Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15345 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15345 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 31/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17254/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDICOGNOME, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDICOGNOME, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO GENOVA n. 454/2020 depositata il 26/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Premesso che:
1.le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE stipulavano nel 2012 un contratto in forza del quale la prima si obbligava a svolgere attività manutentiva su vagoni ferroviari della seconda. Nel 2013 insorgevano contrasti: la Mgw rivendicava il pagamento di alcune fatture. La RAGIONE_SOCIALE addebitava alla RAGIONE_SOCIALE il mancato o inesatto adempimento di operazioni fatturate e pagate. Risolveva il contratto in tronco con comunicazione in data 3 marzo 2013. La RAGIONE_SOCIALE ricorreva al Tribunale di La Spezia di ex art. 633 c.p.c. ed otteneva un decreto ingiuntivo per il credito relativo alle fatture non pagate. Avverso il decreto la RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione con cui, oltre alla revoca del decreto, chiedeva la condanna della ingiungente alla restituzione degli importi pagati a fronte di attività non effettuate o non effettuate correttamente nonché al risarcimento del danno pari all’importo -circa 67.000 euro -versato da essa opponente alla società RAGIONE_SOCIALE incaricata, dopo il recesso dal contratto, di svolgere la manutenzione delle locomotive che avrebbe dovuto essere svolta dalla RAGIONE_SOCIALE.
All’esito della giudizio il Tribunale, in parziale accoglimento della opposizione, revocava il decreto ingiuntivo affermando -per quanto ancora interessa -, da un lato, che la RAGIONE_SOCIALE aveva sciolto il contratto in tronco senza che ve ne fossero i presupposti e che pertanto dovevano essere riconosciuti alla RAGIONE_SOCIALE i crediti vantati con l’originario ricorso e doveva essere negato il diritto della ingiunta alla restituzione delle somme già pagate, da un altro lato, che la
NOME aveva diritto al risarcimento pari all’importo pagato alla RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza veniva appellata dalla NOME.
La Corte di Appello accoglieva l’impugnazione in base a questa motivazione:
il Tribunale aveva affermato che non vi erano i presupposti perché la RAGIONE_SOCIALE si sciogliesse dal contratto;
non coerentemente rispetto a questa premessa il Tribunale aveva riconosciuto alla RAGIONE_SOCIALE il risarcimento del danno pari alla somma versata alla società RAGIONE_SOCIALE, alla quale la RAGIONE_SOCIALE si era rivolta a seguito del recesso dal contratto, per realizzare gli interventi manutentivi che avrebbero dovuto essere eseguiti dalla RAGIONE_SOCIALE;
la prima affermazione non era stata ‘sottoposta a censura dalla appellata’;
la RAGIONE_SOCIALE non poteva pretendere il rimborso di spese sostenute non a causa della inadempienza della RAGIONE_SOCIALE ma in base alle propria ‘scelta di far eseguire la manutenzione da altra azienda’;
3.contro la sentenza di appello la RAGIONE_SOCIALE ricorre con cinque motivi, illustrati con memoria e avversati dalla RAGIONE_SOCIALE con controricorso;
considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso viene lamentata la ‘violazione o falsa applicazione dell’art.112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n.4 , c.p.c. per avere la Corte di Appello, in assenza di domanda, ‘dichiarato illegittima la risoluzione del contratto esercitata da RAGIONE_SOCIALE‘;
il motivo è inammissibile.
Il vizio di extra od ultra petizione ricorre soltanto quando la decisione non corrisponda alla domanda o alla eccezione, o statuisca su questioni che non formano oggetto del giudizio, attribuendo alle parti beni della vita non richiesti o diversi da quelli richiesti (v. tra molte, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 26999 del 07/12/2005; Cass. 8218/2002; Cass. n.727/1973) .
La Corte di Appello non ha ‘dichiarato illegittima la risoluzione del contratto esercitato da RAGIONE_SOCIALE‘.
Ha ricordato che il recesso, con effetto immeditato, comunicato dalla RAGIONE_SOCIALE alla Mgw era stato dichiarato ingiustificato dal giudice di primo grado. La Corte di Appello ha trascritto il passaggio di riferimento della sentenza di primo grado.
Non vi è stata quindi violazione dell’art. 112 c.p.c. e il motivo è inammissibile in quanto tendente a porre in discussione in questa sede la decisione di primo grado in contrasto con il principio per cui ‘ Il vizio di ultra o extra petizione della sentenza di primo grado non può essere prospettato per la prima volta nel ricorso per cassazione ove il ricorrente non l’abbia dedotto come specifico motivo di gravame nel giudizio d’appello’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n.11382 del 24/05/2011) ;
3. con il secondo motivo di ricorso viene lamentato ‘l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n.5 , c.p.c.’ per avere la Corte di Appello trascurato ‘l’adesione alla risoluzione e la risoluzione a sua volta operata da Mgw dopo aver ricevuto la comunicazione di interruzione del rapporto da parte di RAGIONE_SOCIALE‘.
Viene dedotto che la Mgw, ricevuta la comunicazione di recesso della RAGIONE_SOCIALE, aveva, il giorno successivo, dichiarato di ‘accettare la revoca e revocato’ a sua volta ‘il contratto’. Viene dedotto che ‘se il collegio d’appello avesse tenuto in considerazione
tale circostanza non avrebbe mosso alcun addebito in relazione alla risoluzione del contatto a carico di RAGIONE_SOCIALE venendo meno il presupposto dell’accoglimento dell’appello avversario’. La ricorrente sostiene che la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto del fatto che la decisione di essa ricorrente di rivolgersi alla RAGIONE_SOCIALE non è seguita al recesso per inadempienze della RAGIONE_SOCIALE ma allo scioglimento del rapporto per effetto della ‘accettazione del recesso’ da parte della RAGIONE_SOCIALE talché ‘i lavori successivamente affidati alla RAGIONE_SOCIALE‘ erano ‘circostanza verificatasi con l’avallo implicito’ di NOME.
4. il motivo è inammissibile.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 8053 del 07/04/2014 hanno affermato: ‘l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.
È stato poi precisato che ‘L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l'”omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un
preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate’ (Cass. Sez. 6 -1, Ordinanza n.2268 del 26/01/2022).
Nel caso di specie, la ricorrente non ha precisato quando sarebbe stato discusso che il contratto non avrebbe perso effetto per suo recesso ma per accettazione del recesso stesso da parte della RAGIONE_SOCIALE e per recesso di quest’ultima.
Non è apprezzabile la decisività di una circostanza intrinsecamente contraddittoria come quella costituita dalla accettazione dell’altrui recesso e contestuale esercizio a propria volta del recesso.
La circostanza, se valorizzata secondo l’impostazione che emerge dal passaggio del ricorso in cui è scritto che lo scioglimento del rapporto era avvenuto per effetto della ‘accettazione del recesso’ da parte della Mgw talché ‘i lavori successivamente affidati alla RAGIONE_SOCIALE‘ erano ‘circostanza verificatasi con l’avallo implicito’ di Mgw, si risolve in una ridefinizione della vicenda in termini fattuali diversi da quelli che la Corte di Appello e il Tribunale hanno assunto a base delle decisioni, essendo sotteso ad entrambe le decisioni che il contratto era stato sciolto unilateralmente dalla RAGIONE_SOCIALE. Si risolve, per di più, in una ridefinizione che confermerebbe la sostanziale correttezza della affermazione della Corte di Appello per cui, ‘se non vi erano i presupposti per la risoluzione del contratto come ha affermato il primo giudice … la scelta della RAGIONE_SOCIALE di far eseguire altra manutenzione da altra azienda non può certo ricadere sulla Mgw’, atteso che in base a tale ridefinizione il titolo della pretesa di rimborso delle spese non sarebbe quello azionato dalla ricorrente di risarcimento del danno da inadempimento del contratto originario (art. 1218 c.c.);
5. con il terzo motivo di ricorso viene lamentata la ‘violazione o falsa applicazione degli artt.1218 e 1223 c.c. e dell’art. 633 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c.’ per avere la Corte di Appello valutato gli inadempimenti di MGW solo ‘quale parametro per giustificare o meno la risoluzione di RAGIONE_SOCIALE‘ laddove invece avrebbe dovuto ‘valutare gli inadempimenti di MGW anche come fonte di obbligazioni contrattuali nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, una volta appurato che la risoluzione non era addebitabile’ a quest’ultima’. La Corte di Appello avrebbe dovuto ‘riconoscere il danno subito dal RAGIONE_SOCIALE in ragione degli inadempimenti di MGW (di cui è stato illegittimamente riconosciuto il diritto a percepire integralmente le somme del contratto di manutenzione fino alla concorde risoluzione)’in misura ‘quantomeno pari alle somme pagate a RAGIONE_SOCIALE‘.
il motivo è inammissibile perché tende a rimettere in discussione il merito.
La Corte di Appello, confermando la decisione di primo grado, ha osservato che ‘le inadempienze o carenze sempre di carattere marginale’ della Mgw non giustificavano il recesso della RAGIONE_SOCIALE‘. Ha tratto da questa affermazione -affermazione che, come la stessa Corte di Appello ha sottolineato, era rimasta incontestata -che non vi era un rapporto di consequenzialità (art. 1223 c.c.) tra le inadempienze o carenze suddette e il fatto che la RAGIONE_SOCIALE si fosse rivolta alla RAGIONE_SOCIALE. Quel fatto era legato alla ‘scelta’ della RAGIONE_SOCIALE di sciogliersi dal contratto.
Con il motivo in esame si tende in particolare a rimettere in discussione la premessa del ragionamento della Corte di Appello ossia che gli inadempimenti della Mgw non erano tali da giustificare l’immediato recesso della RAGIONE_SOCIALE né quindi da rendere necessaria la sostituzione della Mgw con la società RAGIONE_SOCIALE.
Alla dedotta violazione o falsa applicazione di legge è sottesa una struttura argomentativa di questo tipo: poiché il giudice di merito ha accertato i fatti X e tale accertamento è erroneo (cioè, non corrisponde alla realtà delle cose), allora sono state violate le norme giuridiche Y; tale struttura scambia il ruolo della Corte di Cassazione per quello di una terza istanza di merito.
Vale il principio per cui: ‘È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’ (Cass. Sez. U – , Sentenza n.34476 del 27/12/2019);
6. con il quarto motivo di ricorso viene lamentata la ‘violazione o falsa applicazione dell’art.112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n.4, c.p.c. laddove la Corte di Appello nulla ha statuito circa la domanda svolta da RAGIONE_SOCIALE in via subordinata nel corso del primo grado di giudizio ed espressamente richiamata in sede di appello, circa la condanna parziale della Mgw a seguito di inadempimenti al contratto di manutenzione’.
Viene dedotto che nella citazione in opposizione essa ricorrente aveva chiesto la condanna della Mgw a restituire l’importo della fattura n.720 -208 -0213/2013 per mancato adempimento delle prestazioni manutentive a cui la fattura era correlata.
7. Il motivo è infondato.
La Corte di Appello ha evidenziato che il Tribunale aveva ‘ritenuto dovute le somme pretese con il decreto ingiuntivo e infondata la pretesa della RAGIONE_SOCIALE di restituzione delle somme già pagate per l’attività di manutenzione svolta nei mesi da ottobre 2012 a gennaio 2013′.
La pronuncia di primo grado non è stata appellata dalla RAGIONE_SOCIALE. Come si legge nella sentenza impugnata, la appellata RAGIONE_SOCIALE si era limitata al richiamo di ‘ogni domanda, eccezione
ed istanza proposta nel procedimento di primo grado’ chiedendo alla Corte di Appello di ‘rigettare integralmente l’appello promosso dalla RAGIONE_SOCIALE‘.
‘Soltanto la parte vittoriosa in primo grado non ha l’onere di proporre appello incidentale per far valere le domande e le eccezioni non accolte e, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c., può limitarsi a riproporle, mentre la parte rimasta parzialmente soccombente in relazione ad una domanda od eccezione, di cui intende ottenere l’accoglimento, ha l’onere di proporre appello incidentale, pena il formarsi del giudicato sul rigetto della stessa’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n.9889 del 13/05/2016).
In assenza di appello, la Corte di Appello non ha violato l’art.112 c.p.c. Al contrario, l’avrebbe violato se avesse ripreso in esame la suddetta pretesa;
con il quinto motivo di ricorso viene lamentata la ‘nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360, primo comma, n.4, c.p.c. per violazione dell’art. 115 c.p.c.’.
Viene dedotto che il CTU nominato in primo grado aveva dato risposta positiva al quesito se ‘l’attività posta in essere dalla RAGIONE_SOCIALE fosse compatibile con quella oggetto del contratto con Mgw’.
La Corte di Appello avrebbe violato l’art. 115 c.p.c. in quanto avrebbe ‘mal interpretato la CTU’ affermando che ‘se non vi erano i presupposti per la risoluzione del contratto … la scelta della RAGIONE_SOCIALE di far eseguire altra manutenzione da altra azienda non può certo ricadere sulla Mgw’.
Il motivo è inammissibile.
Merita ricordare che ‘In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio’ (Cass. Sez. U , sentenza n. 20867 del 30/09/2020).
La ricorrente con il motivo in discussione non veicola una denuncia di tal genere.
Si aggiunge che anche con questo motivo non si tiene conto della ratio della sentenza impugnata: la decisione della RAGIONE_SOCIALE di rivolgersi alla RAGIONE_SOCIALE era stata frutto di sua scelta connessa alla sua decisione di sciogliersi dal contratto con la Mgw malgrado non ne ricorressero i presupposti. Rispetto a questa ratio il richiamo a quanto accertato del CTU (‘l’attività posta in essere dalla RAGIONE_SOCIALE‘ era ‘compatibile con quella oggetto del contratto con Mgw’) è del tutto inconferente;
in conclusione il ricorso va rigettato;
le spese seguono la soccombenza;
13.ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso;
condanna la società ricorrente a rifondere alla controparte le spese del giudizio di legittimità, liquidate in €6000,00, per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle
spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 22 maggio 2024.