Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4102 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4102 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8355/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, e per essa quale mandataria la RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 384/2021 depositata il 20/01/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ricorre, sulla base di sei motivi, corredati da memoria, per la cassazione della sentenza n. 384 del 2021 della Corte di appello di RAGIONE_SOCIALE, esponendo che:
–RAGIONE_SOCIALE, già società RAGIONE_SOCIALE, l’aveva convenuta in giudizio per ottenere la condanna al rilascio di un immobile a séguito della risoluzione del relativo contratto di leasing, con condanna al pagamento di un’indennità di occupazione fino alla restituzione, nonché al risarcimento dei danni per non aver permesso l’ulteriore commercializzazione del bene;
-l’attrice aveva esposto che, originariamente, la RAGIONE_SOCIALE, nell’aprile 2002, aveva acquistato il cespite dalla RAGIONE_SOCIALE per cederlo in locazione finanziaria alla RAGIONE_SOCIALE, come avvenuto in pari data, e quest’ultima società aveva concordato la cessione del contratto in parola alla deducente sicché, essendo mancato il pagamento di plurimi canoni, era stata comunicata la risoluzione ai sensi dell’art. 1456, cod. civ., come da clausola del negozio, art. 17, con conseguente responsabilità anche solidale dei garanti;
-era stata chiamata in causa la COGNOME la quale aveva chiesto che fosse reso il conto della somma posta a disposizione della locatrice a garanzia del pagamento dei canoni per cinque anni, con conseguente obbligazione restitutoria dell’eccesso;
-la deducente e la COGNOME avevano specificato che: la venditrice aveva versato una somma quale importo della prima rata dovuta per il contratto di leasing, e l’ulteriore valore a titolo garanzia; la società alienante aveva effettuato la vendita per finanziare il debito bancario nei confronti della banca BNL, con l’intento di rimanere utilizzatrice anche indiretta del cespite, perciò anticipando e garantendo il pagamento dei ratei; l’esborso della venditrice era stato indicato in una proposta di RAGIONE_SOCIALE firmata dal direttore generale di RAGIONE_SOCIALE, in cui era stato previsto il pagamento del primo canone come anticipo, il pegno su titoli di persone fisiche quanto alla somma data in garanzia per il quinquennio, e con l’aggiunta di fideiussioni personali;
-il Tribunale aveva dichiarato risolto il contratto e condannato la deducente al pagamento dei canoni sino all’effettivo rilascio, negando che le riassunte controdeduzioni fossero state provate, posto che: era stata esibita la copia di una mera proposta di RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE; erano stati depositati tre assegni circolari che nulla avevano dimostrato in ordine alla specifica garanzia allegata; era stata prodotta copia di una scrittura privata del novembre 2005 che aveva autorizzato lo svincolo di garanzia pignoratizia di polizze vita, con sostituzione a mezzo di fideiussioni; la disposizione contenuta nell’art. 1526, cod. civ., era stata legittimamente derogata dalle parti con la clausola penale
fatta valere dalla locatrice, che comunque non veniva in gioco quanto al pagamento di tutti canoni a scadere, poiché l’originaria attrice aveva domandato solo il pagamento dei ratei fino al rilascio, laddove per valutare la riduzione giudiziale della clausola, in ogni caso, sarebbe stata necessaria la restituzione del bene;
-la Corte di appello aveva disatteso il gravame osservando, in particolare, per quanto qui ancora importa, che: era onere della parte provare gli affermati versamenti non potendosi demandare ciò a una consulenza esplorativa per la ricostruzione di generici rapporti di dare avere, mentre mai erano stati oggetto di contestazioni, in primo grado o in appello, la misura degli interessi contrattuali applicati o il valore dell’immobile; l’unica copia del contratto conforme all’originale era quella prodotta da RAGIONE_SOCIALE, mentre quella prodotta da CAM non lo era; la ricostruzione della deducente era rimasta priva di riscontro probatorio, e, in specie:
-il tenore del contratto, art. 5, aveva smentito il pagamento del primo canone; il pegno, basato su non meglio precisata scrittura privata, non era stato neppure specificato quanto a tipologia, ammontare e valore nominale dei correlati titoli; non era stato dimostrato che COGNOME avesse utilizzato il ricavato della vendita per il pagamento del primo rateo e per costituire il pegno, né nulla aveva potuto dimostrare una mera proposta di RAGIONE_SOCIALE che si riferiva in realtà a una non meglio specificata operazione di leasing immobiliare garantita sì da pegno ma su non meglio specificati titoli, così come la fotocopia di tre assegni ad ‘uso interno’, emessi da NOME in favore di tale ‘NOME‘, nulla avevano potuto dimostrare
sui dedotti versamenti e sulla dedotta costituzione della garanzia reale;
-la copia della scrittura privata del novembre 2005 tra RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE, e la società RAGIONE_SOCIALE, aveva attestato: il consenso della concedente al riscatto da parte dell’utilizzatrice relativo a un leasing immobiliare avente ad oggetto un differente immobile, con svincolo della garanzia pignoratizia di polizze vita contestualmente al citato riscatto; l’autorizzazione al subentro della CAM a fronte di fideiussione senza menzione di garanzie pignoratizie;
-aveva aggiunto la Corte di appello che: era incontestato il mancato pagamento dei canoni, anzi confermato, fino all’ottobre 2007, da una sentenza di primo grado passata in cosa giudicata; era da confermare la statuizione del Tribunale sulla derogabilità del disposto dell’art. 1526, cod. civ., essendo stata pattuita una clausola penale della riduzione giudiziale della quale, però, neppure si discorreva, posta la differente richiesta di pagamento di un’indennità di occupazione come detto fino al rilascio, pari al danno effettivamente subìto; infine, non era stato invece provato l’ulteriore danno da mancata commercializzazione del bene tipicamente con altra locazione finanziaria;
resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE;
Rilevato che
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 183, 189, 190-bis, 281-ter, 345, 359, 115, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato ritenendo di non ammettere i mezzi istruttori richiesti senza esito in prime cure, prova orale e richieste di esibizione, per la pretesa mancanza
di reiterazione dell’istanza in sede di precisazione delle conclusioni davanti al Tribunale, posto che la deducente si era comunque riportata a tutte le richieste in atti, motivandone le ragioni in comparsa conclusionale per poi ribadirle ragionatamente nell’atto di appello, tenuto altresì conto del fatto che, al pari della consulenza tecnica pur sollecitata, sarebbe così potuta emergere la contrarietà dell’operazione negoziale alle norme imperative inerenti al ‘lease -back’ e alla pattuizione d’interessi usurai;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 61, 183, 116, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di constatare che, dalla prodotta denuncia in atti agli altri documenti prodotti e non disconosciuti dalla controparte, era emerso quanto bastava per disporre la ricostruzione contabile, peraltro comunque esplicata nelle note illustrative del 10 marzo 2017, e nella comparsa conclusionale, così che si sarebbe potuta doverosamente evincere la violazione delle già richiamate norme imperative rientranti nel perimetro delle rilevabilità d’ufficio;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1456, 1460, 2721, 2744, cod. civ., 116, cod. proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di apprezzare la documentazione di cui alle note illustrative già citate, da cui emergeva la prova delle operazioni di cui ai documenti prodotti con la memoria depositata ai sensi dell’art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., fermo che: sulla prodotta documentazione della proposta di RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE pendeva giudizio penale; vi era prova del versamento degli assegni su conto della banca Antonveneta per l’acquisto dei titoli poi dati in pegno; con le più volte menzionate note illustrative erano state prodotte distinte di versamento corrispondenti al primo canone da pagare; la richiesta di rateizzazione dei canoni da pagare, della deducente, non sussistendo la debenza pretesa, in base all’esposta
ricostruzione contabile da avallare in via peritale, avrebbe dovuto considerarsi ‘tamquam non esset’;
con il quarto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1526, cod. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato non riducendo la penale pattuita posto che, trattandosi di leasing traslativo, le rate includevano una parte di pagamento anticipato del prezzo finale dell’immobile da riscattare come da opzione;
con il quinto e sesto motivo si prospetta l’errore della Corte di appello per aver disposto la condanna alle spese di lite e al pagamento dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il contributo unificato di cui al giudizio di appello, stante la fondatezza delle fin qui sintetizzate censure;
Considerato che
i primi tre motivi di ricorso sono in parte infondati, in parte inammissibili;
questa Corte ha progressivamente precisato che:
la parte che si sia vista rigettare dal giudice di primo grado le proprie richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle al momento della precisazione delle conclusioni poiché, diversamente, le stesse debbono intendersi rinunciate e non possono essere riproposte in appello, e tale onere non è assolto attraverso il richiamo generico al contenuto dei precedenti atti difensivi, atteso che la precisazione delle conclusioni deve avvenire in modo specifico, coerentemente con la funzione sua propria di delineare con precisione il “thema” sottoposto al giudice e di porre la controparte nella condizione di prendere posizione in ordine alle (sole) richieste – istruttorie e di merito -definitivamente proposte (Cass., 03/08/2017, n. 19352, e,
quanto al giudizio di appello, Cass., 31/05/2019, n. 15029, Cass., 27/02/2019, n. 5741);
l’interpretazione degli artt. 189, 345 e 346 cod. proc. civ., secondo cui l’istanza istruttoria non accolta nel corso del giudizio, che non venga specificatamente riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, deve reputarsi tacitamente rinunciata, non contrasta con gli artt. 47 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, né con gli artt. 2 e 6 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 (ratificato con legge 2 agosto 2008, n. 130), né con gli artt. 24 e 111 Cost., non determinando alcuna compromissione dei diritti fondamentali di difesa e del diritto a un giusto processo, poiché dette norme processuali, per come interpretate, senza escludere né rendere disagevole il diritto di “difendersi provando”, subordinano, piuttosto, lo stesso ad una domanda della parte che, se rigettata dal giudice dell’istruttoria, va rivolta al giudice che decide la causa, così garantendosi il diritto di difesa della controparte, la quale non deve controdedurre su quanto non espressamente richiamato (Cass., 05/02/2019, n. 3229);
la descritta presunzione, peraltro, può essere ritenuta superata dal giudice di merito, che deve darne conto del profilo in motivazione, qualora dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte o dalla connessione della richiesta non riproposta con le conclusioni rassegnate e con la linea difensiva adottata nel processo, emerga una volontà inequivoca di insistere sulla richiesta pretermessa, attraverso l’esame degli scritti difensivi (Cass., 10/11/2021, n. 33103: nella specie in una controversia in cui all’udienza di precisazione delle conclusioni il delegato del “dominus” si era riportato “ai
propri scritti ed atti”, omettendo di reiterare le richieste istruttorie formulate nella comparsa di costituzione e nella memoria ex art. 184 cod. proc. civ., è stata cassata la pronuncia di appello, secondo cui le richieste erano da intendersi abbandonate, ritenendo che fosse, invece, necessario un maggiore approfondimento sul contegno processuale della parte, tenendo conto anche della linea difensiva adottata; Cass., 04/04/2022, n. 10767: nel caso, è stata cassata la pronuncia della Corte d’appello che si era limitata a rilevare la mancanza di una specifica riproposizione delle istanze probatorie con le conclusioni, trascurando di considerare che l’istanza di ammissione delle prove orali era già stata reiterata dall’istante con la richiesta, successiva al rinvio della causa per la precisazione delle conclusioni, di revoca o di modifica dei provvedimenti istruttori del giudice di primo grado);
va rimarcato che, nella fattispecie, la Corte di appello, al contempo, con ulteriore e autonoma ragione decisoria (pag. 10, primo rigo e seguenti, della sentenza impugnata), ha statuito l’inammissibilità per mancata riproposizione davanti a sé delle richieste, nelle forme del giudizio di primo grado e non mediante il generico richiamo agli atti della fase precedente;
sul punto, parte ricorrente, oltre a far riferimento, quanto al giudizio di primo grado, alla comparsa conclusionale, che però non è atto assertivo ma semplicemente illustrativo delle richieste su cui verte il contraddittorio nel perimetro del quale si svolge la difesa della controparte, in ogni caso:
-non riporta in alcun modo come avrebbe riproposto in appello le richieste in quesitone;
-non riporta i contenuti dei mezzi di prova oggetto di richiesta di ammissione: capitoli di prova orale e specifiche
degli ordini di esibizione (così menzionati nella censura a pag. 21);
ne deriva l’aspecificità del primo motivo, per violazione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. (Cass., Sez. U., 27/12/2019, n. 34469), non potendo apprezzarsi né il superamento della seconda ‘ratio decidendi’, né la potenziale decisività dei mezzi istruttori in parola;
in questo quadro la valutazione in ordine alla consulenza contabile sollecitata non potrebbe che constatarne il carattere meramente esplorativa, oltre a esser stata inammissibilmente prospettata, in questa sede, con riferimento o ad atti privi di potenziale concludenza, come la denuncia penale, neppure riportata in alcun modo, o con riferimento generico a documenti di prova dei pagamenti dapprima non meglio precisati (pag. 23) e poi senza specificare il momento processuale di produzione e la localizzazione processuale per la verifica di questa Corte (pagg. 2425) (Cass., Sez. U., n. 34469 del 2019 cit.);
anzi, nel ricorso, al riguardo, continua a farsi riferimento alla RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE e agli assegni -peraltro indicati come versati su un non meglio precisato conto della banca Antonveneta (pag. 29) -su cui, come visto in narrativa, la Corte territoriale ha statuito (a pag. 11 della sentenza gravata), senza idonea censura, che si trattava di documenti inconcludenti, perché l’uno di mera proposta, gli altri non riferibili al negozio in discussione;
la parte, d’altro canto, fa ulteriore e sovrapposto riferimento ad atti solamente illustrativi, ricostruttivi in fatto dei rapporti di dare avere nella chiave difensiva della propria rilettura istruttoria, come tale estranea al giudizio di legittimità, quali quelli che la medesima parte qualifica come ‘note illustrative’, depositate in appello, ovvero come la comparsa conclusionale di seconde cure;
né può obliterarsi che, stante la doppia decisione conforme dei giudici di merito, non è ammissibile la deduzione, né formale né
sostanziale unitamente ad altri profili, dell’omesso esame di fatti decisivi e discussi, a mente dell’art. 348 -ter, quinto comma, cod. proc. civ., applicabile ‘ratione temporis’, peraltro al contempo reintrodotto dal d.lgs. n. 149 del 2022, come previsto dall’art. 360, quarto comma, cod. proc. civ., tenuto altresì conto della circostanza che parte ricorrente non ha dimostrato che le ragioni di fatto poste a base delle due decisioni di merito sono state diverse (Cass., 22/12/2016, n. 26774, Cass., 28/02/2023, n. 5947);
parimenti, nella terza censura, si propone una evidente rilettura istruttoria della missiva di richiesta di rateizzazione del pagamento dei canoni, peraltro indicati dalla Corte di appello, in quota, come oggetto di sentenza passata in cosa giudicata (pag. 12 della sentenza citata);
è dunque complessivamente evidente che viene sollecitato un riesame del merito;
quanto, poi, alle pretese nullità rilevabili d’ufficio afferenti al ‘lease -back’, e alla pretesa pattuizione di interessi usurai, il primo profilo è del tutto genericamente affermato senza altre argomentazioni esplicative, e riguardo al secondo la Corte territoriale ha espressamente affermato (pag. 10 della sentenza impugnata) che mai, in atti assertivi, la parte aveva prospettato le ricostruzioni fattuali sottese, fermo rimanendo che la verifica non avrebbe potuto prescindere dalla ricostruzione contabile di cui sopra, ove resa possibile dalle compiute offerte di prova, atteso che la ricorrente non ne correla l’ipotesi alle sole risultanze contrattuali;
la rilevabilità officiosa delle eccezioni, infatti, deve poggiare sulle specifiche risultanze fattuali in atti (cfr., ad esempio, in tema di eccezione d’interruzione della prescrizione, di recente, Cass., 13/04/2023, n. 9810);
il quarto motivo è in parte inammissibile, in parte infondato;
le Sezioni Unite di questa Corte, con l’arresto n. 2061 del 28 gennaio 2021, hanno affermato la validità della clausola penale che
preveda il diritto dell’utilizzatore di ripetere l’eventuale maggior valore che dalla vendita del bene (a prezzo di mercato) possa ricavare il concedente, rispetto alle utilità che quest’ultimo avrebbe tratto dal contratto qualora finalizzato con il riscatto del bene, fermo rimanendo il principio che il riequilibrio contrattuale officioso è necessariamente correlato alla restituzione del bene (Cass., 22/03/2022, n. 9210);
la pretesa dei canoni fino al rilascio ovvero fino all’utilizzo del bene -che la Corte di appello collega al così distinto principio di cui all’art. 1591, cod. civ., indicativo del «danno effettivamente subìto dal concedente», senza che tale statuizione risulti essere stata oggetto di specifiche e non apodittiche argomentazioni di censura -non può divenire presupposto dell’affermata nullità della clausola in parola, o meglio per la sua riduzione, in base alla mera affermazione che sarebbero da scomputare le quote di canone riferibili alla componente traslativa, senza che siano stati offerti e compiutamente spiegati elementi probatori utili alla ricostruzione del valore dell’effettivo bene non solo nel momento della inziale consegna ma anche in quello della come visto necessaria restituzione, in rapporto altresì alla non trascurabile «rata finale di riscatto» come tale riferita (pag. 33 del ricorso), essendo onere della parte che deduce le circostanze rilevanti per la valutazione dell’eccessività della clausola offrire elementi di prova oltre che specifica allegazione ricostruttiva sul punto, senza che possa demandarsene al giudice la ricerca prim’ancora della verifica (Cass., 19/12/2019, n. 34021);
il quinto e sesto motivo sono logicamente assorbiti; spese secondo soccombenza;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in
euro 14.000,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi, 15% di spese forfettarie e agli accessori legali, in favore di parte controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in RAGIONE_SOCIALE, il 09/11/2023.