Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25494 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25494 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3906/2022 R.G. proposto da:
COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del procuratore, NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOMECODICE_FISCALE che la rappresenta e difende, domicilio digitale ex lege ;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di CASSINO n. 983/2021, depositata il 05/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con decreto n. 34/2012 veniva ingiunto alla RAGIONE_SOCIALEp.ARAGIONE_SOCIALE (d’ora in vanti, per brevità, Santander) d i pagare a NOME COGNOME l’importo di euro 1.696,25, pari a cinque rate mensili del finanziamento ottenuto dalla ingiunta per la realizzazione di un impianto fotovoltaico oggetto del contratto stipulato con la RAGIONE_SOCIALE nell’ambito di un’iniziativa promozionale patrocinata dalla Provincia di Frosinone e promossa dall’APEF Agenzia Provinciale Energia Frosinone -oltre alle spese di incasso.
In forza del contratto stipulato, la RAGIONE_SOCIALE si era impegnata non solo a realizzare l’impianto fotovoltaico, ma anche a curarne la manutenzione e la gestione produttiva onde ottenere gli incentivi presso il GSE (Gestore del Sistema Elettrico) nonché a rimborsare alla COGNOME le rate mensili del finanziamento che questa aveva contestualmente stipulato per pagare la realizzazione dell’impianto, mentre nel contempo la COGNOME si era impegnata a versare a RAGIONE_SOCIALE il ricavato dall’erogazione del finanziamento nonché a cederle gli incentivi statali di cui al c.d. ‘ Conto Energia ‘, trattenendo per sé i benefici derivanti dagli sconti in bolletta di cui al regime di c.d. ‘ scambio sul posto ‘ dell’energia prodotta.
Nell’aprile 2011, atteso l’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE, la COGNOME aveva comunicato a Santander la propria volontà di interrompere il pagamento delle rate mensili del finanziamento.
La Santander, con comunicazione del 13 aprile 2011, aveva dichiarato di non avere più nulla a pretendere in forza del contratto ed aveva chiesto alla COGNOME indicazioni per la restituzione delle rate del finanziamento che non le erano state rimborsate da
RAGIONE_SOCIALE non aveva poi provveduto alla restituzione per la quale si era impegnata e la COGNOME, di conseguenza, aveva chiesto e ottenuto il decreto ingiuntivo per cui è causa.
La Santander proponeva opposizione, adducendo che la comunicazione del 13 aprile 2011 era stata revocata da quella successiva dell’11 aprile 2012, perché, a seguito di una verifica in loco, gli impianti erano risultati consegnati, e alla Varone era stato chiesto di regolarizzare il pagamento delle rate scadute e di riprendere il pagamento di quelle a scadere, e, con riconvenzionale, domandava la condanna dell’ingiungente al pagamento di euro 4.374,64, quale importo a debito per rate scadute alla data dell’11 aprile 2012, oltre agli interessi.
Con sentenza n. 28/2014 il Giudice di Pace di Pontecorvo rigettava l’opposizione e la domanda riconvenzionale, ritenendo che, avendo la COGNOME in sede di interrogatorio formale riconosciuto che l’impianto era sì stato realizzato e installato, ma che aveva funzionato solo per i primi quattro o cinque mesi, senza che la ditta costruttrice, pur avendo garantito l’assistenza tecnica, una volta interpellata in merito, avesse provveduto in tal senso -circostanza confermate dal teste COGNOME -il credito di cui al decreto ingiuntivo fosse da ritenere provato.
Il Tribunale di Cassino, con la sentenza n. 983/2021, depositata il 5/07/2021, ha confermato le conclusioni del Giudice di Pace, nella parte in cui aveva preso atto della volontà remittente della banca manifestata attraverso la comunicazione contenente la quietanza liberatoria, ma aveva rigettato la «tesi secondo cui detta volontà era ‘ fondata su una falsa rappresentazione della realtà, ossia la mancata installazione dell’impianto », cui era stata indotta dalle dichiarazioni della COGNOME, perché « la rimessione del debito ex artt. 1236 e segg. c.c., è un negozio unilaterale recettizio, a causa variabile, che si perfeziona e produce i suoi effetti nel momento in cui la dichiarazione abdicativa è portata a conoscenza del creditore,
senza che sia necessaria l’accettazione da parte del creditore; detta dichiarazione diventa irreversibile, con conseguente sottrazione del potere di revoca, non solo in caso di accettazione da parte del destinatario (art. 1411, comma 2, c.c.), ma anche nell’ipotesi in cui il creditore non dichiari, entro un congruo termine, di non volerne approfittare; per converso l’intervento di un tempestivo rifiuto funge da condizione risolutiva legale che caduca, con effetto ‘ex tunc’, gli effetti estintivi pur interinalmente prodotti dalla dichiarazione remissoria», aggiungendo che «se pure ci fosse stato un errore, come sostiene la Banca, questo sarebbe riconducibile e imputabile solo a essa, che si sarebbe potuta consultare in merito proprio con la Energesco prima della remissione», richiamando a supporto di tale tesi propri specifici precedenti, negando, per converso, rilievo ad altri precedenti citati dalla Santander e concludendo per l’assorbimento delle altre questioni (sentenza impugnata, pagg. 4-5).
La RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando tre motivi.
NOME COGNOME resiste con controricorso.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo si denunzia la violazione degli artt. 1236, 1324, 1429, 1431 e 1442 c.c. (in riferimento all’ art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c.), per avere il tribunale ritenuto irrilevante, ai fini della proposizione dell’eccezione di annullamento, l’errore compiuto quando aveva emesso la quietanza liberatoria in relazione al debito della Varone, per il mero fatto che detto errore le fosse imputabile.
La tesi della ricorrente è che anche rispetto agli atti unilaterali trovino applicazione le norme in materia di contratti, ai sensi dell’art. 1324 cod.civ., e dunque quelle in materia di annullamento
e che l’errore commesso fosse certamente essenziale e riconoscibile, ai sensi degli artt. 1429 e 1431 cod.civ.; il che avrebbe dovuto comportare l’accoglimento dell’eccezione di annullamento dell’atto ai sensi dell’art. 1442 cod.civ. a fronte dell’avversaria domanda di adempimento.
A supporto di tale tesi evoca la giurisprudenza di questa Corte in materia di annullamento delle dimissioni del lavoratore subordinato, ritenute annullabili se sussistono i presupposti di cui agli artt. 1427 e segg. cod. civ. (Cass. 5/10/2007, n. 20887; Cass. 6/02/1984, n. 918), atteso che soggiacciono, ai sensi dell’art. 1324 cod. civ., in quanto atto tra vivi avente contenuto patrimoniale, alle norme che regolano i contratti, comprese quelle relative all’annullamento
Il motivo è fondato.
Sulla questione sollevata dalla ricorrente, cioè sul rilievo della falsa rappresentazione della realtà che l’aveva indotta a liberare la Varone dagli obblighi restitutori delle rate a scadere e a obbligarsi a restituire le rate del finanziamento già versate dalla Varone, il tribunale si è limitato a statuire che «Infine, se pure ci fosse stato un errore, come sostiene la Banca, questo sarebbe riconducibile e imputabile solo ad essa, che si sarebbe potuta consultare in merito proprio con la RAGIONE_SOCIALE prima della remissione» (p. 5 della sentenza).
Premesso che nella specie l’errore è stato fatto valere non in via di azione di annullamento, ma è stato opposto all’esecuzione del contratto ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 1442 cod.civ., è irrilevante, ai fini della sussistenza dell’errore che esso sia scusabile (e dunque non imputabile), dovendosi avere riguardo solo per l’essenzialità e la riconoscibilità dell’errore da parte dell’altro contraente (Cass . 28/11/2019, n. 31078; Cass. 27/07/2022, n. 23409; , n. 23409; Cass . 19/10/2017, n. 24738; Cass., 13/03/2006, n. 542 ). Alcuna valutazione sulla essenzialità e la
riconoscibilità del lamentato vizio negoziale emerge dalla motivazione della sentenza gravata; il giudice a quo sembra trascurare che la sussistenza di tale vizio dipende dall’accertamento dei relativi presupposti di fatto, ed in particolare, oltre che dall’esistenza dell’errore, dalla sua essenzialità e riconoscibilità, mentre la scusabilità dell’errore che abbia viziato la volontà del dichiarante è irrilevante ai fini dell’integrazione del vizio negoziale (v. Cass. 7/04/2025, n. 9141 che ha deciso una vicenda analoga a quella per cui è causa). L’eventuale negligenza di chi è incorso in errore e quindi la scusabilità dell’errore non assumono rilievo, atteso che l’assetto degli scambi immaginato dal legislatore non è ispirato né alla teoria pura della dichiarazione – che, nella specie, farebbe prevalere l’impegno assunto nei termini in cui è percepibile nella sfera dei rapporti sociali – né alla teoria della pura volontà che, per converso, attribuirebbe preminente ed esclusivo rilievo all’interno volere del dichiarante -ma all’equo contemperamento degli interessi in conflitto, consentendo l’annullamento per errore non quando l’errore sia meramente determinante, richiedendone l’essenzialità, né quando, non essendo riconoscibile debba tutelarsi l’affidamento ragionevole della controparte.
È appena il caso di chiarire che non costituisce eccezione alla irrilevanza della scusabilità dell’errore la norma di cui all’art. 2036, 1° comma, cod.civ., a mente della quale chi paga per errore un debito altrui non può ottenere la restituzione del pagamento se l’errore non è scusabile, perché essa non può essere riferita all’ipotesi di un negozio invalido per vizio del consenso.
A monte si assume risolta in senso positivo evidentemente la questione della revocabilità del negozio giuridico unilaterale in ragione della invalida formazione della volontà: solo sulla scorta di questa premessa è possibile infatti parlare di revocabilità/emendabilità del negozio unilaterale che, se recettizio, come in questo caso, produce i suoi effetti nel momento in cui
giunge a conoscenza del destinatario ed è di norma irrevocabile (v., tra le pronunce massimate più recenti, Cass. 04/03/2020 , n. 6046 – ed ivi ulteriori riferimenti- ove è stato ritenuto annullabile per errore nella formazione della volontà un atto di natura negoziale).
E’ opportuno precisare che non vi è contrasto con il precedente di cui a Cass. 29/02/2024, n. 5384: in quell’occasione la Corte non valutò la fondatezza del motivo, avendo ravvisato una causa di inammissibilità che nel caso qui in esame il Collegio reputa non sussistente, risultando dalla impugnata sentenza che la COGNOME aveva fatto leva sull’erronea rappresentazione della realtà, cioè sulla mancata consegna dell’impianto fotovoltaico, per dedurre il vizio della iniziale volontà liberatoria.
2) Con il secondo motivo la ricorrente prospetta la violazione degli artt. 1988 e 2697 c.c. (ai sensi dell’ art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c.), per non avere il giudice a quo qualificato la quietanza liberatoria quale riconoscimento di debito e per non aver ritenuto soddisfatto l’onere della prova circa la sussistenza del debito della Varone.
La tesi della ricorrente è che la manifestazione della volontà di liberare la COGNOME dai suoi obblighi restitutori contenuta nella missiva inviata in data 13 aprile 2011 non dovesse essere qualificata come «remissione del debito ex artt. 1236 e segg. c.c.», ma come riconoscimento di debito nei confronti della COGNOME, perché la remissione di debito presuppone una scelta negoziale, per lo più a causa liberale, assente nella specie; una volta correttamente qualificatala come riconoscimento di debito, in applicazione dell’art. 1988 cod.civ., il giudice avrebbe dovuto permetterle di provare il contrario cioè che di quel pagamento che si era impegnata ad eseguire non sussistevano in verità i presupposti; di conseguenza, sulla scorta di tutte le evidenze
documentali e testimoniali raccolte, il giudice a quo avrebbe dovuto ritenere superato l’erroneo riconoscimento di debito in favore della Varone e condannare la Varone al pagamento delle rate a scadere richiesto con la riconvenzionale.
Con il terzo motivo parte ricorrente si duole dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ.), e comunque della violazione degli artt. 2909 cod.civ. e 329 cpv. cod.proc.civ. nonché dell’art. 2733, 1° comma, cod.civ. (ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.), non avendo il tribunale considerato che l’impianto fotovoltaico oggetto del contratto d’acquisto con RAGIONE_SOCIALE era stato regolarmente consegnato alla Varone: tale circostanza, in origine controversa tra le parti, sarebbe stata confessata dalla COGNOME in sede di interrogatorio formale e dimostrata dalle dichiarazioni del teste COGNOME e, dopo esser stata affermata dalla sentenza di primo grado, non aveva costituito oggetto di appello da parte dell’appellante, sì che su di essa si sarebbe formato il giudicato interno.
I motivi secondo e terzo sono assorbiti dall’accoglimento del primo motivo.
Alla fondatezza del primo motivo, assorbiti il secondo e il terzo, consegue l’accoglimento del ricorso in relazione al motivo accolto, con rinvio al Tribunale di Cassino, in persona di diverso magistrato appartenente al medesimo Ufficio giudiziario, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti il secondo e il terzo, cassa in relazione l’impugnata sentenza con rinvio al Tribunale di Cassino, in persona di diverso magistrato appartenente al medesimo Ufficio giudiziario, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 17 giugno 2025 dalla Terza sezione civile della Corte di Cassazione.
Il Presidente NOME COGNOME