Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13487 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13487 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 453/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale presso l’indirizzo pec del difensore;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende con l’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 3147/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 09/12/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE convenne innanzi al Tribunale di Bologna la società RAGIONE_SOCIALE (di seguito R.T.L.) per ottenere il pagamento del corrispettivo del contratto stipulato in data 11/1/ 2011, pari ad € 1.650.000,00 , oltre gli interessi di mora ex art. 5, D.L. 231/2002.
1.1. R.T.L. si costituì in giudizio chiedendo, oltre al rigetto delle domande attoree, che, in via riconvenzionale, fosse dichiarata la nullità del richiamato contratto per illiceità e contrarietà alle norme imperative o, in subordine, la risoluzione dello stesso per impossibilità sopravvenuta, ovvero la legittimità del recesso per giusta causa.
1.2. Il Tribunale di Bologna accolse la domanda attorea.
La Corte di Appello di Bologna confermò la sentenza di primo grado.
2.1. Questi, in sintesi, gli argomenti salienti della sentenza d’appello :
-doveva considerarsi infondata l’invocata improcedibilità dell’azione promossa da RAGIONE_SOCIALE per omesso esperimento del tentativo di conciliazione innanzi all’Autorità per le Garanzie delle Comunicazioni (AGCOM) sia perché, innanzi al Tribunale <>;
R.T.L. non poteva esercitare il recesso ex art. 1464 cod. civ. poiché la prestazione dovuta da RAGIONE_SOCIALE non era divenuta impossibile,
in quanto la decisione di affidarsi ad altro operatore era stata frutto di una scelta dell’appellante;
a conforto di ciò vi era l’ulteriore circostanza che , alcuni mesi dopo una tale scelta operata da RTL, era intervenuta la delibera 353/11CONS con cui <>;
-non sussistendo nel caso di specie alcuna fattispecie estintiva del rapporto contrattuale, doveva considerarsi corretta la decisione del Tribunale di Bologna di porre a carico di RAGIONE_SOCIALE. l’intero corrispettivo pattuito per il servizio richiesto da RAGIONE_SOCIALE, a fronte dell’inadempimento della stessa.
R.T.L. propone ricorso sulla base di due motivi. MUX resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno ulteriormente illustrato le rispettive posizioni con memoria depositata all’approssimarsi dell’adunanza camerale.
Con il primo motivo R.T.L. denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 28, co. 1, delibera AGCOM 435/01/CONS, 1, co. 11, l. 249/1997; 1464 cod. civ.; nonché della delibera AGCOM 353/11/CONS.
Questa la sintesi delle critiche mosse con il complesso censorio.
L a Corte d’appello non aveva colto la doglianza mossa da RAGIONE_SOCIALE in merito all’improcedibilità dell’azione, in quanto non aveva tenuto in conto che, nel caso di specie, alcuna procedura di conciliazione era
stata di fatto avviata dall’AGCOM, permanendo pertanto la causa di improcedibilità e/o inammissibilità del giudizio.
– R.T.L. era stata costretta ad invocare il recesso ai sensi dell’art. 1464 cod. civ., a fronte del provvedimento emesso in autotutela dal Ministero per lo Sviluppo Economico di correzione della numerazione errata assegnata all’inizio , per contro, <>.
– L a Corte d’Appello aveva, erroneamente, dato rilievo alla delibera AGCOM 353/11/CONS, trattandosi, invero, di provvedimento sopravvenuto ai fatti di causa ed avendo RTL esercitato la disdetta dal contratto prima che entrasse in vigore la nuova regolamentazione amministrativa. Tale disposizione, inoltre, non aveva una efficacia novativa, bensì semplicemente ricognitiva <> . La Corte d’appello aveva errato a non considerare che l’autorizzazione amministrativa era sopravvenuta ai fatti di causa e l’esponente aveva disdettato il contratto prima che entrasse in vigore la <> . Altro errore andava identificato nell’avere la
sentenza interpretato la norma difformemente dalla sua lettera, in quanto <>.
4.1. Il motivo è infondato avuto riguardo a tutti i profili sopra sunteggiati.
4.1.1. Il tentativo di conciliazione deve concludersi entro trenta giorni; il che, evidentemente, non poteva essere avvenuto, non avendo la preposta Autorità, investita dalle parti, neppure dato corso alla convocazione ed essendo trascorso ben oltre il termine di trenta giorni. Né, può reputarsi, in violazione di più principi sovraordinati, che le parti debbano essere costrette ad attendere un tempo indeterminato prima di poter effettivamente investire il giudice (giusto processo, ragionevole durata dello stesso -art. 111, co. 1 e 2 Cost., diritto d’agire in giudizio per la tutela dei propri diritti -art. 24, co. 1, Cost.)
Dispone, infatti, l’art. 11 della legge n. n. 249/1997: ‘ L’Autorità disciplina con propri provvedimenti le modalità per la soluzione non giurisdizionale delle controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro. Per le predette controversie, individuate con provvedimenti dell’Autorità, non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito un tentativo obbligatorio di conciliazione da ultimare entro tenta giorni dalla proposizione dell’istanza all’Autorità. A tal fine, i termini per agire
in sede giurisdizionale sono sospesi fino alla scadenza del termine per la conclusione del procedimento di conciliazione ‘.
Inoltre, entrambe le parti avevano inequivocamente rinunciato all’effettivo esperimento del tentativo di conciliazione già in primo grado, avendo chiesto concordemente che la causa venisse decisa, nonostante la mancata convocazione da parte dell’AGCOM.
Infine, durante il giudizio d’appello non risulta allegato che fosse stata avanzata istanza di tentativo di conciliazione, né in citazione, né in sede di precisazione delle conclusioni.
4.1.2. Nel resto, al di là della dedotta violazione di legge, la ricorrente non attinge decisivamente la ratio decidendi che qui viene in rilievo, insistendo in una ricostruzione alternativa che non mette in crisi l’argomento decisivo posto a base della decisione, qui astrattamente contestato: non poteva ipotizzarsi impossibilità parziale della prestazione, ai sensi dell’art. 1464 cod. civ. o, al più, fa leva su congetture appena accennate (la delibera AGCOM 353/11/CONS non sarebbe stata innovativa), senza puntualmente avversare l’asse della motivazione: la prestazione alla quale RAGIONE_SOCIALE si era obbligata non era divenuta impossibile e la decisione di RTL di non avvalersi dell’operatore era dipesa da una scelta d’impresa della ricorrente, che aveva preferito affidarsi a un nuovo operatore di rete.
Va ricordato che la Corte locale affronta e risolve la questione di cui immediatamente sopra nei termini come di seguito riassunti.
(1) <>. Si era in presenza di causa lecita che soddisfaceva l’esigenza di RTL, la
quale aveva necessità di attivare nell’arco di pochi giorni la numerazione anzidetta, diffondendo i propri programmi entro tre mesi dal provvedimento autorizzativo, andando incontro, in difetto, a revoca dell’autorizzazione.
Il successivo cambio nell’attribuzione di numerazione non aveva reso nullo il contratto, ma corrispondeva a una diversa scelta d’impresa di RTL avvalersi della nuova autorizzazione.
Non poteva configurarsi impossibilità sopravvenuta, né ipotesi di legittimo recesso: la possibilità di veicolare in ambito locale i programmi televisivi di RTL non era derivata da ragioni estranee al volere di quest’ultima, bensì, al contrario, <>; senza contare che alcuni mesi dopo una tale scelta l’AGCOM, con la delibera 353/11/Cons, art. 18, co. 3, aveva chiarito che <>.
<>.
Doveva, dunque, concludersi nel senso che l’obbligazione di prestazione di RAGIONE_SOCIALE non era divenuta impossibile e, quindi, non poteva invocarsi il recesso ex art. 1464 cod. civ.
Manca, come agevolmente è dato cogliere, un confronto specificamente avversativo del ragionamento motivazionale, riducendosi la censura a una riproduzione della critica sottoposta al giudice di secondo grado, in assenza di una convincente e compiuta critica all’argomentazione, sulla base della quale la sentenza ha escluso sussistere l’ipotesi dell’impossibilità parziale della prestazione.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ.
La Corte d’appello, secondo l’assunto, avrebbe omesso del tutto di motivare circa la doglianza mossa da RAGIONE_SOCIALE in ordine al rilevante indennizzo cui era stata condannata in primo grado, corrispondente al pagamento del corrispettivo integrale di ben dodici mesi di contratto. RAGIONE_SOCIALE infatti aveva erogato il servizio solamente per un mese, per il quale, da contratto, non era prevista alcuna remunerazione. Il concetto di indennizzo, inoltre, doveva considerarsi diverso rispetto a quello di corrispettivo.
7.1. Il motivo non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
In presenza di ‘doppia conforme’, sulla base dell’art. 348 ter, co. 5, cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 2, n.
5528, 10/03/2014, Rv. 630359; conf., ex multis, Cass. nn. 19001/2016, 26714/2016), evenienza che nel caso in esame non ricorre affatto.
Peraltro, a volere prescindere dalla superiore, decisiva considerazione, l’omesso esame non sarebbe stato, in ogni caso, qui supponibile, non vertendosi in ipotesi di mancata considerazione di un fatto storico-documentale, avente carattere di decisività, bensì di rivendicazione di un diverso apprezzamento del complesso delle emergenze di causa (cfr., ex multis, Cass. n. 18886/2023).
Infine, a tutto concedere, la questione non consta essere stata sottoposta alla Corte di merito (questa non la riporta e la ricorrente non afferma il contrario allegando l’atto d’appello) e, pertanto, in questa sede non è, anche per questa ragione, scrutinabile.
Rigettato il ricorso nel suo complesso, il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore del controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 marzo