Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24813 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24813 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2024
sul ricorso 11463/2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende
–
ricorrente – contro
NOME
– intimato – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di CATANZARO n. 1774/2019 depositata il 19/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7/05/2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE ricorre per cassazione avverso l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Catanzaro -adita dalla banca per la riforma della decisione che in primo grado aveva accolto la domanda di NOME intesa a contestare la legittimità della compensazione da essa operata tra il saldo del conto corrente intestato al NOME ed il debito relativo al saldo del conto corrente di un terzo di cui il NOME si era reso garante -ha respinto il proposto atto di gravame e confermato perciò le determinRAGIONE_SOCIALE adottate dal primo giudice.
In particolare la Corte di merito, dato inizialmente atto che il NOME aveva comunicato di recedere dal rapporto di garanzia a mezzo di inoltro raccomandato inoppugnabilmente pervenuto alla banca il 26 febbraio 2007 attesa la produzione in giudizio sia della ricevuta di spedizione che dell’avviso di ricevimento -circostanze, queste, che in difetto di prova contraria, attestavano la piena conoscenza del recesso da parte della banca -ha escluso la legittimità dell’operata compensazione per difetto del requisito della esigibilità -ai sensi dell’art. 1243 cod. civ., non derogato dall’art. 1853 del credito della banca, in quanto «il saldo del conto corrente non è esigibile da parte della banca specialmente quando come nella specie esso saldo non sia stato comunicato tempestivamente concedendo al fideiussore la possibilità di eventualmente contestarlo ovvero di estinguere la sua obbligazione con fondi diversi da quelli del conto corrente a lui intestato» (v. sentenza impugnata, pag. 11), con ciò incorrendo in abuso del diritto (v. sentenza impugnata, pag. 13) essendo risultato che la banca, pur avendo ricevuto comunicazione del recesso del NOME dalla garanzia il 26 febbraio 2007, aveva
proceduto alla chiusura del conto del debitore principale solo il 28 ottobre 2008, comunicando la compensazione il giorno successivo.
Il ricorso della banca si vale di quattro motivi articolati su più profili, ai quali non ha inteso resistere l’intimato che non ha svolto attività processuale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo di ricorso la banca, impugnando il capo della decisione in rassegna in punto alla comunicazione di recesso, lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1334, 1335 e 2697 cod. civ., nonché dei principi della prova per presunzioni di cui agli artt. 2727 e 2729 cod. civ., anche in relazione all’art. 115 cod. proc. civ. Sostiene che la Corte d’Appello, essendo stata acquisita solo una ricevuta della raccomandata, avrebbe travisato il contenuto dell’art. 1335 cod. civ. e la portata della presunzione di conoscenza che esso involge, posto che essa regola la conoscenza della dichiarazione, ma non la sua esistenza ed il suo inoltro, sicché allo stato non vi è prova del recesso, tanto più considerando che nel prosieguo del rapporto da più indizi, peraltro ignorati dal decidente di merito, risultava che le parti avevano sempre continuato a riconoscere nel NOME la qualità di fideiussore.
Il motivo va reputato inammissibile sotto tutti i profili dedotti.
2.2. Lo è innanzitutto nelle ragioni di diritto, imponendosi il governo della corrispondente doglianza in applicazione dell’art. 360bis , n. 1, cod. proc. civ., posto che la Corte d’Appello -avanti alla quale ad onor del vero, come essa riferisce, non era stata prodotta, come assume il motivo «solo una ricevuta della raccomandata», ma anche l’avviso di ricevimento -nel rigettare la doglianza sul punto, si è fedelmente attenuta ai deliberati di questa Corte -da cui il motivo prende le distanze senza ragione -più volte espressasi nel senso che a mente dell’art. 1335 c od. civ., la dichiarazione unilaterale
comunicata mediante lettera raccomandata si presume ricevuta e quindi conosciuta nel suo contenuto, sulla base dell’attestazione della spedizione da parte dell’ufficio postale, sicché incombe sul destinatario l’onere di provare l’asserita non corrispondenza della dichiarazione ricevuta -perché la raccomandata non conteneva alcun atto o conteneva un atto diverso -rispetto a quella indicata dal mittente, non potendo il destinatario limitarsi ad una generica contestazione dell’invio della raccomandata medesima (Cass., Sez. I, 28/09/2017, n. 22687); ma lo è pure nelle ragioni di fatto, poiché, una volta considerato che il ragionamento decisorio non è aggredibile sotto il profilo della mancata attivazione del meccanismo presuntivo ove ci si trovi in presenza di un giudizio di sintesi (Cass., Sez. III, 12/04/2018, n. 9059; Cass., Sez. III, 5/12/2011, 26022; Cass., Sez. III, 10/11/2003, n. 16831) -e gli elementi indiziari a cui si riannoda la ricorrente vanno posti in correlazione con la presunzione discendente dalla vista applicazione dell’art. 1335 cod. civ. -la ricapitolazione delle circostanze di fatto, che nella rappresentazione ricorrente dovrebbero condurre ad un approdo diverso da quello a cui è pervenuta la decisione impugnata, si indirizza solo in direzione di una diversa lettura del quadro istruttorio e si risolve perciò in una contestazione meritale non sindacabile in questa sede.
3.1 Con il secondo motivo di ricorso la banca, impugnando sempre il capo della decisione in rassegna in punto alla comunicazione di recesso, lamenta, in prima analisi, la violazione e falsa applicazione degli art. 2727, 2729 e 2697 cod. civ., nonché dell’art. 2719 cod. civ., anche in relazione agli artt. 112, 115 e 215 cod. proc. civ. ed, ulteriormente, un vizio di omessa pronuncia e di assenza assoluta di motivazione. Sostiene che la Corte d’Appello avrebbe violato i principi dell’onere della prova e della prova per presunzioni per non
aver dato seguito al disconoscimento della conformità all’originale della copia prodotta in giudizio della comunicazione di recesso, quantunque essa fosse priva di data, mancasse di ogni ulteriore avvallo probatorio e fosse smentita dai contrari elementi indiziari allegati dalla deducente.
Il motivo è infondato e va pertanto disatteso.
3.2. La Corte d’Appello, diversamente da quanto ipotizzato dalla ricorrente, non è incorsa nel duplice errore che questa le rimprovera sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di legge e sotto il profilo del vizio di omessa pronuncia.
Per vero, va infatti considerato che il decidente del grado, nello scrutinare la doglianza odierna, in uno con la denunciata violazione dell’art. 1335 cod. civ., ha posto in luce, richiamando al riguardo i conformi deliberati di questa Corte, che la presunzione di conoscenza affermata dalla norma si estende al contenuto della dichiarazione indirizzata al destinatario, ove questi non dia la prova del contrario. Da ciò si ricava agevolmente la conclusione che se dell’inoltro della comunicazione all’indirizzo della banca non era lecito dubitare e se indubitabile ne era pure il contenuto, esternante la volontà del NOME di sciogliersi dall’obbligo di garanzia, restava di conseguenza assorbita la doglianza in punto di conformità all’originale della copia di detta comunicazione, giacché, da un lato la veridicità del fatto era attestata dalla presunzione di conoscenza resa possibile dall’applicazione, senza prova del contrario, dell’art. 1335 cod. civ., dall’altro la veridicità di esso, così acquisita, non avrebbe potuto essere messa in discussione dall’eccezione di conformità ex art. 2719 cod. civ. banca, rendendo perciò il seguito preconizzato da essa del tutto superfluo ai fini del decidere.
4.1. Con il terzo motivo di ricorso la banca, impugnando il capo della decisione in rassegna in punto all’illegittimità dell’operata
compensazione, lamenta, in prima analisi, la violazione e falsa applicazione degli art. 1243 e 1853 cod. civ., nonché dei principi delle obbligRAGIONE_SOCIALE solidali e fideiussorie ed in particolare degli artt. 147, 1292 e 1944 cod. civ. anche in riferimento agli artt. 112, 115 cod. proc. civ. ed, ulteriormente, un vizio di omessa pronuncia e di assenza assoluta di motivazione, atteso che la Corte d’Appello se avesse considerato le risultanze in atti avrebbe dovuto rigettare la domanda del NOME risultando questi obbligato nella sua veste di fideiussore ad adempiere le obbligRAGIONE_SOCIALE inadempiute del garantito sino all’asserito recesso con l’effetto che, essendo perciò il NOME obbligato solidale, la compensazione operata dalla banca, lungi dall’essere rappresentativa di una condotta censurabile, si sarebbe resa possibile anche nei confronti del correntista garante del debito, giusta la responsabilità solidale di cui all’art. 1944 ed avuto riguardo alle altre norme pure richiamate.
Il motivo è inammissibile.
4.2. La Corte d’appello, in vero, ha escluso la legittimità della operata compensazione, ex art. 1853 cod. civ., in quanto il credito della banca non era esigibile, essendo il comportamento della stessa -con la chiusura del conto del debitore principale il 28 ottobre 2008 e l’ addebito al NOME del suo saldo negativo e compensazione comunicata al medesimo il giorno successivo, nonostante il lungo tempo trascorso dal recesso del garante dal rapporto di garanzia -inficiato da abuso del diritto. Tale ratio decidendi è dalla ricorrente censurata esclusivamente affermando, in maniera generica e assertiva, e perciò inammissibile, che l’abuso non sussisteva .
5.1. Con il quarto motivo di ricorso la banca ricorrente, impugnando il capo delle spese, lamenta, in prima analisi, la violazione dell’art. 92 cod. proc. civ. e del principio di soccombenza anche in riferimento agli artt. 112 e 115 cod. proc. civ. ed, ulteriormente, un vizio di
omessa pronuncia e di assenza assoluta di motivazione, atteso che la Corte d’Appello, da un lato, non avrebbe compensato le spese di lite del proprio grado e, dall’altro, avrebbe omesso di statuire in ordine al relativo motivo di appello fatto valere avverso la sentenza di primo grado, e ciò malgrado la reciprocità della soccombenza verificatasi nella specie in quanto la domanda risarcitoria del NOME, proposta in uno con quella diretta a far dichiarare illegittima la compensazione operata dalla banca, era stata respinta.
Il motivo è infondato sotto entrambi i profili dedotti.
5.2. Circa la censura formulata riguardo al giudizio di appello, difetta a priori la condizione della reciproca soccombenza, dal momento che il NOME non ha appellato la decisione di primo grado che in parte qua ne aveva rigettato la domanda e, dunque, essendosi limitato in quel giudizio a resistere al gravame avversario, il rigetto dello stesso ne esclude la soccombenza in ragione del che la questione posta con il motivo è mal posta.
Circa la censura formulata riguardo al giudizio di primo grado, il relativo motivo di gravame deve intendersi implicitamente rigettato in ragione del pronunciato rigetto dell’appello in linea di merito e della conseguente conferma della decisione di primo grado che ne è scaturita.
Il ricorso va dunque respinto.
Nulla spese in difetto di costituzione avversaria.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico della ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Respinge il ricorso.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il