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Reclamo telefonico: quando non dà diritto a indennizzo

Un utente ha citato in giudizio una compagnia telefonica per un disservizio e per la mancata risposta a una comunicazione. La Corte di Cassazione ha stabilito che una lettera inviata da un avvocato per richiedere un indennizzo dopo la risoluzione del problema non si qualifica come reclamo telefonico, ma come una diffida. Di conseguenza, non sussiste il diritto all’indennizzo automatico per mancata risposta. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

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Pubblicato il 26 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Reclamo Telefonico: Non Basta Scrivere per Avere Diritto all’Indennizzo

Quando un servizio telefonico o internet non funziona, il primo passo per un utente è inviare un reclamo telefonico. Ma cosa succede se la compagnia non risponde? Si ha sempre diritto a un indennizzo? Un’ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sulla differenza cruciale tra un vero reclamo e una semplice richiesta di risarcimento, un distinguo che può costare caro al consumatore. Il caso analizzato chiarisce che la natura e la tempistica della comunicazione sono determinanti per stabilire se l’operatore sia tenuto a rispondere e, di conseguenza, a pagare un indennizzo in caso di silenzio.

I Fatti del Caso

Un utente, a seguito di un malfunzionamento della sua linea telefonica e connessione internet durato un giorno, inviava, tramite il proprio avvocato, una comunicazione alla compagnia telefonica. La lettera, spedita circa venti giorni dopo la risoluzione del guasto, richiedeva sia un indennizzo per il disservizio sia il risarcimento dei danni subiti. La compagnia telefonica non forniva alcuna risposta a tale missiva. Di conseguenza, l’utente avviava un’azione legale per ottenere sia il risarcimento sia l’indennizzo automatico previsto dalla normativa di settore per la mancata risposta al reclamo.

Il Percorso Giudiziario e la Qualificazione del Reclamo Telefonico

La domanda dell’utente veniva respinta sia dal Giudice di Pace che, in sede di appello, dal Tribunale. Il punto centrale della controversia era la qualificazione giuridica della lettera inviata dall’avvocato. Secondo i giudici di merito, quella comunicazione non poteva essere considerata un “reclamo” ai sensi della delibera AGCOM all’epoca vigente (n. 179/2003). Un reclamo, per essere tale, deve segnalare un disservizio in atto o una problematica relativa al contratto, con lo scopo di sollecitare un intervento risolutivo.

La lettera in questione, invece, era stata inviata quando il problema era già stato risolto e la sua finalità non era segnalare un guasto, ma unicamente ottenere il pagamento di una somma di denaro. Pertanto, il Tribunale l’ha qualificata come una “diffida ad adempiere”, ovvero una richiesta formale di pagamento che preannunciava un’eventuale azione legale, e non come un reclamo volto a tutelare il rapporto contrattuale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso dell’utente inammissibile, confermando la decisione del Tribunale. Gli Ermellini hanno sottolineato che il ricorrente non aveva adeguatamente contestato la ratio decidendi, cioè il nucleo del ragionamento logico-giuridico della sentenza d’appello. La qualificazione della lettera come diffida e non come reclamo rappresenta un apprezzamento di fatto, argomentato in modo logico e coerente dal giudice di merito, e come tale non è sindacabile in sede di legittimità.

La Corte ha specificato che il Tribunale aveva correttamente applicato la normativa in vigore al momento dei fatti, che definiva il reclamo come un’istanza per segnalare un disservizio. La missiva dell’utente, inviata post-risoluzione e con il solo scopo di ottenere un risarcimento, non rientrava in questa definizione. Di conseguenza, non essendo un reclamo, non faceva sorgere in capo all’operatore l’obbligo di risposta né, in caso di silenzio, il diritto del cliente all’indennizzo automatico.

Conclusioni

Questa pronuncia offre un’importante lezione pratica per i consumatori. Per avere diritto all’indennizzo automatico per mancata risposta, la comunicazione inviata all’operatore deve avere le caratteristiche di un vero e proprio reclamo telefonico: deve cioè essere finalizzata a segnalare un problema in corso o una criticità del servizio per ottenerne la gestione e risoluzione. Una lettera legale che si limita a chiedere un risarcimento per un disservizio già concluso viene interpretata dai giudici come un atto preparatorio a una causa legale e non come un reclamo, escludendo così il diritto all’indennizzo per il silenzio dell’operatore.

Una lettera inviata da un avvocato per chiedere un indennizzo è considerata un “reclamo telefonico”?
No, non necessariamente. Secondo la decisione in esame, se il disservizio è già stato risolto e la lettera è finalizzata unicamente a ottenere un indennizzo e un risarcimento, i giudici possono qualificarla come una richiesta di pagamento (diffida) e non come un reclamo, non facendo così scattare il diritto all’indennizzo per mancata risposta.

L’operatore telefonico è sempre tenuto a rispondere a qualsiasi comunicazione per non pagare l’indennizzo?
No. L’obbligo di risposta, la cui violazione genera il diritto all’indennizzo, si applica specificamente ai “reclami” come definiti dalla normativa di settore. Una comunicazione che non rientra in tale definizione, come una mera richiesta di risarcimento per un problema passato, non fa sorgere tale obbligo.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
È stato dichiarato inammissibile perché il ricorrente non ha criticato in modo specifico e pertinente la ratio decidendi (la motivazione centrale) della sentenza d’appello. La Corte d’Appello aveva qualificato la lettera come una diffida e non un reclamo con argomenti logici; il ricorso non ha efficacemente smontato tale ragionamento, limitandosi a riproporre la propria tesi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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