dies a quo per la decorrenza del termine di prescrizione e, a maggior ragione, tale da far supporre una conoscenza dei difetti di tanto antecedente da implicare la decadenza, soltanto quando, in ragione degli effettuati accertamenti tecnici, risulti dimostrata la piena comprensione dei fenomeni e la chiara individuazione ed imputazione delle loro cause, per l’un effetto, alla data della denunzia e, per l’altro, a data ad essa convenientemente anteriore (Sez. 2, n. 11740 del 01/08/2003).
La Corte d’appello ha ritenuto decorso il termine di prescrizione dell’azione di garanzia dalla seconda missiva inviata da RAGIONE_SOCIALE alla società appaltatrice e ai professionisti in data 21/6/2002 già alla data della citazione, senza tuttavia specificare -malgrado l’ eccezione sollevata dall’attore sul punto sin dal primo grado – se e perché abbia individuato in tale missiva la denuncia consapevole dei vizi o se
abbia ritenuto tale missiva unicamente interruttiva del termine rispetto alla precedente denunzia del 16/10/2001, dovendosi già a tale data ritenersi sussistente la piena conoscenza dei vizi.
In tal senso, la sentenza impugnata dev’essere cassata, risultando necessaria l’individuazione del dies a quo quale giorno della conoscenza completa dei vizi secondo i principi consolidati suindicati.
Con il quarto motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., COGNOME ha poi lamentato la nullità della sentenza in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello ritenuto , d’ufficio, da lei rimesso il debito della COGNOME e COGNOME, estendendo poi gli effetti di questa remissione, ex art. 1301 cod. civ., ai coobbligati in solido COGNOME e COGNOME, senza che la relativa eccezione fosse stata mai sollevata dalle controparti e senza che sul punto fosse mai stato sollecitato il contraddittorio.
4.1. Il motivo è fondato per più ragioni.
La Corte d’appello ha rilevato d’ufficio e ritenuto che il debito risarcitorio ex art. 1669 cod. civ. della appaltatrice RAGIONE_SOCIALE fosse stato rimesso dalla committente RAGIONE_SOCIALE perché quest’ultima aveva stipulato, con la suddetta società appaltatrice, dopo l’esecuzione asseritamente viziata del primo contratto di appalto e prima di citarla in garanzia, un nuovo contratto a titolo oneroso avente ad oggetto la «sistemazione degli argini»; ex art. 1301 cod. civ., ha quindi esteso l’effetto di questa riscontrata remissione ai coobbligati in solido.
La ricorrente ha allora lamentato (pur in difetto di una formale intestazione della censura alla violazione dell’art. 101 cod. proc. civ.), che il rilievo d’ufficio della remissione di debito sia avvenuto senza che sul punto fosse stato stimolato il contraddittorio, sulla base di un fatto l’avvenuta stipula del secondo contratto – da lei allegato ai diversi fini probatori della domanda di risarcimento dei danni ex art. 1669 cod. civ. subiti in conseguenza del primo contratto di appalto intercorso con l’impresa e senza che nessuno dei convenuti debitori avesse invocato la remissione di debito.
Effettivamente, in fatto, non risulta che la riscontrata remissione del debito sia stata oggetto di eccezione né da parte dell’appaltatrice né da parte dei coobbligati in solido e sia stata oggetto di discussione tra le parti.
È vero che, ex art. 1301 cod. civ. comma 1 , l’estensione dell’operatività della remissione a favore di uno dei debitori in solido anche agli altri debitori non costituisce fatto estintivo riservato dalla legge alla eccezione della parte, perché effetto previsto espressamente ed automaticamente dalla legge (cfr. Cass. Sez. 3, n. 18808 del 02/07/2021, in motivazione); inequivoco è, al riguardo, l’utilizzo nella norma della locuzione congiuntiva «salvo che» che introduce la «riserva» del diritto da parte del creditore quale eccezione e limite rispetto alla generale previsione di estensione espressa nella preposizione reggente, cioè «libera anche gli altri debitori», con ciò confermando che, dal lato dei coobbligati, l’effetto discende dalla stessa legge.
Non così è a dirsi, tuttavia, per la remissione di debito in sé che costituisce, invece, per giurisprudenza consolidata, eccezione in senso stretto, perché intanto ha effetto estintivo in quanto il debitore manifesti la volontà, anche tacitamente, di volerne profittare (Cass. 18808/2021 cit., in motivazione, Sez. 2, n. 29920 del 30/12/2020, Sez. 1, n. 11749 del 18/05/2006, Sez. L, n. 1110 del 09/02/1999).
Questa Corte, sul presupposto indubitabile che nel l’art. 112 cod. proc. civ. non si rinvengono le definizioni di rilevabilità d’ufficio e rilevabilità ad eccezione soltanto di parte di cui però si pone la distinzione, ha ricostruito il sistema delle eccezioni rilevabili soltanto ad istanza di parte identificandole o in quelle così esplicitamente ricostruite dalla legge o in quelle in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponda all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio dal titolare, per il tramite, quindi, di una manifestazione di volontà (autonomamente espressa o realizzabile attraverso un accertamento giudiziale) (Cass. Sez. U, n. 15661 del 27/07/2005; Sez. U, n. 1099 del 03/02/1998).
Quanto alla remissione, allora, questa Corte ha rilevato (Sez. L, n. 1110/1999 cit.) come, nell’art. 1236 cod. civ., il legislatore abbia costruito la fattispecie in modo tale che la presenza di determinate circostanze non abbia un’autonoma efficacia produttiva della nuova situazione sostanziale, ma la possa conseguire soltanto per il tramite di una manifestazione di volontà dell’interessato («la dichiarazione del creditore di rimettere il debito estingue l’obbligazione quando è comunicata
al debitore, salvo che questi dichiari in un congruo termine di non volerne profittare»): anche in questa ipotesi, infatti, l’utilizzo della locuzione «salvo che» introduce un’eccezione e un limite rispetto alla generale previsione prima espressa, ma la subordina, a differenza che nell’ipotesi dell’art. 1301 cod. civ. in precedenza qui esaminata, alla volontà dello stesso debitore nei cui confronti è destinata a spiegare i suoi effetti, nel senso che l’effetto estintivo consegue ad una potestà dispositiva del diritto, estranea alla fattispecie costitutiva da accertare in forza dell’azione intrapresa (cfr. Cass. Sez. 1, n. 8155 del 10/08/1990).
In altri termini, la dichiarazione del creditore di rimettere il debito, pur avendo, secondo un’opinione generalmente condivisa, struttura di negozio giuridico unilaterale (al pari di ogni dichiarazione di rinunzia a diritti), consente, in linea con principi generalissimi, che gli effetti estintivi del rapporto obbligatorio siano impediti (o comunque eliminati) da una manifestazione di volontà del soggetto nella cui sfera giuridica si producono; in conseguenza, rientra nell’autonomia e nella disponibilità del debitore la scelta di conservare la situazione originaria o di avvalersi della nuova situazione derivante dalla remissione, anche opponendola in giudizio come fatto estintivo del credito azionato contro di lui (Sez. L, n. 1110/1999 cit.).
Come sottolineato nella sentenza citata, sul piano strettamente processuale, una simile eccezione sovverte l’originario oggetto del dibattito, introducendo nuovi e complessi temi di indagine attinenti alla validità, alle modalità e alla forma
della rinunzia, temi di indagine che non possono che svilupparsi sulla base delle prospettazioni di colui che solleva l’eccezione stessa e, soprattutto, nel contraddittorio di creditore e debitore.
Il Giudice di secondo grado ha, invece, utilizzato per la decisione il secondo contratto intercorso tra committente e appaltatrice, ricavandone la prova di un fatto rilevante perché estintivo, oltre gli scopi propri per cui era stato allegato, senza provocare la discussione delle parti sul fatto riscontrato.
Così decidendo, la Corte non ha correttamente applicato il principio per cui i cosiddetti fatti avventizi, ovvero i fatti emergenti dai documenti ritualmente acquisiti al processo ma non scientemente invocati dalla parte per sostenere una domanda o un’eccezione, in rapporto ad un determinato effetto giuridico, per poter essere utilizzati dal Giudice d’ufficio devono essere oggetto di discussione tra le parti. Il rigore di tale impostazione non è indice di una concezione formalistica del processo, ma è funzionale alla tutela del contraddittorio e alla salvaguardia del diritto di difesa delle parti: il nostro ordinamento processuale è caratterizzato dall’iniziativa delle parti e dall’obbligo del giudice di rendere la propria pronunzia nei limiti delle loro domande, sicché non può trarsi dai documenti comunque prodotti in giudizio determinate deduzioni o indicazioni, necessarie ai fini della decisione, ove queste non siano specificate nella domanda, o – comunque – sollecitate dalla parte interessata (Cass. 12 febbraio 1994, n. 1419; Cass. 7 febbraio 1995, n. 1385) (così, nell’a rticolata motivazione, Sez. 2, Ordinanza n. 7002 del 2023, non massimata).
Per principio consolidato, l’obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio, stabilito dall’art. 101, comma 2, cod. proc. civ., riguarda proprio le questioni di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto, che richiedono l’utilizzazione del contenuto di una prova diverso rispetto a quello chiesto dalle parti ovvero un’attività assertiva in punto di fatto e non già soltanto mere difese (cfr. Cass. Sez. 2 – , Sentenza n. 1617 del 19/01/2022).
Come sancito dalla Corte EDU, «il giudice deve essere particolarmente diligente quando la controversia prende una piega inattesa, tanto più se si tratta di una questione lasciata alla discrezione del tribunale. Il principio del contraddittorio impone che i tribunali, nelle loro decisioni, non si basino su elementi di fatto o di diritto che non sono stati discussi durante il procedimento e che danno alla controversia una svolta che nemmeno una parte diligente sarebbe stata in grado di prevedere in anticipo» (in ultimo, è stato ribadito il principio in Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sezione prima, 29 giugno 2023 – Ricorso n. 49058/20 – Causa COGNOME Amamou c. RAGIONE_SOCIALE, con numerosi richiami).
Pertanto, la Corte d’appello, rilevando l’estensione degli effetti della remissione d’ufficio senza aver sollecitato il contraddittorio sul punto e, prima ancora, rileva ndo d’ufficio il fatto della remissione senza alcuna eccezione di parte non ha correttamente applicato i principi suesposti.
In tal senso il quarto motivo deve trovare accoglimento.
Dall’accoglimento del quarto motivo deriva, in logica conseguenza, l’assorbimento del quinto motivo, articolato in riferimento ai n. 3 e 4 del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ., con cui la ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per avere la Corte omesso l’esame della domanda avente ad oggetto la responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ. dei soggetti coinvolti.
Deriva, altresì, l’assorbimento del sesto motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ., con cui COGNOME ha infine lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 106 cod. proc. civ. per non aver tenuto conto del principio per il quale non possono farsi risalire all’attore le responsabilità di una chiamata in garanzia che difetti dei presupposti per ragioni attinenti al rapporto tra debitore convenuto chiamante, nella specie il COGNOME, e terzo garante (RAGIONE_SOCIALE).
La questione della operatività della polizza nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, infatti, era stata riproposta da COGNOME con appello incidentale condizionato dichiarato assorbito dalla Corte d’appello in conseguenza del rigetto dell’appello principale di COGNOME; pertanto, in quanto non esaminata dal giudice di appello perché ritenuta assorbita dall’accoglimento di altra tesi, la questione potrà sempre essere riproposta davanti al giudice di rinvio, per essere stata cassata la sentenza impugnata in accoglimento del ricorso principale (Cass. Sez. 1, n. 3796 del 15/02/2008; Sez. 3, n. 9907 del 26/04/2010).
7. Il ricorso è perciò accolto limitatamente al terzo e quarto motivo, rigettati il primo e il secondo motivo e assorbiti il quinto e il sesto; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte d’appello di Firenze, in diversa composizione, che deciderà in rinvio facendo applicazione dei principi suesposti e statuirà anche sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo e il quarto motivo di ricorso, rigettati il primo e il secondo motivo, assorbiti il quinto e il sesto; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti con rinvio alla Corte d’appello di Firenze , in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.
Così deciso in AVV_NOTAIO, nella camera di consiglio della