Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8981 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8981 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/04/2025
O R D I N A N Z A
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME , rappresentata e difesa per procura alle liti allegata al ricorso dall’Avvocat o NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
Ricorrente
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al controrico rso dall’Avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
Controricorrente
avverso la sentenza n. 4889/2021 della Corte di appello di Roma, depositata l’1.7.2021 .
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12.11.2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME
Fatti di causa e ragioni della decisione
Con sentenza n. 4889 dell’1.7.2021 la Corte di appello di Roma confermò la decisione di primo grado nella parte in cui aveva respinto la domanda proposta da COGNOME NOME di risoluzione per inadempimento del contratto preliminare di vendita di un immobile stipulato il 21.12.2012 con COGNOME NOME ed accolto la domanda di quest’ultima di legittimità del recesso dal suddetto contratto dalla stessa esercitato, riconoscendole il diritto a trattenere la caparra ricevuta; in parziale riforma della sentenza appellata, accolse altresì la domanda della COGNOME di cancellazione della trascrizione della domanda avanzata dalla controparte di esecuzione specifica del contratto preliminare, che era stata modificata nel corso del giudizio in quella di risoluzione.
La Corte romana, nel rigettare i motivi d ell’appello principale proposto dalla COGNOME, motivò la decisione affermando che: l ‘eccezione di inadempimento sollevata dalla appellante, promissaria acquirente, per l’esistenza di una difformità urbanistica dell’immobile compromesso, oltre ad essere generica, non era stata provata; la difformità doveva comunque reputarsi irrilevante sul sinallagma contrattuale, atteso che la parte non l’aveva sollevata in preced enza ed aveva mantenuto interesse alla conclusione dell’affare, agendo in giudizio per l’esecuzione del preliminare ai sensi dell’art. 2932 c.c.; l’eccezione circa la non conformità catastale dell’immobile promesso in vendita era inammissibile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., essendo stata proposta per la prima volta in sede di gravame; la ricostruzione del comportamento delle parti dopo la stipula del contratto preliminare indicava che ad essere inadempiente era stata la COGNOME, che dopo la scadenza del termine ivi previsto del 28.2.2013 per la stipula del definitivo, sollecitata ad indicare una nuova data, l’aveva fissata senza alcuna giustificazione a distanza di quasi quattro mesi, senza dare alcuna risposta alla diffida ad adempiere intimatale dalla promittente venditrice con lettera raccomandata del 25.3.2013; che ogni contestazione circa la qualificazione della suddetta comunicazione quale diffida ad adempiere e circa l’essenzialità del termine ivi indicato era di fatto superata dal rilievo che la COGNOME si era avvalsa del diritto di recedere dal contratto ai sensi dell’art. 1385 c.c. ,
esercitabile anche dopo l’esercizio del la facoltà di risolvere di diritto il contratto a mente dell’art. 1454 c.c.
Per la cassazione di questa sentenza, con atto notificato il 20.10.2021, ha proposto ricorso COGNOME NOME affidandosi a tre motivi.
COGNOME NOME ha notificato controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Preliminarmente va esaminata e quindi disattesa l’eccezione sollevata dalla controricorrente di inammissibilità del ricorso per mancanza nella procura alle liti rilasciata dalla ricorrente del requisito della specialità, non contenendo essa alcun riferimento alla sentenza di appello impugnata.
L’eccezione è infondata . Per giurisprudenza uniforme di questa Corte, il requisito della specialità, richiesto dall’art. 365 c.p.c. come condizione per la proposizione del ricorso per cassazione (del controricorso e degli atti equiparati), è integrato, a prescindere dal contenuto, dalla sua collocazione topografica, nel senso che la firma per autentica apposta dal difensore su foglio separato, ma materialmente congiunto all’atto, è in tutto equiparata alla procura redatta a margine o in calce allo stesso; tale collocazione topografica fa sì che la procura debba considerarsi conferita per il giudizio di cassazione, anche se non contiene un espresso riferimento al provvedimento da impugnare o al giudizio da promuovere, purché da essa non risulti, in modo assolutamente evidente, la non riferibilità al giudizio di cassazione (Cass., Sez. Un., n. 36057 del 2022; Cass. n. 24671 del 2022; Cass. n. 27302 del 2020). Nel caso di specie la procura alle liti risulta espressamente rilasciata per il giudizio di cassazione, sicché non vi sono dubbi sulla sua natura speciale.
Il primo motivo del ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1184, 1321, 1385, 1453, 1454, 1455 e 1457 c.c. e vizio di omesso esame di fatto decisivo, censura la sentenza impugnata per avere ritenuto legittimo il recesso manifestato dalla promittente venditrice in sede di comparsa di costituzione e risposta nonostante che il termine di adempimento per la stipula del contratto definitivo non fosse ancora spirato e la promissaria acquirente avesse manifestato la volontà di adempiere.
La ricorrente così riassume la cronistoria della vicenda: il contratto preliminare prevedeva per la stipula del definitivo la data del 28.2.2013; a tale data le parti convenivano un rinvio e la COGNOME chiedeva con lettera alla COGNOME di fissare una nuova data; con raccomandata del 6.3. 2013 quest’ultima fissava la data per il rogito al 27.6.2013; la COGNOME rispondeva con raccomandata del 25.3.2023, indicando quale termine ultimo, da ritenersi essenziale, la data del 6.5.2013, avvertendo che in caso di inosservanza avrebbe manifestato il recesso e trattenuto la caparra ricevuta; la COGNOME, a questo punto, notificava l’atto di citazione in giudizio , chiedendo l’esecuzione specifica del contratto preliminare ex art. 2932 c.c.; la COGNOME si costituiva chiedendo che il preliminare fosse dichiarata risolto per intervenuto recesso, ex art. 1385 c.c. Ciò premesso, la ricorrente sostiene l’erroneità della decisione, per avere ritento legittimo il recesso manifestato dalla controparte nonostante la esponente l’avesse invitata alla stipula del contratto definitivo. La Corte di appello avrebbe dovuto dare atto che il termine per la stipula era in favore della promissaria acquirente e che comunque, in mancanza di indicazioni contrarie, esso non era da considerarsi essenziale. Non essendo quindi il termine ancora scaduto, la COGNOME non poteva esercitare legittimamente il diritto di recedere dal contratto. La Corte romana non ha poi considerato la condotta scorretta della promittente venditrice, che, a fronte della indicazione della data comunicata, su suo invito, dall’altra parte, aveva unilateralmente de ciso una data più prossima e manifestato, in caso di inosservanza, la volontà di recesso e non si era presentata all’appuntamento dinanzi al notai o fissato per il 27.6.2013, cosa che aveva costretto la ricorrente ad agire in giudizio ai sensi dell’ art. 2932 c.c. Il motivo è fondato.
La Corte territoriale, sulla base della cronistoria dei fatti come sopra riferita, ha affermato che la condotta posta in essere dalla promissaria acquirente COGNOME integrava un grave inadempimento, in quanto tale parte ‘ non si è attivata per rispettare la scadenza pattuita per la sottoscrizione del contratto definitivo, indicando tempestivamente le circostanze di tempo e di luogo della stipula e il notaio rogante (scelta alla medesima pacificamente spettante gravando su di lei anche le relative spese – art 8 preliminare); dopo essere stata sollecitata a
fissare una nuova data, l’ha posticipata di quasi quattro mesi senza addurre alcuna giustificazione; infine non ha risposto alla diffida ad adempiere intimata dalla promittente venditrice con la lettera AR del 25/03/2013 ‘.
La ricorrente sostiene che l’accertamento così compito, su cui appare fondato il giudizio di responsabilità a suo carico, pecca di incompletezza e superficialità, avendo trascurato di tenere conto di elementi e circostanze essenziali.
La critica merita di essere condivisa.
Il percorso motivazione della sentenza impugnata non fa affatto emergere, ma anzi sembra escludere, che la Corte romana, nel compiere l’accertamento demandatole, abbia seguito il criterio secondo cui, nei contratti con prestazioni corrispettive, laddove le parti si imputino reciproche inadempienze, ai fini della pronuncia di risoluzione per inadempimento, è necessario dar luogo ad un giudizio di comparazione in ordine al comportamento di ambo le parti, al fine di stabilire quale di esse, in relazione ai rispettivi interessi ed all’oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti e causa del comportamento della controparte e della conseguente alterazione del sinallagma negoziale (Cass. n. 7649 del 2023; Cass. n. 18320 del 2015; Cass. n. 336 del 2013; Cass. n. 20614 del 2009; Cass. n. 13365 del 2006).
Nell’applicare tale parametro di giudizio, che ha natura legale discendendo dall’applicazione degli art. 1453 e 1455 c.c. e dalla cui violazione consegue una violazione di norme di diritto, la Corte avrebbe dovuto altresì risolvere la questione, che invece risulta del tutto pretermessa, se il termine previsto dalle parti per la stipula del contratto definitivo avesse o meno natura essenziale, seguendo anche in questo caso la regula iuris secondo cui l’essenzialità del termine di adempimento fissato nel contratto va desunta non già da mere formule di stile, ma dalla volontà delle parti come emergente da specifiche espressioni adoperate dai contraenti, dalle quali si possa desumere l’intenzione di considerare ormai venuta meno l’utilità perseguita nel caso in cui trascorra inutilmente la data stabilita e che, in caso contrario, il termine non può considerarsi essenziale (Cass. n. 18835 del 2018; Cass. n. 21587 del 2007; Cass. n. 3645 del 2007).
Va altresì richiamato l’indirizzo consolidato di questa Corte, secondo cui la disciplina dettata dal secondo comma dell’art. 1385 c.c., in tema di recesso per inadempimento nell’ipotesi in cui sia stata prestata una caparra confirmatoria, non deroga affatto alla disciplina generale della risoluzione per inadempimento, consentendo il recesso di una parte solo quando l’inadempimento della controparte sia colpevole e di non scarsa importanza in relazione all’interesse della parte stessa. Ne consegue che, laddove sia chiamato a valutare se il recesso è stato esercitato legittimamente, ossia in presenza delle condizioni richieste dalla legge, il giudice non può arrestare la sua indagine alla sussistenza di un inadempimento della controparte, ma è tenuto a valutare se esso sia o meno di scarsa importanza, ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., ovvero ad accertare la sua effettiva incidenza sul sinallagma contrattuale verificando, alla stregua della regolamentazione complessiva del contratto, se esso abbia compromesso l’utilità che da esso l’altra parte intendeva conseguire (Cass. n. 13845 del 2024; Cass. n. 12549 del 2019; Cass. n. 21209 del 2019; Cass. n. 409 del 2012; Cass. n. 18266 del 2011).
Nello specifico, La Corte romana non appare avere applicato tali criteri di valutazione nel definire grave e definitivo, tale da legittimare il recesso della controparte, la condotta posta in essere dalla COGNOME, in particolare il fatto che essa, con la comunicazione del 6.3.2013, avesse fissato la data del rogito al 27.6.2013, distante quasi quattro mesi, e non avesse dato riscontro alla successiva missiva della controparte del 25.3.2013, che anticipava la data al 6.5.2013. Il relativo giudizio di responsabilità non è sostenuto dalla valutazione della gravità della condotta, per la sua incidenza sul sinallagma contrattuale; né è accompagnato dalla valutazione comparativa del comportamento della promittente venditrice, sostanziatosi sia nella lettera sopra citata sia nella dedotta sua assenza all’appuntamento del 27.6.2013; infine, non appare considerata la persistente volontà della promissaria acquirente di stipulare il contratto definitivo, formalizzata dalla domanda di esecuzione specifica ex art. 2932 c.c., e la opposta intenzione della controparte di sciogliersi dal vincolo. Sotto altro profilo, non è condivisibile nemmeno il giudizio di irrilevanza che la sentenza formula in ordine alla qualificazione, contestata dalla appellante, come
diffida ad adempiere, della missiva della COGNOME del 25.3.2013, che invece costituisce un fatto di indubbia incidenza in ordine non solo agli effetti propri che discendono dall’atto, ai sensi dell’art. 1454 c.c., ma anche ai fini della valutazione complessiva del comportamento delle parti.
Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366, 1369, 1370, 1371 e 1341 c.c., censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto irrilevante, in quanto conosciuta dalla promissaria acquirente, che aveva manifesta to comunque l’intenzione ad acquistare, la dedotta irregolarità urbanistica dell’immobile compromesso. In particolare, si lamenta la errata interpretazione della dichiarazione integrativa della proposta di contratto accettata il 26. 9. 2012, che si limitava ad u na mera presa d’atto ma non conteneva alcuna accettazione della stato irregolare del bene né alcun esonero della responsabilità della controparte. Ne deriva che la promittente venditrice era rimasta obbligata a sanare l’abuso.
Il mezzo è inammissibile.
La sentenza impugnata ha ritenuto che la questione della irregolarità urbanistica sollevata dalla attrice COGNOME era nel caso di specie irrilevante al fine di ravvisare un inadempimento della COGNOME, sia perché l’abuso era descritto solo genericamente, sia in quanto era conosciuto dalla promissaria acquirente, che aveva mostrato il proprio interesse ad acquistare l’immobile nonostante essa.
Tanto precisato, il motivo risulta inammissibile in quanto fa riferimento ad una dichiarazione integrativa alla proposta poi accettata di cui la Corte di appello non fa alcuna menzione e che la ricorrente nemmeno riproduce nel suo contenuto testuale. E’ no to infatti il principio secondo cui, nel giudizio di legittimità, la denunzia della violazione dei criteri di interpretazione di una dichiarazione negoziale va formulata, a pena di inammissibilità, in modo specifico, allegando che l’interpretazione adotta ta dal giudice di merito non ha rispettato le singole regole interpretative dettate dalla legge, critica che presuppone la esposizione del contenuto della dichiarazione stessa, quale termine di relazione necessario per apprezzare la censura.
Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione dell’art. 345, comma 1, c.p.c. e vizio di omesso esame di fatto decisivo, lamentando che la Corte territoriale abbia dichiarato inammissibile l’eccezione che denunziava la non conformità dell’immobile alla pia ntina catastale, in quanto per la prima volta sollevata in grado di appello.
Assume in contrario la ricorrente che invece che tale deduzione era già contenuta nelle allegazioni e documenti di primo grado.
Anche questo motivo va dichiarato inammissibile, per difetto di decisività della censura, non indicando il ricorso gli atti difensivi di primo grado in cui avrebbe formulato la relativa eccezione, di cui non riassume o riproduce il contenuto. Omessa è anche l’indicazione specifica dei documenti da cui risulterebbe la difformità lamentata, indicati solo con il numero dell’indice, e l’esposizione del di quanto da essi risulterebbe. La censura è pertanto formulata in modo del tutto generico e, per tale ragione, inammissibile.
In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, dichiarati inammissibili gli altri.
La sentenza è pertanto cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata alla Corte di appello di Roma, che la deciderà applicando i principi di diritto