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Remissione del debito: il silenzio non basta

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7201/2025, ha chiarito i presupposti per la remissione del debito. Nel caso esaminato, una società di gestione di un fondo di investimento sosteneva che un’impresa appaltatrice avesse rinunciato tacitamente a un credito per servizi di custodia. La Suprema Corte ha confermato la decisione d’appello, stabilendo che la remissione del debito tacita richiede una volontà inequivocabile del creditore, incompatibile con il mantenimento del diritto. La semplice inerzia o la mancata fatturazione per un periodo, giustificate da strategie commerciali, non sono sufficienti. Inoltre, è stato ribadito che i fondi di investimento sono patrimoni separati ma privi di soggettività giuridica, pertanto le obbligazioni sono imputabili alla società di gestione che li amministra.

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Remissione del debito: quando il silenzio del creditore non significa rinuncia

La remissione del debito è un tema delicato nei rapporti commerciali. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione, l’ordinanza n. 7201/2025, offre importanti chiarimenti su quando un comportamento omissivo del creditore possa essere interpretato come una rinuncia al proprio diritto. La Corte ha stabilito che per una remissione tacita è necessaria una manifestazione di volontà chiara e inequivocabile, non potendosi desumere dalla semplice inerzia o da strategie commerciali. Analizziamo insieme la vicenda.

I Fatti di Causa: una controversia sui corrispettivi

Una società energetica citava in giudizio una Società di Gestione del Risparmio (SGR) per ottenere il pagamento di circa 365.000 euro. Tale somma era dovuta come corrispettivo per un servizio di custodia di quattro impianti fotovoltaici, svolto tra il 2010 e il 2014. Gli impianti erano di proprietà di un fondo di investimento immobiliare gestito dalla SGR convenuta.

La SGR si difendeva sostenendo che la società creditrice avesse rinunciato tacitamente al credito. A riprova di ciò, evidenziava una serie di circostanze, tra cui:
* L’annullamento di una fattura iniziale.
* La mancata emissione di altre fatture per quasi quattro anni.
* La stipula di un nuovo accordo quadro per future forniture, che secondo la SGR era condizionato alla rinuncia al credito pregresso.

Il Tribunale di primo grado accoglieva la tesi della SGR, rigettando la domanda di pagamento e ravvisando una tacita volontà della creditrice di rimettere il debito.

L’Appello e la riforma della decisione

La società energetica impugnava la decisione. La Corte d’Appello ribaltava completamente la sentenza di primo grado. Secondo i giudici d’appello, la documentazione prodotta, e in particolare uno scambio di email, dimostrava che l’eventuale remissione del debito era stata espressamente condizionata all’acquisto, da parte della SGR, delle quote di una società terza, condizione che non si era mai verificata.

La Corte territoriale chiariva che la mancata emissione di fatture e l’attesa prima di agire in giudizio erano riconducibili a strategie commerciali volte a non compromettere i rapporti in essere e le future opportunità di business, e non a una volontà di rinunciare al credito. Di conseguenza, la SGR veniva condannata al pagamento della somma richiesta, oltre interessi.

Il ricorso in Cassazione e i punti chiave della remissione del debito

La SGR proponeva ricorso per Cassazione, basandosi su diversi motivi. I principali argomenti riguardavano:

1. Difetto di legittimazione passiva: La SGR sosteneva di non essere il soggetto corretto da citare in giudizio, poiché le obbligazioni riguardavano il patrimonio del fondo di investimento, da considerarsi un’entità autonoma.
2. Errata valutazione della remissione del debito: Secondo la ricorrente, la Corte d’Appello aveva interpretato erroneamente le comunicazioni tra le parti, ignorando elementi che provavano una rinuncia definitiva al credito in cambio di nuovi incarichi.
3. Violazione del principio di buona fede: La SGR lamentava che il comportamento della creditrice, che aveva atteso anni prima di richiedere il pagamento, costituisse un abuso del diritto e violasse i doveri di correttezza contrattuale.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso della SGR, fornendo chiarimenti fondamentali su tutti i punti sollevati.

Sulla legittimazione passiva della SGR

La Corte ha ribadito un principio consolidato: i fondi comuni di investimento, pur essendo patrimoni separati, sono privi di soggettività giuridica. Essi non sono entità distinte dalla società che li gestisce. Pertanto, la SGR è l’unico soggetto titolare dei rapporti giuridici posti in essere per conto del fondo e, di conseguenza, risponde delle relative obbligazioni. L’eccezione di carenza di legittimazione passiva è stata quindi respinta.

Sulla configurabilità della remissione del debito tacita

Questo è il cuore della decisione. La Cassazione ha confermato l’orientamento secondo cui la remissione del debito non può essere presunta. Una rinuncia tacita può essere riconosciuta solo in presenza di un comportamento del creditore che sia concludente, inequivocabile e assolutamente incompatibile con la volontà di avvalersi del diritto di credito.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva correttamente valutato che l’offerta di remissione era condizionata a un evento (l’acquisto di quote societarie) mai verificatosi. La successiva inerzia della creditrice era stata motivata da logiche commerciali e non poteva essere interpretata come una rinuncia definitiva. Il semplice ritardo nell’esercizio di un diritto, se non supera i termini di prescrizione, non ne comporta l’estinzione.

Sulla violazione della buona fede

Infine, la Suprema Corte ha escluso che il ritardo nell’azione legale costituisse una violazione del principio di buona fede. Un tale ritardo può integrare un abuso del diritto solo se non risponde ad alcun interesse apprezzabile del titolare e, al contempo, causa un danno ingiusto alla controparte. Nel caso esaminato, l’interesse della società creditrice a mantenere buoni rapporti commerciali con la SGR per ottenere nuovi incarichi era una giustificazione valida e legittima per posticipare la richiesta di pagamento.

Conclusioni

L’ordinanza in commento rafforza alcuni principi cardine del diritto delle obbligazioni e del diritto commerciale. In primo luogo, conferma che la responsabilità per le obbligazioni di un fondo di investimento ricade sulla SGR che lo gestisce. In secondo luogo, e più importante, stabilisce che la remissione del debito richiede prove solide e inequivocabili. L’inerzia del creditore, se giustificata da interessi meritevoli di tutela come le strategie commerciali, non può essere interpretata come una tacita rinuncia al credito. Questa decisione rappresenta un importante monito per i debitori: non si può fare affidamento sul silenzio della controparte per considerare estinta un’obbligazione, a meno che tale silenzio non sia accompagnato da circostanze che rendano palese e indiscutibile la volontà abdicativa del creditore.

Un fondo comune di investimento ha una propria soggettività giuridica e può essere citato in giudizio?
No. Secondo la Corte, i fondi comuni di investimento sono privi di un’autonoma soggettività giuridica. Essi costituiscono patrimoni separati della società di gestione del risparmio (SGR), la quale è l’unico soggetto titolare dei rapporti giuridici e quindi responsabile per le obbligazioni contratte nell’interesse del fondo.

Quando un debito si può considerare rinunciato tacitamente dal creditore?
La remissione tacita di un debito richiede una manifestazione di volontà del creditore che sia inequivocabile e assolutamente incompatibile con l’intenzione di mantenere il proprio diritto. La semplice inerzia, come la mancata emissione di fatture per un certo periodo, non è sufficiente se può essere spiegata da altre ragioni, come strategie commerciali.

Il ritardo di un creditore nel richiedere il pagamento viola il principio di buona fede?
Non necessariamente. Il semplice ritardo nell’esercizio di un diritto non costituisce una violazione del principio di buona fede o un abuso del diritto, a meno che non risponda ad alcun interesse del titolare e si traduca in un danno ingiusto per la controparte. Nel caso di specie, l’interesse a non incrinare i rapporti commerciali per future opportunità è stato considerato una giustificazione legittima per il ritardo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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