Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 29279 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 29279 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17784-2021 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE unico, società soggetta a direzione e coordinamento di RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1000/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 22/12/2020 R.G.N. 1568/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/07/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
Oggetto
Agenzia Recesso per giusta causa del preponente
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 03/07/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 575/2018 il Tribunale di Castrovillari, in parziale accoglimento del ricorso proposto da COGNOME NOME, agente della RAGIONE_SOCIALE, aveva accertato l’illegittimità del recesso per giusta causa da quest’ultima intimatogli, ma aveva condannato detta società solamente a versagli la somma di € 62.063,12, a titolo di indennità sostitutiva del preavviso.
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Catanzaro rigettava l’appello principale proposto dall’agente contro la sentenza di primo grado, mentre, in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto dall’RAGIONE_SOCIALE avverso la medesima decisione, ed in riforma della stessa, rigettava la domanda del ricorrente di primo grado.
La Corte, dopo aveva dato conto di quanto considerato e deciso dal primo giudice e dei motivi delle rispettive impugnazioni delle parti, e richiamati principi in tema di recesso per giusta causa dal contratto di agenzia, premetteva anzitutto quali fatti erano stati addebitati all’agente; riportati, quindi, taluni punti del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, osservava che il primo giudice avrebbe dovuto fare applicazione della regola di cui all’art. 115 c.p.c. e ritenere provati i fatti nel la loro estrinsecazione materiale e procedere alla valutazione della loro contrarietà agli obblighi nascenti dal contratto di agenzia, verificando la gravità dell’inadempimento ai fini della giusta causa del recesso ex art. 2119 c.c.
In ogni caso aggiungeva che anche la documentazione prodotta dalla società preponente, integrata con le risultanze
della prova testimoniale assunta, consentiva di ritenere ampiamente provati gli addebiti.
5.1. Riesaminate le relative emergenze, la Corte riteneva acclarato l’addebito di aver ricevuto da alcuni clienti importi a titolo di corrispettivo per l’acquisto di apparecchi acustici, omettendo di versare gli incassi ed anzi, con riferimento ai clienti COGNOME e COGNOME, mantenendo le relative pratiche nello status di ‘prove gratuite’; condotta, quest’ultima, che non poteva che giustificarsi con l’intento di evitare che gli venisse sollecitato il versamento di quanto ricevuto da parte della preponente.
5.2. Rilevava a riguardo che l’obbligazione dell’agente di consegnare in tempi rapidi ad RAGIONE_SOCIALE le somme incassate risultava provata dal contratto d’agenzia stipulato, che all’art. 6 prevedeva espressamente che l’agente ‘… dovrà adoperarsi per rimettere i corrispettivi all’RAGIONE_SOCIALE nel più breve tempo possibile …’, richiamando in merito a conferma le deposizioni dei testi escussi.
Riteneva, in definitiva, che si trattava di un grave inadempimento e che la sua condotta, avuto riguardo alle sue concrete modalità esecutive (caratterizzate dalla indicazione erronea della reale posizione dei clienti), all’evidente intenzionalità ed alla reiterazione della condotta, era tale da ledere irrimediabilmente il rapporto di fiducia indispensabile nel rapporto di agenzia.
In conclusione, la Corte riteneva che il recesso senza preavviso fosse assistito da idonea giusta causa, sicché non competeva all’agente né l’indennità sostitutiva del preavviso, né
quella suppletiva di clientela, che presuppongono entrambe un recesso per causa non imputabile all’agente.
Pertanto, rigettato l’appello principale di quest’ultimo, riteneva che quello incidentale della società andava accolto limitatamente al riconoscimento in sentenza dell’indennità sostitutiva del preavviso all’agente.
Considerava, infatti, che non poteva essere riconosciuta alla società l’indennità di mancato preavviso, in quanto non è previsto dagli AEC che spetti tale emolumento in favore della preponente, qualora receda per giusta causa senza preavviso, essendo co ntemplata a suo favore solo nell’ipotesi in cui receda l’agente con effetto immediato.
Avverso tale decisione COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resiste RAGIONE_SOCIALE (subentrata ad RAGIONE_SOCIALE) con controricorso e successiva memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia: ‘Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione agli artt. 115 cpc e 2697 cc. Travisamento della contestazione agli addebiti mossi da RAGIONE_SOCIALE, fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ‘.
Con un secondo motivo denuncia: ‘Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione agli artt. 116 cpc e 2697 cc. Travisamento delle risultanze istruttorie relative alla verifica
degli addebiti mossi dalla RAGIONE_SOCIALE, fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti’.
Con un terzo motivo denuncia: ‘Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del combinato disposto di cui agli artt. 1751 e 2119 c.c., inesistenza di una giusta causa di recesso’.
Il primo motivo è inammissibile.
Secondo un consolidato indirizzo di questa Corte, l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, ammette la denuncia innanzi alla Suprema Corte di un vizio attinente all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza provenga dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, con la necessaria conseguenza che è onere del ricorrente, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., indicare il fatto storico, il dato da cui esso risulti esistente, il come ed il quando esso abbia formato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività (così ex multis , più di recente, Cass., sez. un., 30.7.2021, n. 21973).
Come si è accennato in narrativa, la Corte distrettuale, nella propria motivazione, ha in primo luogo premesso in dettaglio i fatti che ha ritenuto addebitati all’agente (pagg. 6 -8 della sentenza); quindi ha considerato che, ‘per come correttamente dedotto dalla società appellata, tali fatti non sono stati contestati dall’agente, ma anzi sono stati giustificati come ritardi di versamenti insignificanti, che non hanno prodotto né danni né vantaggi ad alcuno’. ‘In tal senso’, ha trascritto talune parti alle pagg. 4-5 del ricorso introduttivo del giudizio di primo
grado. E ha concluso che: ‘Il giudice, dunque, avrebbe dovuto fare applicazione della regola di cui all’art. 115 c.p.c. e ritenere provati i fatti nella loro estrinsecazione materiale e procedere alla valutazione della loro contrarietà agli obblighi nascenti dal contratto di agenzia, verificando la gravità dell’inadempimento ai fini della giusta causa del recesso ex art. 2119 c.c.’ (così tra la pag. 8 e la pag. 9 della sua sentenza).
Nella censura in esame il ricorrente, premettendo che: ‘La Corte distrettuale, invece, assume che gli addebiti non sarebbero stati contestati dall’odierno ricorrente per cui dovrebbero ritenersi pacifici ed ammessi e, pertanto, non bisognosi di prova’, deduce che ‘L’assunto è manifestamente infondato e mostra quanto poco il giudice distrettuale abbia esaminato la vicenda al suo vaglio’. Ascrive alla Corte di non ‘aver considerato che nel ricorso di primo grado, che erroneamente richiama ai fini dei suoi assunti estrapolandone solo alcune parti, gli addebiti avversi sono stati contestati a più riprese’, passando quindi ad illustrare tale sua tesi.
Rileva allora il Collegio che il motivo, formulato esclusivamente ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., è inammissibile in una duplice chiave.
8.1. In primo luogo, invero, il ricorrente non deduce l”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’, nel senso sopra premesso.
Piuttosto, il ricorrente, come espresso già nella rubrica della censura in esame, si duole di un ‘travisamento della’ propria ‘contestazione agli addebiti mossi da RAGIONE_SOCIALE‘, sostenendo in sostanza una difettosa interpretazione del proprio ricorso introduttivo del giudizio a riguardo. Assume, infatti, che:
‘L’errore di fondo commesso dalla Corte distrettuale è quello di non essersi avveduta che il ricorrente ha semplicemente sostenuto, pur ribadendo a più riprese la contestazione degli addebiti, che qualora gli stessi avessero trovato riscontro, in ogni caso non sarebbero stati idonei a sorreggere il recesso per giusta causa operato dalla odierna resistente’ (v. pagg. 10-11 del ricorso).
8.2. In secondo luogo, la censura neppure è aderente alla motivazione della Corte d’appello che, come risulta dai passi innanzi richiamati, non ha ritenuto che gli ‘addebiti mossi da RAGIONE_SOCIALE‘ all’agente non fossero stati contestati da quest’ultimo, be nsì ha considerato che i fatti relativi ‘nella loro estrinsecazione materiale’ non fossero stati contestati dallo stesso nel ricorso introduttivo.
9. Parimenti inammissibile è il secondo motivo.
Con la recente sentenza n. 5792 del 2024, le Sezioni Unite di questa Corte hanno insegnato che: ‘ Il travisamento del contenuto oggettivo della prova -che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio trova il suo istituzionale rimedio n ell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti -il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4 o n. 5, c.p.c., a seco nda che si tratti di fatto processuale o sostanziale ‘.
Ebbene, anche il secondo motivo fa esclusivo riferimento al mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., in chiave di ‘Travisamento delle risultanze istruttorie relative alla verifica degli addebiti mossi dalla RAGIONE_SOCIALE, fatto decisivo pe r il giudizio, oggetto di discussione tra le parti’.
In questo caso, si premette che la sentenza impugnata ‘sostiene che l’unitario esame delle prove documentali e dichiarative giustificherebbe la sussistenza degli addebiti pure posti a fondamento del recesso per giusta causa operato dalla odierna resistente ‘, ma si assume che: ‘Le conclusioni sono errate e derivano da dati fattuali meramente apodittici e non risultanti dal fascicolo processuale, contrastati dai mezzi di prova ritualmente acquisiti e dalla loro corretta valutazione’.
Osserva il Collegio che l’esteso sviluppo della doglianza, in cui sono fotoriprodotti documenti e stralci dei verbali relativi a talune deposizioni testimoniali (cfr. pagg. 12-24 del ricorso per cassazione), rende chiaro che essa propone una critica in senso stretto dell’apprezzamento probatorio operato dai giudici di secondo grado e una diversa lettura delle risultanze processuali; entrambe non consentite in questa sede di legittimità.
13. Il terzo motivo pure è inammissibile.
Tale censura, questa volta basata esclusivamente sull’ipotesi di cui all’art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c., s’incentra anche su una rivisitazione del quadro probatorio (cfr. in particolare, pagg. 27-31 e pagg. 33-34 del ricorso).
Erroneamente, comunque, il ricorrente assume che: ‘Gli unici elementi indicati dal giudice distrettuale sarebbero:
le concrete modalità esecutive (caratterizzate dalla indicazione erronea della reale posizione dei clienti);
l’evidente l’intenzionalità;
La reiterazione della stessa’.
16. Invero, la Corte di merito ha correttamente richiamato il principio di diritto secondo cui il contratto di agenzia può risolversi anche senza preavviso (e senza il pagamento dell’indennità sostitutiva) ove sussista una giusta causa di recesso, applican dosi ad esso le disposizioni dell’art. 2119 c.c., attesa l’evidente analogia, quanto alla rilevanza ed agli effetti della fattispecie risolutoria, fra il rapporto di agenzia e quello di lavoro subordinato a tempo indeterminato, entrambi fondati sull’elemen to fiduciario, sicché il concetto di giusta causa di cui all’art. 2119 c.c. ben può essere utilizzato, pur nella sostanziale diversità delle rispettive prestazioni e della configurazione giuridica dei due contratti, per stabilire se lo scioglimento del rapporto di agenzia sia avvenuto o non per un fatto imputabile all’agente tale da precludere la prosecuzione, anche temporanea, del rapporto perché idoneo a rimuovere il presupposto fiduciario di questo.
16.1. Dopo aver premesso, come già visto, quali fatti fossero stati contestati all’agente, la Corte ha estesamente esposto e valutato le risultanze processuali, ponendo in risalto l’intento dell’agente ‘di evitare che gli venisse sollecitato il versamento di quanto ricevuto’ e che ‘in ogni caso, non può certamente essere qualificato come tempestivo il lasso di tempo di mesi e, nell’ultimo caso di anni, intercorso tra l’incasso delle somme e la corresponsione delle stesse ad RAGIONE_SOCIALE, peraltro,
solo dopo espressa sollecitazione’ (v. in extenso pagg. 8-11 della sua sentenza).
Quindi, la Corte ha concluso trattarsi ‘di un grave inadempimento, in quanto l’agente ha trattenuto presso di sé le somme incassate indebitamente, segnalando erroneamente nel sistema informativo (al quale aveva libero accesso cfr. dep. Frangipane) la reale posizione dei clienti ovvero mantenendo le relative pratiche nello status di ‘prove gratuite’ (il riferimento è ai COGNOME ed a COGNOME), che è incontestato non possano essere superiori a 30 giorni e, dunque, in evidente violazione degli impegni cont rattuali. Irrilevante, poi, è che l’importo, che complessivamente non è stato tempestivamente versato, sia intorno a € 4.000, né che il danno economico non si sia concretizzato, perché -facendo applicazione dei principi consolidatisi nella materia analoga del licenziamento per giusta causa -la modesta entità del fatto addebitato non va riferita all’assenza o alla tenuità del danno patrimoniale subito dal datore di lavoro, dovendosi valutare la condotta del prestatore di lavoro sotto il profilo del valore sintomatico che può assumere rispetto ai suoi futuri comportamenti, nonché all’idoneità a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e ad incidere sull’elemento essenziale della fiducia, sotteso al rapporto di lavoro (cfr. ex multis Cass. Sez. L -n. 8816 del 05/04/2017): ebbene nel caso di specie viene in considerazione una condotta, che avuto riguardo alle sue concrete modalità esecutive (caratterizzate dalla indicazione erronea della reale posizione dei clienti), all’evidente inte nzionalità ed alla reiterazione della stessa, è tale da ledere irrimediabilmente il rapporto di fiducia indispensabile nel rapporto di agenzia’ (così alle pagg. 11 -12).
Contrariamente, perciò, a quanto assume il ricorrente, la Corte di merito, in base ad argomentato accertamento fattuale, risultato incensurabile in questa sede di legittimità, ha chiaramente esposto i parametri valutativi in base ai quali è giunta alla conclusione di reputare i reiterati inadempimenti dell’agente (uno dei quali alquanto prolungato), anche sul piano dell’elemento soggettivo di natura specificamente intenzionale, di gravità tale da ledere irrimediabilmente il rapporto di fiducia indispensabile nel rapporto di agenzia, onde integrare una giusta causa di recesso da parte della preponente.
Il ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, IVA e CPA come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 3 luglio 2025.
La Presidente NOME COGNOME