Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19110 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 19110 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Ricorrente
contro
Rigano NOME , rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Controricorrente
e
Nobili NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME e COGNOME NOME , rappresentati e difesi da ll’Avvocato NOME COGNOME.
Controricorrenti
e
COGNOME rappresentato e difeso da ll’Avvocato NOME COGNOME.
Controricorrente
e
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME.
avverso la sentenza n. 2270/2020 della Corte di appello di Venezia, depositata il 10.9.2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del l’8.5 .2025 dal consigliere NOME COGNOME
udite le conclusioni del P.M., in persona del sostituto Procuratore Generale dott.
NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udite le difese svolte dall’Avvocato NOME COGNOME per COGNOME NOME, dall’Avvocato NOME COGNOME per COGNOME, dall’Avvocato NOME COGNOME per NOME COGNOME ed altri e dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per COGNOME NOMECOGNOME
Fatti di causa
Nel 2008 Rigano NOME convenne dinanzi al tribunale di Padova COGNOME NOME, chiedendo che fosse accertata la legittimità del suo recesso dal contratto preliminare stipulato il 20.3.2007 con il convenuto, avente ad oggetto l’unità immobiliare sita in Padova , INDIRIZZO con condanna della controparte al versamento de l doppio della caparra incassata. L’ attrice espose di avere comunicato il recesso per inadempimento del promittente venditore, risultando l’immobile , contrariamente dalle garanzie prestate, soggetto al vincolo di cui alla legge n. 1089 del 1939 e non in regola con la normativa edilizia, per la presenza di una tettoia abusiva.
COGNOME NOME si oppose alla domanda e chiamò in causa, a titolo di manleva, sia i propri danti causa, COGNOME NOME, NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME e COGNOME NOME, che il notaio COGNOME che aveva rogato il suo atto di acquisto. A sua volta COGNOME chiamò in giudizio il notaio COGNOME COGNOME che aveva stipulato l’atto di acquisto dei Nobili.
Esaurita l’istruttoria , il tribunale, con sentenza n.3314 del 2014, rigettò le domande proposte dalla attrice.
Con sentenza n. 2270 del 10.9.2020, la Corte di appello di Venezia accolse l’appello proposto da NOME COGNOME NOME e, in integrale riforma della decisione di primo grado, dichiarò la legittimità del recesso dal contratto dalla stessa esercitato, condannò COGNOME NOME al pagamento della somma di euro 200.000,00, pari al doppio della caparra ricevuta, e rigettò le domande avanzate dal convenuto nei confronti delle altre parti chiamate in causa.
La Corte veneziana motivò la decisione affermando che: l’immobile compromesso era effettivamente soggetto a vincolo storico, costituito con d.m. 16.9.1961 ai sensi della legge n. 1089 del 1939, e presentava, al momento della stipula del preliminare, una tettoia abusiva non sanabile; COGNOME NOME si era reso inadempiente all’obbligo assunto in contratto per non ave re informato la controparte della esistenza del vincolo, avendo anzi garantito espressamente l’assenza sul bene di vincoli o oneri pregiudizi evoli sul bene; COGNOME era sicuramente a conoscenza, in quanto informato dalla stessa Sovraintend enza con nota dell’1.6.2005 ; il recesso dal contratto esercitato da Rigano era pertanto legittimo, in quanto il vincolo suddetto costituiva un onere reale gravante sul bene e, atteso il diritto di prelazione da parte dello Stato, precludeva la stipula del definitivo; che inoltre, a causa della presenza della tettoia abusiva, l’ immobile non era suscettibile di essere venduto; la domanda di manleva avanzata dal convenuto nei confronti dei suoi danti causa e del notaio rogante era infondata, in quanto la responsabilità dell’inadempimento del contratto preliminare oggetto di causa era imputabile unicamente a COGNOME che, pur essendo a conoscenza del vincolo sul bene, aveva colpevolmente omesso di informarne la promissaria acquirente Rigano.
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso COGNOME NOMECOGNOME affidato a dodici motivi.
COGNOME NOME COGNOME NOME, NOME COGNOME NOME, COGNOME e COGNOME NOME e COGNOME hanno notificato distinti controricorsi, mentre COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, eredi di COGNOME Remo, non hanno svolto attività difensiva.
Il P.M., il ricorrente ed i controricorrenti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1.Il primo motivo del ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 legge n. 1089 del 1939, degli artt. 2, 10 e 13 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e degli artt. 1362, 1363, 1369 e 1371 c.c., censurando la sentenza per avere affermato la sussistenza del vincolo storic o sull’immobile oggetto di preliminare. Si sostiene la fallacia di tale accertamento, avendolo la Corte di appello fondato sul solo esame delle risultanze della nota di trascrizione e non anche sul provvedimento dell’amministrazione che lo aveva imposto prescindendo dalla caratteristiche strutturali del bene. Se il giudice avesse esaminato il d.m. 19.6.1961 avrebbe potuto verificare che il vincolo storico era stato costituito sulla sola costruzione frontale, definita elegante e risalente ai secoli XVI-XVII, costituita dal piano terra, primo piano, sottotetto e porticato, mentre l’unità immobiliare promessa in vendita , che era posta sulla corte retrostante del fabbricato, non possedeva queste caratteristiche, essendo priva di qualsiasi valore storico o architettonico. La Corte di appello ha quindi violato le regole che sovraintendono l’interpretazione degli atti amministrativi, giungendo ad una conclusione in contrasto che il contenuto testuale del d.m. del 1961, che sottoponeva a vincolo soltanto il palazzo padronale e anche non la parte retrostante, un tempo adibita a stalle e magazzini.
Il secondo motivo di ricorso denuncia vizio di omesso esame di fatti decisivi, costituiti da lle seguenti circostanze: negli anni novanta l’immobile era stato oggetto di lavori di ristrutturazione e di cambio di destinazione, che non sarebbero stato realizzati se esso fosse stato soggetto a vincolo storico; la promissaria acquirente COGNOME aveva acquistato, in precedenza, altro immobile sulla medesima corte e quindi era a conoscenza del vincolo; la lettera del 4.7.2005 con cui l’odierno ricorrente aveva contestato la nota della Sovraintendenza che lo informava che il suo immobile era gravato dal vincolo in questione.
Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 5 legge n. 2248 del 1865, all. E, censurando la sentenza per non avere la Corte di appello esercitato il proprio potere-dovere di disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi. Una volta ritenuto, infatti, che il vincolo cadeva anche
sull’immobile oggetto di preliminare, il giudice avrebbe dovuto rilevarne la illegittimità, essendo il bene privo di qualsiasi pregio storico o architettonico.
I primi tre motivi di ricorso, che possono esaminarsi congiuntamente per la loro connessione obiettiva, non meritano accoglimento.
La Corte di appello ha affermato che l’immobile oggetto del prelim inare era sottoposto a vincolo, ai sensi della legge n. 1089 del 1939, dal d.m. 16.9.1961, sulla base del rilievo che esso coincideva con le indicazioni della via e catastali contenute nella nota di trascrizione del vincolo riferita alla proprietaria precedente COGNOME NOME. A tal fine ha precisato, quanto alla descrizione catastale, richiamando sul punto gli accertamenti del consulente tecnico d’ufficio, che l’errore sulla menzione del F oglio di mappale, XV invece che IV, e di confine, numero 185 in luogo che 85, non era rilevante, non comportando incertezza sulla identificazione del compendio immobiliare gravato e che i successivi frazionamenti non avevano avuto alcuna incidenza, atteso che l’immobile era stato vincolato in origine nel suo complesso.
Deve convenirsi con il Procuratore Generale, che ha osservato che l’accertamento così compiuto è un accertamento di fatto, come tale di competenza esclusiva del giudice di merito e non sindacabile in sede di giudizio di legittimità.
Non ha fondamento la censura secondo cui la Corte avrebbe basato il suo accertamento sulla nota di trascrizione dell’immobile, disinteressandosi del provvedimento amministrativo che aveva imposto il vincolo. La contestazione, in primo luogo, non è esatta, avendo la Corte fatto più volte menzione del d.m. 16.9.1961. In secondo luogo non si ravvisa l’errore di diritto denunciato, avendo nell’accertamento contestato la Corte di appello seguito il criterio afferm ato da questa Corte che, nello stabilire se ed in quali limiti un determinato atto trascritto sia opponibile ai terzi, deve aversi riguardo esclusivamente al contenuto della nota di trascrizione, dovendo le indicazioni riportate nella nota stessa consentire di individuare, senza possibilità di equivoci e di incertezze, gli estremi essenziali del negozio ed i beni ai quali esso si riferisce, senza necessità di esaminare anche il contenuto del titolo ( Cass. n. 11213 del 2024; Cass. n. 4842 del 2019; Cass. n. 18892 del 2009).
Merita aggiungere che dalla lettura del ricorso non risulta essersi mai sostenuto che il fronte del palazzo e la corte siano costituiti da due corpi di fabbrica separati e distinti e che la Corte di merito ha accertato che il vincolo interessava l’immobile nel suo complesso.
Anche le censure sollevate con il secondo e terzo motivo sono infondate.
I fatti allegati dal ricorrente, di cui si lamenta l’omesso esame, appaiono generici e non decisivi, attesa la loro intrinseca inidoneità a portare ad una conclusione diversa. Nello specifico, l’esecuzione di lavori di ristrutturazione dell’immobile, che il ricorso non indica in modo specifico, non costituiscono all’evidenza una prova della inesistenza del vincolo, potendo essere com patibili con lo stesso. Il fatto che la promissaria acquirente avesse acquistato in precedenza un’unità immobiliare vicina è al riguardo irrilevante, così come la circostanza che COGNOME avesse contestato la comunicazione della Sovraintendenza che, in relazione alla esecuzione della tettoia, gli rappresentava che l’immobile era vincolato, non dimostrando essa alcun errore da parte della amministrazione.
Manifestamente infondata è, infine, la contestazione del mancato esercizio da parte della Corte del potere di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi, fondata sul rilievo che l’immobile per cui è causa non avrebbe pregi storici o architettonici, atteso che il vizio del provvedimento che non sarebbe stato rilevato attiene al merito della valutazione amministrativa e quindi si sottrae al controllo di legittimità dell’atto .
3. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del l’art. 132 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 156 stesso codice e dell’art. 111 Cost., lamentando la illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza nella parte in cui ha ritenuto legittimo il recesso dal contratto manifestato da Rigano. La Corte, infatti, ha corroborato tale conclusione per la presenza del diritto di prelazione legale in capo allo Stato, che però non era stato esercitato e che di per sé non impediva la vendita , e perché il vincolo ‘ avrebbe potuto pregiudicare ‘ l’acquirente, senza però specificare la consistenza e natura del pregiudizio.
Il motivo censura altresì, per carenza assoluta di motivazione, l’affermazione della Corte che l’immobile, a causa della presenza della tettoia abusiva, ‘ non era vendibile ‘.
Il quinto motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 59 e 61 d.lgs. n. 42 del 2004 e degli artt. 1385, 1455, 1489 e 1480 c.c., censura la sentenza per avere ritenuto che l’esistenza del vincolo, con conseguente diritto di prelazione all’acquisto da parte dello Stato, era di impedimento alla stipula tra le parti del contratto definitivo di compravendita, laddove invece esso poteva essere concluso, con il solo effetto che la sua efficacia, ai sensi dell’art. 61 d.lgs. n. 42 del 2004, rimaneva condizionata al mancato esercizio della prelazione nel termine di 60 giorni dalla denuncia dell’alienazione.
Si assume, inoltre, che la Corte di appello ha errato nel ritenere legittimo il recesso della controparte sulla base del rilievo che la sussistenza del vincolo avrebbe potuto pregiudicare i suoi diritti, atteso che esso non incide né sulla commerciabilità né sulle possibilità di godimento del bene. La pronuncia impugnata ha pertanto violato o falsamente applicato la disposizione di cui all’art. 1489 c.c., che consente la risoluzione della vendita solo se l’onere reale diminuisce il libero godimento del bene. In ogni caso, la Corte non ha valutato se l’inadempimento contestato, sia in relazione alla sussistenza del vincolo che con riguardo alla presenza della tettoia abusiva, fosse o meno grave e tale la legittimare il rifiuto dell’a ltro contraente a stipulare il definitivo ed a recedere dal contratto preliminare.
Il quarto e quinto motivo di ricorso, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.
La Corte di appello, dopo avere accertato che l’immobile compromesso era effettivamente soggetto al vincolo di cui alla legge n. 1089 del 1939, ha affermato che il recesso dal contratto manifestato dalla promissaria acquirente era legittimo in quanto il promittente venditore, che pure era a conoscenza del vincolo, lo aveva taciuto alla controparte ed anzi aveva espressamente garantito, in sede di contratto preliminare, contrariamente al vero, l’assenza di vincoli, oneri o pregiudizi sul bene ed aveva altre sì dichiarato che l’immobile era
conforme alla norme urbanistiche ed edilizie , mentre esso presentava l’abuso costituito da una tettoia non autorizzata. Ha poi aggiunto che la presenza di un onere reale a carico dell’immobile era rilevante, in quanto avrebbe potuto pregiudicare i diritti dell’acquirente e che la sussistenza dell’abuso edilizio rendeva il bene non suscettibile di trasferimento.
La lettura della decisione evidenzia non solo l’esistenza, coerenza e non illogicità della motivazione, ma anche la correttezza della conclusione accolta, sia pure con le precisazioni che seguono.
In particolare, va evidenziato che il nucleo centrale della motivazione, che ha portato la Corte a dichiarare legittimo il recesso della promissaria acquirente Rigano, risiede nella considerazione che il promittente venditore aveva taciuto, nonostante ne fosse a conoscenza, la sussistenza del vincolo sull’immobile compromesso, spingendosi a dichiararne la libertà da ogni peso o onere. La Corte ha ravvisato proprio in tale condotta la fonte della responsabilità per inadempimento dell’odierno ricorrente e l a legittimità del rifiuto di stipulare il definitivo da parte della Rigano, sul presupposto implicito ma non per questo meno evidente che, se COGNOME avesse informato l’altra parte della presenza dell’onere reale e dell’abuso edilizio, il contratto prelim inare sarebbe stato quanto meno concluso a condizioni diverse. Circostanza confermata nello stesso ricorso, che dà atto che al fine di risolvere la controversia la Rigano aveva proposto la riduzione del prezzo di euro 50.000,00.
Tanto precisato, il quarto motivo è inammissibile, in quanto non contesta questa parte della motivazione.
Per il resto le censure sono infondate.
Se è vero infatti che, come dedotto dal ricorrente, il vincolo storico e architettonico su un immobile non ne impedisce la commerciabilità, è per contro indubbio che esso ha natura di onere reale di natura pubblicistica, che, in quanto tale, limita le facoltà normalmente connesse al diritto di proprietà, essendo il proprietario tenuto a conservare e mantenere il bene nella sua conformazione materiale e fisica, con conseguente restrizione alla possibilità di apportarvi modifiche ed ampliamenti, che pure sarebbero consentiti dagli strumenti urbanistici in vigore o futuri, ed a rispettare in ogni caso i limiti e le prescrizioni
posti dall’autorità amministrativa competente (art.11 e seguenti legge n. 1089 del 1939). Va esclusa pertanto la dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 1489 c.c..
La censura di carenza, illogicità e contraddittorietà di motivazione, sollevata con il quarto motivo, va respinta sulla base delle considerazioni che precedono, tenuto conto, da un lato, del principio che i vizi della motivazione della sentenza che ne determinano la nullità possono riscontrarsi solo in presenza di una motivazione del tutto assente o non intellegibile o palesemente contraddittoria (Cass. n. 7090 del 2022; Cass. n. 17196 del 2020; Cass. n. 13248 del 2020; Cass. n. 9105 del 2017) e, dall’altro , che la lettura della sentenza consente in modo chiaro di seguire il percorso motivazionale attraverso cui il giudice è pervenuto alla decisione e non porta a ravvisare illogicità o contraddizioni.
5. Il sesto motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 46 d.p.r. n. 380 del 2001, degli artt. 1385 e 1455 c.c. e degli artt. 1418, 1489 e 1480 stesso codice, nonché degli artt. 17 e 40 legge n. 47 del 1985, lamenta che la Corte di appello abbia ritenuto che la presenza della tettoia abusiva impedisse la stipulazione del contratto definitivo pena la sua nullità. La decisione è censurata per non avere dato rilievo assorbente alla circostanza, di cui pure la Corte di appello dà atto, che la veranda era stata demolita da COGNOME e quindi l’abuso eliminato. In ogni caso esso era solo parziale e marginale e, come tale, non avrebbe determinato la nullità dell’atto di vendita, considerat o anche il carattere testuale e non sostanziale della nullità prevista in materia di trasferimenti immobiliari dall’art. 40 legge n. 47 del 1985 affermato dalla giurisprudenza più recente.
6. Il motivo va disatteso.
L’affermazione della Corte di appello che ha dato rilevanza all’abuso edilizio sulla base della considerazione che, al momento del preliminare, l’immobile ‘ non era vendibile ‘, non è certo condivisibile, atteso che, in ogni caso, l’accertamento delle condizioni di validità del contratto di vendita, anche sotto il profilo della regolarità urbanistica dell’immobile, va compiuto avendo riguardo alla situazione esistente al momento della stipula del contratto definitivo e non a quello in cui è concluso il contratto preliminare. Nel caso di specie, la stessa
Corte dà del resto atto che la tettoia era stata nel frattempo demolita. La motivazione della sentenza va pertanto corretta, nel senso che l’abuso edilizio, a prescindere dalla sua rilevanza in sé, essendo stato eliminato, non impediva la stipula del contratto definitivo.
L’errore della sentenza non può però portare alla sua cassazione, in quanto l’affermazione censurata assume, nel complessivo impianto motivazione della decisione, un ruolo marginale e certamente non decisivo. Tale conseguenza risulta dalla stessa esposizione della motivazione, da cui emerge che la Corte era pervenuta al convincimento di ritenere legittimo il rifiuto della promissaria acquirente di stipulare il definitivo ed il suo conseguente recesso dal contratto preliminare sulla base del fatto che il promittente venditore si era reso inadempiente all’obbligo, assunto nel preliminare, di trasferire il bene libero da oneri ed in regola con la normativa urbanistico ed edilizia, sottacendo la presenza del vincolo pubblicistico e l’abuso edilizio.
Il settimo motivo di ricorso denuncia vizio di omesso esame di fatti decisivi, costituiti dalle seguenti circostanze: la proposta della Rigano di addivenire alla stipulazione del contratto definitivo nel caso fosse stato concesso una riduzione del prezzo di almeno 50.000,00 euro; la lettera del 4.7.2005 con cui l’odierno ricorrente aveva contestato la nota della Sovraintendenza che lo informava che il suo immobile era gravato dal vincolo in questione; negli anni novanta l’immobile era stato oggetto di la vori di ristrutturazione e di cambio di destinazione, che non sarebbero stato realizzati se esso fosse stato soggetto a vincolo storico; la promissaria acquirente COGNOME abitava, all’epoca del preliminare, in un appartamento sito nella stessa corte ove era ubicato l’immobile compromesso, per cui poteva presumersi che e lla fosse a conoscenza del vincolo.
Le censure, che ripetono in gran parte quelle avanzate con il secondo motivo, vanno respinte per le ragioni già esposte.
La residua circostanza che la promissaria acquirente, una volta venuta a conoscenza del vincolo e dell’abuso esistente sull’immobile, av esse proposto una rimodulazione del prezzo di acquisto, non dimostra che l’inadempimento del promittente venditore fosse per essa irrilevante, ma trovava causa e
giustificazione nel fatto obiettivo che il prezzo in sede di preliminare era stato determinato sul presupposto che l’immobile fosse libero da vincoli e non presentasse irregolarità dal punto di vista urbanistico ed edilizio e che, per quanto successivamente emerso, esso aveva un valore commerciale diverso. La circostanza è priva quindi del carattere di decisività al fine di dimostrare che l’attrice non aveva dato peso alla situazione dell’immobile emersa dopo la stipula del preliminare e non poteva, pertanto, validamente chiederne, a causa della stessa, la risoluzione.
L’ottavo motivo di ricorso , che denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 132 n. 4 c.p.c. in relazione all’art. 156 stesso codice e degli artt. 1385 e 1454 c.c., censura la sentenza impugnata per avere dichiarato di accogliere, senza dare alcuna motivazione, il quarto motivo di appello, con cui la Rigano aveva contestato il capo della sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda di risoluzione del contratto avanzata dall’odierno ricorrente ed aveva riconosciuto il suo diritto a trattenere la caparra incassata. 10. Il motivo è manifestamente infondato.
Le ragioni del rigetto della domanda di risoluzione del contratto avanzata in via riconvenzionale da COGNOME, per l’ asserita illegittimità del recesso dal contratto della controparte, esiste e si rinviene, specularmente, nella motivazione che ha riformato la sentenza appellata ed ha riconosciuto legittimo il recesso intimato dalla appellante.
Con il nono motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c., lamentando che la Corte di appello lo abbia condannato al pagamento degli interessi sul doppio della somma ricevuta a titolo di caparra con decorrenza dalla data del suo versamento, nonostante che tale domanda non sia stata proposta in primo grado, omettendo di rilev are l’inammissibilità della relativa richiesta avanzata solo con l’atto di appello.
Il motivo è infondato.
Dalla lettura delle conclusioni di cui all’atto di citazione emerge che la parte attrice aveva accompagnato la domanda di pagamento del doppio della caparra versata con la richiesta di interessi. In particolare, la richiesta di interessi investiva l’intera pretesa avanzata e non poteva ritenersi limitata dalla
precisazione secondo cui essi, ‘in ogni caso’, decorrevano , con riguardo alla caparra versata, dalla data del suo versamento.
13. Il decimo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1385 e 2033 c.c., censurando la decisione per avere fatto decorrere gli interessi sul pagamento del doppio della caparra confirmatoria dalla data del suo versamento e non data della domanda.
14. Il motivo è fondato.
L’esercizio del diritto di recesso d al contratto ha carattere costitutivo dello scioglimento del vincolo negoziale e del conseguente diritto del recedente a trattenere la caparra versata o alla corresponsione del doppio. Trattandosi di debito di valuta, l’obbligo di corresponsione degli interessi decorre pertanto dal momento in cui il credito re chiede l’adempimento, costituendo in mora il debitore, e non comprende il periodo precedente (Cass. n. 13339 del 2006; Cass. n. 13284 del 2000).
La Corte di appello ha pertanto errato, in quanto, nel caso di specie, gli interessi dovevano farsi decorrere dall’1.4.2008, data della lettera raccomandata con cui NOME aveva comunicato di voler recedere dal contratto e chiesto la corresponsione del doppio della caparra versata, come riferito da entrambe le parti (pag. 6 del ricorso e pag.6 e 7 del controricorso).
15. L’undicesimo motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 41 c.p., censura il capo della decisione ha respinto la domanda avanzata dall’odierno ricorrente nei confronti del propri danti causa e del notaio rogante il suo acquisto, di essere tenuto indenne dalle conseguenze derivanti dall’accoglimento delle domande proposte dall’attrice COGNOME, ritenendo che tali conseguenze fossero imputabili interamente al promittente venditore, che, per propria scelta, aveva sottaciuto all’altra parte l’esistenza de l vincolo reale sul bene e dato così colpevolmente causa al proprio inadempimento.
Sostiene il ricorrente che la Corte di appello ha erroneamente applicato il principio di causalità tra condotta ed evento, non considerando che egli non aveva dichiarato in contratto l’esistenza del vincolo pubblicistico sul bene perché né i suoi danti causa né il notaio rogante lo avevano reso edotto della sua esistenza. Sussisteva pertanto il rapporto causale tra le omissioni dei terzi
chiamati e la propria condotta, tale da giustificare l’accoglimento dell e domande di garanzia proposte nei loro confronti. Né, in senso contrario, poteva attribuirsi efficacia di interruzione del nesso causale alla lettera ricevuta dall’esponente dalla Sovraintendenza nel giugno 2005, che gli rappresentava la presenza del vincolo sul bene, avendo essa un contenuto incerto e non univoco, individuando l’immobile con un mappare ed un numero civico diverso.
Il dodicesimo motivo di ricorso denuncia vizio di omesso esame di fatto decisivo, costituito dalla lettera del 4.7.2005 con cui l’odierno ricorrente aveva contestato la nota della Sovraintendenza del giugno precedente.
16. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, non meritano accoglimento.
La Corte di appello ha individuato nella lettera inviata dalla Sovraintendenza in data 1.6.2005 a COGNOME, che gli contestava la realizzazione della tettoia sull’immobile gravato dal vincolo pubblicistico, il momento in cui questi aveva avuto conoscenza del vincolo suddetto. Ha ritenuto quindi che il promittente venditore avesse acquisito sicura conoscenza, successivamente al suo acquisto ma prima del preliminare per cui è causa, del l’informazione che non gli era stata fornita in precedenza dai suoi venditori e dal notaio. Ne ha tratto la conseguenza che la condotta omissiva dei terzi chiamati non avesse esercitato alcuna influenza sul fatto che egli, pur sapendo, aveva taciuto alla promissaria acquirente l’esistenza del vincolo, garantendo l’immobile libero da pesi e oneri. Il ragionamento svolto dalla Corte territoriale appare corretto in relazione all’applicazione del criterio di causalità tra condotta ed evento, risultando del tutto plausibile la conclusione che la mancata informazione circa la sussistenza del vincolo sul bene da parte dei danti causa del promittente venditore e del notaio nell’atto di provenienza avesse perso ogni efficacia e rilevanza nel momento in cui il proprietario ne era venuto per altra via a conoscenza. Tenuto conto altresì della particolare azione promossa da COGNOME nei confronti di COGNOME e di COGNOME, diretta a porre sui terzi chiamati le conseguenze del proprio inadempimento al contratto preliminare.
Per il resto la Corte territoriale è pervenuta alla soluzione accolta sulla base di accertamenti e valutazioni di fatto che, rientrando nella competenza esclusiva
del giudice di merito, rimangono sottratte al sindacato di questa Corte, limitato al solo controllo di legittimità.
In tale contesto non assume rilievo autonomo la mancata menzione nella sentenza della lettera inviata da COGNOME alla Sovraintendenza nel luglio 2005, non essendo stato dimostrato il suo carattere decisivo. La mera contestazione della sussistenza del vincolo non costituisce infatti giustificazione idonea dell’omessa menzione dello stesso in sede di contratto preliminare. Va inoltre tenuto conto che la Corte di appello, pur con riguardo alla nota di trascrizione del vincolo, ha chiarito che l’errore di indi cazione del mappale non era tale da determinare incertezze sulla individuazione dell’immobile vincolato e che il numero civico era semplicemente mutato, dall’ originario 32 a 84.
La mancata riproduzione nel ricorso del testo della missiva impedisce d’altra parte di valutarne altrimenti la rilevanza.
17. In conclusione, è accolto il decimo motivo di ricorso, rigettati gli altri. La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto e, sussistendo le condizioni, la causa è decisa nel merito, disponendo che gli interessi sulla condanna di COGNOME NOME al pagamento della somma di euro 200.000,00 decorrono dall’1.4.2008.
Le spese dei giudizi di merito seguono la soccombenza; quelle del giudizio di legittimità, atteso l’esito della lite, si compensano per un quarto tra il ricorrente e la controricorrente Rigano e si pongono per i restanti tre quarti a carico del ricorrente, la cui soccombenza risulta nettamente prevalente. Il ricorrente è invece condannato, perché integralmente soccombente, al pagamento delle spese nei confronti dei controricorrenti COGNOME e COGNOME e del controricorrente COGNOME.
P.Q.M.
La Corte accoglie il decimo motivo di ricorso e rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dispone che gli interessi sulla condanna di COGNOME NOME al pagamento della somma di euro 200.000,00 decorrono dall’1.4.2008.
Condanna COGNOME al pagamento delle spese dei giudizi di merito, che liquida in euro 13.430,00 per il primo grado ed in euro 9.515, 00 per il grado di appello,
oltre accessori di legge e spese generali, in favore di ciascuna delle controparti o gruppo di controparti, COGNOME NOME; COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME; COGNOME NOME; COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME; compensa per un quarto, tra il ricorrente e la controricorrente COGNOME NOME, le spese del giudizio di legittimità, che liquida per intero in euro 8.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali, e condanna COGNOME NOME al pagamento dei restanti tre quarti; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore degli altri controricorrenti, che liquida in euro 8.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge, per COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME e nello stesso importo in favore di COGNOME NOME.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del l’8 maggio 2025.