Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7201 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 7201 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/03/2025
R.G.N. 22343/19
C.C. 25/02/2025
Appalto -Servizi -Corrispettivo -Remissione del debito
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 22343/2019) proposto da: RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , congiuntamente con il condirettore generale, in forza di conferimento dei poteri di cui al verbale del Consiglio di amministrazione del 28 marzo 2018, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dagli Avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, nel cui studio in Roma, INDIRIZZO ha eletto domicilio;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso con contestuale ricorso incidentale condizionato, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, nel cui studio in Roma, INDIRIZZO, ha eletto domicilio;
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2414/2019, pubblicata il 3 giugno 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
viste le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ai sensi dell’art. 380 -bis .1., primo comma, secondo periodo, c.p.c., che ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse della controricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis .1., primo comma, terzo periodo, c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con ricorso depositato ai sensi dell’art. 702 -bis c.p.c. vigente ratione temporis , notificato il 28 ottobre 2015, la RAGIONE_SOCIALE adiva il Tribunale di Milano, chiedendo che la RAGIONE_SOCIALE fosse condannata al pagamento della somma di euro 364.536,00, oltre interessi, a titolo di corrispettivo per il servizio svolto di custodia di quattro impianti fotovoltaici, nel periodo compreso tra il collaudo e l’accettazione provvisoria, avvenuta per due di tali impianti in data 11 agosto 2010 e per gli altri due in data 12 novembre 2010, in forza della clausola 6.6 del contratt o d’appalto stipulato il 14 ottobre 2009 tra la stessa ricorrente -in qualità di appaltatrice -e l’allora committente RAGIONE_SOCIALE poi fusa per incorporazione nella RAGIONE_SOCIALE che aveva poi ceduto l’appalto a RAGIONE_SOCIALE quale società
di gestione del fondo immobiliare di tipo chiuso denominato RAGIONE_SOCIALE, come da comunicazione del 5 agosto 2010.
Si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, la quale chiedeva che le domande avversarie fossero rigettate, esponendo che la COGNOME aveva rinunciato definitivamente al credito, anche a fronte del conferimento di nuovi incarichi di realizzazione e manutenzione di impianti fotovoltaici, ed eccependo, in ogni caso, la propria carenza di legittimazione passiva, in ragione della vigenza del principio di separazione tra il patrimonio del Fondo e quello della SGR, sicché le domande avrebbero dovuto essere svolte nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, quale gestore del Fondo, e non certo nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in proprio.
Quindi, il Tribunale adito, con ordinanza depositata il 23 agosto 2017, rigettava le domande proposte, evidenziando che, sebbene fosse stata provata la prestazione di custodia espletata dall’appaltatrice COGNOME, ai sensi dell’art. 6.6 del contratto d’appalto da retribuirsi in maniera forfettaria nella misura di euro 400,00 giornalieri dal collaudo all’accettazione provvisoria -, nondimeno, dall’espletata istruttoria emergevano una serie di elementi comprovanti la tacita volontà del creditore di rimettere i debiti maturati dalla committente RAGIONE_SOCIALE, quale cessionaria della relativa posizione negoziale, e segnatamente: -l’attuazione dell’accordo quadro stipulato nel dicembre 2010 per altre forniture in favore di COGNOME, cui era stata sostanzialmente condizionata la rinuncia al credito di guardiania, non potendo ritenersi quale unica condizione l’acquisto delle quote della società Ugento; – il fatto che la COGNOME avesse annullato la fattura dell’agosto 2010, con mail del 15 settembre 2010, e non avesse emesso altre fatture al
riguardo sino al 2014, ossia sino al recesso da parte della società RAGIONE_SOCIALE dai contratti di manutenzione sia dei quattro impianti oggetto di causa, sia di altri quindici impianti di proprietà del Fondo gestito da RAGIONE_SOCIALE
2. -Con atto di citazione notificato il 28 settembre 2017, la RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la pronuncia di prime cure e, all’uopo, lamentava: 1) l’indebita mancata ammissione, ad eccezione del documento n. 19, dei documenti prodotti all’udienza, ai fini di contrastare le altrui difese, con violazione dei principi dettati per il processo sommario di cognizione, nel quale l’introduzione di elementi di prova non era soggetta a specifiche barriere preclusive; 2) l’erronea utilizzazione del criterio presuntivo, non applicabile in materia di remissione tacita del debito, che avrebbe potuto fondarsi solo sullo specifico accertamento di circostanze concludenti e non equivoche, assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi del diritto di credito; 3) l’errata lettura della mail del 14 settembre 2010, con cui la COGNOME aveva proposto a GAM di valutare la futura eventuale estinzione del debito solo ed esclusivamente a fronte dell’acquisto, da parte della stessa GAM, delle quote della societ à Ugento, mentre, con mail del 15 settembre 2010, si era riferita al solo annullamento della fattura emessa, relativa peraltro solo ad una parte del credito controverso, in attesa dell’eventuale definizione dei futuri rapporti inter partes e, dunque, senza che ciò comportasse alcuna asserita ed inesistente remissione del debito, così come la comunicazione della COGNOME del 15 ottobre 2010, inerente all’annullamento temporaneo della fattura in attesa che le parti eventualmente si accordassero sull’acquisto, da
parte dell’appellata, delle quote di Ugento, condizione imprescindibile per l’eventuale futura remissione del debito; 4) l’irrilevanza dei rapporti che avevano interessato il terzo COGNOME, pacificamente estraneo all’appalto e, dunque, privo di qualsiasi potere dispositivo in relazione al credito della COGNOME nei confronti di GAM; 5) l’irrilevanza altresì della circostanza che la COGNOME non avesse dichiarato il proprio credito a KPMG, in quanto l’esistenza e la liquidità di un credito non dipendevano dalla dichiarazione che dello stesso fosse stata eventualmente resa alla società di revisione, anche in considerazione della temporanea sospensione della fatturazione in quel periodo, in ragione della negoziazione di eventuali future operazioni commerciali.
Si costituiva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE, la quale instava per la dichiarazione di inammissibilità o per il rigetto dell’impugnazione, con la conseguente conferma dell’ordinanza impugnata, e -in via incidentale condizionata -chiedeva, per il caso in cui fosse stata accolta l’impugnazione avversaria, la revoca dell’ordinanza, con la riforma del capo contenente il rilievo circa l’infondatezza delle eccezioni di GAM relative al proprio difetto di legittimazione passiva, in favore del Fondo, alla stregua della separazione del patrimonio della società di gestione rispetto a quello del Fondo stesso.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Milano, con la sentenza di cui in epigrafe, accoglieva l’appello principale e, per l’effetto, in riforma dell’ordinanza impugnata, condannava la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore della RAGIONE_SOCIALE, della somma di euro 364.536,00, IVA compresa, oltre interessi nella misura contrattualmente pattuita
fino al saldo, per il titolo dedotto in causa (respingendo l’appello incidentale).
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che, sotto il profilo processuale, era pertinente la critica mossa dall’appellante in ordine alla mancata ammissione dei documenti che intendeva produrre in primo grado, posto che, da un lato, l’art. 702 -ter c.p.c. lasciava ampia discrezionalità all’organo giudicante, senza prevedere barriere preclusive, e che, dall’altro, la documentazione era utile a fornire un quadro probatorio completo e comunque quella documentazione poteva essere prodotta in appello ex art. 702quater , in quanto indispensabile ai fini del decidere, dovendosi valutare nel suo complesso il comportamento tenuto, proprio in assonanza con l’oggetto del contendere, ossia ai fini della sussistenza o meno di una remissione (espressa o tacita) del debito; b ) che il carattere neutro della causa remissoria, secondo la previsione di cui all’art. 1236 c.c., rendeva conciliabile la figura con un particolare assetto di interessi di più ampia portata perseguito pattiziamente dal creditore e dal debitore del rapporto in cui la remissione si fosse inserita, e ciò indipendentemente da qualsiasi ipotesi transattiva, donde non poteva escludersi che la figura si presentasse legittimamente in concreto secondo lo schema del contratto, sicché, sia che l’atto remissorio si fosse inserito in una trattativa in corso, sia che avesse avuto attinenza ad un contratto concluso, nulla precludeva al remittente di condizionare sospensivamente l’efficacia estintiva del r apporto obbligatorio originario o alla conclusione del contratto o all’esecuzione del contratto stesso, in tutte le sue componenti; c )
che, oltre a manifestarsi espressamente (in modo eventualmente condizionato), la remissione del debito, pur non potendosi presumere, poteva ricavarsi anche da una manifestazione tacita, ma in tal caso sarebbe stato indispensabile che la volontà abdicativa fosse risultata da una serie di circostanze concludenti e non equivoche assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi del diritto di credito, con l’effetto che, in applicazione di tale principio, dallo scambio di corrispondenza intercorso tra le parti non avrebbe potuto desumersi una chiara volontà abdicativa della COGNOME che prescindesse dall’acquisto di quote della società RAGIONE_SOCIALE da parte della GAM; d ) che il tenore letterale della proposta in tal senso contenuta nella mail del 14 settembre 2010 non lasciava, infatti, spazio a diverse interpretazioni e la condizione ivi indicata, a cui era stata espressamente sottoposta la remissione del debito, pacificamente non si era verificata, poiché nel successivo contratto-quadro la GAM aveva proceduto so lo all’acquisto del diritto di superficie sul quale sorgeva l’impianto e non a quello delle quote societarie, ciò che avrebbe potuto portare i vantaggi fiscali compensativi della perdita del credito, e tanto in coerenza con il comportamento della COGNOME, che aveva temporaneamente annullato la fattura emessa, relativa peraltro solo ad una parte del credito, manifestando la volontà di sospendere, e non di estinguere definitivamente, la sua pretesa creditoria per l’attività di custodia, proprio perché le part i stavano negoziando eventuali future operazioni commerciali; e ) che il solo fatto che non fossero state emesse altre fatture, sino al 2014, non poteva considerarsi comportamento inequivoco della volontà di remissione, altrimenti la semplice inerzia del creditore nel periodo
di decorrenza della prescrizione avrebbe rischiato di essere considerata ex se causa estintiva, a prescindere dal maturare del termine di legge; f ) che la circostanza che la COGNOME si fosse attivata per pretendere il dovuto, una volta venuti meno nel 2014 i contratti di manutenzione stipulati con la società RAGIONE_SOCIALE, sia dei quattro impianti oggetto di causa, sia di altri quindici impianti di proprietà del Fondo gestito da RAGIONE_SOCIALE, costituiva aspetto attinente più alle strategie commerciali -volte a non incrinare i rapporti con la società che poteva incrementare quell’attività che non al negozio di remissione, così come non era configurabile come confessione stragiudiziale la mancata indicazione di quel credito a KPMG, in quanto la sua attualità ed esistenza non dipendevano certo dalla dichiarazione che dello stesso fosse stata eventualmente resa alla società di revisione; g ) che, con riferimento allo spiegato appello incidentale condizionato, i fondi di investimento non costituivano soggetti di diritto a sé stanti, bensì patrimoni separati della società di gestione che li aveva istituiti, il che rendeva addirittura insostenibile la pretesa di fare intestare beni immobili al fondo, in luogo della società di gestione.
3. -Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, la RAGIONE_SOCIALE
Ha resistito, con controricorso, l’intimata RAGIONE_SOCIALE che -a sua volta -ha proposto ricorso incidentale condizionato, articolato in un unico motivo.
Ha resistito al ricorso incidentale condizionato, con ulteriore controricorso, la RAGIONE_SOCIALE
4. -Il Pubblico Ministero ha presentato conclusioni scritte. La controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 81 e 101 c.p.c. e dell’art. 111 Cost. nonché degli artt. 36, quarto comma, e 57, comma 6bis , T.U.F., in ordine all’eccepita carenza di legittimazione passiva, per avere la Corte di merito disatteso il rilievo circa la carenza di legittimazione della GAM in proprio e non già in qualità di gestore del fondo RAGIONE_SOCIALE, benché le RAGIONE_SOCIALE (società di gestione del risparmio) avessero un patrimonio separato da quello dei fondi comuni dalle stesse gestiti e i fondi rispondessero delle obbligazioni contratte per loro conto esclusivamente con il proprio patrimonio e non certo con quello della società di gestione.
Obietta l’istante che, nel caso di specie, le domande proposte dalla COGNOME, nei confronti della RAGIONE_SOCIALE -convenuta in proprio e non in qualità di società di gestione del Fondo -, avevano ad oggetto pretese di pagamento pacificamente riconducibili al Fondo dalla stessa gestito e non certo a RAGIONE_SOCIALE in proprio, a fronte appunto della sottoscrizione della documentazione contrattuale a cura di GAM, in nome e per conto del Fondo.
In questa prospettiva, sostiene la ricorrente principale che l’attribuzione di autonomia patrimoniale ai fondi comuni di investimento, con il riconoscimento della loro capacità di essere titolari di diritti sostanziali e processuali, sarebbe stata comprovata: dall’art. 36, quarto comma, T.U.F., secondo cui ciascun fondo comune di investimento avrebbe costituito patrimonio autonomo, distinto a tutti gli effetti dal patrimonio della società di gestione del risparmio e da quello di ciascun
partecipante nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla società medesima, con la previsione ulteriore che, quanto alle obbligazioni contratte per conto del fondo, la SGR avrebbe risposto esclusivamente con il patrimonio del fondo medesimo; dall’art. 57, comma 6 -bis , T.U.F., nella parte in cui prevede la possibilità che i fondi comuni di investimento siano ammessi alla procedura di liquidazione coatta amministrativa; dall’art. 6, comma 8bis , della legge n. 183/2011, nella parte in cui dispone che i fondi istituiti dalla società di gestione del risparmio del Ministero dell’economia e delle finanze possono acquistare beni immobili.
2. -Con il secondo motivo la ricorrente principale prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per vizio motivazionale radicale e la violazione degli artt. 132, 276 c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., per avere la Corte territoriale condannato illogicamente al pagamento la GAM in proprio, nonostante avesse osservato che i fondi di investimento non costituissero soggetti di diritto a sé stanti, bensì patrimoni separati dalla società di gestione che li aveva istituiti.
Osserva l’istante che la motivazione sarebbe stata gravemente viziata, in quanto palesemente contraddittoria e frutto di contrasto tra affermazioni inconciliabili, tali da non consentire la comprensione dell’ iter argomentativo seguito, laddove -da un lato -riconosceva che i fondi di investimento costituissero patrimoni separati dalla società di gestione del risparmio mentre -dall’altro non accoglieva l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dalla RAGIONE_SOCIALE, convenuta in giudizio in proprio e non quale titolare del fondo.
3. -Con il terzo motivo la ricorrente principale lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 702bis , 702ter , 702quater , 183, 184 e 345 c.p.c., in merito all’ammissione di nuovi documenti in appello, nonché degli artt. 24 e 111 Cost., in tema di violazione del diritto di difesa, per avere la Corte distrettuale ritenuto che fosse sempre possibile la produzione di nuovi documenti nel corso del procedimento sommario di cognizione, senza alcuna barriera preclusiva, e che -in ogni caso -la documentazione poteva essere prodotta nel giudizio d’appello avverso l’ordinanza conclusiva del procedimento sommario, in quanto indispensabile ai fini del decidere, con precipuo riguardo alla valutazione della sussistenza di una remissione del debito.
Espone l’istante che correttamente il Tribunale aveva dichiarato la tardività della produzione documentale versata dalla COGNOME solo nel corso dell’udienza di discussione sull’ammissibilità delle istanze istruttorie, poiché, a fronte dell’ iter procedimentale semplificato e deformalizzato, le parti avrebbero potuto svolgere allegazioni e formulare richieste istruttorie esclusivamente fino all’udienza fissata per la trattazione del ricorso o comunque entro i termini assegnati dal giudice per eventuali memorie ed integrazioni documentali e non oltre.
Aggiunge la ricorrente principale che la produzione di documenti nuovi in appello non avrebbe potuto riguardare le prove documentali dichiarate inammissibili nel grado precedente, poiché, in tal caso, la richiesta di ammissione avrebbe dovuto essere reiterata all’udienza di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado, dovendo altrimenti ritenersi che la parte
vi avesse tacitamente rinunciato, con la conseguente inammissibilità della riproposizione della medesima richiesta in appello, sicché, a fronte dell’ammissione dei documenti, sarebbero stati altresì gravemente lesi il diritto di difesa e l’integrità del contraddittorio processuale.
4. -Con il quarto motivo la ricorrente principale si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, con riferimento all’intervenuta remissione del debito ex art. 1236 c.c., per avere la Corte del gravame -nell’escludere, alla luce della comparazione dei documenti esaminati, che vi fosse stata alcuna remissione del debito -tralasciato ogni valutazione su una circostanza dirimente, rappresentata dalla comunicazione via mail del 15 settembre 2010, da cui sarebbe stata ricavabile una definitiva remissione del debito da parte di COGNOME a fronte di un accordo sulle prossime forniture.
Sicché dalla predetta mail trascurata sarebbe emerso inequivocabilmente che la remissione del debito era condizionata al conferimento di nuovi incarichi in favore di COGNOME e non più all’acquisto delle quote della società Ugento, condizione sui nuovi incarichi poi puntualmente verificatasi, anche per il tramite della società Garnell, che aveva conferito a COGNOME numerosi nuovi incarichi di realizzazione e manutenzione di ulteriori impianti fotovoltaici e aveva proceduto all’acquisto dell’impianto fotovoltaico di Ugento.
5. -Il quinto motivo del ricorso principale investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2735 c.c., con riferimento alla natura di
confessione stragiudiziale delle comunicazioni inviate da COGNOME per avere la Corte d’appello escluso che fosse configurabile una confessione stragiudiziale nella mancata indicazione del credito oggetto di causa a KPMG, in quanto la sua attualità ed esistenza non sarebbero dipesi certo dalla dichiarazione che dallo stesso fosse stata eventualmente resa alla società di revisione, con la conseguente erronea negazione, in modo apodittico, della natura confessoria di tali mancate dichiarazioni, per ben quattro anni (dal 2010 al 2014), in favore della società di revisione, che aveva appunto il compito di procedere alla revisione del bilancio del fondo, dichiarazioni nelle quali non sarebbe stata, in alcun modo, mai menzionato l’asserito credito oggetto di lite.
Adduce l’istante che le comunicazioni inviate da COGNOME alla società di revisione avrebbero integrato pienamente una confessione stragiudiziale resa al terzo, in quanto si sarebbe trattato di dichiarazioni di scienza provenienti dalla parte che ora si assumeva essere creditrice, aventi come tali, anche alla luce della lettura combinata con la mail del 15 settembre 2010, efficacia probatoria sulla intervenuta rinuncia del credito da parte di COGNOME.
6. -Il sesto motivo del ricorso principale riguarda, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. nonché dell’art. 2 Cost., per avere la Corte di secondo grado reputato che l’attivazione di COGNOME, ai fini di pretendere il dovuto una volta venuti meno i contratti di manutenzione stipulati con la società terza RAGIONE_SOCIALE nell’anno 2014, fosse riconducibile alle strategie commerciali e non all’integrazione di un negozio di remissione, così ap plicando
erroneamente i principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei vincoli negoziali, peraltro entrando nel merito di pretese strategie commerciali che nessuna attinenza avrebbero avuto con il dovere delle parti nel rapporto obbligatorio di comportarsi in modo solidaristico e altruistico.
Per l’effetto, ad avviso dell’istante, la sentenza impugnata avrebbe finito con il giustificare l’illegittima condotta di COGNOME che -dopo aver strategicamente rinunciato al proprio diritto di credito al solo fine di fruire degli ingenti vantaggi economici derivanti alla stessa dagli ulteriori nuovi incarichi ricevuti da RAGIONE_SOCIALE (per oltre 27 milioni di euro) -aveva pensato bene, a causa del mutato scenario negoziale disvelatosi dopo diversi anni, di richiedere pretestuosamente l’adempimento di un’obbligazione da tempo estinta e rinunciata, così legittimando la malafede di COGNOME, consistente nell’attesa della richiesta di pagamento del proprio credito, facendo credere a RAGIONE_SOCIALE di avervi rinunciato, al solo scopo di non incrinare i rapporti con la società e mantenere, per l’effetto, nel tempo, con l’inganno, i vantaggi economici derivanti dai nuovi incarichi conferiti da GAM.
Assume, ancora, la ricorrente principale che la sentenza impugnata avrebbe altresì violato il principio di buona fede, inteso quale fonte di obblighi integrativi, poiché, non considerando la condotta assunta da COGNOME, non sarebbero stati esaminati i pregiudizi che, se fosse realmente esistito il credito litigioso, COGNOME avrebbe causato a terzi, quali i creditori, gli aventi causa e i revisori del fondo.
7. -Ha valenza pregiudiziale, in quanto attinente al profilo processuale dell’ammissibilità della produzione documentale nel
corso del procedimento ‘sommario’ (oggi semplificato) di cognizione, lo scrutinio del terzo motivo.
La censura è infondata.
Ed invero il procedimento in questione non risulta connotato dalle rigide preclusioni assertive e asseverative stabilite per il procedimento ordinario, essendo piuttosto caratterizzato dall’omissione di ogni formalità non essenziale al contraddittorio e dalla discrezionalità attribuita al giudice di procedere nel modo ritenuto più opportuno agli atti di istruzione rilevanti, in relazione all’oggetto del provvedimento richiesto, come prescritto dall’art. 702ter , quinto comma, c.p.c. vigente ratione temporis (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14315 del 22/05/2024; Sez. 2, Ordinanza n. 14734 del 10/05/2022).
Ne consegue che, poiché non è contemplata alcuna sanzione processuale in relazione al mancato rispetto del requisito di specifica indicazione dei mezzi di prova e dei documenti di cui il ricorrente ed il resistente intendano, rispettivamente, avvalersi, né in relazione alla mancata allegazione di detti documenti al ricorso o alla comparsa di risposta, risulta ammissibile la produzione documentale successiva al deposito del primo atto difensivo e fino alla pronuncia dell’ordinanza conclusiva (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 19226 del 12/07/2024; Sez. 6-2, Ordinanza n. 46 del 07/01/2021).
Pertanto, a fronte della specifica contestazione mossa dall’appellante avverso la decisione del Tribunale di non ammettere i documenti prodotti nel corso del procedimento sommario di cognizione, in quanto asseritamente tardivi, la Corte
d’appello ne ha correttamente ritenuto l’ammissibilità, utilizzandoli per la riforma dell’ordinanza appellata.
-A questo punto, il primo e il secondo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in quanto avvinti da evidenti ragioni di connessione logica e giuridica.
Tali doglianze sono infondate.
Infatti, i fondi comuni d’investimento (nella specie, fondi immobiliari chiusi), disciplinati nel d.lgs. n. 58/1998, e succ. mod., sono privi di un’autonoma soggettività giuridica ma costituiscono patrimoni separati della società di gestione del risparmio; pertanto, in caso di acquisto nell’interesse del fondo, l’immobile acquistato deve essere intestato alla società promotrice o di gestione la quale ne ha la titolarità formale ed è legittimata ad agire in giudizio per far accertare i diritti di pertinenza del patrimonio separato in cui il fondo si sostanzia (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12062 del 08/05/2019; Sez. 1, Sentenza n. 16605 del 15/07/2010).
Sotto l’aspetto dei rapporti obbligatori, proprio in ragione del fatto che detti fondi sono privi di un’autonoma soggettività giuridica e costituiscono patrimoni separati della società di gestione del risparmio, soggetti passivi del rapporto obbligatorio sono le società di gestione, come tali tenute al pagamento dei debiti (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 33895 del 22/12/2024; Sez. 5, Ordinanza n. 7116 del 09/03/2023; Sez. 6-1, Ordinanza n. 11177 del 11/06/2020).
Concetto, questo, debitamente prospettato dalla sentenza impugnata, senza alcuna contraddizione.
9. -Il quarto motivo è inammissibile.
Attraverso tale motivo la ricorrente principale contesta, nella sostanza, la valutazione della Corte d’appello in ordine al valore dei documenti esaminati (e in particolare delle mail del 14 settembre 2010 e del 15 settembre 2010), elementi da cui il giudicante ha tratto il convincimento che la remissione del debito fosse condizionata alla cessione delle quote della società RAGIONE_SOCIALE
Nei termini anzidetti la doglianza postula una rivalutazione degli accertamenti in fatto, che non può essere svolta in questa sede (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. 6-5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
A fortiori ineccepibile in termini giuridici è il ragionamento sull’integrazione dei presupposti della remissione tacita del debito e sull’ammissibilità della remissione condizionata.
In ordine a tali argomenti è stata, infatti, applicata la giurisprudenza consolidata di legittimità, a mente della quale, per un verso, pur non potendosi presumere, la remissione del debito può ricavarsi anche da una manifestazione tacita di volontà, ma in tal caso è indispensabile che la volontà abdicativa risulti da una serie di circostanze concludenti e non equivoche, assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi del diritto di credito (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 16125 del 14/07/2006; Sez. 1, Sentenza n. 11749 del 18/05/2006; Sez. 3, Sentenza n. 4 del 06/01/1982); e, per altro verso, il carattere neutro della causa remissoria, secondo la previsione tipica dell’art. 1236 c.c., rende conciliabile la figura con un particolare assetto di interessi di più ampia portata perseguito pattiziamente dal creditore e dal
debitore del rapporto, in cui la remissione si inserisca, e ciò indipendentemente da qualsiasi ipotesi transattiva; sicché in tale configurazione, sia che l’atto remissorio si inserisca in una trattativa in corso, sia che attenga, come componente, ad un contratto concluso, nulla preclude al remittente di condizionare sospensivamente l’efficacia estintiva del rapporto obbligatorio originario o alla conclusione del contratto o alla realizzazione dell’esecuzione del contratto stesso in tutte le sue componenti (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2921 del 14/03/1995; Sez. 2, Sentenza n. 5260 del 05/08/1983; Sez. 3, Sentenza n. 936 del 09/05/1967).
Ebbene alla luce di tali direttive, con debite argomentazioni, la Corte d’appello ha escluso che vi fosse stata una remissione tacita e che si fosse realizzata la condizione a cui era subordinata la remissione (ossia la cessione, direttamente in favore di GAM, delle quote della Ugento).
10. -Il quinto motivo è infondato.
Questo perché il mero contegno omissivo, rappresentato dalla mancata indicazione del credito poi azionato nelle dichiarazioni rese alla società di revisione, non implica alcuna ammissione di fatti a sé sfavorevoli e favorevoli all’altra parte ex art. 2730, primo comma, c.c.
Di ciò ha dato atto il giudicante, secondo un apprezzamento riservato al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimità, in quanto sorretto da adeguata e logica motivazione (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12803 del 27/09/2000; Sez. 3, Sentenza n. 6246 del 24/11/1981; Sez. 3, Sentenza n. 6298 del 02/12/1980).
Peraltro, tale mancata indicazione è avvenuta nei confronti di un terzo, con la conseguenza che la ipotetica (ma in realtà inesistente) confessione non avrebbe avuto, in ogni caso, valore legale, ma avrebbe dovuto essere apprezzata dal giudice unitamente agli altri elementi di prova, ai sensi dell’art. 2735, primo comma, secondo periodo, c.c. (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 11898 del 18/06/2020; Sez. 2, Sentenza n. 25468 del 16/12/2010; Sez. L, Sentenza n. 29316 del 15/12/2008).
11. -Anche il sesto motivo è infondato.
Ed invero l’inerzia del creditore nell’escutere il debitore anche se per un fatto a lui imputabile e per un tempo tale da far ragionevolmente ritenere al debitore che il diritto non sarà più esercitato -non è sufficiente ad integrare un contegno concludente da cui desumere univocamente la tacita volontà di rinunciare al diritto, né rappresenta un caso di abuso del diritto, perché il semplice ritardo di una parte nell’esercizio delle proprie prerogative può dar luogo ad una violazione del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto soltanto se, non rispondendo ad alcun interesse del suo titolare, si traduce in un danno per la controparte (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 11219 del 26/04/2024; Sez. L, Ordinanza n. 1888 del 28/01/2020; Sez. 1, Sentenza n. 23382 del 15/10/2013).
Nella fattispecie l’interesse del titolare ad azionare il credito in via postuma è stato prontamente evidenziato dalla sentenza impugnata, la quale ha valorizzato le strategie commerciali perseguite dalla COGNOME, volte a non incrinare i rapporti con la società che poteva incrementare l’attività inerente alla
realizzazione di impianti fotovoltaici, tanto da escludere che detto contegno inerte fosse riconducibile al negozio di remissione.
Sicché del tutto legittimamente, venuti meno i contratti di manutenzione in essere, la COGNOME ha fatto valere la pretesa di soddisfare le proprie spettanze pecuniarie in ordine alla custodia esercitata degli impianti fotovoltaici (secondo le condizioni di contratto).
-Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, la controricorrente chiede che, nel caso di accoglimento del ricorso principale, sia accertato e dichiarato il diritto della COGNOME ad ottenere da GAM il pagamento dei corrispettivi contrattuali di cui all’art. 6.6 del contratto di appalto, per l’importo di euro 364.536,00, oltre interessi nella misura contrattualmente pattuita, ovvero -in subordine -per il diverso importo, maggiore o minore, risultante di giustizia o liquidato in via equitativa, o che sia accertato l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE, con la conseguente condanna per la somma indicata.
12.1. -L’esame, anche quanto alla verifica della sua ammissibilità, del ricorso incidentale condizionato è assorbito dal rigetto del ricorso principale.
-In conseguenza delle argomentazioni esposte, il ricorso principale deve essere respinto mentre il ricorso incidentale condizionato è assorbito.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato e condanna la ricorrente alla refusione, in favore della controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 12.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda