Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5019 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 5019 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/02/2024
SENTENZA
OGGETTO:
appalto
RG. 14782/2018
P.U. 8-2-2024
sul ricorso n. 14782/2018 R.G. proposto da:
NOME COGNOME, c.f. CODICE_FISCALE, ammesso al patrocinio a spese dello Stato con delibera 18-52018 dell’RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con indirizzo pec EMAIL
ricorrente
contro
COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, COGNOME BARBARA, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentate e difese dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, con indirizzi pec EMAIL e
EMAIL controricorrenti
avverso la sentenza n.1445/2017 della Corte d’Appello di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 15-11-2017
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 8-2-2024 dal consigliere NOME COGNOME,
udito il AVV_NOTAIO, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso, uditi per il ricorrente l’AVV_NOTAIO e per le controricorrenti l’AVV_NOTAIO , entrambi in sostituzione
FATTI DI CAUSA
1.Con atto di citazione notificato il 29-5-2009 NOME COGNOME quale titolare di RAGIONE_SOCIALE ha convenuto NOME COGNOME e NOME COGNOME avanti il Tribunale di Bergamo, esponendo che aveva stipulato con le convenute dal 2007 una serie di contratti di appalto per la progressiva ristrutturazione di immobile sito ad Azzano San Paolo, un primo contratto il 16-2-2007 avente a oggetto le unità al primo piano, un secondo in data 15-5-2007 avente a oggetto le unità al terzo piano, un terzo contratto avente a oggetto le altre unità immobiliari, stipulato in forma orale per estensione del computo metrico estimativo in quanto le unità erano identiche; erano state anche chieste ulteriori opere extracontratto e durante i lavori, a fronte di predisposizione di note o stati di avanzamento da parte del direttore dei lavori, venivano emesse fatture, alla presentazione delle quali le committenti effettuavano i pagamenti con bonifico bancario; le convenute si erano rifiutate di pagare la fattura n. 24 del 30-10-2008 di Euro 31.227,32 e ciò aveva comportato gravi difficoltà per l’appaltatore, il quale si era visto costretto a opporre l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 cod. civ. e sospendere l’esecuzione dei lavori; alla richiesta di pagamento le committenti avevano esercitato il recesso, adducendo giusta causa, per cui il 24-1-2009 vi era stata la consegna dei lavori e del cantiere.
L’attore quindi ha chiesto il pagamento RAGIONE_SOCIALE importi non ricevuti, di Euro 15.169,66 in relazione al primo contratto, Euro 11.110,52 in relazione al secondo contratto, Euro 40.636,32 in relazione alle opere extracontratto, Euro 21,527 quanto alle opere da rivedere, Euro 1.527,86 per fornitura e posa del rivestimento della scala interna; ha
chiesto che si accertasse l’inesistenza della giusta causa di recesso dal contratto e per l’effetto il suo diritto a essere tenuto indenne d alle spese sostenute e dal mancato guadagno nella percentuale di almeno il 20% RAGIONE_SOCIALE importi contrattualmente previsti.
Si sono costituite le convenute NOME COGNOME e NOME COGNOME contestando la ricostruzione dei fatti, chiedendo il rigetto delle domande e in via riconvenzionale la condanna dell’attore a risarcire i danni subiti per l’inadempimento.
Con sentenza n.1136/2015 il Tribunale di Bergamo ha condannato le convenute in solido al pagamento a favore dell’attore della somma di Euro 56.577,12 oltre interessi ex d.lgs. 231/2002, ha rigettato le altre domande e ha condannato le convenute alla rifusione a favore dell’attore delle spese di lite di entrambi i gradi.
2.Hanno proposto appello principale NOME COGNOME e NOME COGNOME e appello incidentale NOME COGNOME, che la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE ha deciso con sentenza n. 1445/2017 depositata il 15-11-2017, disponendo -a parziale modifica della sentenza impugnata- che sulla somma di Euro 56.577,12 spettassero gli interessi legali, disponendo la distrazione delle spese di lite di primo grado a favore dei difensori di NOME COGNOME, rigettando per il resto i motivi di appello principale e incidentale e compensando le spese del grado.
La sentenza ha rigettato i motivi di appello principale e di appello incidentale aventi a oggetto la quantificazione del credito. Ha accolto il motivo di appello principale relativo all’errata applicazione RAGIONE_SOCIALE interessi di cui al d.lgs. 231/2002, evidenziando che l’art. 2 d.lgs. 231/2002 ne disponeva l’applicazione alle transazioni commerciali tra imprenditori e le committenti non rivestivano tale qualifica; ha aggiunto che non si applicava l’art. 1284 cod. civ. nel testo novellato , in quanto entrato in vigore nel 2014 in epoca successiva all’estinzione del rapporto avvenuta nel 2009. Ha rigettato i motivi di appello
principale relativi al risarcimento del danno chiesto dalle committenti per l’inadempimento della controparte; ha rigettato l’ appello incidentale relativo all’accertamento del recesso per giusta causa delle committenti e al rigetto della domanda di indennizzo ex art. 1671 cod. civ.
3.Avverso la sentenza NOME COGNOME già titolare della ditta RAGIONE_SOCIALE di NOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso. Il ricorso è stato avviato ex art. 377 cod. proc. civ. alla trattazione in pubblica udienza. Nel termine di cui all’art. 378 cod. proc. civ. il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione ed erronea applicazione ex art. 360 co. 1 n. 3 cod. proc. civ. anche in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. dell’art. 1284 co. 4 cod. civ. e dei principi in materia di ius superveniens , con riguardo al riconoscimento sulla somma attribuita all’appaltatore a titolo di corrispettivi non pagati di Euro 56.577,12 soltanto RAGIONE_SOCIALE interessi legali dalla data della domanda e cioè dal 29-5-2009 fino al saldo e non RAGIONE_SOCIALE interessi al tasso di cui all’art. 1284 co. 4 cod. civ. novellato con efficacia dall’11 -12-2014. Il ricorren te evidenzia che alla data dell’11 -12-2014 il rapporto era ancora sub iudice e quindi l’art. 1284 co.4 cod. civ. doveva essere applicato secondo i principi in materia di ius superveniens, a decorrere dall’11 -12-2014 perché, diversamente, sarebbe penalizzato in modo ingiusto e ingiustificato l’appaltatore per avere azionato la sua pretesa prima di quella data, mentre avrebbe potuto farlo anche dopo, nel termine di prescrizione decennale. Aggiunge che è erronea l’interpretazione dell’art. 128 4 co.4 cod. civ. eseguita dalla sentenza impugnata, in quanto la disposizione non fa alcun riferimento al profilo
sostanziale del rapporto, ma solo a quello processuale della proposizione della domanda .
1.1.Il motivo è infondato.
Il quarto comma dell’art. 1284 cod. civ. , secondo il quale se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta la domanda giudiziale il saggio RAGIONE_SOCIALE interessi legali è quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, è stato aggiunto dall’art. 17 co.1 d.l. 12 settembre 2014 n. 132 conv. con mod. nella legge 10 novembre 2014 n. 162; secondo la testuale e specifica previsione dello stesso art. 17 co. 2 «Le disposizioni del comma 1 producono effetti rispetto ai procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
Quindi, non è il dato che il rapporto contrattuale si fosse concluso nel 2009 a escludere l’applicazione del tasso di interessi previsto dall’art. 1284 co. 4 cod. civ. novellato, come dichiarato dalla sentenza impugnata, ma il fatto che la causa sia stata instaurata prima dell’entrata in vigore della disp osizione. Non è pertinente il richiamo eseguito dal ricorrente al principio tempus regit actum, perché il legislatore ha espressamente previsto che la disposizione si applichi solo ai procedimenti iniziati dopo l ‘ entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge. Si esclude che la previsione ponga questioni di legittimità costituzionale con riguardo alla violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa, come sostiene il ricorrente con il riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.; ciò perché la disposizione ha finalità non solo di tutela del credito (come esplicitato dal fatto che la disposizione è contenuta nel capo V del decreto legge, intitolato ‘altre disposizioni per la tutela del credito…’), ma ha anche chiara finalità deflattiva in quanto, come è già stato evidenziato, si tratta di disposizione che ha lo scopo di scoraggiare l’inadempimento e
rendere svantaggioso il ricorso a inutile litigiosità (cfr. in tal senso Cass. Sez. 3 3-1-2023 n. 61, in motivazione). Tale finalità giustifica la scelta legislativa in ordine all’entrata in vigore posta dall’art. 17 co.2 citato , per il fatto che dopo la data di entrata in vigore della disposizione il debitore è posto in condizione di sapere che l’instaurazione del giudizio nei suoi confronti comporterà la decorrenza RAGIONE_SOCIALE interessi al tasso di cui all’art. 1284 co. 4 cod. civ. e tale dato, secondo l’intenz ione del legislatore, lo scoraggerà a ll’inadempimento e all’inutile litigiosità.
2.Con il secondo motivo il ricorrente propone la questione dell’inadempimento delle committenti alla data di proposizione dell’eccezione di inadempimento, sotto il profilo dell’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. e della nullità della sentenza per mancanza di motivazione ai sensi dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. ex art. 360 co. 1 nn. 4 e 5 cod. proc. civ.
In primo luogo il ricorrente lamenta la mancanza di motivazione sostenendo che la sentenza avrebbe dovuto esporre perché, una volta riconosciuto che alla data della formulazione dell’eccezione di inadempimento da parte dell’appaltatore erano state eseguite opere in relazione a tutti i contratti tranne il quinto per Euro 320.754,30, le committenti avessero diritto di trattenere in garanzia non solo il 10%, e cioè Euro 32.075,43, ma la maggiore somma di Euro 38.717,12, corrispondente al 12,07% dei lavori eseguiti. In secondo luogo il ricorrente deduce che il convincimento del giudice secondo il quale il mancato pagamento delle opere da rivedere era giustificato dalla contestazione delle opere medesime era erroneo, perché risultato dell’omesso esame del fatto che le contestazioni erano infondate fin dall’origine. In terzo luogo il ricorrente evidenzia l’omesso esame anche del fatto che nella loro lettera di recesso del 18-12-2008 le ricorrenti contestarono di dovere pagare la fattura n. 24/NUMERO_DOCUMENTO di Euro 31.227,32, ma riconobbero che il loro direttore dei lavori aveva, rispetto ai
medesimi lavori, liquidato un s.a.l. di Euro 11.222,74. Quindi sostiene che la sentenza impugnata non avrebbe potuto ritenere che le committenti fossero adempienti alla loro obbligazione di pagare le opere e infine, in via subordinata, aggiunge che sia ultronea rispetto al paradigma normativo dell’eccezione di inadempimento la valutazione sulla rilevanza dell’inadempimento, in quanto l’appaltatore nella s ua diffida del 21-11-2008 aveva scritto soltanto che avrebbe sospeso l’attività lavorativa in corso fino a che non fosse avvenuto il pagamento.
3.Con il terzo motivo il ricorrente deduce ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., con riguardo alla mancata ripresa dei lavori, l’omesso esame di fatto decisivo. Dichiara che il primo fatto storico del quale è stato omesso esame è quello riferi to al fatto che all’invito in data 18-6-2008 seguì la ripresa dei lavori in data 25-6-2008, come risulta dal verbale di visita del cantiere del 25-6-2008; aggiunge che il secondo fatto storico del quale è stato omesso l’esame è riferito al fatto che, dopo quella ripresa, i lavori proseguirono fino al 19-11-2008, come pure risulta dai verbali di visita del cantiere. Dichiara che il terzo fatto del quale è stato omesso l’esame è riferito al fatto che con la diffida del NUMERO_DOCUMENTO l’appaltatore significava che aveva già sospeso i lavori dal 19-11-2008 a causa del mancato pagamento della fattura n. 24NUMERO_DOCUMENTO. Rileva che, se la sentenza avesse considerato tali fatti, non avrebbe potuto ritenere che l’eccezione di inadempimento dell’appaltatore fosse stata la mera r eazione al secondo sollecito a riprendere i lavori.
4.Con il quarto motivo il ricorrente deduce, in relazione al termine di fine dei lavori, la nullità ex art. 132 n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 co.1 n. 4 cod. proc. civ. della sentenza e la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 co. 1 n.3 cod. proc. civ. RAGIONE_SOCIALE artt. 1183 co.1, 1362, 1364, 1366, 1371 e 1372 cod. civ. Il ricorrente lamenta la mancanza di motivazione, che avrebbe dovuto risolvere
l’intrinseca e insanabile contraddizione logica tra la negazione della natura essenziale del termine per la conclusione dei lavori per i primi due contratti e la mancanza di termine per gli altri contratti e l’affermazione che i lavori si sarebbero dovut i concludere entro un anno dalla fine dei lavori prevista nel secondo contratto. Evidenzia che la stessa sentenza ha ritenuto il rapporto unitario e quindi sostiene sia impossibile capire, in mancanza di qualsiasi argomentazione, perché sia stato dato un rilievo determinante alla pattuizione del termine finale previsto nel secondo contratto. Con riguardo all’individuazione di tale termine finale, il ricorrente lamenta anche l’omesso esame ex art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. del fatto che vi erano state sospensioni autorizzate e perciò legittime dei lavori, con la conseguenza che il termine finale dei lavori avrebbe dovuto essere individuato a novembre 2008. Quindi evidenzia che l’art. 1183 cod. civ., consentendo al giudice di fissare il termine non stabilito dalle parti, lo obblighi a motivare la ragione per cui il ritardo aveva superato la normale tolleranza e lamenta la mancanza di motivazione sul punto, con la conseguente violazione anche di tutti i canoni di interpretazione del contratto. Lamenta pure l’omesso esame del fatto che, alla data del recesso delle committenti, le opere mancanti ammontavano solo a Euro 16.107,99 e quindi sostiene che ai sensi dell’art. 1371 e dell’art. 1366 cod. civ. la sentenza non avrebbe potuto ravvisare in capo all’appaltatore inadempimento.
5.Con il quinto motivo, in relazione alla giusta causa di recesso in capo alle committenti, il ricorrente deduce la nullità della sentenza ex art. 132 n. 4 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 co.1 n. 4 e n.5 cod. proc. civ. per motivazione apparente e perplessa e deduce la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 3 cod. proc. civ. dell’art. 1671 cod. civ. Lamenta la materiale mancanza della motivazione, che avrebbe dovuto risolvere la contraddizione tra
l’affermazione in sentenza secondo cui a distanza di un anno e mezzo dall’inizio i lavori non erano stati ancora completati, perché quella data individuava il 16-7-2008 ma il termine ritenuto congruo per l’ultimazione dei lavori era stato ritenuto quello del 15-9-2008, con insanabile contraddizione. Il ricorrente sostiene che sussista insanabile contraddizione anche tra la statuizione secondo la quale il recesso era avvenuto per giusta causa e il rigetto della domanda di indennizzo ex art. 1671 cod. civ. per omessa prova del quantum, con conseguente violazione dell’art. 1671 cod. civ. Infine il ricorrente lamenta l’omess o esame del fatto che nella loro lettera di recesso le committenti non avevano indicato il termine presumibile di fine lavori, né avevano dato rilevanza a un termine non rispettato; sostiene che, se non fosse stato omesso l’esame di quel dato, il recesso delle ricorrenti sarebbe risultato quello che era, cioè la mera reazione alla legittima e fondata diffida dell’appaltatore del 21 -11-2008.
6.I motivi dal secondo al quinto devono essere esaminati congiuntamente, in ragione della stretta connessione determinata dalle modalità analoghe di formulazione che impongono la disamina delle medesime questioni.
6.1.A prescindere da ogni rilievo riferito al fatto che ne ll’ambito del medesimo secondo, quarto e quinto motivo di ricorso siano esposti profili di censura diversi, ex art. 360 co.1 n. 4, n. 5 e anche n.3 cod. proc. civ., in primo luogo devono essere dichiarati inammissibili il terzo motivo nella sua totalità e i motivi secondo, quarto e quinto nella parte in cui sono proposti ai sensi dell’ art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. lamentando l’omesso esame di fatti decisivi. Infatti si applica alla fattispecie ratione temporis , in relazione alla data di instaurazione del giudizio di appello d all’11 -92012 e in relazione all’instaurazione del giudizio di cassazione prima del 28-22023, l’art. 348 ter co.5 cod. proc. civ. nella formulazione che prevede l’inammissibilità del ricorso
per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado per il motivo di cui al n. 5 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. Nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ ex art. 348 ter co. 5 cod. proc. civ. è onere del ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e del rigetto dell’appello, dimostrando che sono tra loro diverse (Cass. Sez. 3 28 -22023 n. 5947 Rv. 667202-01, Cass. Sez. 1 22-12-2016 n. 26774 Rv. 643244-03, Cass. Sez. 2 10-3-2014 n. 5528 Rv. 630359-01); nella fattispecie il ricorrente nulla deduce in tal senso, con la conseguenza che non riesce a evitare l’inammissibilità de i motivi volti a lamentare l’omesso esame di fatti decisivi .
6.2.Si deve anche escludere la nullità della sentenza per mancanza di motivazione secondo quanto pure lamentato dal ricorrente con i motivi dal secondo al quinto, applicandosi i principi posti da Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01, secondo cui il sindacato sulla motivazione è limitato al ‘minimo costituzionale’ ed è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che attiene all’esistenza della motivazione in sé e che si traduce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile (nello stesso senso Cass. Sez. 1 3-32022 n. 7090 Rv. 664120-01, per tutte).
Nella fattispecie la sentenza non è affetta da alcuno dei predetti vizi perché, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente con il primo motivo , il dato sul quale la Corte d’appello ha fondato l’inesistenza dei presupposti per sollev are l’eccezione di inadempimento non era riferito al fatto dell’esclusione dell’inadempimento delle committenti (che il ricorrente lamenta non sia stato motivato), ma al fatto che l’appaltatore era inadempiente a sua volta e alla valutazione dei reciproci inadempimenti; inoltre,
diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente con il quarto e il quinto motivo, la sentenza ha esposto in modo logico e coerente le proprie deduzioni sui termini di esecuzione dei lavori.
Specificamente, la sentenza, da pag. 22, ha considerato che per il primo contratto era prevista la fine dei lavori il maggio 2007 e per il secondo contratto il settembre 2007, mentre per i successivi contratti le parti non avevano pattuito termini di fine lavori; ha altresì considerato che già nella memoria di costituzione le convenute committenti avevano lamentato che vi erano state sospensioni dei lavori e rallentamenti, a fronte dei quali il direttore dei lavori il 18-62018 aveva redatto una nota con la quale aveva contestato un notevole rallentamento dei lavori e ne aveva sollecitato la ripresa e poi il 19-112018 aveva invitato l’impresa alla ripresa dei lavori. Quindi la sentenza ha evidenziato che il primo sollecito risaliva a un anno dopo la data prevista per la fine dei lavori del secondo contratto e perciò, considerata la stretta tempistica prevista per i primi due contratti e il dato che il terzo contratto riguardava lavori analoghi e anche le opere extracontratto erano complementari, doveva ritenersi che un ulteriore anno era tempo congruo per il compimento delle opere. La sentenza ha altresì considerato che era stata successiva alla seconda diffida del direttore dei lavori e aveva costituito risposta alla stessa la raccomandata con la quale il legale dell’appaltatore aveva contestato il mancato pagamento della fattura NUMERO_DOCUMENTO e aveva sollecitato la controparte all’adempimento soll evando eccezione ex art. 1460 cod. civ.; quindi, ha dichiarato di condividere la conclusione del Tribunale secondo l a quale non sussistevano i presupposti dell’eccezione di inadempimento sollevata dall’appaltatore in quanto, all’epoca in cui l’eccezione era stata sollevata, l’appaltatore era già stato reiteratamente invitato dal direttore dei lavori a riprendere l’esecuzione dei lavori e a indicarne la data di compimento e quindi era
inadempiente a sua volta; ha aggiunto che nel contempo le debitrici avevano pagato quasi integralmente i lavori, rimanendo debitrici in relazione ai quattro contratti della somma di Euro 38.717,12, a fronte di un valore complessivo accertato delle opere di Euro 320.754,35, per cui il debito residuo era di poco superiore al 10% della trattenuta in garanzia e il mancato pagamento delle opere da rivedere era giustificato dalle contestazioni. Perciò la sentenza ha concluso che nel novembre 2008 l’appaltatore av eva sospeso anche formalmente l’esecuzione delle opere in assenza dei presupposti che glielo permettessero e ha dichiarato che tale circostanza, valutata unitamente al fatto che i lavori non erano stati terminati nonostante il tempo decorso dal loro inizio, consentivano di ritenere la giusta causa del recesso delle committenti. In questo modo la sentenza ha esposto in modo diffuso e sicuramente tale da garantire il rispetto del ‘minimo costituzionale’ gli argomenti in forza dei quali ha escluso la legittim ità dell’eccezione di inadempimento sollevata dall’appaltatore, sia valutando l’inadempimento delle committenti nella sua entità, sia ponendolo a confronto con l’inadempimento dell’appaltatore ; ha altresì ricostruito in fatto, considerando la stretta tempistica dei primi due contratti, nonché il dato che il terzo contratto riguardava lavori analoghi, il termine per il compimento delle opere, senza alcuna contraddizione insanabile che renda incomprensibile il ragionamento, ma esponendo logicamente le sue deduzioni.
Non è neppure vero che sussista contraddizione insanabile tra l’affermazione che i lavori non erano stati terminati entro il termine e l ‘esclusione dell’esistenza di termine essenziale, perché la sentenza non ha neanche affrontato la questione dell’esistenza di termine essenziale, a fronte della deduzione (pag.23 della sentenza) che le committenti non avevano invocato l’esistenza di termini essenziali; però, è pacifico che la mancanza di termine essenziale non escludeva
che le committenti potessero lamentare i ritardi nell’esecuzione dei lavori, integranti in sé inadempimento, e che il giudicante dovesse esaminare le relative deduzioni, come nella fattispecie ha fatto senza incorrere in alcun vizio di motivazione rilevante ex art. 360 co.1 n.4 cod. proc. civ. Neppure le altre deduzioni svolte dalla sentenza sul termine di fine dei lavori sono evidentemente affette dalla contraddizione insanabile lamentata dal ricorrente; al contrario, gli stessi argomenti del ricorrente, laddove evidenziano che secondo il ragionamento svolto dalla sentenza i lavori avrebbero dovuto essere conclusi in luglio e invece la sentenza ha fatto riferimento a una data successiva indicano soltanto che la valutazione è stata svolta dalla Corte d’appello conteggiando i termini per l’esecuzione dei lavori in modo approssimativo e ampio, così favorevole all’appaltatore.
Non sussiste contraddizione insanabile tale da determinare nullità della sentenza neppure per il fatto che la sentenza abbia dichiarato che il recesso delle committenti erano sorretto da giusta causa e poi abbia dichiarato che non sussistevano i presupposti per riconoscere l’indennizzo ex art. 1671 cod. civ. per mancanza di prova del quantum. Infatti, è vero che a fronte del rigetto del motivo di appello con il quale era stata censurata la sentenza di primo grado per avere ritenuto la giusta causa del recesso delle committenti, la sentenza non avrebbe avuto necessità di esaminare la domanda di indennizzo ex art. 1671 cod. civ. riproposta dall’appaltatore. Nel contratto di appalto il recesso unilaterale del committente previsto dall’art. 1671 cod. civ. costituisce esercizio di diritto potestativo, esercitabile ad nutum in qualsiasi momento dell’esecuzione del rapporto, può essere esercitato per qualsiasi ragione che induca il committente a porre fine al rapporto e, come tale, non esige che ricorra una giusta causa (Cass. Sez. 2 2-52011 n. 9645 Rv. 617702-01, Cass. Sez. 2 29-7-2003 n. 11642 Rv. 565482-01); solo il recesso ex art. 1671 cod. civ. giustifica in sé il
riconoscimento a favore dell’appaltatore dell’indennizzo previsto dall a disposizione, evidentemente non spettante nel caso in cui il committente abbia esercitato il recesso per giusta causa e perciò lamentando l’inadempimento dell’appaltatore. Però, la circostanza che la sentenza abbia rigettato quella domanda per mancanza di prova indica esclusivamente che la Corte ha esaminato una questione in concreto superflua, ma non fa emergere insanabile contraddizione con le precedenti statuizioni. Infatti, tale contraddizione vi sarebbe stata soltanto se la sentenza avesse dichiarato che sussistevano i presupposti dell’indennizzo ex art. 1671 cod. civ. ma l’indennizzo non poteva essere riconosciuto perché non provato nell’ammontare .
6.3.La pronuncia si sottrae anche a tutte le censure prospettate ex art. 360 co.1 n. 3 cod. proc. civ. nel corpo dei motivi secondo, quarto e quinto.
6.3.1.Non sussiste la violazione dell’art. 1460 cod. civ. lamentata nel secondo motivo, in quanto la Corte territoriale, ponendo a confronto i rispettivi inadempimenti nell’esecuzione dell’accertamento di fatto a essa spettante e insindacabile in questa sede, ha fatto applicazione del principio secondo il quale, in tema di inadempimento contrattuale, l’ exceptio non rite adimpleti contractus di cui all’art. 1460 c.c. si fonda su due presupposti, riferiti all’esistenza dell’inadempimento anche dell’altra part e e alla proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, da valutare non in rapporto alla rappresentazione soggettiva che le parti se ne facciano ma in relazione alla situazione oggettiva (Cass. Sez. 63 26-5-2022 n. 17020 Rv. 665058-01). Inoltre la Corte territoriale, ritenendo l’esistenza dei presupposti per il recesso per giusta causa delle committenti, ha fatto applicazione del l’ulteriore principio secondo il quale nei contratti a prestazioni corrispettive le inadempienze reciproche devono essere valutate dal giudice di merito addebitando l’inadempimento esclusivamente al contraente che, con il proprio
comportamento prevalente, abbia alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il contratto e perciò abbia dato causa al giustificato inadempimento dell’altra parte (cfr. Cass. Sez. 2 12-2-2020 n. 3455 Rv. 657100-01, Cass. Sez. 2 11-6-2013 n. 14648 Rv. 626586-01).
6.3.2.Sono inammissibili le deduzioni svolte nel corpo del quarto motivo per sostenere l’erronea applicazione dell’art. 1183 cod. civ. sul tempo dell’adempimento. Non si pone nella fattispecie questione di determinazione da parte del giudice del momento dell’inadempi mento, ma di accertamento di fatto in ordine ai termini concordati dalle parti per l’esecuzione delle prestazioni, al fine della valutazione dell’inadempimento lamentato dalle committenti in relazione al ritardo nell’esecuzione delle prestazioni.
6.3.3.Sono inammissibili anche le deduzioni svolte nel corpo del quarto motivo per sostenere l’erronea interpretazione dei canoni di interpretazione del contratto. E’ a ssorbente su tutti gli altri il rilievo sul mancato rispetto nel ricorso del principio secondo il quale la parte che intenda denunciare un errore nell’interpretazione di clausola contrattuale non può limitarsi a richiamare le regole di cui all’art. 1362 cod. civ., ma ha l’onere di specificare i canoni che in concreto si assumono violati e in particolare il punto e il modo in cui il giudice di merito si sia dagli stessi discostato (Cass. Sez. 3 28-11-2017 n. 28319 Rv. 646649-01).
6.3.4. E’ inammissibile anche la deduzione in ordine alla violazione dell’art. 1671 cod. civ. lamentata dal ricorrente, per carenza di interesse. Infatti il rigetto dei motivi di ricorso comporta il definitivo accertamento dei presupposti per il recesso per giusta causa da parte delle committenti e la definitiva esclusione del ricorrere di recesso ad nutum ex art. 1671 cod. civ., con la conseguente irrilevanza delle deduzioni svolte dal ricorrente sulla violazione dell’art. 1671 cod. civ .
7.Con il sesto motivo, relativo alla compensazione delle spese di lite di secondo grado, il ricorrente in primo luogo sostiene che le censure svolte evidenzino una situazione di soccombenza in secondo grado delle committenti di entità superiore a quella che ha consentito l’integrale compensazione. Aggiunge che in caso di accoglimento del suo ricorso, la soccombenza della controparte sarà più netta.
7.1.Il motivo è infondato nella parte in cui prospetta censura alla statuizione di compensazione delle spese di lite eseguita dalla sentenza impugnata. La compensazione delle spese del grado di appello è stata espressamente giustificata dalla sentenza impugnata in considerazione della reciproca soccombenza, effettivamente esistente; quindi si deve fare applicazione del principio secondo il quale la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali devono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92 co. 2 cod. proc. civ. , rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo il giudice di merito tenuto a rispettare una esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass. Sez. 6-3 26-5-2021 n. 14459 Rv. 661569-01, Cass. Sez. 2 20-12-2017 n. 30592 Rv. 646611-01, Cass. Sez. 2 31-1-2014 n. 2149 Rv. 629389-01).
Nella parte in cui il ricorrente chiede una diversa regolamentazione delle spese di lite del grado conclusosi con la sentenza impugnata in relazione all’accoglimento del suo ricorso, la deduzione è priva di attinenza al decisum, in quanto non individua nella pronuncia un errore; perciò è inammissibile ai sensi dell’art. 366 co. 1 n. 4 cod. proc. civ.
8.In conclusione il ricorso è interamente rigettato.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto (cfr. Cass. Sez. U 20-2-2020 n. 4315 Rv. 657198-06, secondo cui l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non esime dal rendere la dichiarazione, trattandosi di causa di esenzione suscettibile di venire meno).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione a favore delle controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione